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Autore: braver than nana    23/11/2010    2 recensioni
« E tu chi sei? »
Sapevo che se quella bambina fosse stata una persona che mi era stata vicina in quella vita che non ricordavo quella domanda l’avrebbe ferita eppure non seppi trattenermi. Lei che per tutto quel tempo mi aveva guardato negli occhi – bellissimi occhi di un colore così intenso da riscaldare il cuore – abbassò lo sguardo verso il pavimento stringendo forte i pugni. [POV Coyote Stark, Lilinette Gingerback]
*Partecipante al contest 'Progetto Cinema - Prima edizione'*
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Seiretei&Co.'
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Autore: Nana° (nanaosaki93 su efp)
Titolo: 
So here I am.
Fandom: 
Bleach
Personaggi: 
Coyote Stark, Lilinette Gingerback
Pairing: 
Nessuno.
Genere: 
Introspettivo.
Raiting: 
Verde.
Avvertimenti: 
AU.
Tipologia: 
One shot.
Movie scelto: 
Il cavaliere oscuro.
Obblighi correlati: 
Rating verde; una donna morta.
Introduzione: 

« E tu chi sei? »
Sapevo che se quella bambina fosse stata una persona che mi era stata vicina in quella vita che non ricordavo quella domanda l’avrebbe ferita eppure non seppi trattenermi. Lei che per tutto quel tempo mi aveva guardato negli occhi – bellissimi occhi di un colore così intenso da riscaldare il cuore – abbassò lo sguardo verso il pavimento stringendo forte i pugni.


Note dell’autore:
 

Ci ho messo secoli e mi dispiace ma alla fine mi soddisfa. Amo il personaggio di Stark e credo sia stata una boiata scrivere su di lui la prima volta per un contest, credo di averlo storpiato un po’ ma infondo non è che Kubo poi la caratterizzi più di tanto >.<
La canzone che da il titolo e le frasi di lato in corsivo sono presi dalla canzone dei Bullet for my Valentine Say Goodnight. Buona lettura e incrociamo le dita, come sempre.

 

So here I am.

Heaven's waiting for you
Just close your eyes and say goodbye

 

Ovunque una persona si trovi, non sarà mai sola.
Si è sempre, volenti o nolenti, circondati da qualcuno. Che siano le persone che portiamo dentro il cuore quando intorno a noi non c’è fisicamente nessuno, o le presenze corporee che ci circondano giornalmente, non si è mai soli.
Se si ha memoria, si ha compagnia. Il bisogno di autoconservazione che abbiamo incluso nel prezzo dalla nascita come esseri umani ci porta a cercare conforto scavando nei ricordi. E nelle nostre crogiolanti reminescenze non siamo mai soli.
Perché rimanere senza nessuno al mondo è una delle paure più terrificanti e comuni nel mondo di oggi, nel quale ognuno di noi non è autosufficiente. Si vive appoggiandosi agli affetti, alle persone potenzialmente più forti di noi e continuando la catena facendo appoggiare altri a noi. È un circolo vizioso che solo poche persone riescono a spezzare, solitamente non in definitiva, grazie ad un’armatura di diffidenza. 

Eppure ero solo. Non avevo ricordi di tutta quella che era stata la mia vita fino a quel momento e appena avevo aperto gli occhi ero sprofondato nella più cupa solitudine sperando di poterli richiudere e questa volta definitivamente.
La mia mente continuava a chiamarmi, a pormi infinite domande a cui nessuno dei due poteva dar risposta mantenendomi sveglio e incominciando a ristabilire un contatto con il resto del corpo.
Riuscii a malapena ad alzare una mano per osservarla silenziosamente. Era fasciata con bende candide e all’altezza del gomito un ago spesso era stato inserito in una delle vene, tirando leggermente nel movimento un rivolo di sangue sporcò la parte della mia pelle scoperta.
Era rosso e denso, il sangue, aveva iniziato a scivolare lento per poi appoggiarsi sulle coperte immacolate rovinando quella purezza. 

Ero certo di trovarmi in uno di quei posti che vengono chiamati ospedali e se ero lì probabilmente il mio corpo o la mia mente aveva qualcosa che non funzionava.
La stanza attorno a me era completamente bianca e dava un piacevole senso di tranquillità che placava di poco l’angoscia della solitudine. Fuori dalla finestra però il cielo era grigio, pieno di nuvole gravide di chissà quale temporale, eppure quell’atmosfera mi ispirava un vago senso di libertà. Come se il vento che soffiava e scombussolava gli alberi mi stesse chiamando, come se almeno lui mi conoscesse. 

Mi ero domandato più volte dal momento in cui avevo preso conoscenza quale fosse il mio nome.
Non ero spaventato dalla mia ignoranza, da quella nebbia fitta che mi confondeva la testa, ma una pungente curiosità mi pizzicava spesso il cervello. Speravo di avere un bel nome, magari non troppo lungo e difficile da pronunciare. Ne avevo tanti in testa, come se avessi conosciuto molte persone nella mia vita, ma a nessuno riuscivo ad accumunare un viso.
Sentivo di avere tanti anni perché addosso percepivo la stanchezza che solo una persona dalla vita lunga e travagliata poteva avere. Avrei voluto alzarmi in piedi per cercare un specchio e ricordare il mio viso ma diversi fili mi tenevano legato al letto.
Dalla posizione in cui mi trovavo riuscivo a scorgere alcune ciocche dei miei capelli, erano scuri e lunghi, e la mia pelle abbronzata. 

Quando bussarono alla porta ero ancora concentrato sulla mia mano e sul braccio sporco di sangue ormai coagulato e alzai la testa nel momento esatto in cui la testa di una bambina dai capelli strani fece capolino nella stanza.
Era piccola e tremendamente magra ma una volta entrata non si voltò verso di me, era come se ispezionasse l’ambiente in cui si trovava, come se stesse cercando qualcosa. 

« Ciao. » riuscii a dire e i suoi occhi si impiantarono magnetici nei miei.
Pensai che quella mia uscita l’avesse spaventata eppure nei suoi occhi vidi soltanto una grande sorpresa. 

« Finalmente ti sei svegliato, Stark dei miei stivali! »
« Mi chiamo Stark? »
« Certo, deficiente… »
« E tu chi sei? » 

Sapevo che se quella bambina fosse stata una persona che mi era stata vicina in quella vita che non ricordavo quella domanda l’avrebbe ferita eppure non seppi trattenermi. Lei che per tutto quel tempo mi aveva guardato negli occhi – bellissimi occhi di un colore così intenso da riscaldare il cuore – abbassò lo sguardo verso il pavimento stringendo forte i pugni. 

« Me lo avevano detto, quei cretini dei medici intendo, che sarebbe potuto succedere. Io non volevo crederci, non m’importa mai niente di quello che dicono gli altri, però ora lo vedo con i miei occhi vorrei davvero prenderti a calci fino a quando non ti ritorna la memoria. » 

E anche se parlava volendo fare la forte il suo viso era strasfigurato dall’impegno nel non abbandonarsi alla tristezza. Gli occhi di quello strano colore caldo si erano sciolti e minacciavano di far straripare le lacrime.
Non si ricordavo il suo nome, non ricordavo di aver mai incontrato il suo viso e non sapevo quale legame avessi con lei eppure da quando era entrata quella pesante sensazione di abbandono si era alleggerita e per questo le ero fortemente grato. 

« Mi dispiace di averti fatto rattristare. »
« Non sono triste!
Sei tu ad essere menomato. » 

Le sue parole avevano un significato che veniva contrastato dall’espressione tormentata che ormai non riusciva a più a nascondere. Sembrava che più i secondi passassero più la sua presa di coscienza dell’accaduto la facesse affondare nella disperazione.
Quando le prime lacrime iniziarono a rigare il suo volto si nascose su se stessa continuando a ripetere piccoli insulti verso di me. 

« Mi dici come ti chiami? »
« Li-Lilinette. »
« È un bel nome. » 

Si era seduta con la schiena appoggiata al muro che affiancava la porta e aveva appoggiato la fronte alle ginocchia magre e non sembrava intenzionata a parlare ancora. Sembrava sola e indifesa, esattamente come mi ero sentito io quando avevo aperto gli occhi. Sembrava spenta, incompleta.
Avrei voluto che il suo viso non fosse nascosto dai capelli e che i suoi occhi ritornassero nei miei. Ormai mi ero convinto di avere un forte legame con quella ragazzina e avrei voluto capirne di più ma avevo paura che le mie domande avrebbero creato nuovi dolori.
Mi stetti zitto e guardare il soffitto rischiando di riaddormentarmi per parecchi minuti fino a quando lei, ancora nella sua stretta fetale, ricominciò a parlare a bassa voce. 

« La mamma è morta nell’incidente, ma tu non lo puoi sapere, giusto? Sicuramente non ti ricordi di averle voluto bene e questo è molto più doloroso del fatto che non ti ricordi di me. Anche se non era la mia vera mamma io le volevo bene. E visto che non sei il mio vero papà potrei davvero picchiarti tanto forte ma purtroppo voglio bene anche a te. » 

La sua voce era stata ferma per tutto il discorso ma aveva variato il volume a seconda delle parole che pronunciava, come se si vergognasse. Mi aveva sbattuto in faccia con la sua piccola arroganza innocente tutto quello che agognavo di sapere e anche se era tutto fastidiosamente doloroso apprezzai la sua sincerità. 

« Quindi sei mia figlia. »
« Già… Ti sono rimasta solo io, adesso. »

« Almeno adesso nessuno dei due sarà mai più solo. » 

Si alzò di scatto in piedi e venne velocemente vicino al letto dal quale non riuscivo ad alzarmi e mi fissò come arrabbiata per qualche secondo. Notai che il suo viso era segnato da occhiaie troppo profonde per una bambina e che la scia lasciata dalle lacrime si era seccata sulle guance raggrinzendole. 

« Devi promettermelo, Stark. Devi prometterlo. »
« Te lo giuro. » 

Quando le sue braccia così mingherline e fredde circondarono il mio collo quasi non riuscii a comprendere cosa fosse quel calore che riusciva a trasmettermi. Forse mi ero dimenticato anche cosa volesse dire un abbraccio o il voler bene a qualcuno. Le nostre paure e le nostre solitudini si annullarono nel momento esatto in cui lei si abbandonò sul letto rannicchiandosi contro di me.
Rimase stretta al mio petto, piangendo lacrime che comunque non voleva farmi vedere, fino a quando un dottore non le chiese di allontanarsi per fare dei controlli a entrambi. Lei gli fece una linguaccia e si allontanò senza guardarmi in viso e uscì dalla stanza lentamente. 

Non mi ricordavo nulla ma sapevo che col tempo avrei recuperato tutto, lei mi avrebbe aiutato forse anche a schiaffi come minacciava. Non sapevo niente se non il suo nome e un pezzo della nostra storia ma quello mi bastava perché insieme avevamo già il nostro primo ricordo.
Stavamo iniziando ad appoggiarci l’uno all’altra divenendo più umani e lasciandoci alle spalle la solitudine che sono persone che hanno perso tutto possono conoscere. 

Ovunque una persona si trovi, non sarà mai più sola.

 Here I am with you
I'm there til the end
Memories are calling
So farewell my friend

 
Fine
.

   
 
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