Fanfic su artisti musicali > The GazettE
Segui la storia  |       
Autore: baka_the_genius_mind    29/11/2010    10 recensioni
Aoi ha sempre vissuto nel buio, al freddo e isolato dal mondo. Quando la luce per la prima volta fa capolino nel suo cuore gli sembra di morire.
Uruha ha sempre vissuto sotto ai riflettori, scaldato dall'amore e dalla famiglia. Quando questo calore manca all'improvviso gli sembra di morire.
Quale sarà il prodotto dell'unione fra Tenebre e Luce?
[Dedicata ad Aelite.]
[Terzo Capitolo: Otanjobi Omedeto, Aelite.]
[Quinto Capitolo: Auguri, Aelite. E mille volte arigato.]
Aggiunto avviso dell'autrice.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aoi, Uruha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A














Capitolo Quattro •

How can I help you?




- Aoi -




«Portami là.»

La mia voce era ridotta al sibilo minaccioso di un serpente. Se avessi potuto reincarnarmi in tale bestia, avrei spalancato le fauci, facendo scattare nervosamente la coda, pronto a colpire a morte.

«No.»

Un tuono squarciò i miei pensieri e io trasalii violentemente.

«Me l'hai proposto tu. Tu. Non rimangiarti le tue parole per una stupida...» la parola gelosia mi si strozzò in mezzo alla gola. Yutaka ci stava ascoltando da quando Ryo si era voltato con uno scatto verso di me, urtando qualcosa di ceramica che era andato in frantumi contro il pavimento di marmo.

Io non potevo dirgli che l'avevamo tradito. Non potevo.

«Non ti lascio otto ore sotto al diluvio.»

«Ho un ombrello.»

Mi rispose con uno sbuffo ironico.

Dei del cielo, quanto odiavo l'accondiscendenza con cui mi trattava; la sensazione che mi dava era simile a quella scaturita dalla compassione che la gente comune provava nei miei confronti.

Proveniente da lui, poi...

Sembrava che si fosse improvvisamente dimenticato delle mie richieste.

Fin dai primi timidi giorni della nostra relazione, l'avevo supplicato affinché non provasse pena per me, l'avevo implorato perchè mi trattasse normalmente, l'avevo pregato di non considerarmi come una preziosa bambolina di cristallo, così fragile e delicata da rischiare di andare in frantumi con una carezza, ma come un uomo fatto di carne e sangue, del tutto uguale a lui

Mi aveva dato ascolto, si era sforzato di vedermi come un essere umano e non come una rosa pregiata da mettere sotto una teca di vetro. Ma tutti i suoi sforzi si erano esauriti e spenti nel giorno in cui aveva conosciuto Yutaka.

«No. Ed è la mia ultima risposta.»

A volte trovavo complicato comprendere le innumerevoli facce della bolla di sentimenti che mi esplodeva nel petto ogni qual volta mi azzardassi a rivolgergli un pensiero. Riconoscevo una devozione simile a quella di un fedele per il suo dio, l'amore sacro di una madre per i figlio, il desiderio carnale di una bestia in calore, l'amarezza, il dolore e la rabbia cieca di un tradimento.

Ma c'era qualcos'altro di intrinseco al pugno allo stomaco che mi raggiungeva ad ogni sua parola, un qualcos'altro che, nonostante tutto, non riuscivo a ricondurre a nulla di conosciuto. Come se non fosse abbastanza penoso amare follemente senza essere corrisposti.

«Bene!» ringhiai, così furiosamente che sentivo l'illusione di un fischio portare disordine nel precario equilibrio del mio udito.

Mi voltai camminando alla cieca, evitando per pochi millimetri i mobili dell'ingresso di cui conoscevo l'esatta posizione.

Avevo passato mesi, anni, in quella casa, una quantità infinita e spaventosa di occasioni per imparare a muovermi con la lenta e pacata scioltezza di un fluido. Yutaka abitava con noi da due anni, eppure quell'appartamento era per lui ancora un enigma di difficile soluzione. Casa sua, il suo nido, il luogo dove avrebbe dovuto proteggerlo e abbracciarlo gli si rivoltava contro con rabbia, ferendolo, umiliandolo.

«Bene!» ripetei, sempre più furibondo man mano che passavano i secondi.

Mi aggrappai allo stipite dell'arco che portava in corridoio e il rumore che feci sbattendo la spalla contro la mensola non riuscì a coprire neanche parte del sussurro di Yutaka che chiamava spaventato il mio nome.

«Ryo...» mormorò poi, chiamando in aiuto proprio la causa della mia ira.

Sentii i suoi passi pesanti raggiungermi e quasi sperai in un suo tocco, nella sua mano sul mio braccio, non importa se violenta e brutale. Ma fin dal primo passo che avevo compiuto scendendo dalla sua auto il giorno prima era stato palese che aveva preso seriamente le mie parole.

«Yuu, cosa stai facendo?»

Di nuovo quell'odioso pugno allo stomaco, quella disgustosa sensazione di paura. Ebbi improvvisamente voglia di sfogare la mia rabbia suonando.

«Ci vado da solo.»




- Uruha -




La pioggia mi cadeva affianco, scivolando sull'ombrello e sfiorandomi le scarpe.

Lui non era venuto.

Non era venuto e non sarebbe venuto. Stavo in piedi accanto a quella panchina da due ore, e per due ore non avevo fatto altro che aspettare, l'intestino arrotolato come una spirale, cercando scuse plausibili e illusorie che giustificassero la sua assenza.

«Domani mattina, qui.»

Me l'aveva detto lui, me l'aveva promesso.

Potrebbe non essere mattiniero come te, Kouyou, e magari aver pensato di venire più tardi.

Quella mattina mia madre aveva cercato di dissuadermi dal partire. Lo stesso, intenso desiderio di vicinanza con cui io avevo cercato di farla traslocare nelle nuove villette che avevano costruito accanto al mio condominio aveva fatto tremare la sua voce. Per rafforzare le sue richieste aveva addotto la partenza di Maiko -non riuscendo a pronunciare il suo nome senza intingerlo nel disprezzo-, le mie condizioni di salute. Mio padre ci aveva guardato bisticciare affettuosamente: i suoi occhi avevano fatto spola dal mio volto a quello della moglie lentamente; aveva elargito a me sguardi stanchi e sorridenti, quasi scusandosi per quella materna e apprensiva invadenza, e a lei sorrisi comprensivi e malinconici. Aveva chiuso il discorso dandomi una pacca sulla spalla e cingendo le spalle ricurve di mia madre.

Ero uscito dalla casa in cui ero nato con la promessa di rifletterci, ma con la convinzione di averle mentito.

Piove l'ira degli dei, Kouyou, non puoi pretendere che venga.

Takanori mi aveva chiamato, durante il tragitto di ritorno verso il centro di Kyoto. Con la voce sottile mi aveva avvisato della sua prossima partenza: il contratto di Shirogane era stato annullato, lo spettacolo teatrale che avrebbe dovuto costringerli a rimanere per almeno un mese cancellato. Sarebbero rimasti ancora per qualche giorno, nella flebile speranza di ottenere per lei un altro ingaggio, poi sarebbero ripartiti alla volta della camaleontica Tokyo, con la certezza di trovare là un parte.

Avevo cercato di mentire anche a lui, di tranquillizzarlo riguardo la mia salute, ma lui non aveva voluto sentire storie. La sua voce avvilita che si scusava per aver illuso entrambi di poter passare un mese assieme aveva dato i natali ad un nodo di disagio, nel mezzo del mio stomaco, duro e contratto.

Perchè dovrebbe fidarsi di un estraneo, Kouyou? Perchè dovrebbe voler incontrare nuovamente una persona con cui ha scambiato solo qualche parola?

Scossi l'ombrello solo per vedere una cupola di gocce d'acqua unirsi alla pioggia e cadere attorno alle mie scarpe; poi cambiai mano, infilando quella ghiacciata nella tasca del mio cappotto.

Gli ultimi chilometri li avevo percorsi col piede incollato all'acceleratore.

Dopo aver respirato nuovamente dopo mesi l'odore di famiglia -spaventosamente intriso e simile a quello di Aya-, dopo essermi strappato a forza dalle sue catene, dolci, rassicuranti, calde e amorevoli, ma pur sempre catene, dopo l'avvicinarsi rapido di un altro, involontario abbandono, tutto ciò che volevo era perdermi dentro l'oblio ghiacciato di quelle iridi, staccare la spina e spogliarmi della realtà per immergermi nelle inquiete acque gelide degli occhi di Aoi.

Perchè dovrebbe voler rivederti? Solo perchè tu ti sei scioccamente infatuato di quello sguardo glaciale e smarrito, credi sia lo stesso per lui?

A distanza di due giorni, ancora non riuscivo a capire cosa mi avesse tanto affascinato in lui. Era bello, indubbiamente, ma quell'aura angelica che la mia mente ottenebrata di buio gli aveva attribuito, era risultata essere circoscritta solo a quegli occhi miracolosi. Quelli di Takanori erano naturalmente più accesi, indubbiamente più vivi, ciononostante non riuscivo a comprendere il meccanismo secondo cui venivano costantemente surclassati a favore di quelli di Yuu.

Un goccia forzata dal vento si scontrò contro sul mio naso, scivolando fino alle labbra.

Ebbi improvvisamente voglia di sfogare la malinconia scrivendo.




- Aoi -




«Yuu...»

Se Ryo riusciva a piegarmi al suo volere con solo due dita, Yutaka ce la faceva con un sussurro. Gli dei solo sanno quanto avrei voluto essere così forte da non subire le persone che amavo.

«Yuu, ti prego...»

Finii di abbottonarmi i pantaloni, facendo poi scorrere le mani sulle gambe alla ricerca di una piega storta, di uno strappo o di qualsiasi cosa che potesse attirare l'attenzione e i pettegolezzi della gente; repressi il pensiero molesto che mi si era formato, ma quello scivolò sinuoso fra le mie barriere come l'acqua fra le dita.

Era Ryo che pensava a me.

Era Ryo che si preoccupava che fossi in ordine quando uscivo di casa, di avvertirmi che avevo una scarpa slacciata, era lui che mi sistemava i vestiti sul corpo, barattando queste piccole attenzioni con un bacio quando stavamo insieme, con un timido sorriso da quando non eravamo più una cosa sola.

Sospirai gravemente. Non trovando nulla di anormale in quei jeans, affondai le mani nel cassettone, afferrando a casaccio uno dei numerosi maglioncini neri che lo riempivano.

Shirogane in persona si era premurata di descrivermi con estrema dovizia ogni singolo capo d'abbigliamento che aveva varcato la soglia del mio armadio. Era lei che pensava al mio look, le avevo lasciato carta bianca.

L'unica condizione irremovibile che avevo posto era stata il colore.

«Yuu, mi ascolti?»

Emisi un secondo, profondo sospiro.

«Ti ascolto.»

Sentii i suoi passi felpati sul tappeto e poco dopo avvertii il calore della sua mano poggiarsi a metà schiena; il rumore della pioggia era fastidioso per me, ma col tempo avevo imparato ad isolarlo. Tuttavia i tuoni che squarciavano l'aria improvvisamente erano come fruste per la mia mente e dopo ventotto anni ancora non avevo trovato una maniera per placare il terrore folle che mi prendeva il cuore ogni volta che sentivo il cielo rombare in lontananza.

«Non ti ho mai chiesto nulla, Yuu. So di non averne il diritto.» la sua mano si mosse lentamente fino a raggiungere il gomito e da lì scivolò agilmente sul braccio «Ma... ti prego... ho bisogno di sapere cos'è successo fra te e Ryo. Ne ho bisogno.»

Credimi, Yutaka, non lo vuoi sapere.

«Niente.»

Lo sentii trattenere il respiro, frustrato, ma di una delusione appena accennata; diceva di non avere su di me nessuno diritto, nemmeno quelli che si sviluppano col nascere di una profonda amicizia. Avrei preferito che si arrogasse quei diritti, che fosse convinto della loro giustezza e che, in nome di quelli, mi prendesse per una spalla, mi scrollasse, mi costringesse a reagire, a parlare.

Volevo che mi desse il via libera per accusarlo di tutto il dolore che covavo nello stomaco; ero certo che l'avrebbe accolto tutto fino all'ultima goccia, sorridendo e invitandomi a continuare a sputargli addosso veleno, ma l'ironia del destino voleva che la persona che indirettamente mi aveva frantumato il cuore fosse anche quella che mi aveva salvato, ricucendo ogni piccola ferita, accarezzandola e baciandola per accelerarne la guarigione.

«Yuu, ti prego, ho bisogno di-»

«Vi ho sentiti, Yutaka.» capitolai interrompendolo, e lo feci con un sospiro stanco e con l'amaro in gola.

Le sue parole vennero inghiottite dalla mia frase dal tono rassegnato.

«Io... non capisco, Yuu...»

«Vi ho sentiti mentre facevate l'amore.»

Mi illusi di poter sentire la sua gola chiudersi, rifiutando il flusso d'aria ai polmoni.

Scostai con delicatezza la sua mano e, cercando a tatto l'etichetta, individuai il verso giusto del maglioncino per indossarlo; ne lisciai accuratamente ogni piega, tendendolo sopra il torace.

Sospirai.

«Yutaka, non è colpa tua.»

Quando trovò la forza di mormorare, la sua voce era flebile, il suo respiro spezzato.

«Sì, invece. Non avrei mai dovuto essere così... egoista.»

Sbuffai una risatina. «Ryo si era innamorato di te; anche se tu avessi compiuto una grandissima opera di altruismo e carità» sputai fuori questa parola velenosa con astio «ciò non sarebbe cambiato.»

Mi prese di nuovo il braccio, timorosamente, temendo quasi che potessi scrollarmelo via di dosso. Sorriso intenerito.

Credi davvero che riuscirei a starti lontano, Yutaka?

Sentii il suo volto posarsi sulla mia spalla e le lacrime bagnarmela.

«Perdonami...» bisbigliò fiocamente, stringendo la presa sulla mia pelle a tal punto che mi parve di sentirla bruciare sotto le sue dita «Io non... non avrei mai dovuto, mai... Lui ti ama, non dovevo intromettermi...»

Lo zittii, trovando le sue labbra dopo avergli accarezzato una guancia con la punta delle dita.

«Ha smesso di amarmi tempo fa, Yutaka. Ora come ora mi considera solamente un intralcio che non gli permette di-» mi interruppi prima di pronunciare delle parole dolorose che non avrei mai potuto rimangiarmi.

Respirai a fondo più volte, cercando un modo che mi impedisse di dare di matto. Sentivo la rabbia salirmi nel petto, montare e sciabordare come una marea.

«Yuu...»

«Lascia stare.»

Chiusi definitivamente il discorso, scrollandomi la sua mano -divenuta così calda e accogliente da farmi quasi male- e imboccando la porta. Sospirai di nuovo, facendo mente locale per ricordarmi dove avevo lasciato le scarpe il giorno prima.

«Cosa cerchi?»

Stronzo.

Maledetto stronzo.

«Niente.»

Sbuffò, seccato, come se avesse mille e più motivi per avercela con me, come se mi reputasse un bambino che fa i capricci. Cercai di ignorarlo, di ignorare la collera che solo il suo pensiero mi dava.

«Lo sai vero che non ti permetterò di uscire di casa?»

Troppo.

Era decisamente troppo.

Ripetei mentalmente come un mantra che non serviva a nessuno arrabbiarsi, che dovevo solo mantenere la calma e forse saremmo riusciti a risolvere la questione civilmente.

«Non ho dubbi sul modo con cui ci proveresti, Ryo, appurato come ti riesce facile alzare le mani su di me.»

Non mi importava più nulla, né di lui, né di Yutaka che molto probabilmente mi aveva seguito fino in corridoio, non mi importava neppure del sordo rombare dei tuoni. Volevo solo uscire da quel caldo soffocante e appiccicoso, tuffarmi nel gelido e piovoso febbraio e raggiungere Kouyou. Nutrivo l'infantile convinzione che lui avrebbe potuto trovare una soluzione a tutto.

Indossai le scarpe immerso in un silenzio bollente e fradicio.

Afferrai un ombrello a caso e uscii, sbattendomi la porta alle spalle e godendo dell'acqua ghiacciata sul mio viso.




- Uruha -




Apparve all'improvviso alla fine della strada; sotto la pioggia sembrava quasi avvolto da un aura luminosa, sembrava quasi essere immune da tutta quell'acqua. Camminava con una sorta di fretta prudente, lo sguardo chino a terra, la concentrazione sul suo volto visibile perfino a metri e metri di distanza.

Arrivato in prossimità della fontana sdrucciolò sulla ghiaia bagnata e nello sforzo di restare in piedi fece cadere l'ombrello.

Mi misi in moto prima ancora che questo toccasse il suolo. Gli corsi incontro per aiutarlo, ma all'ultimo mi ricordai di avvertirlo dolcemente della mia presenza.

«Yuu, sono... io.» mormorai sconclusionatamente, afferrandogli dolcemente un braccio e premurandomi di coprirlo. Le sue pupille guizzarono come lampi cercando di individuarmi.

«Kouyou?» sibilò, gli occhi accesi di timore.

«Sono io.» lo tranquillizzai, avvicinandomi ancora per ripararlo dalla pioggia. Arrossii nell'accorgermi della vicinanza fra i nostri visi, arrossii intensamente e senza riuscire a impedirmelo.

Si sciolse in un sospiro sollevato, mentre quelle iridi assumevano toni dolci, pastosi.

«Ciao...» bisbigliai senza fiato.

Il suo respiro si quietò lentamente, e con altrettanta flemma una fila di denti bianchi fece capolino fra le sue labbra per regalarmi un sorriso generoso, radioso. Mi assicurai che fosse in equilibrio, prima di chinarmi a raccogliere il suo ombrello; feci il tutto molto rapidamente, per perdere il meno possibile di quel sorriso.

«Sei... tutto bagnato.» mormorai dopo qualche istante, sovrastando a malapena lo scrosciare della pioggia.

Lui sbattè le palpebre per qualche istante, confuso, toccandosi il cappotto. Poi accennò un sorrisetto.

«Mi ha urtato qualcuno prima.» ebbi un violento ed infondato tuffo al cuore «Mi è caduto l'ombrello.»

«Hai freddo?»

Subito dopo avergli posto quella domanda mi stupii della scioltezza con cui riuscivo a parlargli, e arrossii ancora. Nelle ore precedenti all'incontro avevo pensato spesso a cosa avrei potuto dirgli, ma mi resi conto che mi riusciva facile conversare con lui, come altrettanto semplice mi riusciva preoccuparmi per la sua salute.

«Un po'.» quel sorrisetto finì inghiottito in un piccolo morso alle labbra «Ma non ti preoccupare.»

Mi chiesi per caso se fosse in possesso di uno strano potere capace di stringermi il cuore ogni due per tre.

Improvvisamente mi tornò in mente uno dei tanti problemi relativi al mio atteggiamento nei suoi confronti, di cui mi ero riempito la mente durante l'attesa.

Lui sembrò quasi notare il cambiamento del mio umore.

«C''è qualcosa che non va?»

Mi sembrava oltremodo surreale e nello stesso tempo intimo parlare sotto ad uno stesso ombrello, così vicini che riuscivo a sentire il suo respiro condensarsi sulle mie labbra, mentre attorno a noi imperversava il diluvio.

«Devo chiederti una cosa...»

«Sono tutto orecchi.»

Lo guardai, incuriosito e sorrisi inconsciamente. Pareva che tutta la sorda malinconia che la sua voce esprimeva il giorno prima fosse stata soppiantata da un sorriso spontaneo, fresco. Mi sembrava dovesse mettersi a ridere allegramente da un momento all'altro ed ero certo che l'avrei seguito di gusto.

«Ecco...» presi a balbettare, cercando nello stesso tempo di organizzare un discorso compiuto e di trovare delle parole che non l'avessero offeso «... ehm, io, volevo... sì, riguardo a... non voglio offenderti o ferirti in nessuna maniera ma...»

Il mio desiderio si avverò in una risata franca e rigogliosa. Durò pochi istanti, il tempo che gli occorse per portarsi una mano alle labbra e cercare di nascondere quello scoppio di ilarità.

«Perdonami se rido, Kouyou.» sussultai nel sentire il mio nome fluirgli in gola «Non avevo mai sentito nessuno usare tanti balbettii per porgermi il suo aiuto.»

Ridacchiò ancora, ma così genuinamente che la piccola presa in giro che mi centrò in pieno, ebbe il solo effetto di un leggero e piacevole solletichino al torace. Mi unii alla sua risatina, leggermente imbarazzato.

«E dire che con le parole dovrei saperci fare.»

«Sei uno scrittore?» chiese con una curiosità ardente negli occhi.

«Sì.»

Sorrise, raggiante.

«Un giorno dovrai leggermi qualche tuo libro.»

La richiesta così schietta e naturale mi fece sorridere.

«Senz'altro.»

I suoi occhi, che il giorno prima mi erano sembrati così statici e immobili, erano inquieti, ma di un inquietudine curiosa; volevano conoscere tutto, illudersi di poter vedere e assorbire tutto ciò che li circondava. Guizzavano sul mio volto, mentre parlavo, mi accarezzavano le labbra fuggendo via un battito di ciglia più tardi, sfioravano il mio sguardo -e la mia anima-, andandosene senza sapere di averlo trovato.

Il rumore di un tuono rese istantaneamente quelle iridi terrorizzate.

Lui si avvicinò impercettibilmente.

«Hai paura?»

Accennò un sorriso colpevole, per nulla toccato da quella che, subito dopo essere stata pronunciata, mi era parsa una domanda fin troppo indiscreta.

«Molta.»

Con un dito percorsi attentamente una piega del suo cappotto, fino sfiorargli la mano gelida.

«Come posso aiutarti?»

Chinò il capo, assumendo un'espressione ancora più colma di gratitudine dei sorrisi che mi aveva donato. Poteva risultare errato, ma mi sembrava di essere privilegiato e che non fosse da tutti riuscire a ricevere tanto da lui.

Mi tornò in mente lo sguardo austero del biondo che me l'aveva portato via il giorno prima. Il solo ricordo della dolorosa pesantezza dei movimenti di Yuu in quella occasione mi fece incupire. Non potevo certo permettermi di chiedergli a bruciapelo quale e quanto intenso fosse il rapporto che li legava, ma la sottomissione dei suoi gesti mi faceva ipotizzare risposte che non volevo neanche lontanamente concepire.

Scacciai quei pensieri cupi e concentrai tutta la mia attenzione su quel viso.

«Guidami.» mormorò arrossendo appena. Tese una mano e si urtò delicatamente contro il mio braccio; ci si appoggiò con cieca sicurezza, continuando a sorridere «Avvertimi se ci sono ostacoli, gradini o cose così. Guidami nella strada giusta.»

Annuii, sorpreso e travolto dalla sua spontanea fiducia.

«Andiamo a casa mia? È qui vicino e...» feci una pausa, temendo di risultare scortese «...i tuoni si sentono di meno.»

Abbozzò una risata, spostandosi lentamente per mettersi al mio fianco.

«Sei sempre solito preoccuparti tanto per gli altri?»

«No, sei tu che mi fai quest'effetto.»

Rimasi così sconvolto dalle parole che erano echeggiate nell'aria come schiocchi di una frusta, che ci misi qualche istante per ricollegare tale dichiarazione alla mia persona. Arrossii furiosamente, chinando il capo.

Lui ridacchiò, appoggiandosi per qualche istante alla mia spalla.

«Onorato di essere l'unico.»




- Aoi -




«Non si sentono più molto, vero?»

Impiegai più di qualche istante per capire a cosa Kouyou si stesse riferendo.

«No, hai ragione. Arigato.»

Provai ad immaginarmi come potesse essere un suo sorriso. Quello di Ryo era secco, obliquo, disegnato dalla mano nervosa di un artista come una scattante linea diagonale. Quello di Yutaka invece era aperto, corposo, dolce in quelle fossette che gli solcavano le guance. Minoru sorrideva come se stesse sogghignando, tendendo le labbra fino a congiungersi le orecchie con un sorriso spropositato. Shirogane sorrideva sempre a bocca chiusa; mi aveva raccontato che aveva preso quest'abitudine nel periodo in cui aveva tenuto l'apparecchio ai denti e che non aveva mai smesso di sorridere in modo così composto e riservato.

«Ho sempre avuto paura dei tuoni.» ripresi qualche istante dopo, mentre cominciavamo l'ultima rampa di scalini; avrei potuto benissimo lasciar cadere il discorso nel vuoto, ma sentivo il bisogno di spiegare a qualcuno, di raccontare.

«La mia famiglia ha sempre fatto molto per cercare di tranquillizzarmi, ma senza troppi risultati. Anche quando sono cresciuto, morivo di paura durante i temporali, se non avevo nessuno accanto.»

Mi strinse impercettibilmente l'avambraccio, rimanendo in silenzio.

«Tutti hanno le loro fobie.» mormorò poco dopo, sciogliendo la stretta.

«Tu di cosa hai paura, Kouyou?» mi piaceva pronunciare il suo nome. Mi piaceva arrotolarmi le sue vocali alla lingua e poi lasciarle scivolare fuori.

«Della solitudine. E dei ragni.» aggiunse, ridacchiando.

Continuammo a salire lentamente le scale senza parlare.

«Gradino.» mormorò ad un tratto con finta noncuranza e rallentò visibilmente.

Questa sua totale e dedita concentrazione mi dava un senso di struggente tenerezza, oltre a dare vita, nel mio stomaco, ad una prorompente voglia di mettermi a ridere e a piangere assieme; più di una volta dovetti impormi non alzare una mano verso il suo viso e ringraziarlo con una carezza.

Superai l'ennesimo ostacolo facilmente.

Mi piaceva camminare accanto a lui. Era certo che se avessi provato a sfiorargli la pelle l'avrei trovata bollente; emanava un calore avvolgente e rassicurante anche attraverso il cappotto.

Quando entrammo nell'ingresso del suo condominio, mi stava spiegando di abitare in un attico all'ultimo piano. Scrollò entrambi gli ombrelli con una fretta malcelata che si ripercosse sul braccio su cui mi appoggiavo.

Mentre salivamo le scale -Kouyou aveva indovinato la mia avversione profonda verso gli ascensori- mi raccontò della sua famiglia, delle sue nipoti e della sua infanzia.

Parlava a macchinetta, lasciandomi appena il tempo per intercalare qualche commento o qualche frase che subito gli dava spunto per raccontarmi qualcos'altro. Sembrava che fossimo vecchi amici che si rincontrano dopo anni di lontananza e che lui stesse cercando in pochi minuti di raccontarmi ciò che mi ero perso.

«C'è un piccolo gradino, nell'ingresso.» mi informò con voce allegra.

Non c'era più imbarazzo nella sua voce, né esitazioni. I primi minuti i suoi avvertimenti erano risuonati cauti, timorosi di suonare presuntuosi o arroganti; l'avevo preso un po' in giro per questo e nel giro di qualche passo ci avevamo riso su come amici di vecchia data.

Io, che era timido e riservato perfino con la mia stessa famiglia, ero riuscito a intavolare una conversazione civile con un semi-sconosciuto. Certo, questo prima che mi sommergesse di dettagli sulla sua vita.

Arrivati al suo palazzo, in tutti non più di cinque minuti di andatura lenta, avevo già scoperto che era stato bocciato in giapponese al terzo anno del liceo e che quando aveva cinque anni aveva portato Man, la sua pesciolina rossa, a dormire nel suo letto, con tanto di boccia, acqua e alghe artificiali; era un miracolo, aveva detto in mezzo alle risate, che non gli si fosse rovesciata addosso e che la mattina dopo lui e Man dormissero tranquillamente l'una accanto all'altro.

Mi chinai a slacciarmi le scarpe e posai i piedi sul parquet tiepido dell'ingresso.

Ero dentro casa sua.

Rimasi inizialmente smarrito e atterrito da questa consapevolezza.

Ero in territori sconosciuti, estranei, forse ostili.

«Accomodati. Fa pure come se fossi a casa tua.»

A casa mia non dovrei stare attento perfino a come mi giro, Kouyou. Domo arigato ugualmente.

Mi affidai al mio udito per cercare di capirci qualcosa; dall'olfatto non mi aspettavo più nulla. Fin dal primo istante in cui ero entrato in casa sua, quello era stato catturato dal profumo che ci aleggiava. Il suo profumo.

Mi sfiorò una spalla col dorso della mano; mi appoggiai nuovamente al suo braccio, teso gentilmente in mio aiuto. Gli donai, in cambio di quel piccolo gesto di pura ed elegante cortesia, un sorriso quanto più genuino potessi mai dargli.

Mi guidò dentro ad una stanza profumata di incenso.

«Questa è la cucina.» mi prese delicatamente una mano e, come avevo previsto, sentii la sua pelle bruciare; la appoggiò delicatamente su una superficie dura e sottile «Siediti pure. Vado a prenderti qualcosa di caldo.»

Scostai la sedia da sotto al tavolo e mi ci sedetti con cautela, appoggiandomi allo schienale; con la punta delle dita sfiorai il cuscino morbido, mentre sentivo i suoi passi allontanarsi frettolosamente nel corridoio.

Non ebbi altro preavviso che il rumore felpato della sua camminata scalza e un allegro Eccomi qua!; sentii una stoffa calda e pesante sulle spalle e subito dopo venni investito dal suo profumo.

«Spero ti vada bene, forse è un po' grande...»

Ma io già non lo ascoltavo più. Con quanta più indifferenza riuscissi a mostrare, infilai le braccia nelle maniche del maglione, e nell'alzare annusai piano il tessuto a trame spesse.

Rimasi inebetito, il volto semi-affondato nel suo maglione e la mente piena di lui.




- Uruha -




Lo guardai entrare discretamente in casa mia, chiedendomi se al mondo esistesse qualcosa di più impalpabile ed etereo della timidezza con cui aveva penetrato il mio rifugio e la mia vita.

«Accomodati. Fa pure come se fossi a casa tua.»

Mi ringraziò con un debole sorriso; sembrava intimorito, spaurito in un ambiente che non gli era famigliare.

Non riuscivo neanche ad immaginare come dovesse sentirsi, costantemente sull'orlo del rasoio; la cosa più vicina al suo buio che potessi trovare nei miei ricordi era lo svegliarsi nel mezzo della notte a causa di un emicrania e trovarsi nella mia camera sigillata, nel buio più denso e corposo che ci sia.

Ma sentivo che le due cose non potevano essere neanche lontanamente comparate. Era ingiusto, triste, quasi paradossale che due occhi di tale incanto non potessero vedere.

Lo vidi accennare un passo incerto; il piede scivolò lentamente sul pavimento in cerca di ostacoli e il corpo lo seguì poco dopo, cauto, prudente, come se dovesse aspettarsi di cadere in una trappola da un momento all'altro.

Gli sfiorai la spalla col dorso della mano, piano, per attirare la sua attenzione; accettò l'aiuto che gli porsi assieme al mio braccio con un gran sorriso.

Il temporale era andato placandosi lentamente ed era rimasto solo il debole rimasuglio di qualche rombo in lontananza. Più di una volta avevo visto gli occhi di Yuu contorcersi atterriti in risposta al fragore di un tuono e mi ero sempre premurato di stringergli dolcemente un braccio, cercando di infondergli in qualche maniera un po' di sicurezza.

Mi seguì docilmente in cucina, gli occhi pacati e tranquilli di chi sa di trovarsi al sicuro.

Lo feci accomodare al tavolo, precipitandomi in corridoio per cercare qualcosa di caldo dentro cui avvolgerlo; il riscaldamento che avevo acceso appena entrati ci avrebbe messo qualche minuto per cominciare a scaldare tutte le stanze e quando gli avevo preso una mano per poggiarla sullo schienale della sedia, l'avevo sentita gelida sotto le mie dita.

Davanti al mio armadio mi presi qualche lezioso istante per decidere cosa volessi vedergli addosso di mio: fu un pensiero fulmineo, tanto allettante quando imbarazzante. Sentii le guance ardere di imbarazzo mentre l'immagine di Yuu che si chiudeva un mio paio di jeans addosso mi solleticava il torace.

Afferrai a casaccio uno dei tanti maglioni che Aya mi aveva fatto ai ferri e spedito da Sapporo, imponendomi di non pensare al fatto che l'avessi sempre considerato il mio preferito. Era stato il primo tentativo di mia sorella, era troppo lungo e un bottone era attaccato storto, ma non c'era abito che cui fossi più affezionato.

«Eccomi qua!»

Glielo sistemai sulle spalle con cura, riconoscendo in quei gesti l'affetto materno con cui mia madre mi sistemava la divisa scolastica ogni mattina; ogni giorno nell'indossarla volutamente trascuravo un bottone o allacciavo male la cravatta e ogni giorno lei mi abbottonava meglio la camicia, o rifaceva il nodo alla cravatta, costringendomi a piegare la schiena perchè lei ci arrivasse.

«Spero ti vada bene, forse è un po' grande...» mormorai per colmare quel silenzio.

«Va benissimo, Kouyou. Domo arigato.»

Mi chiesi come facesse, nonostante le ovvie difficoltà, a muoversi costantemente con scioltezza, con eleganza; nessuno mai avrebbe potuto pensare, guardandolo camminare, che rischiasse tanto ad ogni passo.

«Mi fai fare il giro della casa?»

Si appoggiò nuovamente al mio braccio, sulle labbra un sorriso appena accennato ma non per questo meno sincero.

Lo condussi per il corridoio, descrivendogli con cura ogni dettaglio del mio appartamento. Ebbi un violento tuffo al cuore quando, nel mio studio, riservò alla macchina da scrivere di Aya una leggera carezza. Riuscì ad individuare ogni centro nevralgico di quella casa, ogni oggetto al quale per un motivo o per l'altro ero particolarmente legato e ci si soffermò con noncuranza, sfiorandoli o porgendomi delle domande su di essi: le sue dita sfiorarono come piume il portacenere di mio padre, quello grande di cristallo, di cui io da bambino seguivo le venature con lo sguardo fino a perdermi nel loro intricato disegno, uno dei quadretti a punto croce di mia madre, la cornice d'argento decorata che racchiudeva una foto mia e di Takanori. Era come se ad una ad una avesse pizzicato con le dita ogni singola corda del mio cuore.

«Questo è il salotto...» mormorai quasi senza fiato, conducendolo all'interno del salone con attenzione. Era sempre stato molto caotico, vuoi perchè puntualmente lo adoperavo come pensatoio personale, vuoi perchè coincideva con la mia piccola biblioteca personale; c'erano libri dappertutto, sulla televisione -che ormai fungeva solo da ulteriore ripiano, dal momento che non la utilizzavo mai-, per terra, sul tavolino, sul pianoforte di Maiko.

«È un po' in disordine... Occhio al piano.» gli feci cambiare leggermente direzione, ma lui all'improvviso divenne rigido come una statua.

«Hai... hai un pianoforte?» bisbigliò, voltando il viso. Incrociai quelle iridi pazze di euforia, quelle labbra che a stento riuscivano a nascondere una risata di gioia. Pensai che fosse più bello che mai.

«Suoni?» sussurrai in risposta.

Annuì concitatamente, stringendomi una mano come se potesse trasmettermi mille e più ricordi.

Non aspettai neanche che mi ponesse la domanda che già vedevo affiorare sulle sue labbra.

Lo guidai verso lo sgabello, sgomberandolo degli innumerevoli libri impilati sopra; sedette lentamente, accarezzandone il rivestimento con i polpastrelli. Non ricordavo di aver mai visto quel pianoforte chiuso; non avrei neanche saputo come fare per aprirlo, molto probabilmente.

Accostò le dita al piano, e credetti di vederle tremare. Poi quelle affondarono nei tasti, dolcemente.


La sua musica fu un imprevedibile colpo di grazia.


Continua...


















Note di Mya:


Auguri Aelite.

Anche se dire auguri in un'occasione simile mi fa strano.


2570 parole per Uruha, 2570 parole per Aoi.


Ho terminato la stesura di questo capitolo (vedi, scritto interamente) con gli Acid Black Cherry e i Versailles nelle orecchie.

Ho deciso di spezzare i due canonici punti di vista di Aoi e Uruha per dare continuità alla storia e per procedere più velocemente. In parole povere, non mi andava che, terminato di descrivere l'incontro dal punto di vista di Aoi, ricominciasse da capo quello di Uruha; credo che tale “frammentazione” verrà portata anche nei prossimi capitoli.

Ho ragione di pensare (grazie tante, sono l'autrice) che nei prossimi capitoli potranno fare capolino anche altri punti di vista. In particolare ci terrei tantissimo ad inserire Kai e Reita in modo da spiegare meglio il loro rapporto e ho già appurato che per salvare un capitolo dallo sfracello più totale sarò “costretta”, per modo di dire, ad inserire anche Ruki e Shirogane.

Che dire, spero vivamente di non fare macelli. Già in questo capitolo ho dovuto farmi un post-it sullo schermo per ricordarmi dei dettagli *si sotterra*


Sono stata assente parecchio da EFP, e in generale dalla scrittura. Posso dire di aver passato un periodo non propriamente buono riguardo a ispirazione e fantasia, un periodo in cui persino pensare di buttare giù due righe mi dava fastidio.

Grazie a hide, persone meravigliose e buona musica fanno anche di questi miracoli.


Ho notato che ultimamente su questo sito c'è la possibilità di rispondere privatamente alle recensioni (e Aya è stata la mia “prima volta” xD). Probabilmente risponderò privatamente man mano che riceverò recensioni, da oggi in poi, visto che con i ritardi che faccio capita che debba rispondere a domande e questioni venute fuori mesi prima.

Però è anche vero che è molto piacevole rispondere alle recensioni prima di pubblicare... mah, vedremo.


Recensioni:



Aelite: con te parlo su msn, meglio. Ti adoro, sappilo ♥


Haha Deneb: dal mio modestissimo punto di vista, crepare Reita di botte, per un motivo o per l'altro, non è mai qualcosa di grave u.u Ma questi sono pensieri miei u.u

Vedi? Mi basta un tuo wow a darmi i brividi.

Arigato, e, ti prego, guarisci presto.


Guren: l'errore era mio, avevo fatto un copia-incolla di troppo xD

Uuugh, tu vuoi uccidermi. A dire il vero un sacco di gente vuole uccidermi ultimamente (chi di complimenti, chi di botte), ciò non va bene. Ti ho già detto che ti voglio un mondo di bene? E che ti sorregerò-stampellerò tutta la vita? E che sei una delle persone più buone e meravigliose che ho conosciuto in quest'ultimo anno?

Se non te l'avevo ancora detto, sappilo u.u


Shin: tu mi salti fuori ad intervalli casuali come un fungo xD Esempio massimo sta nell'incontro al cinema, dove hai dovuto gridare in mezzo al fiera per venti minuti prima che mi accorgessi che qualcuno stava nominandomi invano u.u

Dovresti conoscermi, cara e quindi sapere che non ho la più pallida idea di quanti capitoli avrà questa fic. Diciamo che per ora stiamo procedendo moooooolto a rilento (non so se do l'idea, ma sono passati solo tre giorni T___T) e che non ho la benchè minima idea né di quanto tempo passerà prima che le cose comincino a smuoversi, né quando e soprattutto come terminerà. Diciamo che potrei farti concorrenza ad Azzardo xD (a proposito, qui tutti attendono il ventesimo capitolo... io a maggior ragione, visto che mi hai raccontato che succede!)

Ci sentiamo itoshii, vedi di liberarti almeno per le vacanze di Natale ^^


Hime: uffa, ogni volta che arrivo a te, mi blocco. E sai perchè? Mh? Perchè mi togli le parole e la mia tanto vantata ars oratoria va a farsi un giretto perchè alla fine non riuscirebbe a concludere nulla. Quindi, se non riesco a spiccicare parola quando ci incontriamo a Lucca, se non riesco a rispondere con un minimo di decenza ai messaggi, alle telefonate e alle recensioni... diciamo che per un buon 80% è tutta e solamente colpa tua. Ilo restante 20% è solo colpa della mia timidezza, lo ammetto u.u

Aishiteru, Hime, aishiteru da morire


Cucciola_Suzuki: bo-hooooo, ero stata così brava a imparare chi fra voi due era chi ;____; Purtroppo ho la memoria di un cucchiaino arrugginito ;_____;

Ad ogni modo, tesoro mio, non sei assolutamente monotona, e ammesso e non concesso tu lo fossi, adoro la tua monotonia. Adoro te e le tue recensioni, e i tuoi complimenti. Mi fanno bene all'anima ♥

Un abbraccione!


Lain87: sei troppo gentile. Troppo, hai capito? E poi qualcuno si lamenta se mi inorgoglisco e se gongolo. Finchè continuate ad esseri così spaventosamente gentili ovvio che mi monto la testa u.u

Tu non sai che parto assurdo è stato Uruha in questo capitolo *picchia Urupon* Ovviamente sono strafelice che tale difficoltà non si noti nella lettura... ci mancherebbe solo che si notasse, accidenti a lui =_=

Per quanto riguarda i capitoli delle altre long, ehm, coff coff, prima o poi arriveranno. Prima o poi ò.o

Un bacione!


Cucciola81: che dici, sono migliorata, no? Ehm, dai, solo quattro mesi *si va a impiccare*

Dal mio punto di vista Reita ha tutte le colpe di questo mondo xD (e il bello è che lo descrivo bastardo e poi mi faccio impietosire xD), ma vedrai che si riscatterà anche lui, la smetterà di comportarsi come il cinico stronzo che effettivamente è e farà il buono u_u

Parola di autrice u_u (mai, MAI, fidarsi della promessa di una fanwriter, MAI! xD)

E io ogni volta che leggo una tua recensione mi viene voglia di pigliare un treno, una motocicletta, una zattera, un triciclo o i pattini a rotelle per venire a stritolare di abbracci te e tua sorella ;____;

Un abbraccione!


Mammina Grace: abbiamo già discusso (e lamentate) abbastanza dei nostri rispettivi seni su msn xD Quindi propongo di passare avanti xD

Ribadisco il concetto, mammina, tu mi fai M-O-R-I-R-E xD “altro che voce profonda come una tempesta...Yuu dovrebbe dare un'occhiata ai suoi piani bassi, e senti come ti sprofond-*la abbattono*” tu non hai idea di quanto riso a suo tempo e di quanto ho riso adesso rileggendola xD Per non parlare degli insulti a Reita *muore*

Sto cominciando anche io a pensare che la cose dello stesso numero di parole sia stata una grande stupidata, ma ormai che sono dentro non posso tirarmi indietro. Questo capitolo in particolare è stato un incubo xD

Ti adoro anch'io, Grace ♥


Papi: tu e le tue seghe mentali riguardo alle recensioni. Ma quanto volte dovrò ripeterti che va bene anche se mi dici che ti è piaciuto di volata su msn? Mh? Già il fatto che tu legga e apprezzi mi fa un piacere enorme, non ti angustiare riguardo alle recensioni.

Sei la prima che non odia Ryo... e devo dirti che anche a me fa pena, povero. Lo sto tartassando e martirizzando, però mi fa un'incredibile malinconia.

Grazie per la recensione, papi e per le uscite di testa al telefono xD

Un bacione!


Aya: ti ho già risposta privatamente, ma rinnovo i miei più sentiti ringraziamenti per la recensione!

Un bacione enorme, carissima ♥



Alla prossima.

Grazie a chiunque apprezzi questa ifc che procede a rilento, a chi paziente tanto per i sudatissimi capitoli. Vi voglio bene.

Mya

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > The GazettE / Vai alla pagina dell'autore: baka_the_genius_mind