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Autore: AvevoSolo14Anni    22/11/2010    9 recensioni
“Io non posso vivere senza di te. È come chiedere alla luna di continuare a brillare nel vuoto, senza il cielo a sostenerla. Senza di te tutto quello che mi circonda svanisce”, spiegai, stupendomi di come le parole mi risuonassero chiare e giuste.
Questa è una breve storia che racconta come sarebbe andata (secondo me) se Bella, in New Moon, avesse fatto un'altra scelta quando Edward la lascia. Consigliato alle team Edward, mentre penso che le team Jacob non la possano apprezzare molto... Ma se volete, provate! :D
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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Salve a tutti! Vi volevo dare due notizie in più su questo mio breve racconto... Parla di come Bella, in New Moon, quando Edward se ne sta andando, avrebbe potuto fare un'altra scelta. In realtà, parla di cosa avrei fatto io al suo posto xD Be', ho provato a scrivere, e questo è ciò che ne è venuto fuori... Spero vi piaccia :) Anche se nulla mai potrà eguagliare gli originali *___* <3
Certi pezzi sono presi pari pari dal libro :) Se avete voglia lasciate un commentino, così magari se è totalmente indecente lo cancello xD Non vorrei mai fare un così grande torto alla grande Stephenie Meyer <3
Detto questo, buona lettura :)


La Fine, L’Inizio.
 


   Mentre l’osservavo, i suoi occhi di ghiaccio si sciolsero. L’oro tornò liquido, fuso, e bruciò nei miei con un’intensità travolgente.
   “Non fare niente di insensato o stupido”, ordinò, con aria tutt’altro che distaccata. “Capisci cosa intendo?”
   Annuii, inerme.
   Lo sguardo tornò freddo, di nuovo distante. “Ovviamente penso a Charlie. Ha bisogno di te. Stai attenta a ciò che combini… fallo per lui”.
   Scossi la testa. “Non lo farò”, sussurrai.
   S’irrigidì e nel suo sguardo intravidi un bagliore di sofferenza.
   “Se te ne vai… non mi rimane più niente. Non ti sto chiedendo di rimanere, ma non ti posso fare promesse che so già che non manterrò”.
   “Bella, non ne vale la pena”, mormorò a denti stretti.
   “Io non posso vivere senza di te. È come chiedere alla luna di continuare a brillare nel vuoto, senza il cielo a sostenerla. Senza di te tutto quello che mi circonda svanisce”, spiegai, stupendomi di come le parole mi risuonassero chiare e giuste.
   “Non dire sciocchezze”, disse, determinato. “Puoi vivere benissimo senza di me. Puoi vivere molto meglio”.
   Scossi la testa, decisa. “Vai pure. Non ti dovrebbe importare, non credo che il destino di Charlie ti stia così a cuore”.
   La sua mascella si irrigidì e si morse un labbro, gesto molto insolito in lui. Segno di nervosismo.
   Ci scambiammo un lungo sguardo, e io mi chiedevo cosa stesse aspettando.
   “Ti prego, non fare sciocchezze”, si limitò a dire.
   Solo in quell’istante, vedendo quello sguardo duro e irriconoscibile nei suoi occhi sempre così dolci, capii che stava succedendo davvero.
   “Addio, Bella”, disse con la solita voce tranquilla e pacifica.
   “Aspetta!”. Il grido restò soffocato in gola mentre volevo abbracciarlo, convincere le mie gambe insensibili ad andargli incontro.
   Sembrava che anche lui volesse abbracciarmi. Ma le sue mani fredde mi strinsero i polsi e li riavvicinarono ai miei fianchi. Si chinò fino a sfiorare con le labbra, per un breve istante, la mia fronte. Chiusi gli occhi.
   “Fai attenzione”, sussurrò, il suo respiro freddo sulla mia pelle.
   Un vento leggero e innaturale si alzò. Spalancai gli occhi. Le foglie di un acero rosso tremarono, scosse dalla brezza delicata del suo passaggio.
   Non c’era più.
   Era finita. Era tutto finito.
   Le mie ginocchia cedettero e crollai a terra, di faccia, senza nemmeno tentare di inseguirlo. Sarebbe stato inutile.
   Come la mia vita era cominciata con il suo arrivo, finì con la sua partenza. Ero morta, anche se continuavo a respirare.
   Il dolore era così forte da non poterlo sopportare. Desiderai porre fine a quella sofferenza, ma non avevo la forza di alzarmi e andare a cercare qualcosa con cui togliermi la vita. Le mie mani si mossero frenetiche ma deboli nello spazio vuoto attorno a me, alla ricerca di qualcosa di tagliente, ma tutto quello che trovarono furono solo figlie secche e terriccio umido.
   Le lacrime mi annebbiarono definitivamente la vista e annegai nel buio. Probabilmente anche nella realtà era scesa la notte.
   Quando ripresi conoscenza, mi sentivo ondeggiare.
   Qualcosa mi sorreggeva, mi stringeva. La piccola fiammella di speranza si spense quando constatai che le braccia che mi tenevano erano calde. Un’altra sferzata di dolore mi colpì in pieno petto.
   Mi accorsi del chiacchiericcio di tante voci maschili.
   “L’ho trovata!”, tuonò una voce a pochi centimetri dal mio viso.
   Il vociare s’interruppe per riprendere con intensità ancora maggiore. Attorno a me si muoveva un confuso vortice di volti. La voce del ragazzo di prima era l’unica che riuscissi a seguire nel caos, forse perché avevo un orecchio schiacciato contro il suo petto.
   “No, non mi sembra ferita”, rispose a qualcuno. “Continua soltanto a ripetere: ‘Non c’è più’”.
   Lo stavo dicendo ad alta voce? Mi sforzai di chiudere la bocca.
   “Bella, tesoro, stai bene?”.
   Era una voce che avrei riconosciuto ovunque, per quanto in quel momento fosse distorta dalla preoccupazione.
   “Charlie?”. La mia voce sembrava strana e sottile.
   “Sono qui, piccola”.
   Il ragazzo che mi reggeva mi lasciò tra le braccia di Charlie quando lui si allungò verso di me.
   Si scambiarono altre parole, ma ero stanca di ascoltare.
   Mi trasportarono in casa e il caos diminuì.
   Qualcuno mi toccò un paio di volte, e sentì il peso di una coperta sopra di me. Ma volevo soltanto che tutto finisse.
   Stanchissima e sopraffatta dal dolore, crollai nuovamente nel sonno.
   Quando mi svegliai ero sul divano della sala. Cercando di riemergere dal torpore, tesi le orecchie in cerca di suoni che mi avvertissero di un’eventuale presenza. Sentivo solo silenzio. Charlie doveva essere uscito.
   Era il momento, non potevo aspettare ancora.
   Andai in cucina il più velocemente possibile, per quanto le mie gambe tremanti mi fossero d’ostacolo.
   Aprii il cassetto delle posate e ne osservai il contenuto. Incerta, con mano tremante, afferrai un coltellaccio da carne.
   Lo osservai con attenzione, soppesandolo tra le mani pallide.
   Avevo forse paura? Sì, molta. Non ero mai stata una ragazza coraggiosa, e questo era di gran lunga il gesto più temerario che avessi mai compiuto, insieme a quando ero andata in quella scuola di ballo per salvare mia madre, tempo prima, e ad aspettarmi c’era James, affamato…
   Ma non potevo usare sempre come scusa la paura, era ora di osare.
   Pensai a quali buoni motivi avessi per sopravvivere. I miei amici? No di certo. Mia madre e mio padre erano le uniche due persone che avrei davvero ferito con quel gesto. Il senso di colpa mi tolse il fiato.
   Ma cosa ne sarebbe stato della mia vita? Avevo perso tutto. Il mio più grande amore, quella che avevo sperato potesse essere la mia famiglia, il futuro che mi ero scelta.
   Edward era l’unica cosa buona che mi fosse successa in tutta la vita, e sapevo di non meritarlo. Non ero di certo arrabbiata perché se n’era andato. Mi aveva regalato i momenti più belli della mia esistenza, e se avessi potuto scegliere avrei scelto la mia attuale vita che stava per terminare con un suicidio piuttosto che una lunga e vuota esistenza senza di lui.
   Potevo veramente scegliere di continuare a vivere? Lui non c’era più.
   Impugnai il coltello e presi la mira dritta nel mio petto.
   Poco prima che la lama affondasse nella mia carne, lo vidi.
   Era in piedi di fronte a me, mi guardava terrorizzato, con gli occhi spalancati dalla sorpresa e l’orrore. Forse era un regalo d’addio della mia fantasia, una visione che mi poteva far illudere che a lui importasse ancora qualcosa di me.
   Mentre ero persa a osservare il suo viso bellissimo nonostante l’espressione orribile, sentii un dolore lancinante al torace, e capii che ce l’avevo fatta. Stavo morendo.
   Caddi a terra, straziata dal dolore.
   Avevo completamente sbagliato mira, accidenti. Avevo puntato troppo in basso, forse nei polmoni, non nel cuore. Ci avrei messo di più a morire.
   Quando gli occhi mi si stavano ormai chiudendo, vidi Edward all’improvviso chino su di me, in preda alla paura e al dolore.
   Sentii le sue mani sulla mia pelle, e realizzai che non era un’illusione. Era lì, sul serio, ad assistere alla mia morte.
   “Bella!”, urlò, terrorizzato.
   “Edward”, biascicai, mentre lottavo per allungare la mia vita di qualche altro istante.
   “Perché l’hai fatto?!”, chiese, mentre estraeva con cura il coltello dal mio petto. Il dolore aumentò.
   “Perché ti amo troppo per vivere senza di te”, mormorai, con la voce impastata.
   “Ti amo anch’io”, disse, stringendomi a sé.
   Tra il dolore fisico, si distinse un’altra sensazione, che era insieme un dolore e un piacere. Lo diceva solo per rasserenarmi la morte o il mio gesto era stato avventato? Mi amava ancora?
   “Cosa?”, mormorai, mentre le forze mi abbandonavano.
   “Credevo di poter farti vivere una vita migliore senza di me! Ti prego Bella, non morire”, urlò ancora, e mi sembrò quasi che stesse piangendo.
   Per un infimo istante, meno di un secondo, il dolore scomparve e mi sentii felice. Sentivo che era la verità. Poi il dolore della ferita si rifece sentire, sempre più forte, ed insieme ad esso un altro dolore, causato dalla consapevolezza di star ferendo Edward.
   “Se è vero… salvami”, biascicai, con le ultime forze che avevo. “Se vuoi che io viva non hai altra scelta”.
   Dopo quest’ultimo sforzo il buio calò sui miei occhi, e mi sembrò di essere di nuovo nel bosco della notte precedente. Tutti i bei momenti trascorsi con Edward mi sfilarono davanti agli occhi, e pian piano li sentivo volare via. Come se li stessi perdendo.
   Morendo avrei perso ogni mio ricordo? Non era quello che volevo. Avrei voluto perderne solo una parte… ma non si poteva scegliere, evidentemente.
   Sospirai – nella mia mente – triste, mentre cercavo di non lasciarmi sfuggire uno dei ricordi più preziosi, quello del nostro primo bacio.
   La morte cercava di sfilarmelo dalle mani, ma io stavo lottando. Ce la stavo mettendo tutta.
   Sorrisi contenta – o almeno credo – quando sentii un altro dolore aggiungersi ai tanti altri.
   Un dolore che già conoscevo, causato da denti affilati che trapassano la mia pelle, sul collo, sui polsi, sulle gambe…
   Altro che attirare disgrazie, per la prima volta nella mia vita iniziai a pensare che il destino mi volesse veramente tanto bene.

 

  
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