19/11/2010
4 recensioni[Partecipante all’iniziativa 2010: a year together sul forum Collection of Starlight.]
[Childlike]
#55. Vendemmia al sapore di pioggia
True and false fears let us refrain;
Let us love nobly, and live, and add again
Years and years unto years, till we attain
To write threescore: this is the second of our reign.
(John Donne, Songs and Sonnets)
A settembre aveva qualcosa di appiccicoso alle gambe, la camicia fradicia e per qualche strano, stranissimo motivo gli veniva da ridere. Il temporale, improvviso e forte, aveva messo in fuga i bambini e allontanato gli adulti, intenti a mettere i tini al riparo.
La pioggia continuava a scrosciare a poco più di un metro da loro due, fuori dalla penombra, fuori dal porticato, impregnando il terriccio e i radi fili d’erba; e forse era stata lei a lasciargli in gola quell’ilarità, la frenesia che l’aveva spinto contro il muro e gli aveva fatto perdere uno stivale nella fanghiglia.
Nel loro mondo, metà buio e modestamente asciutto, la mano che Miguel intrufolò sotto la casacca era fredda e lui, invece di rabbrividire, rise sommessamente.
“Credi che il mosto irrancidirà?”, gli chiese, le dita intrappolate sotto le sue. (1)
L’accenno ai soli frammenti d’aria che li separavano era più che ovvio.
“Per così poco?!”
Cesare rise di nuovo. Per come, a vent’anni e qualche mese, aveva avuto l’ardire di mettersi a pigiare l’uva insieme ad un amico d’infanzia e anonimi contadini; per come lo zucchero gli era rimasto addosso, appiccicandosi ai vestiti e ad un brandello di spensieratezza ancora nascosto da qualche parte nel suo cuore; per come qualche buccia d’uva doveva essergli finita tra i capelli, e per come lui stesso era finito nell’intercapedine fra due casupole, senza dispiaceri né rimorsi.
“Dio non ti concederà più i suoi favori, comunque.”
Quella frase gli fece il solletico, così come le sue mani fredde. Quelle che, a vent’anni e qualche mese, l’avevano trascinato in qualcosa di appiccicaticcio, folle e scivoloso, e che riuscivano a farlo ridere anche in un anfratto scuro e umidiccio.
La situazione sfiorava il ridicolo, doveva ammetterlo. Ma era quella, la differenza tra lui e gli altri.
Giocavano a tornare bambini, e anche così sapeva farlo sentire un uomo.
“Sia pure.”, gli concesse, abbracciandogli le spalle. “Dio... non ho bisogno delle sue gonne.”
Note bis.
(1) Antica quanto bigotta credenza popolare delle mie parti, forse poco applicabile al contesto; in sostanza, se fai qualcosa di sbagliato/peccaminoso, tutto ciò che farai poi tenderà a venirti male, o a finire male. Miguel lo dice con scherno, comunque. ^^
Per quanto riguarda la conclusione, ci spenderò due parole su.
Cesare (come personaggio storico) non sono mai riuscita a vederlo come il tipico uomo “timorato di Dio”; potrà esserlo stato nei primi anni, magari, ma non è esattamente il tipo che definirei “pio”, nemmeno nella versione della Soryo. Vero è che quella mezza bestemmia, alla fine, suona male sulla sua bocca d’oro – ma è vero anche che, nelle mie intenzioni, si tratta di una frase detta con leggerezza, un po’ dettata dalla foga del momento - sparata a buffo, come direbbe qualcuno. XD
Se v’ha dato fastidio mi rincresce, ma l’idea mi piaceva troppo per accantonarla.
Detto questo, vi ringrazio per la lettura e vi auguro un buon proseguimento, per qualsiasi cosa abbiate intenzione di fare nell’immediato futuro. <3