Quando… quando la droga
ti
entra in circolo sei consapevole che il tuo corpo morirà.
Senti le vene,
succubi ormai della loro esistenza come roghi pieni di spine, che ti
stringono
il cuore ed a gran voce reclamano un’altra dose, un altro
buco, un’altra boccata
di fumo.
Quando… quando la droga
ti
entra in circolo sei consapevole che il tuo corpo morirà.
Avevo quella certezza
ogni volta che le sue labbra avvelenate toccavano le mie.
Ness mi stava aspettando. Era
per questo che ignorai la vista di mio fratello rannicchiato vicino al
letto in
posizione fetale. Non sentivo il suo sguardo a dosso quindi voleva dire
che per
oggi mi avrebbe lasciato andare senza troppe parole. Non potevo dire la
stessa
cosa di mia madre che tempestò la porta di pugni
perché io aprissi. Lo feci
subito dopo aver indossato gli occhiali da sole che avevo lasciato
vicino al
pacchetto di sigarette sul comodino.
Forse ero io che ero
diventato più alto o era la mamma che appariva ai miei occhi
sempre più piccola
e distruttibile.
- Dobbiamo parlare, Tom –
esordì non appena feci un passo per oltrepassare la sua
minuscola figura.
- Non adesso – dissi con
voce
roca. Lei continuò ad intralciarmi la strada e dovetti
fermarmi a qualche
centimetro dalle scale che portavano al piano di sotto.
- Ha chiamato il preside
–
iniziò, cercando di vedere i miei occhi attraverso le lenti
scure degli
occhiali – Mi ha detto che tu… hai fatto sesso con
una ragazza, dentro la sala
professori –
- E allora? – le domandai
finalmente riuscendo a distrarla quel poco da lasciarmi una via di
fuga.
Avvolse il mio polso che le sue minuscole mani e mi
strattonò leggermente.
- Allora? Non avresti dovuto
farlo… il preside dice che ti cacci sempre nei guai
– tirò ancora e io mi
voltai verso di lei cercando di capire che cosa volesse che le dicessi.
Ness
non poteva attendere oltre.
- E? – la spronai a
continuare.
- Mi ha detto che è
questa
ragazza… lei ha dei problemi e tu ti stai lasciando
trascinare. È una povera
orfana che vive da sola in un appartamento per gli studenti. Lo sapevi
questo?
–
Il passato di Ness era nitido
nella mia mente come il ricordo dei primi minuti in cui il suo volto
per la
prima volta aveva animato i miei sogni.
- Come mai porti gli occhiali
da sole? – chiese allungando una mano verso il mio viso.
Sfilò le lenti e
scorse i miei occhi – Sei di nuovo fatto –
sussurrò mettendosi una mano sulla
bocca. Rimase in silenzio per qualche secondo ripensando sicuramente a
quando
era stata l’ultima volta che aveva visto i miei occhi privi
di quel rosso
accesso e tolsi dalle sue mani gli occhiali e li indossai nuovamente.
- Chi è questa ragazza,
Tom?
Come si chiama? – insistette. Io tirai il braccio e lei perse
l’equilibrio. Si
appoggiò al muro per non cadere con il culo per terra
– Dimmelo, ti prego. Tuo
fratello non vuole parlarmene e tu rimani sempre muto quando ti faccio
una
domanda. Tom, io e Bill siamo preoccupati per te – la sua
voce era fonte di
nausea per il mio intero corpo. Mi allontanai e lei mi
chiamò più volte. La
vide sporgersi verso di me e questa volta cadde davvero sul pavimento
sbattendo
violentemente le ginocchia. Credo che stesse piangendo quando Bill
cercò di
aiutarla a ritrovare l’equilibrio.
- Nesly… lei si chiama
Nesly
Stuart – disse mio fratello tradendomi ancora una volta.
Seduta troppo vicino al bordo
della piattaforma, Ness faceva dondolare le gambe e, se la vista non mi
ingannava, teneva una siringa fra le dita. Lei non amava le droghe
leggere e le
canne che mi facevo io la disgustavano fino al vomito.
- Mi verranno a prendere oggi
– sussurrò non appena fui abbastanza vicino da
udire la sua voce. Mi sedetti
dietro di lei e Ness si sistemò fra le mie gambe. Mi porse
la siringa e poi il
braccio. Appena conficcai l’ago sentii il suo corpo
sussultare e farsi ancora
più vicino al mio.
- Chi verrà a prenderti?
–
domandai fissando i suoi occhi impazzire.
- Loro – disse dopo che
ebbi
finito con voce stridula. Prese la siringa e la lanciò in
mare insieme alle
altre, Ness aveva contaminato anche quel posto. Finalmente si
voltò verso di me
e vidi i suoi occhi riprendere il loro colore naturale non appena sorse
il
sole.
Mi baciò come faceva di
solito, tremando di desiderio e compassione per me. Sentii le sue dita
scorrere
prima sulle mie spalle, sul petto e poi arrivarono alla cintura dei
pantaloni.
Quando cercai di liberarla di qualche indumento fui rattristato nel
capire che
poco prima non avevo osservato come era vestita. Portava una delle mie
magliette larghe e nere con sotto una gonna di jeans e niente altro. Le
toccai
i capelli e lei si mise a cavalcioni su di me.
- Quando morirò, tu che
farai? – domando mentre finalmente infilai una mano sotto la
sua maglietta.
- Ti seguirò –
dissi non
appena entrai in lei. La sua voce aveva soggiogato la mia
pelle… i suoi gemiti,
i suoi sussurri, i suoi lamenti ricoprivano le mie braccia e tutto il
resto di
me.
Il sole mi sfiorò appena
poiché Ness mi nascondeva del tutto. Non mi importava della
luce, il corpo
della mia donna che si muoveva sopra il mio bastava a sopravvivere. Mi
baciò di
nuovo dopo aver gettato all’aria un ultimo gemito. Era
davvero strano quando
Ness sfiorava le mie labbra… baciarla era come fumare. Mi
toglieva il respiro
riempiendomi la bocca ed il corpo di male.
- Mi verranno a prendere
–
disse ancora una volta non sembrando per niente stanca. Io avrei voluto
stare
disteso li per tutto il tempo che mi bastava per compiacermi dei miei
sentimenti per lei.
Ness non conosceva amore o
qualsiasi altra emozione positiva che non fosse quella che la droga le
donava.
Non mi rendeva triste quella cosa anche se per lei avevo abbandonato
mio
fratello. Lui era la cosa più importante fin quando tre anni
prima non avevo
conosciuto lei. Le ero stato dietro per tutto quel tempo eppure solo
quando
aveva visto le mie labbra posarsi su qualcosa che per gli altri era
proibito
aveva dato cenno di essere a conoscenza della mia esistenza. Avevo
dovuto
attendere a lungo per starle così vicino. Fui felice di
quello che avevo fatto
per lei e contro me stesso…
Venni di nuovo quando il mare
cominciò ad agitarsi.
Quel giorno avevo una gran
voglia di prendere a pugni il preside per essersi permesso di parlare
con mia
madre. Mi irritava solo il fatto che avesse alzato quella cazzo di
cornetta per
digitare il numero della casa in cui vivevo… Avrei tanto
voluto vedere il suo
volto piegato nel dolore e nel sangue.
Quando entrammo in classe
Ness abbandonò la mia mano per sedersi agli ultimi banchi.
Gli altri sapevano
che dovevano lasciare due posti liberi nel caso avessimo deciso di
presentarci
alle lezioni come quella mattina. Ness non aveva amici oltre ai lividi
che le
siringhe le lasciavano sul braccio… erano molti i ragazzi
che le stavano
intorno ma avevano perso ogni speranza quando ci trovarono per la prima
volta
in bagno a scopare. Credevano davvero che lei mi appartenesse cosa che
delineava la loro stupidità. Ness era uno spirito libero che
nemmeno un uomo
poteva tenere stretto a se.
Nessuno
dei due rivolse un minimo saluto al
professore che ci ignorò a sua volta. Lui non avrebbe avuto
nemmeno il coraggio
di alzare lo sguardo verso Ness, aveva paura di lei e dei suoi occhi
che
apparivano come fuoco per chi si soffermava troppo a guardarla.
Furono gli ultimi minuti in
cui potei scorgere Ness beata sussurrare qualcosa al vuoto e coprire le altre voci che mi
circondavano .
Vidi un uomo, un vecchio con
i capelli bianchi, passare per i corridoi e poi mettersi a bussare alla
porta della
classe. Il professore gli fece cenno di entrare. Non seguii la
conversazione e
posai lo sguardo su Ness che era impallidita. Cercai qualcosa di
divertente da
dire quando l’uomo che era appena entrato
pronunciò il nome della mia donna,
della mia eroina, della mia essenza.
Avrei voluto capire prima
cosa stesse succedendo, che cosa voleva dire Ness quella mattina al
porto…
invece vidi solo due uomini vestiti di bianco entrare
nell’aula ed afferrarla
per le braccia. Lei gridò e cominciò a scalciare.
Colto dalla sorpresa non feci
niente in un primo momento ma poi sfrecciai fuori dalla classe anche io
mandando a quel paese il professore.
- Tom, Tom! – gridava
Ness
isterica. Non poteva avere una crisi d’astinenza, erano
passate solo poche ore
da quando le avevo iniettato l’eroina. Con falciate enormi
raggiunsi i due
uomini e mi parai davanti a loro.
- Dove cazzo la state
portando, brutti figli di puttana? – digrignai fra i denti.
- In un posto dove starà
meglio – rispose uno con voce calma.
- Cosa? Lei non è pazza!
Lasciatela stare! – mi avventai su quello che mi aveva
rivolto la parola ma
prima di potergli sferrare un gancio qualcuno mi prese per un braccio.
- Tom, lasciala andare! –
disse la voce dell’individuo che stava cercando di fermarmi.
- No, no, no! – ansimai
cercando di liberarmi dalla stretta di quelle braccia così
familiari. Gridai
con Ness cercando forse di riemergere da un incubo. Ma non mi svegliai
e Bill
mi stava ancora sorreggendo quando capii di averla persa.
Quando… quando la droga
ti
entra in circolo sei consapevole che il tuo corpo morirà. Il
dottore mi aveva
detto di non stare troppo tempo con lei o mi avrebbe chiesto di
portarle
dell’eroina o addirittura di restare con lei. Io vedevo solo
il suo volto
pallido con gli occhi immobili ed i suoi capelli neri non
più scossi dal vento.
A volte mi feriva, mi massacrava con le sue parole orribili e
spaventose. Mi
chiamava egoista, infame ed inutile… la sua pazzia le aveva
portato via anche i
ricordi di me e di lei stretti insieme? Sembrava che fossi stato solo
una
semplice goccia di pioggia posatasi sul viso ed un attimo dopo che la
sua pelle
aveva percepito la mia presenza mi aveva scacciato via con le dita.
Non ricordo se e quando
morì
Ness… ero confuso e stordito dalla mia prima crisi di
astinenza della mia
personale eroina.