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Autore: nainai    23/11/2010    5 recensioni
Anno Zero. Punto di principio della Fine o di un nuovo inizio. A chi resta il compito di deciderlo? Anno Zero, in contrapposizione ad un futuristico "1984", perchè il futuro è scritto oggi ed è stato determinato dalle scelte di ieri.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Muse, Placebo | Coppie: Brian.M/Matthew.B
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: Il seguente scritto ha come protagonisti persone vere e personaggi inventati. Le vicende narrate sono puro frutto della fantasia dell'autrice. Non c'è alcuna pretesa di veridicità o verosimiglianza. Nessun intento offensivo, nessun diritto legalmente tutelato s'intende leso e tutti i diritti riservati spettano ai rispettivi titolari.
 
Scritta per il «Dodici Mesi di Fedeltà» contest

Anno Zero
 
“Tutto si apre con un temporale. Ma non un temporale qualsiasi! Deve essere come se il mondo intero si stesse sciogliendo dentro il cielo...”
 
Non è che facesse ancora fatica a crederci. Non dopo tutto quel tempo, quando il dolore era ormai una costante sorda in sottofondo e sulla pelle non restavano cicatrici se non minuscole strisce bianche troppo sottili anche per poter essere distinte. Seguirne ancora il corso sarebbe stata una follia, per cui sapeva bene di non potersi concedere quelle divagazioni.
Un routine nuova e snervata aveva sostituito lo slancio di un tempo, e lo aveva fatto così rapidamente da indurlo a credere non ci fosse mai stato un prima, ma solo l'attuale e desolante dopo che viveva con l'ostinazione di un'amara consapevolezza e di una vendetta gelida. Il punto di svolta, poi, non era neppure coinciso con il suo “anno zero”, perché dopo quello c'era stato tutto un lungo momento in cui aveva creduto che il sangue gli avrebbe scaldato le vene e l'anima abbastanza da trasformare tutto il mondo in un unico rogo. Una pira funebre alta quanto le sue convinzioni, alimentata dalle illusioni sfiancate di un giocatore perdente - in partenza - contro la vita e destinata ad inghiottire nel proprio fuoco le disillusioni nuove che nascevano dalla perdita e dall'abbandono.
A lungo temuti ed ora, alla fine, sperimentati.
Poi anche quel primo rigoglio di forze e rabbia si era stemperato nella compulsiva ricerca della distruzione fine a se stessa. Aveva lasciato che fossero altri a riempire di sé le idee che ancora vomitava sotto forma di parole o, più spesso, di semplici inseguimenti di note lungo traiettorie irrequiete quanto i pensieri che le generavano. O i tempi che le accoglievano in vesti “profetiche”. Lui da profeta aveva continuato a rifiutare di vestirsi, consapevole di come tutto si stesse riducendo alla sola celebrazione dei suoi lutti personali, ma non aveva avuto il coraggio - ed all'inizio, egoisticamente, neppure l'intenzione - di privare della propria voce le masse informi che ribollivano sottoterra. E se al principio loro avevano servito al suo scopo, dando al suo rancore un mezzo concreto per trasformarsi in azioni, adesso tutto si riduceva al gelo che provava - come una sensazione di stolido ottundimento - quando ripensava ai motivi primi per cui aveva accettato di piegarsi a tutto quello e poi abbassava lo sguardo a contemplarne gli effetti.
Londra pioveva in gocce di pioggia acida, che bruciavano tutto ciò che era vivente ma senza la grazia misericordiosa di una rapida fine. La guerra dei benpensanti - usare quel termine lo faceva sorridere - imponeva ufficiali scuse di correttezza, cui seguivano subdolamente strumenti di morte perversa. Gli effetti di ciò che il Governo usava per ridurre all'impotenza il grosso di un popolino riottoso tardavano a manifestarsi, ma quando lo facevano - carestia, malattie, intossicazioni e morti innaturali - avevano la definitività di un colpo ben orchestrato, magistralmente diretto, eccezionalmente efficace.
E, quindi, Londra pioveva. E sotto le sue gocce i fili d'erba tra i palazzi si piegavano e morivano, e nuove strisce sottili - cicatrici invisibili - scivolavano sulla pelle nuda delle braccia di Matthew.
 
Era iniziato tutto in sordina. All'epoca non ci aveva nemmeno fatto troppo caso, non quello giusto quanto meno. Tanto che aveva dovuto essere Brian a richiamare la sua attenzione su una circostanza che lui aveva liquidato con meno di una scrollata di spalle ed un sorriso quasi soddisfatto.
Le Leggi di Protezione Nazionale erano state approvate solo da qualche mese, i loro effetti immediati e diretti erano stati così ineffabili che la gran parte della gente aveva fatto fatica ad accorgersi della loro entrata in vigore. Dopo che per mesi le piazze di buona parte dell'Inghilterra avevano brulicato di folle di manifestanti, la prima delle conseguenze era stata il ristabilirsi di una perfetta pace sociale. A fronte degli attentati degli ultimi due anni, del resto, la buona parte dei cittadini dell'Unione Europea si era detta disponibile a cedere ai governi nazionali poteri maggiori per affrontare la crisi mediorientale. Lo zoccolo duro di una borghesia estremista e spaventata aveva dotato di legalità la scelta di un sempre maggior numero di Stati di dotarsi di un nucleo forte di leggi che derogassero parzialmente ai principi liberali e costituzionali a favore di una maggiore sicurezza e di un più accurato controllo ad ogni livello della società.
Non era stato troppo difficile nemmeno accattivarsi il favore degli strati più bassi della popolazione. Le Leggi di Protezione avevano sottoposto a “tutela” - come veniva definito il controllo e l'ingerenza del Governo nei vari settori delle attività economiche e sociali - anzitutto i capitali privati, con lo scopo dichiarato di tagliare alla fonte i finanziamenti che arrivavano da tali canali alle organizzazioni terroristiche internazionali e, in generale, di verificare l'effettivo impiego degli stessi. I gruppi operai e le organizzazioni sindacali erano arrivati fino ad assumere la decisione - miope - di applaudire la posizione governativa e di appoggiarla apertamente, guadagnando ulteriore consenso al Governo.
Già allora Matt aveva cominciato a storcere il naso, inorridendo alla sola idea che la gente potesse essere così cieca ed ottusa da non accorgersi di come si trovassero sull'orlo di decisioni irreversibili dalle conseguenze assolutamente catastrofiche. Giustamente indignato, era stato solo felice di vedere accostate le proprie canzoni alla voce di chi, sempre più spesso e soprattutto nel loro ambiente, criticava apertamente le decisioni assunte a livello politico.
Di mezzo, comunque, c'era stata la riforma delle istituzioni scolastiche ed universitarie e solo dopo, quando ormai la buona parte dell'opinione pubblica era distratta dai comunicati ufficiali di una stampa coalizzatasi nel fornire uno scudo compatto di informazione “coordinata”, i mass media e tutto il settore di arte e spettacolo erano stati sottoposti ad una regolamentazione così drastica e capillare da rendere impossibile qualsiasi forma lecita di dissenso.
Allora erano cominciate a fiorire anche le radio “dissidenti” – “radio pirata”, in onore di più libertini anni ’70 in cui la rivolta era stata un gioco colorato e non un massacro sofisticato del libero pensiero – emittenti fuori legge che passavano musica considerata, inizialmente, sconveniente e poi, con molta più onestà, messa all’indice da un Comitato di Censura. L’invito ai distributori del prodotto musicale era stato nel senso di evitare determinati lavori considerati poco in linea con la politica di uniformità e coesione portata avanti dal Governo; nei confronti degli artisti, invece, i “suggerimenti” arrivarono fin dall’inizio sotto forma di esplicite richieste di modifica e di veti alla pubblicazione dei lavori ritenuti pericolosi. Quanti avevano rifiutato di aderire alle indicazioni fornite erano stati zittiti in modo via via più repressivo e violento ed a coloro che ancora cercavano nella musica una bandiera a cui associare idee fuori dagli schemi non era rimasto che rivolgersi a ciò che sopravviveva della musica “indipendente”.
Era stato allora che Brian, ridendo, gli aveva fatto notare quanto spesso le radio pirata passassero “Assassin”. Matthew ne era stato orgoglioso. Aveva scrollato le spalle più che altro per allontanare quell’intimo moto di soddisfazione, mascherandolo dietro il mezzo sorriso sghembo con cui aveva accolto le parole dell’altro. I Muse continuavano ad ostinarsi lungo una strada palesemente collidente con la posizione governativa ed i toni della loro polemica diventavano sempre più aspri con il passare del tempo. Nessuno stupore che i movimenti più giovani – quelli che nell’arte e nella musica avevano sempre trovato lo strumento più semplice per esprimere ciò che pensavano – potessero aver deciso di eleggere una loro canzone ad “inno” di un’ideale rivoluzione di pensiero.  
Brian, però, ne era spaventato. I suoi consigli arrivavano sotto forma di battutine sottolineate da risate nervose, concesse in situazioni in cui lui avrebbe preferito dedicarsi ad altro – tra le lenzuola sfatte che odoravano ancora di sesso e di loro, avrebbe voluto solo abbracciarlo e dormire, riposare con la sua testa contro la spalla e scacciare così il freddo di quella realtà che si allontanava da loro – non riusciva a nascondere del tutto il tremito sottilissimo della voce nel chiedergli con sempre maggiore insistenza una “prudenza” che non riempiva mai di significati concreti. Solo quel susseguirsi di richieste, che lui scacciava con prepotenza beffarda, avvolgendolo stretto tra le braccia e pretendendo un bacio ancora per cancellare la sua ansia e farla sciogliere nella propria arroganza intransigente. Matthew non riusciva ad avere paura, aveva rabbia da vendere e convinzioni di cui nutrirsi, la paura era fatta per chi sperimenta sulla pelle e lui sperimentava solo il calore della preoccupazione di un altro. Se poi non avesse conosciuto Brian così bene come era arrivato a fare, avrebbe anche creduto che fosse solo un gioco e trascurarlo – come poi aveva fatto davvero, colpevolmente – sarebbe stato ancora più semplice, fingere che non stesse succedendo niente e che tutto si riducesse allo sghignazzare infantile di un artista anticonformista quando, passando davanti ad una finestra aperta, afferrava al volo i versi della propria opera messa al bando.
Ma non era così. Ed il tempo aveva dato ragione alle paure di Brian e torto al suo desiderio di autoaffermazione.
 
-Immagino che suggerirti l’uso di un ombrello sarebbe completamente inutile.
Matthew rise e scosse la testa, liberando i capelli da un sottilissimo strato di gocce traslucide. La pelle appariva rossa ed irritata nei punti in cui la pioggia aveva battuto con insistenza e la ragazza gli rivolse un’occhiata critica, storcendo il naso a quella vista ed ingollando a fatica tutte le ulteriori recriminazioni che – si vedeva – avrebbe voluto rivolgere al suo comportamento.
La gran parte di quei consigli erano sprecati, lo sapeva, aveva già provato in passato a fargli entrare in testa quanto poco opportuno fosse per lui girare a zonzo da solo per la città e quanto poco saggio, in generale, fosse farlo quando, come quel pomeriggio, era stato programmato un coprifuoco con tanto di “irrorazione” di pioggia acida a ribadire il concetto. Matt non la ascoltava. Ogni volta che qualcuno di loro diceva qualcosa per inculcargli in testa un po’ di buon senso, Matt smetteva di ascoltare. Le ragioni di quella scelta erano conosciute solo a pochi intimi, in gran parte quegli stessi che erano presenti quando – quasi un anno e mezzo prima – aveva deciso di unirsi alla Resistenza e di diventarne, in qualche modo e controvoglia, il leader ed il portavoce.
Eliza, che della Resistenza era stata una fondatrice, apparteneva a quella ristrettissima cerchia di persone, anche se per un caso fortuito. Semplicemente era successo che Matt non avesse nessuno con cui parlare dei motivi per cui a volte si svegliava nel cuore della notte piangendo e gridando e lei era stata lì una di quelle notti. Confessarsi alla luce di una candela, come bambini spaventati dal buio, era stato facile e liberatorio per tutti e due: in fondo le loro storie non erano così dissimili ed il loro modo di reagire alla solitudine era stato, almeno in principio, lo stesso. Poi in Eliza il desiderio di vendetta aveva lasciato spazio alla necessità di fare qualcosa di concreto, lì dove in Matthew si era semplicemente trasformato in un bisogno irrazionale di rincorrere una facile autodistruzione. I loro interessi continuavano a coincidere solo nella misura in cui lui si prestava ai loro scopi, dando volto e voce alla loro rivoluzione.
-A lungo andare non serve a nulla comunque.- ci tenne a precisare Matthew, lasciandosi cadere a sedere sulla prima sedia disponibile e continuando a gocciolare sul pavimento una scia disomogenea di acqua contaminata.- Le esalazioni ti uccidono lo stesso.
Eliza si voltò verso la postazione di regia.
-E’ per questo che, di solito, si evita proprio di uscire.- osservò secca prima di allungare le dita verso la consolle.
Il brano in sottofondo scivolò in un oblio lento quando la ragazza abbassò progressivamente il volume, infilando le cuffie. Matthew si zittì, lasciandole modo di aprire il microfono e sostituire la propria voce a quella di Pete Doherty.
-E questi erano i Babyshambles di “You Talk”.- annunciò rapida – Qui è sempre “KillJoys Radio” ed io sono sempre la vostra Urban Symphony che vi tiene compagnia in questa piovosa serata di coprifuoco. Notizie dal “mondo di sopra”? Per gli amanti degli aggiornamenti, sappiate che i nostri eroi hanno varato l’ennesima legge contro l’associazionismo religioso. Fate a tempo ad iscrivervi ad una delle Chiese Ufficiali o a decidere di scendere in piazza, con noi della Resistenza, per un pacifico sit-in davanti all’Abbazia di Westminster. I dettagli della protesta nei prossimi giorni tramite i soliti canali.- Pausa ad effetto, Matt ridacchiò ed Eliza gli scoccò uno sguardo divertito da sopra la spalla prima di avvicinare le labbra al microfono e sussurrare sensuale – Capito, voi del Governo in ascolto?- Lui le fece cenno che era pazza e lei sogghignò riportando lo sguardo sul monitor di regia.- Bene! con mio sommo dispiacere siamo giunti al termine di questa serata. Concedetemi di salutarvi a modo mio, ovvero... facendo quanto più casino possibile! Questa è “Na na na” e loro sono i My-Chemical-Romance!- scandì alzando il volume mentre il file audio, sparato direttamente nell’etere via web, partiva con la forza di una scarica di adrenalina giù per le braccia e le gambe.
Eliza si liberò delle cuffie e buttò indietro le spalle, prendendo a dondolare sulla sedia come una bambina gioiosa, a tempo con la musica. Matt sorrise. Sentirla trascinare quel nome con tutta la meraviglia di una “sacralità” diversa, fatta di convinzione ed ideali, lo lasciava piacevolmente sorpreso. Eliza poteva sembrare, a chi non la conosceva, una creatura fredda e razionale, ma la forza della sua ribellione passava anche attraverso le note della musica che amava, quella stessa musica di cui era capace di parlare per ore ai propri ascoltatori, avidi di note tanto quanto di notizie.
Mentre il “mondo di sopra” – come chiamavano crudelmente quello strato di ipocrisia che era diventato la realtà ufficiale dell’Inghilterra odierna – riprendeva a dormire un sonno tranquillo, spegnendo il segnale dell’ennesima radio dissidente, la Resistenza cominciava la propria nottata, preparandosi alla lotta silenziosa e violenta della rivolta armata.
Eliza si alzò dalla sedia girevole, muovendosi in un profluvio ondoso di capelli color caramella – un rosa shocking che faceva impallidire il rosso fuoco dei tempi migliori di Matthew! – lui la seguì distrattamente con lo sguardo ma rinunciò quando lei gli sfilò di fianco per perdersi da qualche parte alle sue spalle. Si sentiva stanco. Probabilmente la ragazza aveva avuto ragione a rimproverargli di essere uscito a quel modo. O magari, le sue sensazioni non erano così legate ad un fattore fisico, quanto ad una sua condizione mentale.
-Ci sono novità.- gli fece sapere intanto la voce di Eliza, richiamandolo con forza all’attualità dei propri compiti “istituzionali”.
Matt annuì, ripetendo il gesto con maggiore vigore quando si accorse di avere bisogno di un ulteriore sollecito per alzarsi davvero dalla sedia e seguirla nella stanzetta adiacente. Eliza lo aspettava ad un tavolo quadrato su cui era stata spiegata la mappa dettagliata del Palazzo di Westminster. Ad eccezione del tavolo e della quattro sedie che lo circondavano, la stanza era completamente spoglia e buia, l’unica luce scendeva offuscata da un lucernaio all’altezza della strada e la pioggia continuava a battere ritmicamente sul vetro scheggiato che lo chiudeva. Era il più brutto, umido e disagevole seminterrato di cui Matthew avesse memoria. Quando Eliza accese una vecchia lampadina appesa al soffitto, lo sprazzo di chiaro li abbagliò, riflettendosi sulla superficie lucida della carta su cui era realizzata la mappa.
-Ho parlato con Steve,- proseguì la ragazza, senza alzare lo sguardo a sincerarsi della sua presenza, ma strattonando il foglio per spostarlo da sotto la fonte diretta di illuminazione e renderlo più leggibile. Matt si appoggiò con entrambe le mani al piano del tavolo, in una posizione speculare a quella della sua interlocutrice e fingendo un interesse che sapeva di non provare.- sembra che dovremo anticipare la cosa. Qualcuno ha fatto la spia e si aspettano una nostra mossa.
-…quindi ci andiamo prima, così da essere sicuri di non deluderli?- interrogò perplesso Matt.
Eliza gli scoccò uno sguardo gelido e Matthew capì che non aveva apprezzato la sottile ironia.
-Quindi ci andiamo prima perché dopo che avranno rinforzato la sorveglianza sarà impossibile anche avvicinarsi.- ritorse freddamente lei. – Useremo il sit-in davanti all’Abbazia come diversivo per la Polizia. I dettagli ce li farà avere quanto prima.
L’altro si limitò ad un cenno di assenso e non parlò.
-Lo sai, vero, che finirà male…- sussurrò invece, fissando la cartina come dovesse trovarci dentro le risposte a tutti i dubbi che ancora provava.
Fu la volta di Eliza di non rispondere. Dopo quasi due anni di silenzio e di piccole azioni, la Resistenza era pronta a fare un passo decisivo, quel salto di qualità che tutti – da una parte e dall’altra – si aspettavano. Il Governo per ufficializzare la loro etichettatura come “forza terroristica e pubblico nemico”, così da giustificare la feroce repressione che già, di fatto, attuava da tempo; i loro affiliati per trovare, finalmente, nella lotta armata uno strumento concreto di ribellione e non un semplice palliativo alla frustrazione di quei giorni. Come fosse andata non potevano davvero prevederlo, sapevano che i mezzi a loro disposizione erano scarsi – “tanta buona volontà non ti porta da nessuna parte”, ripeteva Chris da quando Steve aveva esposto loro quell’idea – e sapevano allo stesso modo che restare in un limbo fatto di proclami e buoni propositi non era più accettabile.
Eliza, concreta come sempre, diceva che le rivoluzioni passano prima dai martiri e poi dagli eroi.
-Finirà come deve finire.- affermò stavolta, scrollando leggera le spalle.
Nel chiarore ugualmente innaturale della pioggia e della luce artificiale i suoi capelli impossibili, i vestiti pacchiani ed eccessivi e quel trucco pesante da bambola plastificata la facevano sembrare incredibilmente finta. Eppure la sua voce vibrava degli accenti più veri che Matt riuscisse a ricordare da tempo, Eliza – Urban Symphony, come la personificazione di quella voce che Londra aveva deciso di soffocare e relegare nelle fogne – era dolorosamente viva, quanto lui non pensava di poter essere. Mai più.
Ma qualcosa da offrire, lo aveva.
Infilò la mano nella tasca del soprabito che teneva ancora addosso contro il freddo umido dello scantinato, porgendole sul palmo della mano una chiavetta USB.
-Questa è l’ultima che abbiamo inciso. Ci ho messo un po’ a mixarla, ma ora è a posto. - le disse davanti al suo sguardo interrogativo.- Mandala in radio domani, e rendila disponibile in rete.
Eliza si illuminò come se le stesse consegnando un autentico tesoro e Matt rise, schernendosi.
-Come ci riuscite?!- sbottò la ragazza, afferrando la chiavetta con una bramosia evidente.
Matt liquidò la cosa con un gesto noncurante.
-Ho ancora degli amici che mi devono dei favori.- confessò.
 
Il sapore di Brian si impastava ai suoi respiri nel cuore della notte. Diventava qualcosa di tangibile, morbido e cremoso nella bocca che affondava tra i cuscini. La sua pelle era velluto sotto le dita, era sempre stata incredibilmente liscia per essere quella di un uomo e Matt adorava trovare sotto i polpastrelli le imperfezioni infinitesimali che lasciava al mattino la barba rada. Per questo si ostinava a svegliarlo con una carezza quando, all’alba, si infilava nel letto al suo fianco dopo una notte passata al pianoforte o si svegliava per primo quando dormivano assieme dopo aver fatto l’amore. Brian ci aveva fatto un’abitudine talmente radicata che non si arrabbiava nemmeno, socchiudeva gli occhi nella penombra della stanza, recepiva la sua presenza ed il tocco di quelle dita bellissime e poi tornava a chiudere lo sguardo in un sospiro paziente, riaddormentandosi sotto la sua carezza ed il profumo del suo fiato sul viso. Lui era così, incredibilmente domestico con coloro che amava. In qualsiasi altra situazione non avrebbe tollerato nemmeno l’idea che un’altra persona potesse invadere i suoi spazi, ma quando permetteva a qualcuno di entrare in quegli stessi spazi, diventava malleabile, accorto e generoso in un modo che, all’inizio, aveva lasciato Matthew basito.
Ai tempi in cui loro due si tolleravano appena, si ignoravano alle feste e si odiavano nelle occasioni ufficiali, Matthew non avrebbe mai sospettato in Brian una simile capacità di adattamento o un tale spirito di sacrificio. Lo aveva sempre pensato come la creatura arrogante e dispotica a cui si atteggiava, per scoprire poi che tra i due quello più intransigente, più difficile e macchinoso era lui. Brian era di una semplicità che incontrava il proprio limite esclusivamente nella complessità ed enormità dei suoi sentimenti. E per difendere quella stessa complessità ed enormità si rivestiva di una corazza così sopraffina da diventare indistruttibile.
La sua era sempre stata la voce di un’individualità raffinata, attenta al prossimo ma decisa a non lasciarsi calpestare dal mondo, Brian dava agli altri tutto il rispetto che esigeva per se stesso, e le sue canzoni - i suoi versi e la sua musica – parlavano di questo: il bisogno di ciascuno di essere amato, protetto e guarito, prima da se stesso e poi dagli altri. Man mano che la loro relazione andava avanti, Matthew arrivava a scoprire dietro le nenie dei Placebo – liquidate in fretta in altri momenti in cui la Musica esigeva tutta la sua attenzione – un variegato mondo fatto di due colori, nero e bianco, soffusi in una luce aranciata che li ricopriva di tutto il calore delle sensazioni e dei pensieri che evocavano. Era stato allora che aveva iniziato ad amare di Brian molto più che non il suo aspetto o la sua voce, ugualmente accattivanti, era stato scoprire nella creatura desiderata un motivo concreto per trasformare il desiderio in passione e la passione in amore. 
Ma il mondo dei Placebo non poteva andare bene ad una realtà che viaggiava nel senso opposto. La massificazione del pensiero, la totalitarizzazione dei sentimenti non potevano accettare l’esistenza di una musica che avesse il suono di una ribellione intellettuale e spirituale, elevata a livelli che la rendevano praticamente inattaccabile. Brian parlava ad un popolo di individui disposti ad esistere con una tale forza che nessun credo politico o religioso avrebbe potuto più metterli in discussione.
Di fronte a questo, inevitabilmente, il nuovo mondo non poteva che perseguirne la distruzione.
…si svegliò in un bagno di sudore. Il sapore che aveva sognato ancora nella bocca e la sensazione tattile di quella pelle sotto le dita. Faceva male al petto ed alle ossa, un dolore fisico che partiva dai nervi, tesi e rigidi sulle spalle e le braccia, e si diffondeva attraverso il cervello a tutto il corpo. Voleva morire. Non avrebbe saputo dirlo in altro modo, non avrebbe saputo usare altre parole o altri pensieri per definirsi in quell’istante. E come quello, centinaia di altri istanti prima e dopo.
Il sospiro che si lasciò sfuggire dalle labbra aveva la consistenza dello sfiatare di una bestia agonizzante. Rotolò su un fianco, cercando inutilmente una posizione confortevole in un groviglio contorto di braccia, gambe e lenzuola.
Mai come ora aveva desiderato non essere solo in un luogo. Dom e Chris erano tornati a casa. Si preannunciava il più grosso disastro cui la Resistenza potesse offrire le teste dei propri “capi” – o la più grande vittoria, a voler credere all’esistenza di un Qualcosa che dall’alto dei propri Cieli stabilisse in Terra una Giustizia in-umana – ed ovviamente, coloro che ancora avevano qualcuno da perdere, non potevano che aver deciso di trascorrere altrove il tempo rimasto a disposizione. Gli aveva chiesto di pazientare fino a che non avessero inciso un’ultima canzone. Non la migliore, non la più significativa, semplicemente l’ultima. Poi aveva dovuto lasciarli liberi, scacciando con un sorriso spento i loro tentativi di riportarlo indietro con sé. Aveva abbandonato Londra una volta e, tornandoci, l’aveva trovata vuota ed inospitale, adesso che programmava di riprendersela – con il sangue e con l’anima – non avrebbe permesso che quella sgualdrina mutasse ancora mentre era distratto.
Si sollevò sulle braccia, mettendosi seduto sul materasso scomodo e scalciando via le coperte quando divennero un ingombro eccessivo. Il respiro faticava a tornare regolare e lui si impose, semplicemente, di trattenere il fiato finché il silenzio prese a fischiargli nelle orecchie. A quel punto tutto assunse una dimensione accettabile. Posò i piedi nudi a terra, muovendosi con accortezza per non svegliare coloro che dormivano nelle altre stanze dello scantinato, si mosse al buio con la sicurezza di chi, in un anno e mezzo di oscurità, ha imparato a distinguere ogni anfratto del luogo che si è scelto come prigione. Nella stanzetta di fianco alla sala di regia la mappa era ancora distesa sul tavolo; in quella successiva un vecchio portatile accesso mandava un ronzio costante e mostrava il logo dei Muse su una pagina nera, con un invito agli utenti a cliccare di lato per scaricare la nuova traccia audio, sulla parete di fondo campeggiava uno striscione blu e rosso, che aveva realizzato solo qualche giorno prima, aspettando anche lui che arrivasse il giorno di un riscatto paziente. Matthew lo degnò di uno sguardo appena, la sua stessa calligrafia rotonda, da adolescente mai cresciuto, recitava blanda “war is overdue”, accennando idealmente all’incipit di un inno che voleva diventare “di battaglia”. L’indicazione, nemmeno troppo velata, era ad armarsi per combattere quella stessa guerra ed insieme a gridare ad una voce sola il piano – lineare – della loro rivoluzione. A ripensarci freddamente si disse che in lui c’era sempre stata la medesima carica distruttiva che avvertiva adesso.
Qualcuno aveva raccolto in giro la posta indirizzata alla Resistenza ed ai suoi membri. Avevano sistemi alquanto elaborati per comunicare tra loro e con quanti restavano nel “mondo di sopra”, la gran parte di questi metodi falliva piuttosto spesso e gli altri venivano intercettati con una tale facilità da far dubitare della loro efficienza. Ogni tanto, comunque, qualcosa arrivava. Spulciò pigramente le buste ed i pacchetti, cominciando ad avvertire un freddo pungente alle mani ed ai piedi; arrotolandosi su un divano, cercò un po’ di calore nel sottrarsi al pavimento umido. C’erano due lettere indirizzate a lui, una era di Steve e, presumibilmente, gli forniva i particolari dell’attacco a Westminster; Matthew la mise da parte appoggiandola in bilico su una gamba. Aprì la seconda perché riconobbe la calligrafia di Dominic, da dentro la carta scivolarono mollemente tre foto ed un biglietto stringato di poche righe che dettava il giorno dell’arrivo del batterista e di Chris nel codice che avevano stabilito tempo prima. Le fotografie erano tutte di Kelly e dei bambini di Chris ma in una c’erano anche il loro papà insieme con Dominic. Dovevano averle fatte in quei giorni…
Matthew si accorse del pacchetto solo perché rotolò giù dal divano quando si spostò per mettersi più comodo e leggere la lettera di Steve. Era rotondo, non troppo spesso e rigido, c’erano su talmente tanti bolli postali e timbri da far credere che avesse girato tutto il mondo prima di approdare fino a lui, la grafia elegante che aveva vergato il suo nome gli era completamente sconosciuta, ma non sembrava particolarmente ostile. Forzò i sigilli che chiudevano il pacchetto, strappando la carta spessa che lo copriva, e scoprì un dvd nuovo di zecca, lucente e privo di qualsiasi iscrizione diversa da un laconico “per Matthew Bellamy”.
 
Note dell'autrice:
Alzino la mano tutti coloro che mi vogliono linciare per i - fin troppo - espliciti richiami all'opera ispiratrice. Ebbene sì, «1984» è stata la fonte prima di questa storia.
Per il resto è delirio.
Un delirio a cui ho voluto un mondo di bene mentre lo realizzavo e, come sempre, molto meno dopo averla terminato, e che spero che, in qualche modo, possa suscitare la vostra curiosità o il vostro interesse.
Molteplici le «influenze musicali» utilizzate. Oltre a quelle citate ne troverete dei Placebo, almeno un'altra dei Muse e perfino dei Linkin Park...chissà se siete in grado di scovare di quali canzoni si tratta! XD
Infine, un ringraziamento anticipato: ad Erisachan, per l'aiuto che mi ha dato e, soprattutto, per Eliza.
  
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