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Autore: Scarcy90    26/11/2010    25 recensioni
Blake e Cassie, un ragazzo e una ragazza che non si sono conoscono e non sanno nulla l'uno dell'altra... Eppure hanno qualcosa in comune, qualcosa che li porterà ad incontrarsi: la loro capacità di poter vedere i fantasmi...
Dal prologo...
Ho avuto a che fare con i fantasmi ogni attimo della mia vita e a volte, dimenticandomi del fatto che le altre persone non li possono né vedere né sentire, iniziavo a conversare con loro in pubblico, e soprattutto a scuola, dando l’impressione di parlare da sola. Per questo mio comportamento sono stata etichettata come una tipa stramba e forse è anche il motivo per cui al di fuori della mia famiglia e dell’organizzazione non ho mai avuto amici, fino a quando la mia strada non ha incrociato quella di Jason Blake e del suo caratteraccio.
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ghost Seeker- Capitolo 1
Ghost Seeker- La Cercatrice di Fantasmi

 

 I fantasmi non esistono!
 Non ci sono prove concrete della loro esistenza, a parte qualche testimonianza assurda o le parole di qualche fanatico che ha solo voglia di apparire in televisione. E’ vero, in alcune vecchie case si possono sentire strani scricchiolii e sibili inquietanti ma proprio perché è una vecchia casa, l’evento sovrannaturale sarebbe che non si sentisse alcun tipo di rumore.
 Molti evitano i cimiteri di notte perché dicono che ci sono i fantasmi… Se studiassero un po’ di più, scoprirebbero che quelle fiammelle che erano stupidamente scambiate per fantasmi sono solo i gas emessi dai cadaveri in putrefazione che una volta a contatto con l’aria bruciano. Non c’è nulla di sovrannaturale in questo, è pura scienza.
 Ovviamente c’è anche chi pensa di essere posseduto da un fantasma e a quel punto vengono convocati santoni vari e strane donne con indosso tuniche multicolori e amuleti che pesano quanto la loro testa. Be’ in questi casi la spiegazione più semplice e azzeccata è la pazzia. Solo un pazzo potrebbe pensare di essere posseduto da un fantasma.
 Ma quello che ritengo davvero assurdo è sentire parlare di faccende in sospeso. Avete visto tutti Casper, no? I fantasmi in quel film non possono raggiungere l’aldilà perché hanno delle questioni irrisolte che impediscono alla loro essenza di assurgere all’altro mondo. Sì, come no. Allora la prossima sarà che il Bianconiglio ha preso casa a Manattham e che ha dato una festa invitando fate, gnomi, folletti e orchi.
 Quando un essere umano muore, muore e basta il suo corpo cessa le sue vitali funzioni e la vita si ferma. Non c’è nulla dopo, nessun Aldilà, né Campi Elisi, Oltretomba, Nirvana… Non c’è nulla! Semplicemente chiudiamo gli occhi per non riaprirgli mai più.
 Fantasmi, spiriti, presenze… Non esistono!
 O almeno questa era la mia opinione prima d’incontrare Cassandra Artemis Hyde e la sua sgangherata famiglia.
 Jason Blake
 
 
 I fantasmi esistono!
 Vi assicuro che non sono una pazza visionaria. I fantasmi esistono davvero e io ho a che fare con loro fin da quando sono venuta al mondo. E’ vero, a volte ci sono sul serio pazzi visionari che pensano di aver visto un fantasma quando invece sono loro a non starci con il cervello. Ed è anche vero che al mondo esistono persone che si fingono maghe o santoni in grado di scacciare presenze o spiriti. Questi sono casi in cui non c’è l’intervento di un vero fantasma, perché esistono delle tecniche precise per potersi liberare di uno spirito e la mia famiglia fa parte di un’organizzazione segreta (finanziata dai governi di tutto il mondo) che è incaricata di fare in modo che i fantasmi risolvano le loro faccende in sospeso e raggiungano l’Aldilà. Per far parte dell’organizzazione segreta si devono possedere dei poteri dati da un particolare gene che ci siamo tramandati fin dalla notte dei tempi.
 Ho avuto a che fare con i fantasmi ogni attimo della mia vita e a volte, dimenticandomi del fatto che le altre persone non li possono né vedere né sentire, iniziavo a conversare con loro in pubblico, e soprattutto a scuola, dando l’impressione di parlare da sola. Per questo mio comportamento sono stata etichettata come una tipa stramba e forse è anche il motivo per cui al di fuori della mia famiglia e dell’organizzazione non ho mai avuto amici, fino a quando la mia strada non ha incrociato quella di Jason Blake e del suo caratteraccio.
Cassandra “Cassie” Hyde




Capitolo 1: Una Stramba Ragazza (Blake)






 
 Dal giorno in cui mi trasferii a S. Francisco cominciai a chiedermi seriamente se i miei genitori mi odiassero sul serio oppure se fossi io ad avere una qualche forma di sfighite cronica.
 No, perché trasferirmi da New York a S. Francisco proprio quando la mia vita aveva cominciato a prendere una piega decente, doveva essere proprio una punizione divina, non ci poteva essere altra spiegazione. Per tutta la vita ero sempre stato considerato un perdente, un topo di biblioteca che pensava solo a studiare e a fare il saccente, e, in effetti, era così. Fino ai sedici anni ero stato un occhialuto e brufoloso adolescente canzonato dai ragazzi e accuratamente evitato dalle ragazze. Poi, durante l’estate dei miei diciassette anni, entrai per sbaglio in una palestra di karate scambiandola per una libreria- lo so che è strano come errore, ma dall’esterno sembrava davvero una libreria. Stavo per andarmene quando Soichiro-san, il proprietario di origini giapponesi del dojo, m’invitò a restare per assistere alla lezione. Aveva solo sei allievi (tra cui un’unica ragazza) ma erano tutti bravissimi nelle arti marziali. Rimasi talmente affascinato da quella lezione che quando Soichiro-san mi chiese “Tonerai domani?”, io non potei fare altro che annuire sorridendo.
 Così iniziai a frequentare il dojo e scoprii di essere tremendamente portato per il karate. In più avevo trovato degli amici sinceri nei sei ragazzi che erano diventati miei compagni. Fino a quel momento non avevo mai avuto degli amici, mi era sempre bastato avere me e i miei libri, ma adesso che facevo parte di qualcosa mi sentivo veramente completo.
 Soichiro-san mi consigliò di non indossare gli occhiali durante gli allenamenti e siccome senza ero più cieco di una talpa mi trovai costretto a portare le lenti a contatto.
 Passai l’intera estate al dojo lavorando molto per apprendere il più possibile: ero sempre stato dell’idea che quando si fa qualcosa o lo si fa bene oppure è meglio non cominciarlo affatto. I miei allenamenti procedevano alla grande e si vedeva anche dal mio fisico che cominciava a scolpirsi e ad abbandonare le fattezze dello sfigato scheletrico che ero sempre stato.
 In poco tempo divenni l’allievo migliore del dojo e Soichiro-san era davvero fiero di me.
 In quel dojo avevo trovato degli amici, quasi una seconda famiglia e inoltre Evelyn, la ragazza che frequentava il dojo con noi, stava cominciando ad interessarsi a me. Ero ancora incredulo ma era impossibile fraintendere gli sguardi che mi lanciava. A me era sempre piaciuta: con quella sua carnagione scura tendente al dorato, i sinuosi capelli castani e i luminosi occhi verdi.
 Avevo deciso! Le avrei chiesto al più presto di uscire con me, e la mia sorpresa fu enorme quando lei accettò con piacere il mio invito. Passammo una serata stupenda ed io mi sentivo l’essere più felice esistente sulla faccia della terra. Non accadde nulla di fisico ma, quando la riaccompagnai a casa, mi disse che le sarebbe piaciuto molto uscire ancora con me e che mi considerava un ragazzo gentile e simpatico.
 Avevo raggiunto l’apoteosi. Tornai a casa praticamente fluttuando a trenta centimetri da terra per come mi sentivo felice.
 Ovviamente ero troppo felice, e qualcuno lassù decise che tanta felicità avrebbe fatto male alla mia povera salute e così quella stessa sera i miei genitori mi comunicarono che la banca in cui lavorava mio padre aveva aperto una sede più grande a S. Francisco e che ci saremmo trasferiti tutti entro la fine della settimana.
 In quel momento capii che cosa voleva dire sentire il mondo che crolla sotto i piedi.
 Stavo per perdere tutto: i miei amici, il dojo, Evelyn…
 Evelyn… Avrei voluto chiederle di aspettarmi, di avere una relazione a distanza fino a quando non avessi trovato il modo di tornare da lei ma sapevo che non sarebbe stato giusto fare una cosa del genere. Così seguii i miei genitori salutando per sempre le uniche persone al mondo che mi avessero mostrato il vero significato dell’amicizia e dell’amore.
 Perciò da sfigato cronico, ero passato ad essere un allievo di un dojo ed ora sarei diventato il nuovo arrivato che si è trasferito da New York, e avevo come la sensazione che alla Abraham Lincoln High School di S. Francisco non avrei avuto per niente vita facile. Sentivo con una certezza allarmante che si sarebbe abbattuta su di me una qualche specie di catastrofe.
 La mattina del mio primo giorno nella nuova scuola varcai la soglia di quell’edificio a me sconosciuto avendo in mente il pensiero fisso di scappare via. Per la prima volta in tutta la mia vita avrei voluto saltare un giorno di scuola per andare da Evelyn. Il mio carattere troppo corretto me lo impedì. A volte avrei tanto voluto essere un bastardo menefreghista!
 -Bene, signor Blake-, cominciò il preside Jordan sorridendomi. –Il tuo curriculum scolastico è davvero impressionante. Il massimo dei voti in tutte le materie, iscritto al club di matematica, di astrofisica e di teatro. In più ha anche frequentato per un anno una palestra di karate.-
 Quanto sarei voluto tornare subito in quella palestra invece di stare a sentire quell’idiota di Jordan decantare le mie lodi.
 -Sono veramente senza parole-, continuò lui. –La Lincoln High School è veramente felice di accoglierti tra le sue schiere, anche se ormai è rimasto solo un anno scolastico da passare insieme.-
 Fosse stato per me, non ci sarebbe stato neanche un anno scolastico alla Lincoln, fosse stato per me, avrei continuato a frequentare la mia vecchia scuola insieme ai miei amici.
 -Sono davvero contento di poterti dare il benvenuto, signor Blake-, il preside si alzò e mi porse la mano perché gliela stringessi.
 Mi alzai anch’io e rispondendo al suo gesto dissi: -La ringrazio, preside Jordan. Cercherò di fare del mio meglio anche qui alla Lincoln.-
 -Così ti voglio ragazzo! Deciso e determinato!- esclamò con gli occhi che brillavano. 
 Proprio in quel momento bussarono alla porta.
 -Avanti-, disse Jordan.
 La porta si aprì e un ragazzo biondo, alto qualche centimetro più di me, entrò nella stanza. I suoi occhi erano scuri, quasi neri, e mi penetrarono scrutandomi mentre il suo viso sorrideva in segno di saluto. Era alquanto inquietante…
 -Voleva vedermi, signore?-
 -Sì, signor Tyler.-
 Il ragazzo mi squadrò velocemente senza perdere la sua espressione gioviale.
 -Ti presento il signor Jason Blake, si è appena trasferito da New York.-
 Lui allungò la mano ed io la strinsi.
 -Piacere di conoscerti e benvenuto alla Lincoln High School. Io sono Nicolas Tyler, ma puoi chiamarmi Nick.-
 -Io sono Blake-, risposi con un sorriso veloce. Odiavo quando mi chiamavano per nome, preferivo di gran lunga il mio cognome.
 -Il signor Tyler è uno studente molto preparato e affidabile, nonché il capitano della nostra imbattibile squadra di basket scolastica.-
 -Già, se vuoi c’è un posto libero in squadra-, cominciò Nick tornando a sorridere. –Hai un fisico perfetto per il basket.-
 Era per questo che prima mi aveva quasi fatto una radiografia.
 -Grazie per l’offerta ma passo-, non avevo alcuna voglia di giocare a basket, era uno sport che non mi piaceva.
 -Come vuoi-, disse Nick sempre sorridendo. Poteva una persona sorridere in continuazione?
 -Signor Tyler, vorrei che mostrassi la scuola al signor Blake. Oggi sarai la sua guida, ho dato un’occhiata ai vostri orari e sono identici quindi non avrete problemi.-
 -Lo farò con grande piacere, preside Jordan.-
 -Bene, allora buona permanenza, signor Blake-, mi disse il preside lanciandomi un’occhiata speranzosa.
 Aggrottai la fronte scocciato ma la mia buona educazione non si smentiva mai.
 Cercai di stamparmi l’ennesimo falso sorriso sulle labbra e risposi con un “Grazie”.
 Nick ed io uscimmo dall’ufficio del preside e ci dirigemmo verso la zona degli armadietti.
 -Quel Jordan è davvero insopportabile-, cominciò Nick stiracchiandosi.
 Lo fissai con aria incuriosita.
 -E’ gentile solo con gli studenti popolari o intelligenti che possano dare prestigio alla scuola. Per lui tutti gli altri nemmeno esistono, odio le persone come lui.-
 Non avrei mai pensato che un tipo come Nick fosse così dedito alla correttezza.
 -Qual è il numero del tuo armadietto?- mi chiese curioso.
 Guardai il foglietto che mi aveva dato Jordan pochi minuti prima.
 -171-, risposi tornando a fissare Nick.
 -Ci avrei giurato, è l’armadietto accanto al mio-, sospirò Nick scocciato. –Jordan vuole a tutti i costi che io ti convinca ad entrare nella squadra, ne sono sicuro.-
 Stavo per ribattere ma lui fu più veloce.
 -Tranquillo, ho capito che non lo farai quindi non starò al gioco di quel preside deficiente.-
 -Grazie-, risposi facendo il mio primo vero sorriso da quando avevo messo piede a S.Francisco.
 New York mi mancava ancora, insieme a tutte le persone che avevo lasciato, ma forse la Lincoln High School non sarebbe stata così terribile come me l’ero immaginata.
 -Figurati, amico-, esclamò dandomi una pacca sulla spalla. –Sembri un tipo simpatico perciò sono contento di farti visitare la scuola.-
 Arrivammo davanti agli armadietti e Nick aprì il suo indicandomi quello alla sua sinistra.
 Mi avvicinai all’armadietto e inserendo la combinazione lo aprii.
 Mi tolsi la borsa a tracolla nera che avevo sempre usato fin da quando avevo cominciato il liceo. Me l’aveva regalata mio nonno un anno prima di morire. In effetti era vecchia, logora e di pelle nera ma era un suo regalo e non me ne separavo mai.
 La aprii e ne tirai fuori le cose da mettere nell’armadietto: ipode, libri, penne di riserva, i miei fumetti preferiti e… il mio vecchio cellulare. Lo avevo spento la sera in cui i miei mi avevano detto del trasferimento. Sapevo che era stato un comportamento da vero codardo, ma non avevo avuto il fegato di sentire Evelyn. L’avevo semplicemente cancellata dalla mia vita senza dirle una sola parola.
 Riposi il cellulare in un angolo sperduto dell’armadietto, dove non potevo vederlo.
 Da giorni mi chiedevo se Evelyn mi avesse chiamato o avesse lasciato qualche messaggio, ma a cosa mi sarebbe servito saperlo? Sarebbe solo stata una sofferenza inutile.
 -Alla prima ora abbiamo matematica.-
 Nick interruppe i miei pensieri facendomi sobbalzare.
 -Stai bene?- chiese, notando che non accennavo a rispondere.
 -Sì-, dissi subito chiudendo all’istante l’armadietto. Dovevo smetterla di vivere nel passato, ormai il mio presente e il mio futuro erano a S. Francisco.
 Nick alzò un sopracciglio confuso, probabilmente stava cercando di credere alla mia risposta nonostante la mia faccia fosse piuttosto eloquente.
 Mentre ci dirigevamo verso la classe di matematica, la mia attenzione fu attirata da una tizia un po’ stramba.
 Era di spalle e stava aprendo il suo armadietto.
 Non era molto alta, di certo non superava il metro e sessanta, aveva lunghi capelli neri e di nero non aveva solo quello. Scarpe, gonna, giacca e collant erano tutte nere. Ad un tratto la ragazza si voltò ma senza incontrare il mio sguardo, ed era stato meglio così altrimenti sarei saltato per la sorpresa. Aveva una carnagione chiarissima, mi faceva senso pensarlo, ma sembrava quella di un cadavere, mentre i suoi occhi erano azzurri, ma non un azzurro caldo come quello dei miei occhi, era un colore strano, glaciale tendente al bianco.
 Quella ragazza dava i brividi.
 -Quella è Cassandra-, disse ad un tratto Nick.
 -Cassandra?- chiesi voltandomi a guardarlo mentre ormai eravamo dentro la classe di matematica.
 -Sì, Cassandra Hyde… “Cassie” per gli amici, anche se non credo di averla mai vista in compagnia di qualcuno.-
 -Come mai?-
 Ci sedemmo in fondo alla classe per continuare a parlare.
 -L’hai vista?- chiese lui ironico. –Fa paura soltanto a passarle accanto. Da quando è morta sua madre, si è rifugiata in quel look da finta Dark. Non che prima fosse troppo diversa ma almeno era più carina. Comunque non ricordo di averla mai vista parlare con qualcuno qui a scuola, e ormai la conosco dalle elementari. L’hanno sempre considerata una tizia stramba.-
 -La considerano stramba solo per i suoi occhi e per come si veste?- chiesi allibito. Non potevo credere che la evitassero solo per questo.
 -Be’ questi sono due elementi ma quello fondamentale è che parla da sola. Lo fa in continuazione a volte anche litigando con se stessa. E’ uno spettacolo piuttosto inquietate. Per questo tutti la evitano. E le cose sono peggiorate da sette anni a questa parte, l’assenza di sua madre l’ha resa ancora più fuori di testa.-
 Esattamente in quel momento Cassandra entrò nell’aula. Si diresse lentamente verso il suo banco, in prima fila, e prima di sedersi incrociò le braccia fissando intensamente la sua sedia. Poi con il pollice fece il gesto d’intimare a qualcuno di andarsene.
 Ma non c’era nessuno seduto lì!
 -Adesso capisci cosa voglio dire?- mi chiese Nick con tono serio.
 Annuii continuando a guardare verso Cassandra.
 In quel momento lei si voltò verso di me e fu una cosa talmente strana che per poco non mi misi ad urlare. I suoi occhi erano puntati nei miei, mi scrutavano quasi come se volessero entrare direttamente nel mio corpo. Ma la cosa ancora più sconvolgente fu il brivido di calore che mi attraversò la schiena. Non avevo paura di lei, più che altro avevo come la sensazione di conoscerla, di averla sempre conosciuta.
 Lei smise di fissarmi e si sedette facendo danzare i suoi lunghi capelli neri come la notte.
 Da quell’occhiata non avevo solo capito di conoscerla, ma avevo anche notato quanto fosse bella. Non una bellezza tradizionale ma quasi sovrannaturale. Come se avessi appena visto uno splendido fantasma… Ma che sciocchezza! I fantasmi non esistevano! Di certo ero ancora fuori fase a causa del viaggio e del trasloco.
 -Buongiorno a tutti-, disse il professore entrando in aula.
 Un coro scoraggiato di “Buongiorno” fu la sola risposta che riuscì ad ottenere.
 Mi alzai e mi diressi verso il professore consegnandogli il foglio che mi aveva dato il preside Jordan.
 -Ah, sei il nuovo studente… Jason Blake, giusto?- chiese leggendo il mio nome sul foglio.
 -Sì-, risposi. Avevo la strana sensazione che qualcuno mi stesse fissando e sentivo anche di sapere chi fosse la persona in questione.
 -Bene, signor Blake, spero sarà contento di sapere che, per darle il benvenuto, prima ancora di essere a conoscenza del suo arrivo, avevo preparato un bel test a sorpresa sul programma dello scorso anno.-
 -Cosa?!-
 -E’ impazzito!-
 -Ma stiamo scherzando!?-
 I miei compagni di classe accolsero in quel modo la notizia del test a sorpresa.
 -Non ci sono problemi-, risposi in direzione del professore.
 Lui mi guardò un po’ deluso. Forse si aspettava che mi mettessi a piangere disperato, questo perché non aveva ancora letto la mia scheda. Un test di matematica, per me, era solo un passatempo come un altro.
 Mentre tornavo a posto, quasi involontariamente, guardai in direzione di Cassandra. Come avevo immaginato mi stava fissando intensamente, sembrava che volesse scoprire ogni mio segreto con la sola forza del pensiero.
 Distolsi lo sguardo, tentando d’ignorarla, e tornai a sedermi.
 -Devi averla colpita, è la prima volta che la vedo così interessata a un ragazzo-, bisbigliò Nick facendomi l’occhiolino. –Spero che il suo non sia un interesse da Serial Killer, molti dicono che sia un’assassina mercenaria.-
 Mi voltai di scatto a guardarlo e vidi che si stava trattenendo a stento dallo scoppiare a ridere.
 No, Cassandra non era un serial killer, ma di certo non era una ragazza come tutte le altre. Di questo ne ero assolutamente sicuro.
 Prima che me ne rendessi conto erano passate quattro ore ed era arrivata la pausa pranzo.
 Dopo quella prima ora a matematica non vidi più Cassandra Hyde. Più pensavo al suo sguardo e meno mi sentivo tranquillo.
 In mensa presi le uniche cose che mi sembravano commestibili: maccheroni al formaggio, e polpettone con patate.
 Seguì Nick verso un tavolo piuttosto affollato. Che fosse quello della…
 -Salve squadra!- esclamò Nick sedendosi tra due ragazze stupende, erano delle Cheerleader, lo si capiva subito.
 -Ehi, Nick!- lo salutò un ragazzo di colore dandogli il cinque.
 -Come va, amico?!- disse un altro ragazzo alto forse un paio di metri, dandogli una pacca sulla spalla e sedendosi accanto a lui.
 -Ragazzi, lui è Jason Blake-, cominciò Nick presentandomi. –Sì è trasferito qui da New York. Quella vecchia ciabatta di Jordan mi ha chiesto di tenerlo d’occhio.-
 -Salve-, dissi con un cenno della testa.
 -Blake, lui è Kevin Martin, il vice della squadra e mio braccio destro-, disse indicando il ragazzo nero. –E lo spilungone è Tom Komarovskii.-
 -Mio padre è russo-, mi spiegò Tom, probabilmente per giustificare il suo cognome insolito.
 -Gli altri componenti della squadra saranno sparsi qui in giro, appena li acchiappo te li presento.-
 -E noi?- chiese una delle ragazze. –Non ci presenti, Nick?-
 -Giusto, scusate-, disse Nick sorridendo. –Loro sono Julia Bone e Kelly Reynols, capitano e vicecapitano delle Cheerleader.-
 Ci avrei scommesso.
 -Ciao, Jason-, cominciò Julia alzandosi e dandomi un bacio sulla guancia.
 -Blake-, risposi senza fare una piega e con tono piuttosto glaciale. La categoria delle Cheerleader non mi era mai piaciuta, soprattutto visto come mi avevano trattato quelle di New York quando ero ancora un topo di biblioteca brufoloso. -Preferisco essere chiamato Blake.-
 -Va bene, Blake-, rispose lei sorridendomi. Sembrava una gattina spelacchiata che faceva le fusa perché era entrata in calore.
 Non avevo voglia di avere quella ragazza appiccicata addosso ma Nick m’invitò a sedermi e Julia si mise subito al mio fianco cominciando a parlare e a ridere.
 Era bella, su questo non potevo discutere. Capelli lunghi biondi, occhi azzurri e fisico spettacolare: la classica ragazza pon-pon. Ma in quel momento ero ancora troppo soggetto al ricordo di Evelyn perché la mia mente potesse pensare ad altro. Comunque, anche senza Evelyn, dubitavo che la mia mente si sarebbe mai concentrata su una Cheerleader.
 All’improvviso una strana sensazione m’invase. Il collo mi stava formicolando e un brivido mi percorse la spina dorsale. Sapevo chi era.
 Mi voltai lentamente e vidi quegli occhi azzurri come il ghiaccio puntati su me. I nostri sguardi s’incontrarono per un attimo poi Cassandra tornò ad addentare il suo sandwich fingendo di guardare fuori dalla finestra.
 La fissai per qualche secondo prima che Nick mi richiamasse all’ordine chiedendomi come fosse andato il test di matematica.
 Parlavo con loro, ascoltavo i problemi esistenziali di Julia e Kelly riguardo il loro colore preferito di smalto che sarebbe andato fuori produzione entro un paio di settimane, sentivo che i ragazzi stavano parlando dell’ultima partita di basket, ma la mia attenzione era tutta concentrata alle mie spalle, verso l’unico tavolo dove era seduta una sola persona. Sì, perché tutti evitavano Cassandra quasi come una malattia contagiosa. Non c’era nessuno seduto al tavolo con lei, e chi stava seduto ai tavoli vicini non l’aveva neanche guardata.
 A un certo punto avvertii di nuovo i suoi occhi puntati sulla mia schiena e poi più nulla. Che avesse smesso di guardarmi? No, anche prima quando aveva distolto lo sguardo ed io mi ero girato, sapevo che lei era lì, lo sentivo, adesso non provavo più quella strana sensazione.
 Mi voltai curioso verso il suo tavolo e lei… non c’era.
 Era uscita dalla mensa ed io lo avevo saputo senza vederla andare via.
 No, non era possibile. Di certo si trattava solo di un caso. Ma quale sensazione?! Probabilmente era stato solo intuito, avevo visto di sfuggita che aveva quasi terminato il suo sandwich quindi era naturale che dopo pochi minuti si sarebbe alzata per andare via…
 Non c’era proprio nulla di strano o di paranormale. Anche se io continuavo a credere che quella Cassandra fosse una specie di fantasma. Non che io credessi in certe sciocchezze, ma il suo atteggiamento era quello di un fantasma. Viveva senza che nessuno la vedesse o notasse la sua presenza. Nessuno tranne… me.
 -Blake-, mi richiamò Kevin.
 -Sì, dimmi.-
 Dovevo togliermi Cassandra dalla testa. Non aveva nulla di strano, ero io che stavo enfatizzando tutta la situazione.
 -A New York, come stavi messo a ragazze?- il suo sorrisino quasi mi fece venire voglia di prenderlo a schiaffi.
 Certo non pensiamo più a Cassandra però tiriamo in ballo Evelyn, perché no?
 -Mi vedevo con una ragazza ma niente di serio-, risposi sperando che non mi chiedessero i particolari perché altrimenti mi sarei alzato e me ne sarei andato via.
 -Una sola ragazza?- chiese Julia incredula. –Uno schianto come te non aveva la fila fuori dalla porta di casa? Io farei di tutto per una notte di fuoco con te.-
 Bene, avevo trovato qualcuno che voleva violentarmi, ed era solo il mio primo giorno di scuola.
 -Be’ ti ringrazio, ma fino a poco tempo fa non ero tutto questo granché.-
 Finalmente suonò la campanella prima che la situazione si facesse ancora più spiacevole, almeno per il sottoscritto.
 -Dobbiamo andare. Adesso abbiamo Storia, Blake-, mi annunciò Nick alzandosi. –Meglio sbrigarsi,  la Rodriguez non ammette ritardi.-
 -Okay-, risposi alzandomi a mia volta.
 Anche gli altri si preparano a tornare in classe raccogliendo le loro cose sparse per tutto il tavolo.
 -Sai-, mi sussurrò Julia in un orecchio con voce sensuale, -se hai voglia che qualcuno ti faccia compagnia anche fuori dall’ambito scolastico, io sono sempre disponibile. Mi piacerebbe approfondire la nostra conoscenza.-
 Forse non aveva ancora capito con chi aveva a che fare. Non ero uno a cui piaceva andare con la prima che passava, avevo ancora una dignità, probabilmente trasmessami dal quel vecchio gentiluomo inglese di mio nonno.
 -Grazie per l’offerta, ne terrò conto- “…quando i pesci voleranno e i maiali vivranno sott’acqua.”
 Lei mi sorrise e voltandosi cominciò a sculettare verso l’uscita. Non aveva proprio alcun genere di pudore.
 Nick ed io raggiungemmo l’aula di Storia e per fortuna la tanto temuta professoressa Rodriguez non era ancora arrivata.
 Ci sedemmo in ultima fila.
 -Sembra che tu abbia fatto colpo anche su Julia-, cominciò lui guardandomi ammirato.
 -Non per offendere, ma non credo che per far colpo su una come lei ci si debba sforzare tanto-, ero stanco di fingermi felice e contento, avevo solo voglia di prendere a pugni qualcuno ma dovevo trattenermi e aspettare di trovare una palestra dove poterlo fare.
 -In effetti Julia è una ragazza sprovvista di freni. Se vede qualcuno che le piace, ci si fionda addosso senza pensare alle conseguenze, parlo per esperienza personale-, mi fece l’occhiolino e proprio in quel momento decisi di voltarmi verso la porta.
 Come al solito non capivo cosa mi avesse spinto a guardare in quella direzione esattamente quando era entrata Cassandra Hyde. La cosa stava cominciando a preoccuparmi. Sentivo che sarebbe arrivata, non riuscivo a spiegarmelo ma sapevo che sarebbe entrata esattamente in quell’istante.
 Lei mi lanciò una delle sue occhiate degne di un Ice-berg e si sedette in prima fila.
 Non riuscivo proprio a capire cosa diavolo stesse accadendo.
 -Buongiorno a tutti-, disse una voce femminile facendomi scendere dalle nuvole.
 Guardai verso la cattedra e dovetti quasi alzarmi in piedi per vedere chi fosse entrato. Era una donna, con i lineamenti tipici sudamericani, e alta un metro e cinquanta o giù di lì. Era piuttosto tarchiata e i suoi lunghi capelli neri erano costretti in una crocchia alta che le conferiva un’aria seria e soprattutto pericolosa.
 -Ho sentito che c’è un nuovo studente…-, si guardò in giro curiosa mentre inforcava gli occhiali ornati da una pacchiana montatura multi color.
 -Sono io-, risposi alzandomi in piedi.
 Cassandra si voltò e i nostri occhi s’incontrarono di nuovo prosciugando tutto il mio fiato. Non riuscivo a smettere di guardarli, erano magnetici. Avvertivo il mio cuore battere più forte sotto l’influenza di quello sguardo mentre la stanza intorno a me cominciava a svanire lasciando chiaro e vivido ai miei occhi solo quell’azzurro ghiaccio.
 -Pensi che mi dirai il tuo nome entro oggi, ragazzo?-
 Quella domanda mi fece tornare in me.
 -Ah, sì certo…-, mormorai rivolgendomi nuovamente alla professoressa. –Mi chiamo Jason Blake, vengo da New York.-
 -Bene, signor Blake, puoi sederti-, cominciò lei con tono tranquillo.
 Obbedii all’istante
 -Sei fortunato ad essere arrivato proprio oggi. Come vi avevo detto la scorsa settimana in questi giorni ci dedicheremo agli strani e insoliti costumi in uso nel Medioevo. Vi darò tre giorni per portare a termine una ricerca approfondita dell’argomento che vi assegnerò. Lavorerete in coppie, decise da me ovviamente.-
 Nessuno si lamentò o provò a ribattere, evidentemente non conveniva avere reazioni del genere con una professoressa come quella.
 La Rodriguez si sedette dietro la cattedra e prese l’elenco degli alunni.
 -Cominciamo. Tyler e Jonhson: “Cerimonia della creazione di un cavaliere”.-
 Nick mi guardò e sorrise. Poi lanciò un’occhiata soddisfatta al ragazzo moro che stava davanti a noi.
 -Turner e Harrison: “Usanze nel matrimonio”.-
 Due ragazze in seconda fila si guardarono contente.
 -Sullivan e Burton: “I Tornei”.-
 Mi guardai un attimo intorno. Sembrava che tutti stessero evitando di guardare in una determinata zona, e non ci misi molto a capire che si trattava di quella in cui stava Cassandra.
 Certo, era chiaro, avevano tutti il terrore di finire in coppia con lei, per questo attendevano la decisione della Rodriguez respirando appena.
 -Uhm… Blake e Hyde: “La caccia alle Streghe”.-
 D’un tratto tutti si voltarono a fissarmi e solo in quel momento compresi in modo chiaro le parole della Rodriguez.
 Provai a parlare ma quella subito mi bloccò.
 -C’è qualche problema, signor Blake?-
 Certo che c’era! Mi aveva appioppato la stramba solo perché ero quello nuovo!
 -No, nessun problema-, risposi con un mezzo sorriso.
 Maledetta la mia buona educazione!
 -Invece il problema c’è!-
 Mi voltai di scatto verso Cassandra.
 -Perché devo stare in coppia con lui? Anzi, perché devo stare in coppia?! Lo sa che lavoro molto meglio da sola, senza scocciature tra i piedi!-
 Aggrottai la fronte accigliato… Ero io la scocciatura?
 -Cassie, non puoi continuare a lavorare da sola a questi progetti-, esordì la Rodriguez guardandola seria. –Se non accetterai di lavorare con il signor Blake sarò costretta a escluderti da questo compito, e lo sai che una cosa del genere comporterà l’abbassamento della tua media nella mia materia.-
 Cassandra rimase un attimo in piedi continuando a fissare la professoressa poi sedendosi mormorò qualcosa di molto simile a “Okay, lavorerò con quel tizio”.
 Ma che credeva?! Che a me la cosa piacesse?! Neanche ero arrivato e già mi avevano messo in coppia con una specie di psicopatica asociale!
 -Bene-, disse la Rodriguez sorridendo. –Sono proprio contenta che la questione sia stata risolta. Ho sentito dire che tu, Blake, sei un ottimo studente, e Cassie è la migliore del mio corso. Sono davvero curiosa di sapere cosa combinerete insieme.-
 Cassandra si voltò un attimo a guardarmi: i suoi occhi sembravano emanare fuoco. A quanto pareva non le stavo simpatico, e la cosa era reciproca.
 Appena la campanella suonò tutti si alzarono per recarsi alla lezione successiva e stavo per farlo anch’io quando Cassandra Hyde si parò davanti al mio banco.
 La guardai confuso e sorpreso mentre mi chiedevo come avesse fatto a raggiungere il mio banco così velocemente in mezzo a tutto quel marasma di ragazzi, zaini e libri.
 -Aspettami alla fine delle lezioni, dobbiamo parlare della ricerca-, il suo tono era serio quasi come se dovessimo parlare di un segreto di Stato.
 -Sì… Certo…-
 -Perfetto. A dopo-, mi lanciò un altro sguardo glaciale e si diresse verso la porta con un’agilità sorprendente.
 Non riuscivo a capire perché quella tipa ce l’avesse tanto con me.
 -Fossi in te mi porterei dietro un po’ di aglio e un paletto di frassino-, cominciò Nick ridendo.
 Mi voltai a guardarlo.
 -Andiamo è solo una ragazza problematica, mica una vampira-, risposi sorridendo. –Sono sempre stato un tipo con i piedi per terra, quindi non ho paura di lei. Più che altro mi sto chiedendo perché mi odia così tanto, neanche mi conosce.-
 -Ti assicuro che non l’ho mai vista interessata a un’altra persona, né per odio né per amore… Devi avere qualcosa che l’attira.-
 -Forse è la mia indiscutibile bellezza-, dissi ridendo.
 -Sì, sogna pure-, ribatté Nick ridendo e dandomi un pugno sulla spalla.
 Risi anch’io ma non mi sentivo per niente tranquillo. C’era qualcosa di strano in quella ragazza, non sapevo di cosa si trattasse ma sentivo che non era niente di buono. Non era di certo una vampira, un licantropo, un fantasma o qualsiasi altro essere sovrannaturale, ma non era neanche una semplice liceale. I suoi occhi di ghiaccio nascondevano un qualche segreto ed io volevo sapere cosa fosse.
 Magari si trattava semplicemente di cocaina, crack o eroina. A quel punto mi sarei rivolto alle autorità competenti e tanti saluti. Se era davvero una tossicodipendente era mio dovere aiutarla ad uscire da quel giro malsano e deleterio, per poi tornare tranquillamente alla mia vita.
 Alla fine dell’ultima ora mi diressi al mio armadietto per prendere i libri che mi sarebbero serviti a casa per studiare.
 Lo chiusi e per poco non mi venne un colpo: alla mia destra, poggiata all’armadietto, c’era Cassandra Hyde che mi fissava con quei suoi occhi inquietanti e di ghiaccio. Se ne stava con le braccia incrociate come se stesse aspettando qualcosa.
 -Possiamo studiare a casa tua?- mi chiese con tono duro.
 -Ehm…- a casa mia? La mia non era ancora una casa, c’erano scatoloni sparsi ovunque e molti mobili non erano ancora arrivati. In più mia madre girava per casa in preda ad una crisi per mancanza di ordine. Non avremmo potuto studiare in un posto del genere. –Veramente è ancora incasinata a causa del trasloco.-
 -Accidenti-, mormorò Cassandra pestando il piede a terra. –Vorrà dire che andremo da me, in biblioteca non troveremo i libri che ci servono per la ricerca.-
 -Perché da te ci sono?- chiesi chiudendo il lucchetto dell’armadietto.
 -Mio padre gestisce una libreria di libri antichi, non hai idea di quello che sono riuscita a trovare tra gli acari e la polvere.-
 La guardai sorpreso. Fantastico, era una che si dava alle letture sull’occulto. Ci mancava solo questa!
 -Bene, allora vada per casa tua-, dissi sorridendo. Poi la mia buona educazione si fece di nuovo avanti prima che io potessi fermarla. –Comunque io sono Jason Blake, ma puoi chiamarmi solo Blake.-
 Le porsi una mano in segno di pace, sperando che riuscisse a farla svelenare un po’ nei miei confronti. Lei la guardò per un attimo e poi sospirando sconfitta la strinse.
 -Chiamami Cassie, se ti sento solo una volta pronunciare il nome Cassandra ti faccio fuori-, alzò lo sguardo e lo puntò su me. –Non sto scherzando.-
 -Sì, ti credo-, risposi subito cercando di restare calmo. Le minacce sulle labbra di Cassand…  Cassie, risultavano tremendamente reali.
 Stavo per lasciarle la mano quando a un tratto avvertii qualcosa di strano. Come se avessi preso una leggera scossa che poi era scomparsa all’improvviso.
 -Stai bene?- mi chiese lei alzando un sopracciglio.
 -Sì, benissimo-, risposi con una voce piuttosto acuta.
 -Allora potresti restituirmi la mia mano, potrebbe servirmi in un futuro piuttosto prossimo-, mi gelò ancora una volta con i suoi occhi.
 -Scusa-, mormorai mollando subito la presa.
 -Andiamo-, decretò lei voltandosi e camminando velocemente verso l’uscita.
 -Aspettami-, esclamai mettendomi la borsa a tracolla e seguendola. Appena le fui accanto dissi: -Come ci arriviamo a casa tua?-
 Lei mi fissò un po’ accigliata.
 -Ma fai solo finta di essere stupido o lo sei per davvero? Ci andremo in macchina-, detto questo indicò un’auto nera parcheggiata non molto lontano dall’uscita.
 Appena la vidi fu come se un fulmine mi avesse colpito in pieno. Era una…
 -Dodge gtx del ’70-, dissi senza riuscire a togliere gli occhi da quell’auto.
 -Fantastico-, mormorò Cassie con tono esasperato, -mi è capitato anche un patito di automobili, non credo che possa andare peggio di così.-
 Lasciai perdere i commenti di Cassie e mi diressi spedito verso quel gioiello di macchina. Lei mi raggiunse poco dopo mentre io ero troppo occupato ad ammirare la bellezza di quella carrozzeria per prestare attenzione a chi o cosa mi stava attorno.
 -Come l’hai avuta?- chiesi con aria sognante.
 -Me l’ha regalata mio padre per i miei diciassette anni-, rispose lei aprendo lo sportello.
 -Ho sempre desiderato un’auto come questa, ma i miei mi hanno sempre detto che fino a quando frequenterò il liceo posso anche prendere l’autobus.-
 Lei mi fissò per qualche secondo senza dire una parola. Poi prima che potessi intervenire mi lanciò le chiavi della macchina e venne verso di me.
 -Guida tu.-
 -Cosa?- chiesi osservando il piccolo mazzo di chiavi nella mia mano.
 -Se ci tieni tanto puoi guidare tu-, continuò sedendosi al posto del passeggero. –Non ho mai dato importanza alle auto quindi… divertiti pure…-
 Le sue parole ci misero qualche secondo a trovare la giusta collocazione all’interno del mio cervello.
 -Posso davvero?- ero ancora piuttosto incredulo.
 -Se mi farai ancora una domanda del genere, cambierò idea-, rispose lei senza guardarmi.
 -Grazie-, esclamai al colmo della felicità.
 Mi tolsi la tracolla, girai dalla parte del guidatore e salendo lanciai la borsa sul sedile posteriore. Chiusi lo sportello e infilai la chiave. Subito il motore si accese facendo quelle che, per me, erano indiscutibilmente fusa. Sorrisi come un ebete nel sentire quel suono meraviglioso.
 -Uomini-, mormorò Cassie guardando fuori dal finestrino. –Siete come dei bambini. Per farvi felici basta un giocattolo nuovo.-
 Non risposi a quella sua frecciatina. Le ero troppo grato per quell’opportunità, non ce la facevo proprio a ribattere.
 Eravamo in viaggio da più o meno dieci minuti, e in base alle stentate indicazioni di Cassie dovevamo essere quasi arrivati. Aveva parlato poco e niente durante tutto il tragitto. Apriva bocca solo per dire “Svolta a destra”, “Continua dritto” o “Alla prossima gira a sinistra”. A quel punto non potevo più trattenermi.
 -Posso farti una domanda?- chiesi timoroso.
 -Se non puoi proprio farne a meno-, rispose continuando a fissare imperterrita fuori dal finestrino.
 -Perché mi odi?-
 Lei si voltò a guardarmi e i suoi occhi divennero all’improvviso più dolci ma senza perdere la loro decisione.
 -Non ti odio, però… è complicato-, il suo tono era strano e confuso, diverso da quello che aveva usato fino a quel momento.
 -Prova a spiegarmi, sono un ragazzo intelligente e di larghe vedute. Non mi sorprendo facilmente-, risposi con un sorriso, cercando di scavare un buco in quel muro di cemento che Cassie aveva eretto tra noi due.
 -Credimi, questo ti sorprenderebbe-, mormorò con un tono quasi inudibile. –Comunque ti tratto in modo così freddo perché appena ti ho visto mi hai dato una strana sensazione…-
 -Che sensazione?- chiesi curioso.
 -Siamo arrivati-, disse indicando un palazzo piuttosto antico alla nostra destra. –Parcheggia davanti alla libreria.-
 Era evidente che il nostro discorso era caduto e chissà se e quando avrei potuto tirarlo fuori di nuovo.        
 Presi la borsa dal sedile posteriore, restituii le chiavi della macchina a Cassie e una volta sceso dall’auto diedi un’occhiata alla libreria davanti alla quale c’eravamo fermati.
 La vecchia insegna in legno recitava “Antique Books”, nel caso qualcuno, guardando la vetrina del negozio, non avesse chiaro che si trattasse di un negozio di libri antichi. In effetti, guardandomi attorno, tutto il quartiere era composto da case in vecchio stile Ottocento o giù di lì, e avevo come la sensazione che di notte non fosse esattamente un luogo allegro dove poter fare una passeggiata. Nella vetrina del negozio c’erano diversi libri rilegati con pesanti copertine di cuoio e di pelle. Quei volumi dovevano valere un capitale, di certo avevano centinaia di anni.
 Riuscii a leggere qualche titolo. C’era un’antica edizione del Vecchio Testamento, un’edizione de “L’Asino D’Oro” di Apuleio con le scritte in oro, “Il Manuale della Arti Mediche- 1535” e altri volumi i cui titoli non erano molto leggibili.
 -E’ la libreria di tuo padre?- chiesi quando anche Cassie scese dall’auto.
 -Sì, appartiene alla mia famiglia da generazioni. L’aveva aperta un mio antenato che amava collezionare i libri antichi e alla fine tutti gli Hyde amano questo genere di cose. Credo sia nel nostro DNA, abbiamo il “gene del libro antico”.-
 A quelle parole mi era sembrato di scorgere un sorriso sul suo volto impassibile.
 -Piacciono anche a me-, dissi sorridendole. –I libri, qualsiasi tipo di libri, sia antichi che moderni… Sono sempre stato un topo di biblioteca.-
 Lei mi squadrò sorpresa. 
 -A guardarti non si direbbe proprio-, disse ironica.
 -Sì, be’… Un paio d’anni fa non ero esattamente come adesso.-
 Lei mi fissò per un attimo lanciandomi uno dei suoi soliti sguardi di ghiaccio, anche se un po’ più benevolo rispetto a quelli che mi aveva riservato durante le ore scolastiche, e mi fece strada.
 Non entrammo nel negozio ma nell’edificio accanto, passando per un portone di legno piuttosto antico e malridotto. Camminammo fino all’ascensore, vecchio anche quello, ed entrammo, mentre io pregavo che quell’aggeggio non si bloccasse.
 Cassie premette il pulsante per il settimo piano e chiuse la porta di legno con una finestrella di vetro tutto macchiata d’umidità. L’ascensore cominciò a muoversi cigolando ed emettendo rumori poco confortanti.
 Ci mise diversi secondi prima di fermarsi al nostro piano, e la sua lentezza non aveva contribuito a tranquillizzarmi. Uscimmo finalmente da quel trabiccolo- mi ripromisi di prendere le scale per scendere- e ci fermammo davanti ad un’imponente porta in legno antico. Una targhetta recitava “Professor H. Hyde, esperto di Storia”.
 -Tuo padre è un professore?-
 -Insegna Storia alla San Francisco State University-, rispose Cassie aprendo la porta.
 -E la libreria?-
 -Per quella abbiamo una dipendente.-
 Entrai con calma in casa guardandomi lentamente attorno. Dire che ero sbalordito era poco: non era una casa, ero finito nell’attico di un miliardario senza accorgermene. L’appartamento era grande e luminoso, arredato in stile moderno e con tutti i confort che uno potesse immaginare.
 -Seguimi-, disse Cassie facendomi strada.
 Passammo da quello che doveva essere il soggiorno e vidi un enorme televisore al plasma e un grande divano di pelle nero.
 La stanza successiva era la cucina: arredata in modo impeccabile con tutto quello che si sarebbe potuto desiderare.
 -Cassie…-
 -Cosa?- lei mi guardò sorpresa, poi capì. –Ah, avevo dimenticato di dirti che la famiglia Hyde è sempre stata ricca sfondata, mio nonno era nell’industria del petrolio. La libreria e la cattedra universitaria sono solo del passatempi a cui papà non vuole rinunciare.-
 -Stavi parlando di me?- chiese una voce profonda e divertita alle mie spalle.
 Mi voltai di scatto e mi trovai davanti ad un uomo giovane, aveva di sicuro meno di quarant’anni, con capelli castani e gli stessi identici occhi di Cassie. Erano proprio uguali! Però il padre non era inquietante e freddo quanto la figlia.
 -Papà, lui è Blake, un mio compagno di classe-, mi presentò Cassie mentre si toglieva la giacca e la buttava su una sedia.
 -Piacere di conoscerti, sono Hermes Hyde, il papà di Cassie-, mi porse la mano.
 La strinsi titubante. –Piacere mio, signore.-
 -E’ bello conoscere finalmente un amico di mia figlia-, disse lui sorridendo.
 -Non siamo amici-, precisò Cassie trascinandomi via. –Dobbiamo solo fare una stupida ricerca per storia. Andiamo a studiare in biblioteca.-
 Mi scaraventò- letteralmente, non pensavo che una ragazza potesse essere così forte!- in un’altra stanza, prima che potessi rispondere al signor Hyde, e chiuse la porta.
 -Cerco qualche libro che ci può servire. Tu non ti muovere da qui, faresti solo danni.-
 Annuii senza smettere di guardarla poi iniziai a osservare la stanza dove eravamo appena entrati. La parola “biblioteca” era quasi riduttiva. L’intera stanza era piena zeppa di scaffali stracolmi di libri antichi e di vario genere. Era davvero enorme e una grande vetrata proprio davanti a me permetteva a una notevole quantità di luce di illuminare l’intera stanza.
 Cassie sparì dietro a una serie di scaffali mentre io me ne stavo immobile vicino al tavolo da studio che stava al centro della sala.
 Quella casa era strana, quell’atmosfera era strana e quella ragazza era ancora più strana!
 Dove diavolo ero capitato!?
 -Ciao.-
 Sussultai spaventato al suono di quella voce.
 Mi voltai di scatto verso la porta. Una donna bellissima stava in piedi a un paio di metri da me. Aveva lunghi capelli neri, come quelli di Cassie, e occhi azzurro ghiaccio, esattamente come quelli di Cassie! Ma che li facevano con lo stampino in quella famiglia!
 -Salve-, risposi quando ebbi ripreso il fiato che era scappato via per lo spavento.
 Se non avessi saputo che la madre di Cassie era morta avrei subito detto che doveva essere lei. Forse era una zia…
 -Sei un amico di Cassie?- mi chiese lei sorridendole.
 -Forse la parola amico è un tantino esagerata-, dissi cercando di precisare. Non volevo morire, e Cassie poteva essere a portata d’orecchio. –Sono un suo compagno di scuola, mi chiamo Blake.-
 -Piacere di conoscerti-, cominciò lei porgendomi la mano.
 -Con chi ce l’hai? Adesso ti metti anche a parlare al vento?-
 Mi voltai e vidi Cassie venirmi incontro con una pila altissima di volumi.
 -Che sono tutti quei libri?- chiesi spaventato.
 Lei lì poggiò sul tavolo e mi guardò con occhi seri.
 -Questi ci serviranno per l’introduzione. Dì là ce n’è un’altra ventina che useremo per la ricerca vera e propria. Se una cosa deve essere fatta meglio farla come si deve.-
 Era la mia stessa filosofia ma lei esagerava.
 -Capisco… Comunque non stavo parlando da solo-, mi ricordai della sua accusa.
 -Ah, sì? E con chi stavi parlando?- incrociò le braccia con fare ironico.
 -Con tua zia… O almeno credo che sia tua zia.-
 -Mia zia?- il suo sguardo era davvero confuso.
 Sbattei le palpebre un paio di volte.
 -La donna con i capelli neri che sta un paio di passi dietro di me. Non so se sia tua parente ma avete gli stessi occhi e vi somigliate parecchio-, dissi cercando di spiegarmi.
 Cassie impallidì di colpo, e la sua carnagione era pallida già di suo.
 -Tu… Tu… Riesci a vederla?- mi chiese con un filo di voce.
 Aggrottai la fronte confuso. Mi voltai di nuovo verso la donna con cui avevo parlato poco prima: era esattamente dove stava pochi secondi prima e mi sorrideva con calore.
 -Cos’hai bevuto, Cassie? Non ti fa bene sniffare la polvere della biblioteca… Certo che la vedo, è qui con noi in questa stanza-, risposi semplicemente indicandola.
 Lei spalancò gli occhi.
 -Papà!- esclamò. –PAPA’!- questa volta urlò.
 Ma che stava succedendo? Perché urlava in quel modo.
 -Papà! Vieni subito qui!- le sue urla avevano un volume davvero notevole.
 -Che succede?!- chiese il signor Hyde aprendo la porta quasi immediatamente. Mi guardò curioso mentre io alzavo le spalle. –Allora?-
 -Lo vorrei sapere anch’io?- intervenni con calma.
 -Papà…-, cominciò Cassie prendendo un respiro. –Blake riesce a vederla…-
 Ancora con la storia del riuscire al vederla? Era un essere umano, cavolo! Era del tutto normale che io riuscissi a vederla.
 -Lui riesce a vedere tua madre?- anche gli occhi del signor Hyde si spalancarono.
 -Madre?- la mia confusione aumentava. –Ma tua madre non era morta diversi anni fa?-
 Sia il signor Hyde che Cassie si voltarono a guardarmi.
 -Infatti…-, esordì lei con un filo di voce.
 -E allora come spieghi che è qui accanto a me?- chiesi ironico.
 -Perché quella non è davvero mia madre. Quello è il suo… fantasma.-
 Mi voltai di scatto verso la donna che stava un paio di passi alla mia destra. Era reale e sembrava assolutamente tangibile. Non poteva essere un fantasma, i fantasmi neanche esistevano!
 Perciò quei due stavano scherzando, vero?







***L'Autrice***
 Ed eccomi qui con questa nuova storia, che poi non tanto nuova non è visto che giace nel mio computer da più di un anno. Sinceramente ero molto indecise se pubblicarla o meno, prima di tutto perchè non sono sicura che valga davvero e secondo perchè sono ferma alla stesura del terzo capitolo da una vita... ^^' Però ho pensato che forse cominciandola a pubblicare avrei avuto qualche incentivo per continuare a scriverla.^^
 Chi mi conosce sa che accetto qualsiasi tipo di parere, quindi se la storia fa schifo ditelo pure senza problemi, non ci metterò niente a cancellarla a a far finta che non sia mai esistita...^^
 Ringrazio in anticipo tutti quelli che hanno letto questo primo capitolo, con la speranza che siate arrivati fino alla fine senza aver voglia di uccidermi...^^

Un bacio a tutti!   
   
 
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