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Autore: Beliar    21/11/2010    5 recensioni
Spoiler!Settimo libro.
PG: Teddy Lupin, James Sirius Potter, Harry Potter, Andromeda Black.
Paring: Teddy/James Sirius + Sirius/Remus.
Harry Potter, un giorno, si ritrovò suo figlio tra i piedi in casa per l’ultima volta.
Autrice: Beesp
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nuova generazione
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Metteteci quel che volete, so soltanto che è la storia migliore che abbia scritto nel fandom HP – be’, più o meno, però è un esserino tanto fragile che non posso non armarlo.
La colonna sonora sarebbe “Happy you’re gone” dei Placebo, ma anche “Ashtray Heart”.
La trovate su wolfstar_ita (or Beesp) & Follow the cops back home. Quindi la riutilizziamo (perché sono una scansafatiche patentata – e autorizzata al riciclo) con il prompt #14 – Ombra. Perché ho scelto proprio questo? [Cont. Sotto]
Buona lettura.



Many times – befor and again



Camera da letto, pezzi di fuoco tra pieghe dabiti gettati sul pavimento. E scarpe, camicie, pantaloni, una maglietta di un gruppo musicale smunta, giradischi che riproduce vecchi successi degli anni 60. Poltrire dallalba al tramonto, in una foschia irrazionale senza senso, tra un rimedio babbano all’infelicità – spinelli sono chiamati – e del whiskey incendiario.
Sembra di ritornare indietro nel tempo, all’epoca in cui il padre di Teddy era pressoché un bambino, eppure al centro del mondo, in una Londra che riversava forza e creatività.
Pigramente, James disegna sull’avambraccio dell’altro spirali e circoli, spirali e circoli, guardando al soffitto, e poi ai capelli di Teddy, al suo profilo rilassato e dagli occhi chiusi, alla piega delle sopracciglia morbide eppure tristi, anche nel sonno.
Una ceneriera poggiata sul comodino, cicche di sigarette vecchie di giorni; come se la magia non esistesse in tutto quello, e forse soltanto per esorcizzare la completa diversità dei sentimenti che si respiravano nell’aria stantia dell’appartamento, con le imposte chiuse, il buio perenne, il caldo estivo – nonostante appena fuori dalla finestra il cielo sfogasse la sua rabbia con piogge costanti.
Lenzuola macchiate di vita, lenzuola che si attorcigliano intorno al corpo di James, e che lasciano scoperto l’inguine di Teddy.
James trascorre intere ore, quasi la metà di quelle che hanno sigillato la loro “tomba” in quel luogo, a scrutare il corpo e le espressioni di Ted. Come se ogni momento potesse tramutarsi in qualcos’altro, sparire, decidere di non esser più soddisfatto – o felice, se questa è felicità – stancarsi, annoiarsi.
Ma Ted è sempre lì, l’asse della Terra, con i suoi dubbi e le paure, il bisogno d’essere rassicurato che non vi sia nulla di sbagliato. Certe volte a James pare quasi di prenderlo in giro, tanto chiedono sincerità e si accontentano di qualsiasi parola gli occhi di Teddy, più profondi perfino della profondità stessa. E invece non gli sta mentendo, ma soltanto donando la sua visione della realtà più decorata di bontà di quanto non sia.
Questo ed altro per lui
.

Harry Potter, un giorno, si ritrovò suo figlio tra i piedi in casa per l’ultima volta.
James stava impacchettando la sua roba, infilando degli abiti in una valigia – molti dei quali sporchi e raccolti appena dal pavimento – dei CD, poster, e tutto quello che può far sembrare ad un adolescente un qualsiasi luogo una casa.

Dove vai?”.
Di certo non se lo aspettava, quando aveva posato la mano sulla maniglia della porta della camera del figlio, che avrebbe trovato quello scenario... desolato, come se fosse già andato via. E invece riempiva per l’ultima volta lo spazio.

Vado a vivere con Teddy”. Aveva sempre creduto che quella che scorreva tra i due fosse un’amicizia più unica che rara, un attaccamento viscerale, forse dovuto al modo in cui erano cresciuti entrambi sotto la protezione di Harry, felice che suo figlio e il suo figlioccio fossero tanto inseparabili.
Il primo dubbio, però, arrivò con la risposta alla sua domanda.

E Teddy lo sa?”.
No, devo essere sempre io a prendere le decisioni, qui”. Affermò con tono stizzito il suo primogenito, prima di aggrapparsi alla maniglia del bagaglio e trascinarsi fino alla porta di casa.
Pa’” Si ricordò dopo un po’, dato che l’uomo l’aveva seguito fino all’uscio. “Sta’ tranquillo, abitiamo a un chilometro di distanza”.
Harry aveva sorriso e aveva lasciato il figlio con una stretta di mano. Il furbastro aveva preparato una lettera – aveva detto prima di avviarsi su per il vialetto – di commiato dalla sua famiglia. Ecco spiegata la sua assenza e la voglia irrefrenabile e ben visibile di raggiungere il suo migliore amico.

Da quel momento, vederli separati era stato impossibile – o difficile. Quando si mettevano in contatto con i due erano sempre nella medesima posizione, sul divano, impegnati in attività diverse. Si scambiavano gli indumenti, uscivano poco dalle mura domestiche oltre che per il lavoro, ed erano circondati da un’aura impenetrabile. Nulla di negativo, ma sconcertante per l’intensità.

Harry era stato colto dalla comprensione all’improvviso.
In seguito l’attribuì al potere dell’alcol che rende liberi dalle inibizioni, permette al cervello di lavorare senza freni in ogni direzione – a volte raggiungendo vicoli ciechi – e collega i corridoi delle supposizioni.
O forse dai palesi sorrisi complici e maliziosi che suo figlio scambiava con Teddy a quell’ora tarda, un paio di gomitate assestategli dal figlioccio, e ancora una coordinazione dei movimenti tra i due invidiabile.
Ciò che più l’angosciava era, però, accorgersi dei loro umori. Perché sì, erano felici, eppure coperti di una patina di insofferenza, probabilmente dovuta alla lontananza, se pur sempre minima, dei corpi.

L’amore ferisce.
Teddy respira contro il suo collo, girato verso di lui, lo stringe come un pupazzo. James non oppone resistenza, beato.
Metter testa fuori dal loro rifugio immacolato e incontaminato è sempre scioccante. Suo padre si è accorto del nuovo vezzo, non ne è contento, e gli domanda spesso se è andato in quel negozio che gli ha consigliato, o se ha visitato tale mostra artistica babbana.
Persino intrecciare e basta le dita con quelle di Teddy non è abbastanza.
Non è neanche
lontanamente abbastanza.
Deve sentire – quel sentire particolare che è quasi una riverenza nei confronti del piacere e dell’amore, quando si ha quello che hanno loro – Teddy.

Andromeda osservava suo nipote e James. Di continuo, ogni volta che ne aveva la possibilità.
Li guardava con tutta l’apprensione di cui era capace, sperando che un po’ di buonsenso si trasferisse anche nelle loro teste sconsiderate; bruciavano così velocemente quelle fiamme[
1]. Soffocate da chissà quale mancanza d’ossigeno.
Chiunque credeva che stessero soffrendo. Chiunque in famiglia.
Non era così che sarebbe dovuto essere.
Non di nuovo.
Andromeda, ancor più di altri, odiava paragonarli... ad altri. Eppure erano così similmente distrutti, impersonando i ruoli che erano stati di Remus e Sirius. James e il suo fascino, la sconsideratezza, la lealtà, Teddy e le insicurezze ereditate interamente da suo padre, l’amore in grado di abbattere qualsiasi barriera rubato a Tonks.

Sirius si era confidato con lei all’epoca. Aveva parlato come soltanto lui riusciva: non era a disagio, nonostante era ben evidente che fosse la prima volta che aveva a che fare – e forse l’ultima – con l’amore.
Sono innamorato di Remus Lupin, uno dei miei migliori amici”.
Controllava che le unghie delle mani fossero a posto, non nascondendo del tutto una certa dose di senso di colpa dietro l’indifferenza falsa.
Come le accadeva quasi sempre, non aveva saputo cosa rispondere. Se c’era qualcosa che non sopportava era non
capire le persone, e in particolare quelle che amava. Sirius, puntualmente, si dimostrava soltanto in grado di farla apparire una ragazzina inesperta di fronte a un cugino più giovane eppure più maturo.

Sembri infelice”.
Aveva riversato su di lei un fiume in piena di parole: non voleva che la loro amicizia fosse rovinata, poi, non voleva che lui si richiudesse ancor di più nel suo dolore, pieno di debolezze e sofferenze.

Digli la verità, di solito funziona così”.
In realtà, Sirius trovò il coraggio di parlargli soltanto l’anno prima di finire ad Azkaban, e quel poco che avevano condiviso era bastato per dimostrare che tutto, per quanto perfetto, sarebbe andato male.
L’un l’altro sarebbero dovuti essere il pezzo mancante’, ma proprio per quello non riuscivano a prendersi abbastanza... qualsiasi tocco era poco.
Poco, poco. Una vita non era in grado di contenere tutto quella passione? O amore? O “sentimento esclusivamente di Remus e Sirius, nessuno può rubarlo o definirlo”?
Merlino, qualche volta in seguito aveva incontrato Remus... era stato terribile. Terribile quasi quanto sapere che il proprio cugino aveva ucciso
il proprio fratello – se pur acquisito.
Remus le sorrideva, ed era chiaro che non la odiava per essere imparentata con quel mostro. Ancor più nel profondo, però, Remus smentiva quella parola, quel “mostro”.

Gli anni trascorsero.
Sirius riscattò il suo nome morendo; Andromeda non seppe mai cosa successe da quando Sirius scappò di galera, ma era certa che fosse più semplice della prima volta, nonostante sarebbe dovuto essere il contrario.
Tonks si era innamorata di Remus. Si era sentita mancare quando le era stato chiaro. Immaginava le sofferenze di sua figlia, che aveva appena perso suo zio – della quale morte credeva di essere responsabile – e avrebbe scoperto di non poter essere ricambiata. Remus non avrebbe potuto mai trovare il posto per sistemare tutta Tonks, la sua mole era possente quasi quanto quella di Sirius.
Invece lo fece. Mise da parte le sue emozioni, e le si dedicò con devozione. Amandola non come Sirius: stupendo tutti quel sentimento era una piccola gemma pura, un cristallo di sincerità in cui si catalizzavano gli affanni e i dolori, con Tonks che gli prendeva la testa, lo ammutoliva, e lo calmava.

Andrà tutto bene”.
Sapeva di essere la seconda. Eppure sempre la prima. Remus non era fisicamente capace di ferire così qualcuno – anche se con se stesso era il più rude dei boia.

Teddy era troppo fragile. Soltanto essere come Remus, e crescere senza genitori, l’avrebbe esposto al mondo fin troppo. Ma poi ricevere l’amore di Nymphadora in dote era stato il colmo.
James era in grado di erigere intorno a loro due uno scudo, certo, ma si guardavano come si erano guardati prima di loro Sirius e Remus. Eppure rimanendo sempre fedeli a loro stessi, e mai soltanto pedine del destino, più che altro semplicemente sfortunate reincarnazioni di vecchi valori morti.
Andromeda aveva paura.
E dividerli, comunque, sarebbe stato un omicidio più eclatante che lasciarli uccidersi con le loro stesse mani.

James fissa negli occhi Teddy, finalmente sveglio, torace contro torace, pelle che aderisce, modellata in simmetria per non lasciare punti scoperti (punti deboli) tra i due. Sorride, sorride perché è felice e Teddy, intontito, non capisce cosa ci sia di divertente.
Forse la chioma intricata, oppure le palpebre non ancora dischiuse del tutto, la voce arrochita...
Affonda la testa tra il collo e la spalla. “Sei bollente”.
James annuisce flebilmente, d’altronde non è una domanda. Teddy gli accarezza il collo delicatamente, perché ha paura di ferirlo, di farlo appassire; sono così felici James Sirius e Teddy Junior, anche se dicono loro che assomigliano a Sirius e Remus, anche se hanno delle fobie ridicole da quando hanno avuto l’età per comprendere l’affetto tra di loro.
Perché hanno quello che desiderano. Per una volta è tutto quel che conta.








[ … ] Perché Teddy e James Sirius vivono nellombra di Remus e Sirius, per quanto siano diversi e loro stessi. Ed è forse proprio quellombra a provocare questo amore complicato.
[1] Frase tratta da alcuni pensieri di Kurt Cobain.

  
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