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Autore: Nezu    22/11/2010    3 recensioni
< Reagisci.>
Il ringhio basso, roco, gli penetrò nelle ossa, ma non riuscì a spostarsi, a liberare il braccio, a difendersi.
[Gin/Akai] [Questa fanfiction ha partecipato al "MIB Contest" indetto da Roe]
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gin, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Autore: Nezu
Titolo della fanfiction: Silver & Bullet
Rating: arancione
Avvertimenti: one-shot, non per stomaci delicati, leggerissimo OOC, shonen-ai
Generi: introspettivo, triste
MIB scelto: Gin
Personaggio Non MIB scelto: Shuichi Akai
Altri personaggi: Jodie Starling, nominati James e Akemi Miyano
Eventuali NdA: spoiler sul file 599 [volume 58, capitolo 2] riguardo il passato di Akai, inoltre può essere presente un leggero OOC di Shuichi, che manca della sua solita freddezza, ma secondo me, dato il suo coinvolgimento emotivo, il suo comportamento è giustificato.
Introduzione: Ambientata pochi giorni dopo l’omicidio di Akemi Miyano, Shuichi Akai, che tempo addietro si era infiltrato all’interno dell’Organizzazione sotto la falsa identità di Moroboshi Dai/Rye, trova casualmente la macchina di Gin in un vicolo. Intenzionato a vendicare Akemi, sapendo che proprio Gin è il responsabile della sua morte, decide di aspettarlo per eliminarlo. Tuttavia la rabbia fa brutti scherzi.
Punteggio: 96/100

Silver & Bullet

Gettò il mozzicone di sigaretta a terra, calpestandolo col tacco con tutta la rabbia che aveva in corpo: l'aveva trovato, il bastardo. Una folata di vento si insinuò tra i suoi abiti spazzando via quel sottile velo di torpore in cui l'uomo era caduto: ora sentiva la propria mente lucida e tutto l'odio che aveva tenuto a bada in quegli ultimi giorni si era liberato e lo stava consumando in fretta.
Digrignò i denti, fissando quell'auto, la macchina che aveva attirato la sua attenzione, che aveva riacceso la sua ira: quella Porsche 356A nera, parcheggiata in quel vicolo dimenticato da Dio.
Era sua, lo sapeva.
Lui doveva essere lì, da qualche parte, e prima o poi sarebbe tornato a riprenderla.
Shuichi aspettava. Aveva scoperto la vettura per puro caso, mentre vagava senza meta in quel dedalo di stradine, la mente completamente vuota.
Ma quando aveva visto la Porsche qualcosa dentro di lui era scattato.
Era accucciato là da almeno una mezz’ora, nascosto tra i bidoni dell'immondizia ad una quindicina di metri dall'auto, abbastanza vicino da poter controllare la situazione e, se necessario, intervenire, sufficientemente lontano da non farsi vedere; peccato che stesse congelando, lì seduto.
Non solo era autunno inoltrato e oramai la temperatura si avvicinava allo zero, ma era anche notte fonda e tirava un vento forte. Shuichi era stremato, ma era troppo arrabbiato per lasciarsi andare alla stanchezza, troppo preso dalla sua possibile vendetta per cedere al sonno.
Lo faceva per Akemi, solo per lei.
Pensò a cosa avrebbe detto Jodie vedendolo in quel momento: era da quando la sua copertura era saltata che la donna cercava di convincerlo a non esporsi, a tagliare completamente i contatti con l'Organizzazione. Quando, pochi giorni prima, Akemi era stata uccisa lei aveva parlato con James: voleva che fosse concesso a Shuichi un periodo di pausa, in quel momento era troppo coinvolto emotivamente e questo non andava bene.
Avrebbe potuto fare qualcosa di molto stupido.
Un rumore leggero e cadenzato di passi gli fece alzare la testa, subito vigile: era lui.
Strinse con forza la pistola fino a che le nocche non sbiancarono: sapeva che quello che stava per fare era avventato, ma in quel momento non gl'importava affatto.

"Sfrontato".
Fu il primo pensiero che attraversò la mente di Gin quando si accorse della presenza dell'altro; quel nascondiglio poteva ingannare un giovane inesperto, non certo lui: ai suoi occhi quei bidoni erano trasparenti.
Si accese una sigaretta mentre avanzava piano, ancora a distanza di sicurezza dall'agente dell'FBI; soffiò il fumo, rilassandosi: era stata una buona giornata, in fin dei conti.
Aveva appena sistemato una piccola carogna che sapeva troppo su di loro e che pensava di poterli ricattare: il ficcargli un proiettile nel cranio l'aveva reso abbastanza soddisfatto.
Era dunque in una disposizione d'animo particolarmente buona; sorrise: poteva anche giocare un poco con il vecchio Rye.
Akai capì che qualcosa non andava quando Gin superò la macchina, che si trovava tra loro, e avanzò verso di lui. Sentì i passi farsi sempre più vicini e strinse la pistola con più forza.
< Moroboshi Dai.>
Il suo pseudonimo pronunciato con quella voce così fredda, tagliente, lo fece sobbalzare: era Akemi che lo chiamava così, solo lei. Per gli altri membri dell'Organizzazione lui era solo Rye.
Deglutì e si alzò in piedi, uscendo allo scoperto.
< No, Moroboshi Dai è morto qualche giorno fa.> rispose, la voce incrinata.
Si guardarono freddamente.
< Allora, Shuichi Akai - proseguì Gin, beffardo - a cosa devo la tua visita? >
In tutta risposta l’agente dell’FBI sollevò la pistola puntandogliela contro; l'altro sorrise, gettando a terra quel poco che restava della sigaretta e stringendo il calcio della sua Beretta, nascosta nell'impermeabile.
Due spari echeggiarono tra le pareti sporche degli edifici; il ghigno di Gin si ampliò guardando l'arma di Akai a terra: non gli aveva ferito la mano, si era limitato a mirare alla pistola.
Sbuffò notando lo striscio di sangue sul proprio braccio, all'altezza della spalla: la pallottola l'aveva appena sfiorato.
Strano, il suo nemico non era tipo da sbagliare così un colpo.
Si avvicinò a grandi passi al moro, la pistola ancora puntata dritta alla sua testa; calciò via l'arma dell'avversario, allontanandola per sicurezza.
< Sei stato uno stupido a sparare. Quando le mani tremano così tanto è impossibile colpire bene il bersaglio.> dichiarò gelido spingendo Akai contro il muro, la canna della Beretta premuta sulla guancia.
Nel sentire il freddo metallo a contatto con la pelle Shuichi si riscosse: il furore irrazionale che provava prima era sparito, sostituito dalla sua solita freddezza. Il suo cervello cominciò a lavorare a tutto gas per trovare una via d'uscita.
La prima cosa che gli venne in mente era che doveva prendere tempo.
< Non mi pare di averti totalmente mancato.> sussurrò mentre faceva scivolare lo sguardo sulla spalla dell’uomo, che in tutta risposta sbuffò seccato.
< Un graffio come questo non è nulla. Avresti dovuto fare molto di più se volevi veramente uccidermi.>
Un’ombra di sospetto apparve negli occhi di Gin, come se stesse realmente prendendo in considerazione l’eventualità che Akai davvero non avesse voluto eliminarlo.
< Non fallirò la prossima volta.>
< Non ci sarà una prossima volta.>
Il moro sentì il freddo della pistola spostarsi sulla tempia e sorrise; Gin inarcò un sopracciglio.
< Così ansioso di raggiungere la tua Akemi?>
Gli occhi di Shuichi si scurirono nel sentire il tono derisorio con cui l’uomo aveva pronunciato quel nome e socchiuse pericolosamente le palpebre.
< Non dovrebbe importarti di quella sgualdrina. - proseguì l'altro - In fin dei conti la stavi solo usando.>
Un movimento fulmineo, ancora un colpo riecheggiò e Gin si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto perché gli abitanti di quel quartiere chiamassero la polizia; poi, riflettendo su chi esattamente abitasse in quel luogo, giunse alla conclusione che probabilmente nessuno avrebbe fatto niente.
Meglio così.
Guardò il corpo per terra davanti a lui, Akai si teneva il braccio ferito che sanguinava copiosamente: il suo tentativo di disarmarlo in preda ad impeto di rabbia era fallito miseramente.
< Non è proprio la tua giornata fortunata.> mormorò il biondo accendendosi l'ennesima sigaretta.
Lo sguardo che ottenne in risposta diceva a chiare lettere "prima o poi ti uccido"; fece una smorfia.
Lo sapeva.
Sapeva quanto quell'uomo sanguinante ai suoi piedi desiderasse ucciderlo, sapeva il perché, sapeva come avrebbe voluto farlo; ma a trovarselo lì davanti in quello stato pietoso gli veniva da ridere. Era troppo patetico per poter sperare di vincere, troppo impulsivo per avere anche solo una chance.
< Alzati.> ordinò, una nuova ondata di gelo nella sua voce.
Shuichi in tutta risposta cercò di scagliarsi ancora contro di lui, ma una ginocchiata alla bocca dello stomaco lo costrinse ad appoggiarsi completamente al muro per non cadere.
Gin gli bloccò il polso destro, il braccio sinistro non riusciva a muoverlo a causa della pallottola di prima; Akai osservò gli occhi freddi dell'uomo a pochi centimetri da lui.
Sobbalzò quando sentì il ginocchio dell'altro premere tra le sue gambe, incollandolo alla parete.
< La stavi solo usando quella puttanella, vero?>
All'inizio.
Rye si sentiva in colpa anche solo per quello, per averla inizialmente ingannata, sfruttata.
Si morse il labbro fino a farlo sanguinare.
< Sei un gran bastardo.> sibilò velenoso, il suo disgusto traspirava da ogni sua parola.
< Non più di te. In fin dei conti io l'ho solo uccisa. Sei stato tu la causa di tutto, ci hai mai pensato? Senza di te lei non avrebbe cercato di lasciare l'Organizzazione.>
Il moro abbassò lo sguardo, colpito nel segno: lo sapeva, sapeva che era colpa sua, non passava una sola fottutissima ora senza che se lo ricordasse.
Gin ridacchiò: era decisamente soddisfacente distruggere quell'uomo lentamente, pezzo per pezzo, molto più che sparargli un colpo in testa e finirla lì.
Questo era un lavoro più lento, più minuzioso, un gradevole passatempo; quanto gli sarebbe piaciuto sentire Akai stesso implorargli di ucciderlo, di mettere a tacere quella sofferenza. Ma conosceva l'altro e dubitava che si sarebbe abbassato a tanto.
Peccato.
Sparò di nuovo, il proiettile si conficcò nel muro, a pochi centimetri dalla tempia; Shuichi non si mosse, rimase con gli occhi bassi: si sentiva uno stupido per aver agito in maniera così avventata. Non aveva ottenuto nulla.
Sobbalzò quando sentì il fiato dell'altro sul collo.
< Reagisci.>
Il ringhio basso, roco, gli penetrò nelle ossa, ma non riuscì a spostarsi, a liberare il braccio, a difendersi.
"Reagisci o non mi diverto", quello era il senso della frase.
Gemette appena quando sentì il morso leggero di Gin sul collo, lungo la carotide, poi a salire, a mordergli le labbra, a costringerlo a baciarlo.
Ma improvvisamente rispose.
Decise che se proprio doveva perdere quel poco di dignità che gli restava l'avrebbe fatto a modo suo, prendendosi la sua piccola rivincita: e gli riuscì, effettivamente.
Si gustò la vista degli occhi increduli del biondo, spalancati: vittoria numero uno.
Lo sentì fremere contro il suo corpo mentre gli permetteva di avvicinarsi di più: vittoria numero due.
Avrebbe preferito fargli rinfoderare la Beretta, ma Gin non fu così avventato e continuò ad impugnare la pistola: grande e grossa fregatura.
Quando le loro labbra si separarono Akai si sentì bruciare dallo sguardo dell'altro, prima che sbottasse, scocciato.
< Puttana.>
Shuichi ghignò.
< Puttaniere.>
Fu colpito con la mano che impugnava la pistola e cadde sulle ginocchia, sbilanciato anche dall'improvvisa assenza dell'altro che si era scostato da lui con un’espressione di disgusto sul viso.
Per un istante pensò che Gin gli avrebbe sparato in testa, mentre si trovava ai suoi piedi; poi, come a rallentatore, lo vide dargli le spalle e allontanarsi verso la macchina.

< Ma cos'è successo?!>
Shuichi appoggiò la testa al finestrino ignorando la domanda di Jodie, tutta preoccupata a raggiungere il più in fretta possibile il luogo dove si trovava James per medicare il suo compagno.
Lui non le chiese neanche come avesse fatto a trovarlo.
Se anche l'avesse fatto Jodie non avrebbe risposto, non avrebbe mai trovato il coraggio per ammettere di averlo pedinato per tutto il giorno e solo perché era in pensiero per lui. E si sentiva anche in colpa per aver perso le sue tracce quando Akai si era addentrato in quella marea di vicoli: quando l'aveva ritrovato, dopo almeno un’ora di ricerca, era a terra e sanguinava copiosamente
L'uomo si coprì gli occhi con la mano: si sentiva improvvisamente stanchissimo. Ripensò a quello che gli era successo solo pochi minuti prima e decise che, per una volta, era stato decisamente fortunato.
Non sapeva ancora spiegarsi come fosse riuscito, alla fine, a sopravvivere, ma era certo che non avrebbe mai detto a nessuno cos'era realmente successo quella notte: non doveva saperlo nessuno.

Si accese una sigaretta con l'accendino della macchina, il finestrino era socchiuso per far uscire il fumo; faceva freddo, ma Gin non lo sentiva nemmeno. Guidava in automatico, senza vedere veramente la strada: in realtà con gli occhi ripercorreva quanto era accaduto una mezz'ora prima.
"Puttana"
Strinse il volante con rabbia, digrignando i denti: pensò a quanto sfacciato era stato quel bastardo mentre gli permetteva di avvicinarsi, di toccarlo, di sopraffarlo in quel modo. L’intera faccenda gli dava ora profondamente fastidio.
Quando però si ricordò del suo sguardo sconfitto mentre gli parlava di Akemi non riuscì a trattenere un ghigno.
Non era certo di aver fatto la cosa più sensata ad andarsene così lasciandolo vivere, ma scrollò le spalle mentre soffiava il fumo: era stata semplicemente un'eccezione.
"La prossima volta sarà l'ultima"
   
 
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