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Autore: Keiko    28/11/2010    1 recensioni
La ragazza invece è lì in piedi, a poca distanza, a osservare il suo orizzonte personale: quel ragazzo dinoccolato troppo magro e algido e freddo e slavato, per poter appartenere alla terra. La prima volta che l’ha visto, ricorda, è certa di aver pensato fosse figlio della Luna, Draco Malfoy.
“Non sei tornata realmente, vero?”
Lei non parla, non parla mai quando si tratta di sé stessa: ha imparato, negli anni, che è molto più semplice chinare il capo e ascoltare, prima di prendere la parola. “Agli uomini sembra di avere il potere stretto tra le dita, così.”, le aveva confidato sua madre in una delle sere estive in cui l’aveva trovata a sfregarsi gli occhi con forza, nel tentativo di cancellare la traccia di lacrime residue.
“Draco…”
“Lascia perdere, Pansy. E’ colpa mia, giusto?”
Genere: Romantico, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Pansy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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A Sweet Revenge © [31/10/2010]
Disclaimer. Tutti i personaggi di Harry Potter appartengono a J. K. Rowling, agli editori inglesi e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti.
Nessun copyright si ritiene leso.





Lo guarda calciare la sabbia candida sotto i suoi piedi, l’oceano lambire con forza la riva su cui passeggiano a qualche metro di distanza l’uno dall’altra.
A vederli sembrerebbero due giovani qualunque – troppo belli, forse, per essere davvero normali, e a un occhio esterno potrebbero sembrare due modelli di qualche spot pubblicitario televisivo, o di quelli che tappezzano Picadilly Circus a Londra – con lo stesso bizzarro e macabro tatuaggio sull’avambraccio sinistro, a unirli in una promessa di amore eterno.
Lui se ne sta a fissare l’orizzonte privo di sole, dove un mare grigio si tuffa dentro nuvole rapide grevi di pioggia.
Se ne sta lì, le mani dalle dita sottili nascoste nelle tasche dei pantaloni e le maniche della camicia arrotolate sino al di sopra del gomito, i capelli di un pallido biondo che gli coprono parte del viso.
La ragazza invece è lì in piedi, a poca distanza, a osservare il suo orizzonte personale: quel ragazzo dinoccolato troppo magro e algido e freddo e slavato, per poter appartenere alla terra.
La prima volta che l’ha visto, ricorda, è certa di aver pensato fosse figlio della Luna, Draco Malfoy.
“Non sei tornata realmente, vero?”
Lei non parla, non parla mai quando si tratta di sé stessa: ha imparato, negli anni, che è molto più semplice chinare il capo e ascoltare, prima di prendere la parola.
“Agli uomini sembra di avere il potere stretto tra le dita, così.”, le aveva confidato sua madre in una delle sere estive in cui l’aveva trovata a sfregarsi gli occhi con forza, nel tentativo di cancellare la traccia di lacrime residue.
“Draco…”
“Lascia perdere, Pansy. E’ colpa mia, giusto?”
Non si volta mentre le parla, e lei a stento riesce a cogliere le sue parole a causa del vento e del fragore delle onde, per questo è costretta ad avvicinarsi a lui sino quasi a sfiorarlo.
Con delicatezza gli appoggia la mano sulla spalla scoprendo il tatuaggio, identico a quello del ragazzo, sull'avambraccio, poco al di sopra del polso nudo.
“E’ colpa mia se non puoi avere la vita che desideri?”
“Non sono qui per questo, Draco.”
“E per cosa?”
Lei si morde il labbro inferiore – denti bianchissimi e perfetti dentro una cornice color fragola – ma senza staccare lo sguardo da quello di lui.
Se Draco Malfoy potesse raccontare tutta la verità, nient’altro che la verità, sarebbe costretto a riesumare anni di silenzi, di frasi scontate, di stereotipi malamente gestiti: era solo un ragazzino viziato, uno di quelli che potevi trovare ovunque, tra i Purosangue.
Lui era decisamente il peggiore, un Malfoy, eppure l’algida alterigia e l’increspatura del labbro superiore in quel suo tipico gesto di irritazione, non l’hanno abbandonato negli anni.
“Draco, per favore. Ascoltami.”
Lui alza le spalle, allontanandola con quel semplice gesto deciso eppure fragile, con quelle scapole sporgenti che fanno capolino al di sotto della camicia candida.
“Non elemosino la tua attenzione, non l’ho mai fatto nemmeno quando ero una ragazzina.”
“La sei ancora, Pansy, andiamo.”
E la sarai sempre, tu e quel tuo dannato sorriso da bambola e i capelli nerissimi come la notte.
“E’ passato solo un anno da…”
… da?
Lui le punta gli occhi di un cupo grigio antracite addosso, – così simile a quello del mare che hanno dinnanzi da esserne lo specchio – attendendo il seguito di una frase già morta prima di nascere del tutto.
Per Draco Malfoy la vita ha smesso di essere tale già da tre anni, ormai, da quando quel marchio che ha bramato sin da quando era bambino si è trasformato nel più atroce dei mementi: uccidi, o ti toglieremo ciò che possiedi di più caro, Draco Malfoy.
Uccidi, o verrai ucciso.
Ed è stato così stupido da aver perso proprio tutto.


Pansy Parkinson era distesa lì, accanto a lui, immersa tra le lenzuola candide di una camera austera e asettica, di quelle che non ti aspetteresti mai da una famiglia come quella dei Malfoy.
"Ma che hai fatto?"
“Avevo voglia di distruggere qualcosa di bello ..."
E lei aveva riso, coprendosi il viso con la mano destra e tuffandosi di nuovo sotto le coperte, i lunghi capelli corvini sparsi sui cuscini come ombre della notte.
Era l’unica cosa che Draco fosse riuscito a dirle di davvero carino da quando lo conosceva, quella.
Nell’ultimo anno era cambiato: la prigionia di Lucius era stata per lui l’onta peggiore, il timore concreto e disperato di vedere il proprio padre morire da un momento all’altro, di fallire – e lui era maledettamente bravo a sbagliare tutto – e perdere anche la propria madre per mano di quello che aveva creduto un eroe sin da quando ne aveva memoria.
Della sua vita, in fondo, aveva poco riguardo: di morire, aveva una paura folle; di vedere morire i propri genitori e sopravvivergli, decisamente di più.
Anche Pansy era stata un puntolino nero, lontano e fastidioso, l’irritante presenza silenziosa che non faceva domande ma capiva benissimo tutto quanto dai suoi gesti nervosi, dallo sguardo sempre troppo vigile, dalle dita che saettavano verso la bacchetta al minimo rumore che lo coglieva di sorpresa.
“Sei felice che tuo padre sia di nuovo a casa, vero?”
Draco non aveva risposto, continuando a intrecciare e disfare attorno al proprio indice una ciocca di capelli della ragazza con distrazione, assaporando il profumo del corpo di Pansy accanto al proprio, l’incarnato pallido, i capelli morbidi e dal profumo di agrumi – di quell’estate che gli sembrava Pansy si portasse sempre appresso – e tutto l’orizzonte della brughiera a piegarsi a quel loro affetto primitivo, i raggi di un violento sole estivo a giocare sulla schiena nuda della ragazza a formare coni di luce e ombre sottili.
Conoscere Draco Malfoy – amarlo, con la devozione con cui l’aveva atteso per sette anni quasi – significava imparare ad interpretare il significato delle sue pause e dei suoi silenzi.
Gli avevano imposto di scegliere: una vita per una vita, ecco cos’era accaduto.
Aveva venduto Albus Silente e Hogwarts ai Mangiamorte, tutto pur di riavere suo padre.
A Draco piaceva guardare Pansy dormire: l’aria, tutt’attorno, aveva una consistenza differente, più pesante eppure leggera quando c’era lei, come se dalle labbra dischiuse della ragazza potesse uscire la vita che a lui – nell’ultimo anno – era stata sottratta.
Pansy non era buona, né poteva dirsi bella come sua madre, ma era sanguigna, passionale, della stessa violenza dei temporali estivi.
Pansy Parkinson era un temporale estivo, una fotografia della sua adolescenza lavata nel nero di un tatuaggio maligno: il memento della sua debolezza impresso sulla sua carnagione pallida, il ricordo di aver fallito ancora e ancora e ancora.
Perché se fallirai, ti toglieranno ciò che di più importante possiedi.


“Voglio anch’io il marchio, Draco.”
“Non essere stupida, Pansy.”
La stessa camera da letto al Malfoy’s Manor, gli stessi due adolescenti di qualche mese prima, le vacanze di Natale e Hogwarts ad attenderli nonostante la sua ridicola fama.
Perché nessuno di loro era più al sicuro lì, come in ogni altra parte del Mondo Magico: tutti erano sotto scacco del Re Nero.
Pansy era seduta sul letto di Draco, fogli candidi carichi di appunti riempiti della sua scrittura minuta e tendente verso destra che di femminile non aveva nulla, se non la rotondità di alcune vocali, in attesa della risposta del compagno.
“Lo farò comunque, lo sai.”
“Perché devi immischiarti in cose che non ti riguardano?”
“Posso aiutarti, tu da solo non ce la farai a sopportare tutto quanto.”
“Smettila di giocare alla guerra, le donne come mia madre restano a casa ad aspettare i loro uomini.”
Draco si era chinato verso di lei e aveva indugiato un istante di troppo sullo sguardo della ragazza, cercando di far cedere quelle due pozze nere alla freddezza delle proprie.
Sudditanza, ecco cosa doveva conoscere la sua futura moglie: le regole del chinare il capo e sapere quando occorreva lasciare il posto al silenzio.
“Io non sono come tua madre, Draco!”
“Sei una Purosangue, no?”
“Ma non sono come tua madre. Io voglio combattere al tuo fianco.”
“Saresti solo un peso. Non siete adatte alla guerra voi donne, guardati: le dita sottili, i capelli sempre curati e al proprio posto, le labbra lucide. Pensi davvero di poter uccidere un uomo?”
“Tua zia lo fa.”
“Bellatrix è pazza, Pansy.”
“Tutti quelli che credono in qualcosa sono pazzi, per te?”
“Non fare le tue solite domande a trabocchetto.”
Pansy Parkinson aveva il dono di calmarlo e irritarlo con la medesima facilità, e quelle sue domande esistenzialiste – vere, indiscutibilmente, ma che andavano a colpirlo là dove era più vulnerabile, un’alcova in cui lei era già entrata troppo spesso comunque – avevano il potere di fargli perdere le staffe piuttosto velocemente.
“Voglio una risposta Draco. Io credo in te: sono pazza, allora?”
Lui l’aveva osservata ancora per un istante, poi si era sollevato in piedi e aveva sorriso, le labbra che andavano a incurvarsi sul lato sinistro del viso e gli occhi che acquistavano una luce nuova, più maligna.
“Si, sei pazza. Ed ora levati dai piedi Pansy, non ho voglia di discutere ancora di questa storia.”
“Un giorno capirai che perdere le persone che ti amano davvero è la più grande delle sconfitte.”
“Non iniziare a parlare come quella sporca mezzosangue della Granger, per favore. Ho la nausea al solo pensiero.”
“Sai cosa penso? Che tu abbia paura delle aspettative che hanno gli altri nei tuoi confronti, per questo mi stai parlando in questo modo.”
“A me non interessa nulla degli altri.”
“Nemmeno di me?”
“Esattamente.”
“Dato che io sono gli altri, Draco, farò ciò che ogni altro si sentirebbe in diritto di fare.”
Questa volta era stata lei a sollevarsi in piedi, portandosi dinnanzi a lui, le guance imporporate dalla rabbia che solo quell’idiota di Malfoy sapeva farle salire dentro in modo tanto naturale.
“E cosa? Iniziare a blaterare come una femmina qualsiasi di amore e grandi sentimenti?”
Pansy aveva stretto i pugni lungo i fianchi ma non aveva accennato né ad abbassare lo sguardo né a indietreggiare: una cosa del genere avrebbe significato perdere, e lei non era abituata a stare lontana dal podio dei vincitori.
“Farò ciò che voglio, no?”
“Fa' come ti pare.”
Le aveva voltato la schiena, osservando il sole tramontare rapidamente oltre la brughiera che circondava il manor e immergersi in una notte senza luna.
Come faceva il sole a tramontare in modo così veloce, quando per compiere l'intero giro della volta celeste occorreva una giornata intera?
A Draco era sembrata una bizzarra metafora della vita che lenta scorre verso la morte, e quando questa arriva, dura il tempo di un battito di ciglia.
Aveva atteso di udire la porta della sua stanza richiudersi, il segnale eloquente che la conversazione con Pansy era conclusa.
Perché l'amore riusciva a rendere le persone così tanto sciocche? Disposte a qualsiasi cosa pur di non perdere l'altro, in modi così stupidi e frivoli che a Draco sembrava impossibile che quella fosse la Pansy Parkinson che conosceva da anni.


Lui non avrebbe mai capito, né sarebbe mai riuscito a concepire, un gesto come quello che aveva compiuto lei, nonostante fosse così dannatamente simile al suo: per amore, solo per amore, ecco qual'era i motivo. Che fosse per Lucius Malfoy o per Draco Malfoy, il marchio era stato impresso sui loro avambracci per lo stesso motivo: per proteggere e preservare qualcosa di più importante del Mondo Magico, delle leggi e della lealtà a una scuola morta con Albus Silente.
Pansy aveva avuto paura – un brivido sottile che le serpeggiava dalla gola alla schiena accompagnando l’aria che inspirava rapidamente, al ritmo incessante del battito del suo cuore impazzito. Davvero riusciva a correre tanto veloce per qualcosa che non fosse Draco? – quando Bellatrix aveva preso a girarle attorno con un sorriso mefistofelico stampato in viso, gli occhi che le brillavano come zaffiri illuminati dalla luna, febbricitanti, e Pansy era certa che fosse in preda alla febbre di una follia che l’aveva colta forse nell’esatto istante in cui il marchio aveva preso a bruciarle sulla pelle. Anche lei sarebbe diventata come Bellatrix? Pazza di un amore che non aveva nulla a che vedere con quello che provava per Draco, con quello che credeva fosse amore giusto, corretto da provare per un altro essere umano. Non era certa fosse ugualmente sano, un amore che ti legava a una causa che ti divorava dall’interno sino a ridurti a uno scheletro fuori, ma ormai era tardi per realizzare che il suo futuro, ora, era incerto come il cielo di Edimburgo.
A sedici anni hai ancora tutta la vita davanti per rimediare ai tuoi errori, e sei convinto che avrai sempre il tempo per rifarti su tutto quando le cose andranno male: cadere e rialzarsi, è questa la vita.
A sedici anni non puoi sapere come andranno le cose ma hai tutta la speranza che deriva dalla tua adolescenza a farti credere che tutto andrà per il meglio, che quelli non sono errori, ma al massimo incidenti di percorso: e nulla, in quel momento, le sembrava un errore.
Stava correndo incontro a Draco, lo stava inseguendo da tempo e le mancava così poco per raggiungerlo e restare al suo fianco... così poco.
La bacchetta dell’Oscuro Signore aveva bruciato come fuoco a contatto con l’avambraccio, una scia di inchiostro nero a scorrerle sotto pelle formando il marchio di Lord Voldemort anche su di lei, un’altra pedina – preda -, un altro tassello di quella tela di ragno che stava lentamente ricoprendo ogni cosa, ogni vita, ogni via di fuga.
Aveva serrato gli incisivi sul labbro inferiore sino a farlo sanguinare, ma non aveva gridato, ed era rimasta con l’avambraccio scoperto su cui bruciava un inchiostro maledetto che sentiva scivolarle dentro le vene e mischiarsi al suo stesso sangue, un inchiostro che avrebbe spazzato via tutto il suo futuro con la forza impetuosa delle onde contro le scogliere di Moher.
Era quello il suono che udiva: onde alte decine di metri che tentavano di ghermirla per trascinarla giù, verso l’abisso.


A Hogwarts niente era più come prima, e la morte di Silente era stata la causa scatenante di un moto perpetuo fatto di incertezze e paure.
Draco Malfoy non si era arreso, aveva atteso il momento propizio per far entrare i Mangiamorte a Hogwarts ed eliminare tutto ciò che ancora era legato a Potter e a quella stupida convinzione che il Mondo Magico potesse salvarsi.
Alla battaglia avevano partecipato tutti, anche chi a Hogwarts quell'anno non si era proprio visto, come Potter, la Granger e Weasley.
Quello che però aveva provato nell'evocare il Marchio Nero sulla scuola, Draco non l'avrebbe mai dimenticato: un senso di assoluto potere, il richiamo alle armi di una battaglia senza precedenti che li avrebbe di certo visti vincitori.
Non era mai mancato il coraggio a Pansy, con quell'aria di superiorità che l'accompagnava sempre e che ricordava al mondo che lei era una Purosangue, un destino già deciso da anni assicurato tra le dita.
La vita segue percorsi strani, inizia per caso e finisce quando non te lo aspetteresti mai: per Pansy, era avvenuta la stessa cosa.
Draco si era trovato dinnanzi Ninfadora Tonks, la bacchetta spianata contro di lui, e aveva esitato un istante, uno solo, perché lui era un ragazzino, non certo un Mangiamorte come Bellatrix Lestrange o lo stesso Lucius Malfoy.
Erano solo dei ragazzini, quelli: con che diritto strappargli la vita?
“Avada Kedavra!”
La voce di Pansy Parkinson aveva saettato oltre le spalle di Draco, superando Ninfadora Tonks e colpendo mortalmente Remus Lupin, la bacchetta puntata in direzione di Draco a cui, ne era certa, non avrebbe lasciato via di scampo.
A quel punto per la metamorfomagus la scelta di risparmiarli non era nemmeno da prendere in considerazione, e aveva di puntato la bacchetta contro Pansy senza esitazioni – il volto rigato di lacrime -, scagliando la sua Maledizione Senza Perdono verso di lei.
Draco l'aveva vista cadere a terra con la leggerezza di una farfalla, i capelli corvini a coprirle il volto e l'avambraccio su cui spiccava il Marchio Nero scoperto.
Era rimasto a guardarla per un'eternità, pregando che si rialzasse, che fosse tutto un incubo maledetto ma era stato lui a richiamare quell'orrore sulle loro vite, lui soltanto a scatenare per la seconda volta la battaglia, e lui era di nuovo sopravvissuto.
“Avada Kedavra!”
Lui non sarebbe morto, non in quel momento: doveva portare al sicuro Pansy, poterle concedere ciò che non le aveva mai dato in vita per paura di risultare molto più debole e codardo di quanto non fosse in realtà, e aveva colpito la sua nemica senza riflettere, spinto dal desiderio di allontanarsi da lì.
Non gli importava della morte di nessun altro – nemmeno della propria – gli importava solo di poter stare con Pansy ancora un poco, chiederle perdono per tutto quello che non aveva saputo fare o dire, per tutto quello che avrebbe potuto darle ma che non era riuscito a offrirle.
Con lei era sempre stato più semplice atteggiarsi con quel fare spavaldo - anche se lo comprendeva benissimo che era tutta finzione-, ed era il loro modo di scontrarsi a renderli unici l'uno per l'altra.
Tutti i ricordi erano stati lavati nel nero del Marchio e di una battaglia che gli apparteneva sino al midollo solo per costrizione, e ogni cosa – ogni sensazione – era stata tatuata da quell'inchiostro maledetto che li aveva legati in modo indissolubile in un destino che avrebbe reso perdenti anche i superstiti.
Accanto al corpo privo di vita di Pansy, Draco si era lasciato cadere in un pianto disperato, di un ragazzo che ancora non era uomo e che aveva realizzato come, la perdita, fosse una voragine di disperazione che andava tingendo ogni parte del suo mondo di nero, segnando per sempre tutto quello che vedeva, che sentiva, che sarebbe stato in un futuro senza di lei.
Aveva preso ad accarezzarle i capelli, dita sottili che ora tenevano strette filamenti di seta nera e vetri rotti di ricordi ormai perduti, di sogni spezzati di un futuro che non avrebbero mai potuto possedere.
Che senso aveva vivere senza poter avere ciò che si desiderava?
Una sola felicità, la più grande, negata per sempre: che senso aveva andare ancora avanti, spingersi oltre un orizzonte segnato per sempre dal volto di una donna che aveva fatto propri i colori del tramonto?
Lacerare nubi di desideri e sogni con l'amarezza del rimpianto, diradarle sino a trovare di nuovo la luce.
Una luce che non sarebbe mai stata come quella viva e violenta di Pansy.
Mai.

Draco non solleva lo sguardo su Pansy, non lo fa perché al solo tocco un fiume di emozioni e ricordi l’hanno investito e quell’ultima parte non la vuole proprio tirare fuori da dove l’ha nascosta.
“Che senso ha tornare dopo un anno?”
“Tutto il senso del mondo, Draco. Quello di rivederti.”
“Ho un’altra vita, ora.”
Non aggiunge altro, lei esita un istante ancora prima di decidere di sfiorargli la mano con la propria.
E’ una punizione quella che gli sta infliggendo?
Per averla fatta soffrire, per non averla protetta, per aver lasciato che la portassero via per sempre. Pansy gli ha offerto tutto ciò che possedeva senza risparmiarsi mai, e lui cosa le ha donato in cambio, a parte dolore barattato con amore?
“Pansy ti prego...”
Ogni cosa, in quell’ultimo anno, gliel'ha riportata alla mente, gli ha fatto ricordare come era stato semplice – per lei – amarlo sino alla fine, giorno dopo giorno senza chiedere nulla in cambio e accontentandosi di ciò che riceveva: una parte infinitesimale di affetto, se paragonata all'immensità del suo amore.
“Pansy, mi sposo.”
Lei lo guarda sorpresa, lo sguardo che si è finalmente staccato da lui per perdersi sul tramonto che li ha colti quasi impreparati con le proprie tinte sanguigne.
“Chi è la fortunata?”
“Astoria Grengrass. Mi dispiace, te lo giuro, ma non potevo fare altrimenti. Tu... tu non ci sei più, come posso credere di vivere per sempre nel tuo ricordo? Non posso permettermelo, Pansy.”
“Sii felice, Draco.”
“No, aspetta! Aspetta...”
La voce di Draco è un grido che scivola in un sussurro a sé stesso quando il sorriso di Pansy svanisce nel nulla.
Il suo sorriso malinconico, quello che le ha visto indossare ogni volta che l'aveva delusa, ed è riuscito a renderla triste anche ora, dopo la morte, oltre il Velo: sarà una tristezza che dura un'eternità?
Alcuni bambini giocano sulla spiaggia, e Draco riesce a sentire le loro risate sterili, mentre un fuoco crudele sembra bruciargli il cuore, di cui rimarrà solo cenere per Astoria.
Osserva le proprie mani che stringono un niente di sabbia e ricordi, mani che non hanno saputo difendere la cosa più genuina e pulita che la vita gli avesse mai concesso: qualcosa che l'aveva accettato per quello che era, non per il suo cognome.
Forse è stata la giusta punizione per ripagarlo di ogni errore suo e di suo padre, ma Pansy era innocente, non c'entrava nulla con loro.
Come può il sole tramontare così velocemente?
Se lo domanda così come se l'è chiesto altre decine di volte, e si rende conto di come sia vicino alla metafora della vita di Pansy, quel tramonto struggente.
Draco è certo che un giorno Pansy avrà una vita bellissima, lo sa che sarà una stella nel cielo, ma perché quel cielo non può essere il suo?



Note dell'autrice. Storia scritta per il contest "Club dei Duellanti" indetto sul forum di EFP. Storia classificatasi al 16° posto. La storia è basata sulla canzone "Black" dei Pearl Jam.

Disclaimer. Tutti i personaggi di Harry Potter appartengono a J. K. Rowling, agli editori inglesi e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti. Nessun copyright si ritiene leso.
   
 
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