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Autore: Doll_    25/11/2010    5 recensioni
Mio padre ancora non sapeva nulla della storia. Un punto a sfavore.
Non avevo ancora trovato la chiave di quella porta comunicante. Altro punto a sfavore.
Il ragazzo che si sarebbe finto il mio fidanzato era, oltre che un gigolò professionista, anche un tipo fastidioso, cinico e maledettamente sensuale, che odiavo con tutta me stessa. Quindi Tre a Zero per la sfortuna.
Il suo lavoro, poi, non consisteva solo nel fingersi innamorato di me -cosa già difficile in sé per sé- ma avrebbe dovuto anche insegnarmi le tecniche della passione e, quindi, in un modo o nell'altro riuscire a fare eccitare entrambi. Cosa impossibile. Quattro a Zero.
Qualcos'altro? Ah, sì! Dovevo sorbirmelo per oltre un mese..!
Cinque a Zero. Avevo nettamente perso..
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Zac e Vic'
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UN GIGOLO' IN AFFITTO – CONOSCENZE parte I

 

A colazione da Napoleone ormai quasi tutti mi conoscevano e andarci con Zac, purtroppo, mi fece pentire e dispiacere di questa popolarità, sicuramente messa a repentaglio da quel soggetto che ero costretta a sorbirmi. Me l'ero cercata... Vero
“Una cioccolata calda con tre zollette di zucchero, grazie.” Ordinai a Giacomo, il cameriere di fiducia.

“Certo, tesoro. E per lei?” Chiese gentilemente diretto ad uno Zac esageratamente interessato al menù e con la fronte corrugata, segno che si stava sforzando pure di scegliere una decente colazione. Pazzesco.
“Può ripassare più tardi? Grazie.” E così congedò uno Giacomo apparentemente deluso. Beh, quasi tutto il paese ormai era a conoscenza dei suoi gusti sessuali...
“E' tanto difficile decidere fra cioccolata, caffè o cappuccino?” Domandai con la solita acidità.
“Sì, se ci sono vari tipi di cioccolata, caffè e cappuccino.” Sorrise sghembo.
Rimasi a guardarlo per un po'. Volevo ucciderlo, sì.
Ogni cosa di lui m'istigava a farlo. Il suo sguardo. Il suo modo di fare.. Di prendere le cose così alla leggera. Di parlare, di ascoltare, perfino. Tutto.
Mi chiedevo, inoltre, se spesso ci facesse o era così davvero.
Così strano e impenetrabile come si faceva vedere dagli altri.
Alla fine, quando constatai che la mia testa con tutte quelle domande sarebbe potuta scoppiare, con un gesto sbrigativo e rassegnato delle mani, rinunciai a trovare delle risposte a certi enigmi.
“Bene, Zac. Sarebbe ora di spiegarmi come mai da ieri sera, mio padre non fa altro che parlare di te.”
“Beh, è una storia buffa... Diciamo che casualmente tuo padre mi ha visto uscire da casa di tua nonna e allora abbiamo iniziato a parlare. Inizialmente sembrava un po' titubante nei miei riguardi ma con un'ottima tecnica di persuasione sono riuscito a farmelo amico e, che sia chiaro, penso che tuo padre sia un vero spasso! Accidenti! Abbiamo parlato di calcio, di scuola, di ragazze...” Fece, allusivo.
“Un momento.. Cosa?! Tu e mio padre avete parlato di ragazze?” Chiesi stralunata, non riuscendo ad immaginare papà con alcun tipo di donna.
“Sì e devo dire che ne capisce tanto quasi quanto me in merito. Tuo padre è formidabile! Ho fatto tardi al mio appuntamento per rimanere a parlare con lui.” Sorrise, ricordando probabilmente qualche particolare.
Anche lui quando parlava gesticolava, ma al contrario di me, lo faceva solo se il discorso era particolarmente emozionante e non se era nervoso.
Nei suoi occhi che guizzavano da ogni parte, si poteva chiaramente intravedere una luce. L'illuminarsi della serenità, della felicità.
Ah, quanto invidiavo la sua tranquillità, almeno apparente.
E forse, era riuscito più lui a fare un lungo discorso con mio padre dopo averlo conosciuto da così poco che io che, oltre ad essere sua figlia, ci convivevo da diciassette anni. Questo mi afflisse un po'. Non ero mai riuscita ad essere una buona figlia per lui e non ho mai sentito un commento positivo in mio proposito da parte sua.
Zac probabilmente si accorse della mia espressione accigliata e cercò di chiedermi qualcosa ma venne interrotto da Giacomo che mi portò la cioccolata e richiese le ordinazioni al mio compagno.
“Un caffè con un pizzico di latte, grazie.” Sentenziò lui, senza degnare di uno sguardo il cameriere, continuando a guardarmi in quel modo strano. Come un ricercatore che studia la sua scoperta.
“Cosa c'è?” Chiesi quindi.
“Niente.” Fece lui, senza smettere di guardarmi, però.
“Ci voleva così tanto tempo per decidere di prendere un semplice caffè con latte?” Chiesi, sorseggiando poi la mia bevanda.
“Devi sapere che mi diverto a variare molto col cibo, quindi non ho mai le idee chiare su cosa prendere.” Sorrise.
“Hai le idee chiare su qualcosa in generale, almeno?” Domandai sempre poco cortese. Forse mi stavo sfogando con Zac per il brutto rapporto che avevo con mio padre senza nemmeno un buon motivo.
Mi dispiaceva ma non riuscivo a smettere. Mi veniva troppo naturale scaricare tutta la tensione su di lui perchè i nostri battibecchi riuscivano davvero a distrarmi dalla dura realtà.
“Sì. Su di noi.” Fece sicuro di sé.
“Non c'è nessun noi.” Cercai di fingermi indifferente.
“Oh sì, invece. Siamo fidanzati dopotutto. Noi abbiamo un patto.”
“Dove, a quanto sto capendo, l'unico che ci giova sei tu.”
Infondo ogni bel ragazzo avrebbe potuto fare il suo lavoro. Veniva pagato per sedurre e andare a letto con belle donne. In pratica, il sogno di ogni uomo con degli attributi -esclusi gli omosessuali.
Mi sbagliavo, quindi. Era furbo.
“Mi sembra che a te non siano dispiaciute le sensazioni piacevoli di ieri sera.” Disse proprio quando Giacomo gli portò il caffè che, dopo aver ascoltato ciò che Zac disse, mi guardò di sottecchi sicuramente sorpreso e confuso. Nessuno si aspettava certe cose da me. Mai. Deve esserne rimasto scioccato e il mio imbarazzo salì a livelli mai raggiunti. Arrossii. Cos'avrebbero pensato di me se la voce si fosse diffusa?
Zac sorseggiò il suo caffè con nonchalange, come se tutto ciò non lo riguardasse e, infastidita, gli diedi un calcio allo stinco da sotto il tavolo.
“Ahi! Ma perchè l'hai fatto!?” Sbottò, facendo quasi cadere il suo caffè.
Dolce vendetta.
“Mi hai messo in imbarazzo davanti ad un caro amico di famiglia, scemo!” Biascicai furente.
“Chi? Il cameriere? Avanti Vic, ti preoccupi anche di certe cose? Non sei l'unica che a diciassette anni le fa, anzi, più che altro tu sei l'unica a non averle ancora fatte.” Mi schernì con un sorrisetto beffardo sul volto.
“Se quello che ho in mano non fosse un misero cucchiaino ma una forchetta o preferibilmente un coltello, saresti già morto.” Dissi stringendo con forza l'oggetto nelle mie mani.
“E se fossimo da soli in una stanza da letto probabilmente questa tua rabbia mi avrebbe eccitato ancor più di quanto lo abbia già fatto adesso.”
Arrossii.. Lo avevo eccitato? E perchè ne ero, in qualche modo, contenta?
“Già, ma fortunatamente ora ci troviamo in un luogo rispettabile e ti dovrai accontentare di parlarmi e dire possibilmente cose sensate.” Sorrisi falsamente, cercando di contenere i brividi.
Touché.” E fece un sorriso che quasi mi destabilizzò.
Presi un profondo respiro e tentai di ripartire da zero.
“Parlami di te. Infondo non so nulla a parte il tuo lavoro poco pudico e il tuo nome.” Feci risoluta, cercando di contenermi.
“Ed è quello che ti basta sapere. Parlami tu di te. Neanche io, infondo, so molto sul tuo conto.” Disse poggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi verso di me. Lo imitai e ci ritrovammo nuovamente vicini.
“Non è esatto. Tu sai che vivo con mio padre e due fratellini più piccoli. Che ho diciassette anni, che tengo un diario segreto e che riguardo ad arti sessuali sono una vera frana. E anche in amore... Insomma, io non so nemmeno quanti anni hai tu!” Sorrisi apertamente.
“Beh ma quelle sono cose che, vivendo affianco a te, è logico che sappia. Sono cose che può sapere chiunque. A me interessa conoscerti davvero.”
“Non so che dirti, io. Tu cosa hai capito di me?”
Dovevo essere sincera, almeno con me stessa. Quella conversazione iniziava ad interessarmi realmente.
“Ho capito che sei una ragazza ingenua, inesperta, insicura, testarda e maniaca dell'ordine. Che non ti piace essere controllata e che adori essere baciata sul collo, in particolare qui sotto.” Disse toccando con un dito il punto fra collo e spalla, facendomi rabbrividire.
“Wow, non mi sono mai stati detti così tanti difetti tutti insieme, prima d'ora.” Risposi agitata, tentando di non fingermi almeno un po' ferita.
Sapevo che ero davvero così ma era proprio per questo che mi ero cacciata in quel guaio, ritrovandomi fidanzata con un perfetto sconosciuto.
“Però sono sicuro che c'è dell'altro in te, ma, sai... Sei difficile da decifrare.”
“Senti chi parla!” Dissi sarcastica.
“E tu? Cos'hai capito di me?” Chiese sorridendo divertito.
“Mmm...” Ora mi diverto, pensai. “Ho capito che invece a te piace fin troppo avere il controllo della situazione. Sei egocentrico, fastidioso, bizzarro, fuori dal comune, strafottente, rozzo e decisamente pervertito.” Ridacchiai, felice di essermi tolta la soddisfazione di avergli detto quello che pensavo di lui.
Anche lui rise ma, quando mi riguardò negli occhi, una strana sensazione m'invase interamente.
“In poche parole siamo riusciti entrambi a presentarci nel nostro peggio.”
“Esatto.” Confermai finalmente a mio agio.
“Non ti piacerebbe cambiare un po' le cose? Presentarci, invece, nel nostro meglio?” Domandò apprensivo.
“Non so, sinceramente. Da una parte mi piacciono queste discussioni.”
“Aiutano la tua autostima.” Disse più fra sé e sé.
“Ehi! Io ce l'ho la mia dose di autostima...! Non mi trattare come una bambina!” Sbottai falsamente offesa ma decisamente infastidita.
“Ma tu sei una bambina. Anzi, somigli più ad una fragile bambolina di pezza.” Fece con falsa compassione.
“La pezza non è fragile. La porcellana lo è, ignorante.” Ribattei offesa.
“Uuuh, non mi dire che sono riuscito a penetrare la barriera protettiva di ''miss so-tutto-io-non-mi-cotraddire-altrimenti-ti-uccido''... La pezza, se vecchia di anni, è debole e più propensa a strapparsi. Un po' come Sally di Nightmare Before Christmas che ogni volta che cadeva si rompeva...” Ridacchiò.
“Mmm. Quindi stai dicendo che sembro una vecchia bambola di pezza..?”
“No. Ho detto che sei fragile come una vecchia bambola di pezza.”
Okay, stavamo cadendo sul ridicolo. Iniziavamo alla grande con discorsi seri e andavamo a finire sempre a parlare di certe stupidaggini.
Logico. Eravamo entrambi esageratamente puntigliosi su tutto, ognuno dei due in modo differente.
Il tempo passò e dopo molte altre discussioni, finalmente ci alzammo e decidemmo di farci una passeggiata al parco, sedendoci poi su una panchina decisamente poco affollata. Infatti c'eravamo solo noi.
Dopotutto Zac non era tanto male come pensavo all'inizio, e spesso ci capitava anche di ridere insieme su qualche sciocca battuta divertente.
Fino a quando non mi chiese...
“Come si chiamano i tuoi fratellini?”
“Marco e Mattia.” L'argomento famiglia non mi è mai molto piaciuto.
“Sono gemelli, giusto?” Sorrise sinceramente.
“Sì.”
“Hai altri fratelli sparsi per il mondo?” Domandò sarcastico.
“Ho due sorelle che abitano a Milano e che ci vengono a trovare almeno un paio di volte al mese. Giada e Sophia... Una vent'anni e l'altra ventidue. Hanno deciso di andare via per l'università. Fanno sempre tutto insieme.” Spiegai con un velo di celata malinconia ripensando che infondo nella famiglia ero l'unica che si ritrovava sempre a cavarsela da sola e a non contare su nessun altro. Forse mio padre... Ma, no. Lui era felice da solo così come stava. Probabilmente avevo ereditato quell'aspetto da lui.
Giada e Sophia erano sempre così solari, estroverse, ottimiste, belle.
Infatti ogni volta che mi toccava uscire con loro, mezza città non faceva altro che osservarle e loro che si divertivano a cinguettare tutte contente e soddisfatte, snobbandomi come una reietta.
Erano entrambe alte, bionde con capelli setosi, lisci come l'olio, nasini fini e diritti, con degli occhi una celesti cielo e l'altra color caramello dorato. Beatamente formose, intelligenti, spigliate e determinate. Non di certo come me che ero la pecora nera della famiglia.
Anche Marco e Mattia erano dei bambini bellissimi. Castani con occhi blu notte. Mio padre, invece, era sicuramente un bell'uomo con ancora, fortunatamente tutti i capelli in testa, castani -anche lui- brezzolati, con occhi a mandorla -che solo i miei fratelli e le mie sorelle avevano ereditato-, azzurri. Basandomi su vecchi ricordi sfocati, invece, potevo dire che mamma era bionda, riccia, con gli occhi castani. Quindi da dove ero uscita io? Che non ero bionda o castana ma mora come carbone.. Che avevo gli occhi verdi come il prato e non azzurri cielo o caramello dorato.. Che non ero esageratamente alta e formosa.. Che ero timida ed impacciata.. Che il mio naso era una patatina all'insù.. Che le mie labbra non erano carnose e rosse come tutte quelle dei miei parenti, ma fine e lievemente rosee.. Che la mia carnagione sfiorava il bianco morto e non la bella abbronzatura dei miei consanguinei.. Che i miei capelli erano indomabilmente ricci, spessi e gonfi e non perfettamente lisci...? Insomma... Era giustificabile il fatto che da piccola chiedessi mille volte se fossi stata davvero adottata!
“E tu ci soffri.” Disse Zac, pensieroso, facendomi riprendere.
“C-come scusa?” Chiesi confusa.
“Ho detto che ci soffri. Soffri per la partenza delle tue sorelle. Si capisce da come hai detto 'hanno deciso di andare via...' e non 'partire per l'università'. Non ti offendere ma sei trasparente come l'acqua alcune volte.”
“Quindi se avessi detto 'partire' voleva dire che non ero dispiaciuta...? Non ha senso, Zac.” Risposi risoluta.
“Ma tu hai detto 'andare via', quindi un senso ora ce l'ha.” Sorrise e capii che cocciuto com'era, forse era anche meglio lasciarlo stare.
“Parlami di tua madre.” Mi chiese poi, dopo un po', raggelandomi completamente.
“I-io.. Te lo dirò solo quando anche tu mi parlerai dei tuoi genitori. Non so nulla sulla tua famiglia.”
La sua espressione ridivenne accigliata come quel giorno al ristorante.
“Vuol dire che non mi parlerai mai di tua madre.” Assentì.
“E tu vorresti dirmi che non mi parlerai mai dei tuoi...” Conclusi.
“Esattamente.”
“Posso sapere almeno quanti anni hai?” Chiesi sorridendo.
Lui sembrò riprendere il senso dell'umorismo e la carica di sempre e ne fui segretamente contenta.
“Prometti che non ti scandalizzi?”
Che sarà mai?
“Prometto.” Dissi facendomi la croce sul cuore.
“Mmm... Tu quanti me ne dai?” Sorrise apertamente.
“Non so... Venti?” Azzardai.
“...Più cinque.” Sussurrò falsamente spaventato, come se si aspettasse una reazione eclatante e, beh.. Nel mio corpo c'era.
“VENTICINQUE ANNI!? Oh mio Dio!” Risi nervosamente.
Non lo avrei mai ammesso ma avevo sempre pensato che la tanta differenza d'età fosse estremamente sexy... Accidenti.
“La differenza di età ti scandalizza?” Sorrise, avvicinandosi.
“Veramente a scandalizzarmi è il fatto che a quest'età tu sia ancora più demente di un ragazzino.” Ridacchiai, pizzicandogli un fianco, facendolo prima sussultare poi ridere insieme a me.
Mentre una parte del mio subconscio, piano piano, mi stava sussurrando che prima o poi, di quel passo, io e Zac forse avremmo potuto avere davvero una vera, forte intesa, l'altra parte di me, mi avvisava di non illudermici troppo... Perchè ormai era chiaro: Zac era imprevedibile.

Angolo autrice:
Mi dispiace infinitissimamente per il ritardo di quasi due settimane ma dovete sapere che io a casa non ho internet quindi per aggiungere nuovi capitoli devo per forza andare a casa di amiche per entrare sul sito oppure all'internet point ;) Comunque i vostri commenti mi fanno sempre molto piacere anche se devo essere sincera... me ne aspettavo di più soprattutto per quello che avevo descritto xdxd... ma mi accontento lo stesso :D :D grazie ancora e scusate per il ritardo. Bacioni. Spero che questo capitolo vi piaccia! *-*

   
 
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