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Capitolo
Quattro • How
can I help you? -
Aoi - «Portami
là.» La
mia voce era ridotta al sibilo minaccioso di un serpente. Se avessi
potuto reincarnarmi in tale bestia, avrei spalancato le fauci,
facendo scattare nervosamente la coda, pronto a colpire a morte. «No.» Un
tuono squarciò i miei pensieri e io trasalii violentemente. «Me
l'hai proposto tu. Tu. Non
rimangiarti le tue parole per una stupida...» la parola
gelosia mi si strozzò in
mezzo alla gola. Yutaka ci stava ascoltando da quando Ryo si era
voltato con uno scatto verso di me, urtando qualcosa di ceramica che
era andato in frantumi contro il pavimento di marmo. Io
non potevo dirgli che
l'avevamo tradito. Non potevo.
«Non
ti lascio otto ore sotto al diluvio.»
«Ho
un ombrello.»
Mi
rispose con uno sbuffo ironico.
Dei
del cielo, quanto odiavo l'accondiscendenza con cui mi trattava; la
sensazione che mi dava era simile a quella scaturita dalla
compassione che la gente comune provava nei miei confronti.
Proveniente
da lui, poi...
Sembrava
che si fosse improvvisamente dimenticato delle mie richieste.
Fin
dai primi timidi giorni della nostra relazione, l'avevo supplicato
affinché non provasse pena per me, l'avevo implorato perchè mi
trattasse normalmente, l'avevo pregato di non considerarmi come una
preziosa bambolina di cristallo, così fragile e delicata da
rischiare di andare in frantumi con una carezza, ma come un uomo
fatto di carne e sangue, del tutto uguale a lui
Mi
aveva dato ascolto, si era sforzato di vedermi come un essere
umano e non come una rosa pregiata da mettere sotto una teca di
vetro. Ma tutti i suoi sforzi si erano esauriti e spenti nel giorno
in cui aveva conosciuto Yutaka.
«No.
Ed è la mia ultima risposta.»
A
volte trovavo complicato comprendere le innumerevoli facce della
bolla di sentimenti che mi esplodeva nel petto ogni qual volta mi
azzardassi a rivolgergli un pensiero. Riconoscevo una devozione
simile a quella di un fedele per il suo dio, l'amore sacro di una
madre per i figlio, il desiderio carnale di una bestia in calore,
l'amarezza, il dolore e la rabbia cieca di un tradimento.
Ma
c'era qualcos'altro di intrinseco al pugno allo stomaco che mi
raggiungeva ad ogni sua parola, un qualcos'altro che, nonostante
tutto, non riuscivo a ricondurre a nulla di conosciuto. Come se non
fosse abbastanza penoso amare follemente senza essere corrisposti.
«Bene!»
ringhiai, così furiosamente che sentivo l'illusione di un fischio
portare disordine nel precario equilibrio del mio udito.
Mi
voltai camminando alla cieca, evitando per pochi millimetri i mobili
dell'ingresso di cui conoscevo l'esatta posizione.
Avevo
passato mesi, anni, in quella casa, una quantità infinita e
spaventosa di occasioni per imparare a muovermi con la lenta e pacata
scioltezza di un fluido. Yutaka abitava con noi da due anni, eppure
quell'appartamento era per lui ancora un enigma di difficile
soluzione. Casa sua, il suo nido, il luogo dove avrebbe dovuto
proteggerlo e abbracciarlo gli si rivoltava contro con rabbia,
ferendolo, umiliandolo.
«Bene!»
ripetei, sempre più furibondo man mano che passavano i secondi.
Mi
aggrappai allo stipite dell'arco che portava in corridoio e il rumore
che feci sbattendo la spalla contro la mensola non riuscì a coprire
neanche parte del sussurro di Yutaka che chiamava spaventato il mio
nome.
«Ryo...»
mormorò poi, chiamando in aiuto proprio la causa della mia ira.
Sentii
i suoi passi pesanti raggiungermi e quasi sperai in un suo tocco,
nella sua mano sul mio braccio, non importa se violenta e brutale. Ma
fin dal primo passo che avevo compiuto scendendo dalla sua auto il
giorno prima era stato palese che aveva preso seriamente le mie
parole.
«Yuu,
cosa stai facendo?»
Di
nuovo quell'odioso pugno allo stomaco, quella disgustosa sensazione
di paura. Ebbi improvvisamente voglia di sfogare la mia rabbia
suonando.
«Ci
vado da solo.»
-
Uruha -
La
pioggia mi cadeva affianco, scivolando sull'ombrello e sfiorandomi le
scarpe.
Lui
non era venuto.
Non
era venuto e non sarebbe venuto. Stavo in piedi accanto a quella
panchina da due ore, e per due ore non avevo fatto altro che
aspettare, l'intestino arrotolato come una spirale, cercando scuse
plausibili e illusorie che giustificassero la sua assenza. «Domani
mattina, qui.» Me
l'aveva detto lui, me l'aveva promesso. Potrebbe
non essere mattiniero come te, Kouyou, e magari aver pensato di
venire più tardi.
Quella
mattina mia madre aveva cercato di dissuadermi dal partire. Lo
stesso, intenso desiderio di vicinanza con cui io avevo cercato di
farla traslocare nelle nuove villette che avevano costruito accanto
al mio condominio aveva fatto tremare la sua voce. Per rafforzare le
sue richieste aveva addotto la partenza di Maiko -non riuscendo a
pronunciare il suo nome senza intingerlo nel disprezzo-, le mie
condizioni di salute. Mio padre ci aveva guardato bisticciare
affettuosamente: i suoi occhi avevano fatto spola dal mio volto a
quello della moglie lentamente; aveva elargito a me sguardi stanchi e
sorridenti, quasi scusandosi per quella materna e apprensiva
invadenza, e a lei sorrisi comprensivi e malinconici. Aveva chiuso il
discorso dandomi una pacca sulla spalla e cingendo le spalle ricurve
di mia madre.
Ero
uscito dalla casa in cui ero nato con la promessa di rifletterci, ma
con la convinzione di averle mentito. Piove
l'ira degli dei, Kouyou, non puoi pretendere che venga.
Takanori
mi aveva chiamato, durante il tragitto di ritorno verso il centro di
Kyoto. Con la voce sottile mi aveva avvisato della sua prossima
partenza: il contratto di Shirogane era stato annullato, lo
spettacolo teatrale che avrebbe dovuto costringerli a rimanere per
almeno un mese cancellato. Sarebbero rimasti ancora per qualche
giorno, nella flebile speranza di ottenere per lei un altro ingaggio,
poi sarebbero ripartiti alla volta della camaleontica Tokyo, con la
certezza di trovare là un parte.
Avevo
cercato di mentire anche a lui, di tranquillizzarlo riguardo la mia
salute, ma lui non aveva voluto sentire storie. La sua voce avvilita
che si scusava per aver illuso entrambi di poter passare un mese
assieme aveva dato i natali ad un nodo di disagio, nel mezzo del mio
stomaco, duro e contratto. Perchè
dovrebbe fidarsi di un estraneo, Kouyou? Perchè dovrebbe voler
incontrare nuovamente una persona con cui ha scambiato solo qualche
parola?
Scossi
l'ombrello solo per vedere una cupola di gocce d'acqua unirsi alla
pioggia e cadere attorno alle mie scarpe; poi cambiai mano, infilando
quella ghiacciata nella tasca del mio cappotto.
Gli
ultimi chilometri li avevo percorsi col piede incollato
all'acceleratore.
Dopo
aver respirato nuovamente dopo mesi l'odore di famiglia
-spaventosamente intriso e simile a quello di Aya-, dopo essermi
strappato a forza dalle sue catene, dolci, rassicuranti, calde e
amorevoli, ma pur sempre catene, dopo l'avvicinarsi rapido di un
altro, involontario abbandono, tutto ciò che volevo era perdermi
dentro l'oblio ghiacciato di quelle iridi, staccare la spina e
spogliarmi della realtà per immergermi nelle inquiete acque gelide
degli occhi di Aoi.
Perchè
dovrebbe voler rivederti? Solo perchè tu ti sei scioccamente
infatuato di quello sguardo glaciale e smarrito, credi sia lo stesso
per lui?
A
distanza di due giorni, ancora non riuscivo a capire cosa mi avesse
tanto affascinato in lui. Era bello, indubbiamente, ma quell'aura
angelica che la mia mente ottenebrata di buio gli aveva attribuito,
era risultata essere circoscritta solo a quegli occhi miracolosi.
Quelli di Takanori erano naturalmente più accesi, indubbiamente
più vivi, ciononostante non riuscivo a comprendere il meccanismo
secondo cui venivano costantemente surclassati a favore di quelli di
Yuu.
Un
goccia forzata dal vento si scontrò contro sul mio naso, scivolando
fino alle labbra.
Ebbi
improvvisamente voglia di sfogare la malinconia scrivendo.
-
Aoi -
«Yuu...»
Se
Ryo riusciva a piegarmi al suo volere con solo due dita, Yutaka ce la
faceva con un sussurro. Gli dei solo sanno quanto avrei voluto essere
così forte da non subire le persone che amavo.
«Yuu,
ti prego...»
Finii
di abbottonarmi i pantaloni, facendo poi scorrere le mani sulle gambe
alla ricerca di una piega storta, di uno strappo o di qualsiasi cosa
che potesse attirare l'attenzione e i pettegolezzi della gente;
repressi il pensiero molesto che mi si era formato, ma quello scivolò
sinuoso fra le mie barriere come l'acqua fra le dita.
Era
Ryo che pensava a me.
Era
Ryo che si preoccupava che fossi in ordine quando uscivo di casa, di
avvertirmi che avevo una scarpa slacciata, era lui che mi sistemava i
vestiti sul corpo, barattando queste piccole attenzioni con un bacio
quando stavamo insieme, con un timido sorriso da quando non eravamo
più una cosa sola.
Sospirai
gravemente. Non trovando nulla di anormale in quei jeans, affondai le
mani nel cassettone, afferrando a casaccio uno dei numerosi
maglioncini neri che lo riempivano.
Shirogane
in persona si era premurata di descrivermi con estrema dovizia ogni
singolo capo d'abbigliamento che aveva varcato la soglia del mio
armadio. Era lei che pensava al mio look, le avevo lasciato carta
bianca.
L'unica
condizione irremovibile che avevo posto era stata il colore.
«Yuu,
mi ascolti?»
Emisi
un secondo, profondo sospiro.
«Ti
ascolto.»
Sentii
i suoi passi felpati sul tappeto e poco dopo avvertii il calore della
sua mano poggiarsi a metà schiena; il rumore della pioggia era
fastidioso per me, ma col tempo avevo imparato ad isolarlo. Tuttavia
i tuoni che squarciavano l'aria improvvisamente erano come fruste per
la mia mente e dopo ventotto anni ancora non avevo trovato una
maniera per placare il terrore folle che mi prendeva il cuore ogni
volta che sentivo il cielo rombare in lontananza.
«Non
ti ho mai chiesto nulla, Yuu. So di non averne il diritto.» la sua
mano si mosse lentamente fino a raggiungere il gomito e da lì
scivolò agilmente sul braccio «Ma... ti prego... ho bisogno
di sapere cos'è successo fra te e Ryo. Ne ho bisogno.» Credimi,
Yutaka, non lo vuoi sapere.
«Niente.»
Lo
sentii trattenere il respiro, frustrato, ma di una delusione appena
accennata; diceva di non avere su di me nessuno diritto, nemmeno
quelli che si sviluppano col nascere di una profonda amicizia. Avrei
preferito che si arrogasse quei diritti, che fosse convinto della
loro giustezza e che, in nome di quelli, mi prendesse per una spalla,
mi scrollasse, mi costringesse a reagire, a parlare.
Volevo
che mi desse il via libera per accusarlo di tutto il dolore che
covavo nello stomaco; ero certo che l'avrebbe accolto tutto fino
all'ultima goccia, sorridendo e invitandomi a continuare a sputargli
addosso veleno, ma l'ironia del destino voleva che la persona che
indirettamente mi aveva frantumato il cuore fosse anche quella che mi
aveva salvato, ricucendo ogni piccola ferita, accarezzandola e
baciandola per accelerarne la guarigione.
«Yuu,
ti prego, ho bisogno di-»
«Vi
ho sentiti, Yutaka.» capitolai interrompendolo, e lo feci con un
sospiro stanco e con l'amaro in gola.
Le
sue parole vennero inghiottite dalla mia frase dal tono rassegnato.
«Io...
non capisco, Yuu...»
«Vi
ho sentiti mentre facevate l'amore.»
Mi
illusi di poter sentire la sua gola chiudersi, rifiutando il flusso
d'aria ai polmoni.
Scostai
con delicatezza la sua mano e, cercando a tatto l'etichetta,
individuai il verso giusto del maglioncino per indossarlo; ne lisciai
accuratamente ogni piega, tendendolo sopra il torace.
Sospirai.
«Yutaka,
non è colpa tua.»
Quando
trovò la forza di mormorare, la sua voce era flebile, il suo respiro
spezzato.
«Sì,
invece. Non avrei mai dovuto essere così... egoista.»
Sbuffai
una risatina. «Ryo si era innamorato di te; anche se tu avessi
compiuto una grandissima opera di altruismo e carità» sputai
fuori questa parola velenosa con astio «ciò non sarebbe cambiato.»
Mi
prese di nuovo il braccio, timorosamente, temendo quasi che potessi
scrollarmelo via di dosso. Sorriso intenerito. Credi
davvero che riuscirei a starti lontano, Yutaka?
Sentii
il suo volto posarsi sulla mia spalla e le lacrime bagnarmela.
«Perdonami...»
bisbigliò fiocamente, stringendo la presa sulla mia pelle a tal
punto che mi parve di sentirla bruciare sotto le sue dita «Io non...
non avrei mai dovuto, mai... Lui ti ama, non dovevo
intromettermi...»
Lo
zittii, trovando le sue labbra dopo avergli accarezzato una guancia
con la punta delle dita.
«Ha
smesso di amarmi tempo fa, Yutaka. Ora come ora mi considera
solamente un intralcio che non gli permette di-» mi interruppi prima
di pronunciare delle parole dolorose che non avrei mai potuto
rimangiarmi.
Respirai
a fondo più volte, cercando un modo che mi impedisse di dare di
matto. Sentivo la rabbia salirmi nel petto, montare e sciabordare
come una marea.
«Yuu...»
«Lascia
stare.»
Chiusi
definitivamente il discorso, scrollandomi la sua mano -divenuta così
calda e accogliente da farmi quasi male- e imboccando la porta.
Sospirai di nuovo, facendo mente locale per ricordarmi dove avevo
lasciato le scarpe il giorno prima.
«Cosa
cerchi?» Stronzo. Maledetto
stronzo.
«Niente.»
Sbuffò,
seccato, come se avesse mille e più motivi per avercela con me, come
se mi reputasse un bambino che fa i capricci. Cercai di ignorarlo, di
ignorare la collera che solo il suo pensiero mi dava.
«Lo
sai vero che non ti permetterò di uscire di casa?» Troppo.
Era
decisamente troppo.
Ripetei
mentalmente come un mantra che non serviva a nessuno arrabbiarsi, che
dovevo solo mantenere la calma e forse saremmo riusciti a risolvere
la questione civilmente.
«Non
ho dubbi sul modo con cui ci proveresti, Ryo, appurato come ti riesce
facile alzare le mani su di me.»
Non
mi importava più nulla, né di lui, né di Yutaka che molto
probabilmente mi aveva seguito fino in corridoio, non mi importava
neppure del sordo rombare dei tuoni. Volevo solo uscire da quel caldo
soffocante e appiccicoso, tuffarmi nel gelido e piovoso febbraio e
raggiungere Kouyou. Nutrivo l'infantile convinzione che lui avrebbe
potuto trovare una soluzione a tutto.
Indossai
le scarpe immerso in un silenzio bollente e fradicio.
Afferrai
un ombrello a caso e uscii, sbattendomi la porta alle spalle e
godendo dell'acqua ghiacciata sul mio viso.
-
Uruha -
Apparve
all'improvviso alla fine della strada; sotto la pioggia sembrava
quasi avvolto da un aura luminosa, sembrava quasi essere immune da
tutta quell'acqua. Camminava con una sorta di fretta prudente, lo
sguardo chino a terra, la concentrazione sul suo volto visibile
perfino a metri e metri di distanza.
Arrivato
in prossimità della fontana sdrucciolò sulla ghiaia bagnata e nello
sforzo di restare in piedi fece cadere l'ombrello.
Mi
misi in moto prima ancora che questo toccasse il suolo. Gli corsi
incontro per aiutarlo, ma all'ultimo mi ricordai di avvertirlo
dolcemente della mia presenza.
«Yuu,
sono... io.» mormorai sconclusionatamente, afferrandogli dolcemente
un braccio e premurandomi di coprirlo. Le sue pupille guizzarono come
lampi cercando di individuarmi.
«Kouyou?»
sibilò, gli occhi accesi di timore.
«Sono
io.» lo tranquillizzai, avvicinandomi ancora per ripararlo dalla
pioggia. Arrossii nell'accorgermi della vicinanza fra i nostri visi,
arrossii intensamente e senza riuscire a impedirmelo.
Si
sciolse in un sospiro sollevato, mentre quelle iridi assumevano toni
dolci, pastosi.
«Ciao...»
bisbigliai senza fiato.
Il
suo respiro si quietò lentamente, e con altrettanta flemma una fila
di denti bianchi fece capolino fra le sue labbra per regalarmi un
sorriso generoso, radioso. Mi assicurai che fosse in equilibrio,
prima di chinarmi a raccogliere il suo ombrello; feci il tutto molto
rapidamente, per perdere il meno possibile di quel sorriso.
«Sei...
tutto bagnato.» mormorai dopo qualche istante, sovrastando a
malapena lo scrosciare della pioggia.
Lui
sbattè le palpebre per qualche istante, confuso, toccandosi il
cappotto. Poi accennò un sorrisetto.
«Mi
ha urtato qualcuno prima.» ebbi un violento ed infondato tuffo al
cuore «Mi è caduto l'ombrello.»
«Hai
freddo?»
Subito
dopo avergli posto quella domanda mi stupii della scioltezza con cui
riuscivo a parlargli, e arrossii ancora. Nelle ore precedenti
all'incontro avevo pensato spesso a cosa avrei potuto dirgli, ma mi
resi conto che mi riusciva facile conversare con lui, come
altrettanto semplice mi riusciva preoccuparmi per la sua salute.
«Un
po'.» quel sorrisetto finì inghiottito in un piccolo morso alle
labbra «Ma non ti preoccupare.»
Mi
chiesi per caso se fosse in possesso di uno strano potere capace di
stringermi il cuore ogni due per tre.
Improvvisamente
mi tornò in mente uno dei tanti problemi relativi al mio
atteggiamento nei suoi confronti, di cui mi ero riempito la mente
durante l'attesa.
Lui
sembrò quasi notare il cambiamento del mio umore.
«C''è
qualcosa che non va?»
Mi
sembrava oltremodo surreale e nello stesso tempo intimo
parlare sotto ad uno stesso ombrello, così vicini che riuscivo a
sentire il suo respiro condensarsi sulle mie labbra, mentre attorno a
noi imperversava il diluvio.
«Devo
chiederti una cosa...»
«Sono
tutto orecchi.»
Lo
guardai, incuriosito e sorrisi inconsciamente. Pareva che tutta la
sorda malinconia che la sua voce esprimeva il giorno prima fosse
stata soppiantata da un sorriso spontaneo, fresco. Mi sembrava
dovesse mettersi a ridere allegramente da un momento all'altro ed ero
certo che l'avrei seguito di gusto.
«Ecco...»
presi a balbettare, cercando nello stesso tempo di organizzare un
discorso compiuto e di trovare delle parole che non l'avessero offeso
«... ehm, io, volevo... sì, riguardo a... non voglio offenderti o
ferirti in nessuna maniera ma...»
Il
mio desiderio si avverò in una risata franca e rigogliosa. Durò
pochi istanti, il tempo che gli occorse per portarsi una mano alle
labbra e cercare di nascondere quello scoppio di ilarità.
«Perdonami
se rido, Kouyou.» sussultai nel sentire il mio nome fluirgli in gola
«Non avevo mai sentito nessuno usare tanti balbettii per porgermi il
suo aiuto.»
Ridacchiò
ancora, ma così genuinamente che la piccola presa in giro che mi
centrò in pieno, ebbe il solo effetto di un leggero e piacevole
solletichino al torace. Mi unii alla sua risatina, leggermente
imbarazzato.
«E
dire che con le parole dovrei saperci fare.»
«Sei
uno scrittore?» chiese con una curiosità ardente negli occhi.
«Sì.»
Sorrise,
raggiante.
«Un
giorno dovrai leggermi qualche tuo libro.»
La
richiesta così schietta e naturale mi fece sorridere.
«Senz'altro.»
I
suoi occhi, che il giorno prima mi erano sembrati così statici e
immobili, erano inquieti, ma di un inquietudine curiosa; volevano
conoscere tutto, illudersi di poter vedere e assorbire tutto ciò che
li circondava. Guizzavano sul mio volto, mentre parlavo, mi
accarezzavano le labbra fuggendo via un battito di ciglia più tardi,
sfioravano il mio sguardo -e la mia anima-, andandosene senza sapere
di averlo trovato.
Il
rumore di un tuono rese istantaneamente quelle iridi terrorizzate.
Lui
si avvicinò impercettibilmente.
«Hai
paura?»
Accennò
un sorriso colpevole, per nulla toccato da quella che, subito dopo
essere stata pronunciata, mi era parsa una domanda fin troppo
indiscreta.
«Molta.»
Con
un dito percorsi attentamente una piega del suo cappotto, fino
sfiorargli la mano gelida.
«Come
posso aiutarti?»
Chinò
il capo, assumendo un'espressione ancora più colma di gratitudine
dei sorrisi che mi aveva donato. Poteva risultare errato, ma mi
sembrava di essere privilegiato e che non fosse da tutti riuscire a
ricevere tanto da lui.
Mi
tornò in mente lo sguardo austero del biondo che me l'aveva portato
via il giorno prima. Il solo ricordo della dolorosa pesantezza dei
movimenti di Yuu in quella occasione mi fece incupire. Non potevo
certo permettermi di chiedergli a bruciapelo quale e quanto intenso
fosse il rapporto che li legava, ma la sottomissione dei suoi gesti
mi faceva ipotizzare risposte che non volevo neanche lontanamente
concepire.
Scacciai
quei pensieri cupi e concentrai tutta la mia attenzione su quel viso.
«Guidami.»
mormorò arrossendo appena. Tese una mano e si urtò delicatamente
contro il mio braccio; ci si appoggiò con cieca sicurezza,
continuando a sorridere «Avvertimi se ci sono ostacoli, gradini o
cose così. Guidami nella strada giusta.»
Annuii,
sorpreso e travolto dalla sua spontanea fiducia.
«Andiamo
a casa mia? È qui vicino e...» feci una pausa, temendo di risultare
scortese «...i tuoni si sentono di meno.»
Abbozzò
una risata, spostandosi lentamente per mettersi al mio fianco.
«Sei
sempre solito preoccuparti tanto per gli altri?»
«No,
sei tu che mi fai quest'effetto.»
Rimasi
così sconvolto dalle parole che erano echeggiate nell'aria come
schiocchi di una frusta, che ci misi qualche istante per ricollegare
tale dichiarazione alla mia persona. Arrossii furiosamente, chinando
il capo.
Lui
ridacchiò, appoggiandosi per qualche istante alla mia spalla.
«Onorato
di essere l'unico.»
-
Aoi -
«Non
si sentono più molto, vero?»
Impiegai
più di qualche istante per capire a cosa Kouyou si stesse riferendo.
«No,
hai ragione. Arigato.»
Provai
ad immaginarmi come potesse essere un suo sorriso. Quello di Ryo era
secco, obliquo, disegnato dalla mano nervosa di un artista come una
scattante linea diagonale. Quello di Yutaka invece era aperto,
corposo, dolce in quelle fossette che gli solcavano le guance. Minoru
sorrideva come se stesse sogghignando, tendendo le labbra fino a
congiungersi le orecchie con un sorriso spropositato. Shirogane
sorrideva sempre a bocca chiusa; mi aveva raccontato che aveva preso
quest'abitudine nel periodo in cui aveva tenuto l'apparecchio ai
denti e che non aveva mai smesso di sorridere in modo così composto
e riservato.
«Ho
sempre avuto paura dei tuoni.» ripresi qualche istante dopo, mentre
cominciavamo l'ultima rampa di scalini; avrei potuto benissimo
lasciar cadere il discorso nel vuoto, ma sentivo il bisogno di
spiegare a qualcuno, di raccontare.
«La
mia famiglia ha sempre fatto molto per cercare di tranquillizzarmi,
ma senza troppi risultati. Anche quando sono cresciuto, morivo di
paura durante i temporali, se non avevo nessuno accanto.»
Mi
strinse impercettibilmente l'avambraccio, rimanendo in silenzio.
«Tutti
hanno le loro fobie.» mormorò poco dopo, sciogliendo la stretta.
«Tu
di cosa hai paura, Kouyou?» mi piaceva pronunciare il suo nome. Mi
piaceva arrotolarmi le sue vocali alla lingua e poi lasciarle
scivolare fuori.
«Della
solitudine. E dei ragni.» aggiunse, ridacchiando.
Continuammo
a salire lentamente le scale senza parlare.
«Gradino.»
mormorò ad un tratto con finta noncuranza e rallentò visibilmente.
Questa
sua totale e dedita concentrazione mi dava un senso di struggente
tenerezza, oltre a dare vita, nel mio stomaco, ad una prorompente
voglia di mettermi a ridere e a piangere assieme; più di una volta
dovetti impormi non alzare una mano verso il suo viso e ringraziarlo
con una carezza.
Superai
l'ennesimo ostacolo facilmente.
Mi
piaceva camminare accanto a lui. Era certo che se avessi provato a
sfiorargli la pelle l'avrei trovata bollente; emanava un calore
avvolgente e rassicurante anche attraverso il cappotto.
Quando
entrammo nell'ingresso del suo condominio, mi stava spiegando di
abitare in un attico all'ultimo piano. Scrollò entrambi gli ombrelli
con una fretta malcelata che si ripercosse sul braccio su cui mi
appoggiavo.
Mentre
salivamo le scale -Kouyou aveva indovinato la mia avversione profonda
verso gli ascensori- mi raccontò della sua famiglia, delle sue
nipoti e della sua infanzia.
Parlava
a macchinetta, lasciandomi appena il tempo per intercalare qualche
commento o qualche frase che subito gli dava spunto per raccontarmi
qualcos'altro. Sembrava che fossimo vecchi amici che si rincontrano
dopo anni di lontananza e che lui stesse cercando in pochi minuti di
raccontarmi ciò che mi ero perso.
«C'è
un piccolo gradino, nell'ingresso.» mi informò con voce allegra.
Non
c'era più imbarazzo nella sua voce, né esitazioni. I primi minuti i
suoi avvertimenti erano risuonati cauti, timorosi di suonare
presuntuosi o arroganti; l'avevo preso un po' in giro per questo e
nel giro di qualche passo ci avevamo riso su come amici di vecchia
data. Io,
che era timido e riservato perfino con la mia stessa famiglia, ero
riuscito a intavolare una conversazione civile con un
semi-sconosciuto. Certo, questo prima che mi sommergesse di dettagli
sulla sua vita.
Arrivati
al suo palazzo, in tutti non più di cinque minuti di andatura lenta,
avevo già scoperto che era stato bocciato in giapponese al terzo
anno del liceo e che quando aveva cinque anni aveva portato Man, la
sua pesciolina rossa, a dormire nel suo letto, con tanto di boccia,
acqua e alghe artificiali; era un miracolo, aveva detto in mezzo alle
risate, che non gli si fosse rovesciata addosso e che la mattina dopo
lui e Man dormissero tranquillamente l'una accanto all'altro.
Mi
chinai a slacciarmi le scarpe e posai i piedi sul parquet tiepido
dell'ingresso.
Ero
dentro casa sua.
Rimasi
inizialmente smarrito e atterrito da questa consapevolezza.
Ero
in territori sconosciuti, estranei, forse ostili.
«Accomodati.
Fa pure come se fossi a casa tua.» A
casa mia non dovrei stare attento perfino a come mi giro, Kouyou.
Domo arigato ugualmente.
Mi
affidai al mio udito per cercare di capirci qualcosa; dall'olfatto
non mi aspettavo più nulla. Fin dal primo istante in cui ero entrato
in casa sua, quello era stato catturato dal profumo che ci aleggiava.
Il suo profumo.
Mi
sfiorò una spalla col dorso della mano; mi appoggiai nuovamente al
suo braccio, teso gentilmente in mio aiuto. Gli donai, in cambio di
quel piccolo gesto di pura ed elegante cortesia, un sorriso quanto
più genuino potessi mai dargli.
Mi
guidò dentro ad una stanza profumata di incenso.
«Questa
è la cucina.» mi prese delicatamente una mano e, come avevo
previsto, sentii la sua pelle bruciare; la appoggiò delicatamente su
una superficie dura e sottile «Siediti pure. Vado a prenderti
qualcosa di caldo.»
Scostai
la sedia da sotto al tavolo e mi ci sedetti con cautela,
appoggiandomi allo schienale; con la punta delle dita sfiorai il
cuscino morbido, mentre sentivo i suoi passi allontanarsi
frettolosamente nel corridoio.
Non
ebbi altro preavviso che il rumore felpato della sua camminata scalza
e un allegro Eccomi qua!; sentii una stoffa calda e pesante
sulle spalle e subito dopo venni investito dal suo profumo.
«Spero
ti vada bene, forse è un po' grande...»
Ma
io già non lo ascoltavo più. Con quanta più indifferenza riuscissi
a mostrare, infilai le braccia nelle maniche del maglione, e
nell'alzare annusai piano il tessuto a trame spesse.
Rimasi
inebetito, il volto semi-affondato nel suo maglione e la mente piena
di lui.
-
Uruha -
Lo
guardai entrare discretamente in casa mia, chiedendomi se al mondo
esistesse qualcosa di più impalpabile ed etereo della timidezza con
cui aveva penetrato il mio rifugio e la mia vita.
«Accomodati.
Fa pure come se fossi a casa tua.»
Mi
ringraziò con un debole sorriso; sembrava intimorito, spaurito in un
ambiente che non gli era famigliare.
Non
riuscivo neanche ad immaginare come dovesse sentirsi, costantemente
sull'orlo del rasoio; la cosa più vicina al suo buio che potessi
trovare nei miei ricordi era lo svegliarsi nel mezzo della notte a
causa di un emicrania e trovarsi nella mia camera sigillata, nel buio
più denso e corposo che ci sia.
Ma
sentivo che le due cose non potevano essere neanche lontanamente
comparate. Era ingiusto, triste, quasi paradossale che due occhi di
tale incanto non potessero vedere.
Lo
vidi accennare un passo incerto; il piede scivolò lentamente sul
pavimento in cerca di ostacoli e il corpo lo seguì poco dopo, cauto,
prudente, come se dovesse aspettarsi di cadere in una trappola da un
momento all'altro.
Gli
sfiorai la spalla col dorso della mano, piano, per attirare la sua
attenzione; accettò l'aiuto che gli porsi assieme al mio braccio con
un gran sorriso.
Il
temporale era andato placandosi lentamente ed era rimasto solo il
debole rimasuglio di qualche rombo in lontananza. Più di una volta
avevo visto gli occhi di Yuu contorcersi atterriti in risposta al
fragore di un tuono e mi ero sempre premurato di stringergli
dolcemente un braccio, cercando di infondergli in qualche maniera un
po' di sicurezza.
Mi
seguì docilmente in cucina, gli occhi pacati e tranquilli di chi sa
di trovarsi al sicuro.
Lo
feci accomodare al tavolo, precipitandomi in corridoio per cercare
qualcosa di caldo dentro cui avvolgerlo; il riscaldamento che avevo
acceso appena entrati ci avrebbe messo qualche minuto per cominciare
a scaldare tutte le stanze e quando gli avevo preso una mano per
poggiarla sullo schienale della sedia, l'avevo sentita gelida sotto
le mie dita.
Davanti
al mio armadio mi presi qualche lezioso istante per decidere cosa
volessi vedergli addosso di mio: fu un pensiero fulmineo, tanto
allettante quando imbarazzante. Sentii le guance ardere di imbarazzo
mentre l'immagine di Yuu che si chiudeva un mio paio di jeans addosso
mi solleticava il torace.
Afferrai
a casaccio uno dei tanti maglioni che Aya mi aveva fatto ai ferri e
spedito da Sapporo, imponendomi di non pensare al fatto che l'avessi
sempre considerato il mio preferito. Era stato il primo tentativo di
mia sorella, era troppo lungo e un bottone era attaccato storto, ma
non c'era abito che cui fossi più affezionato.
«Eccomi
qua!»
Glielo
sistemai sulle spalle con cura, riconoscendo in quei gesti l'affetto
materno con cui mia madre mi sistemava la divisa scolastica ogni
mattina; ogni giorno nell'indossarla volutamente trascuravo un
bottone o allacciavo male la cravatta e ogni giorno lei mi
abbottonava meglio la camicia, o rifaceva il nodo alla cravatta,
costringendomi a piegare la schiena perchè lei ci arrivasse.
«Spero
ti vada bene, forse è un po' grande...» mormorai per colmare quel
silenzio.
«Va
benissimo, Kouyou. Domo arigato.»
Mi
chiesi come facesse, nonostante le ovvie difficoltà, a muoversi
costantemente con scioltezza, con eleganza; nessuno mai avrebbe
potuto pensare, guardandolo camminare, che rischiasse tanto ad ogni
passo.
«Mi
fai fare il giro della casa?»
Si
appoggiò nuovamente al mio braccio, sulle labbra un sorriso appena
accennato ma non per questo meno sincero.
Lo
condussi per il corridoio, descrivendogli con cura ogni dettaglio del
mio appartamento. Ebbi un violento tuffo al cuore quando, nel mio
studio, riservò alla macchina da scrivere di Aya una leggera
carezza. Riuscì ad individuare ogni centro nevralgico di quella
casa, ogni oggetto al quale per un motivo o per l'altro ero
particolarmente legato e ci si soffermò con noncuranza, sfiorandoli
o porgendomi delle domande su di essi: le sue dita sfiorarono come
piume il portacenere di mio padre, quello grande di cristallo, di cui
io da bambino seguivo le venature con lo sguardo fino a perdermi nel
loro intricato disegno, uno dei quadretti a punto croce di mia madre,
la cornice d'argento decorata che racchiudeva una foto mia e di
Takanori. Era come se ad una ad una avesse pizzicato con le dita ogni
singola corda del mio cuore.
«Questo
è il salotto...» mormorai quasi senza fiato, conducendolo
all'interno del salone con attenzione. Era sempre stato molto
caotico, vuoi perchè puntualmente lo adoperavo come pensatoio
personale, vuoi perchè coincideva con la mia piccola biblioteca
personale; c'erano libri dappertutto, sulla televisione -che ormai
fungeva solo da ulteriore ripiano, dal momento che non la utilizzavo
mai-, per terra, sul tavolino, sul pianoforte di Maiko.
«È
un po' in disordine... Occhio al piano.» gli feci cambiare
leggermente direzione, ma lui all'improvviso divenne rigido come una
statua.
«Hai...
hai un pianoforte?» bisbigliò, voltando il viso. Incrociai quelle
iridi pazze di euforia, quelle labbra che a stento riuscivano a
nascondere una risata di gioia. Pensai che fosse più bello che mai.
«Suoni?»
sussurrai in risposta.
Annuì
concitatamente, stringendomi una mano come se potesse trasmettermi
mille e più ricordi.
Non
aspettai neanche che mi ponesse la domanda che già vedevo affiorare
sulle sue labbra.
Lo
guidai verso lo sgabello, sgomberandolo degli innumerevoli libri
impilati sopra; sedette lentamente, accarezzandone il rivestimento
con i polpastrelli. Non ricordavo di aver mai visto quel pianoforte
chiuso; non avrei neanche saputo come fare per aprirlo, molto
probabilmente.
Accostò
le dita al piano, e credetti di vederle tremare. Poi quelle
affondarono nei tasti, dolcemente.
La
sua musica fu un imprevedibile colpo di grazia.
Continua...
Note
di Mya: Auguri
Aelite. Anche
se dire auguri in un'occasione simile mi fa strano.
2570
parole per Uruha, 2570 parole per Aoi.
Ho
terminato la stesura di questo capitolo (vedi, scritto
interamente) con gli Acid Black Cherry e i Versailles nelle
orecchie.
Ho
deciso di spezzare i due canonici punti di vista di Aoi e Uruha per
dare continuità alla storia e per procedere più velocemente. In
parole povere, non mi andava che, terminato di descrivere l'incontro
dal punto di vista di Aoi, ricominciasse da capo quello di Uruha;
credo che tale “frammentazione” verrà portata anche nei prossimi
capitoli.
Ho
ragione di pensare (grazie tante, sono l'autrice) che nei prossimi
capitoli potranno fare capolino anche altri punti di vista. In
particolare ci terrei tantissimo ad inserire Kai e Reita in modo da
spiegare meglio il loro rapporto e ho già appurato che per salvare
un capitolo dallo sfracello più totale sarò “costretta”, per
modo di dire, ad inserire anche Ruki e Shirogane.
Che
dire, spero vivamente di non fare macelli. Già in questo capitolo ho
dovuto farmi un post-it sullo schermo per ricordarmi dei dettagli *si
sotterra*
Sono
stata assente parecchio da EFP, e in generale dalla scrittura. Posso
dire di aver passato un periodo non propriamente buono riguardo a
ispirazione e fantasia, un periodo in cui persino pensare di buttare
giù due righe mi dava fastidio.
Grazie
a hide, persone meravigliose e buona musica fanno anche di questi
miracoli.
Ho
notato che ultimamente su questo sito c'è la possibilità di
rispondere privatamente alle recensioni (e Aya è stata la mia “prima
volta” xD). Probabilmente risponderò privatamente man mano che
riceverò recensioni, da oggi in poi, visto che con i ritardi che
faccio capita che debba rispondere a domande e questioni venute fuori
mesi prima.
Però
è anche vero che è molto piacevole rispondere alle recensioni prima
di pubblicare... mah, vedremo.
Recensioni:
Aelite:
con te parlo su msn, meglio. Ti adoro, sappilo ♥ Haha
Deneb: dal mio modestissimo
punto di vista, crepare Reita di botte, per un motivo o per l'altro,
non è mai qualcosa di grave u.u Ma questi sono pensieri miei u.u Vedi?
Mi basta un tuo wow
a darmi i brividi.
Arigato,
e, ti prego, guarisci presto.
Guren:
l'errore era mio, avevo fatto un copia-incolla di troppo xD
Uuugh,
tu vuoi uccidermi. A dire il vero un sacco di gente vuole uccidermi
ultimamente (chi di complimenti, chi di botte), ciò non va bene. Ti
ho già detto che ti voglio un mondo di bene? E che ti
sorregerò-stampellerò tutta la vita? E che sei una delle persone
più buone e meravigliose che ho conosciuto in quest'ultimo anno?
Se
non te l'avevo ancora detto, sappilo u.u
Shin:
tu mi salti fuori ad intervalli casuali come un fungo xD Esempio
massimo sta nell'incontro al cinema, dove hai dovuto gridare in mezzo
al fiera per venti minuti prima che mi accorgessi che qualcuno stava
nominandomi invano u.u
Dovresti
conoscermi, cara e quindi sapere che non ho la più pallida idea di
quanti capitoli avrà questa fic. Diciamo che per ora stiamo
procedendo moooooolto a rilento (non so se do l'idea, ma sono passati
solo tre giorni T___T) e che non ho la benchè minima idea né di
quanto tempo passerà prima che le cose comincino a smuoversi, né
quando e soprattutto come terminerà. Diciamo che potrei farti
concorrenza ad Azzardo xD (a proposito, qui tutti attendono il
ventesimo capitolo... io a maggior ragione, visto che mi hai
raccontato che succede!)
Ci
sentiamo itoshii, vedi di liberarti almeno per le vacanze di Natale
^^
Hime:
uffa, ogni volta che arrivo a te, mi blocco. E sai perchè? Mh?
Perchè mi togli le parole e la mia tanto vantata ars
oratoria va a farsi un
giretto perchè alla fine non riuscirebbe a concludere nulla. Quindi,
se non riesco a spiccicare parola quando ci incontriamo a Lucca, se
non riesco a rispondere con un minimo di decenza ai messaggi, alle
telefonate e alle recensioni... diciamo che per un buon 80% è tutta
e solamente colpa tua. Ilo restante 20% è solo colpa della mia
timidezza, lo ammetto u.u Aishiteru,
Hime, aishiteru da morire ♥
Cucciola_Suzuki:
bo-hooooo, ero stata così brava a imparare chi fra voi due era chi
;____; Purtroppo ho la memoria di un cucchiaino arrugginito ;_____; Ad
ogni modo, tesoro mio, non sei assolutamente
monotona, e ammesso e non concesso tu lo fossi, adoro
la tua monotonia. Adoro te e le tue recensioni, e i tuoi complimenti.
Mi fanno bene all'anima ♥
Un
abbraccione!
Lain87:
sei troppo gentile. Troppo, hai capito? E poi qualcuno si lamenta se
mi inorgoglisco e se gongolo. Finchè continuate ad esseri così
spaventosamente gentili ovvio che mi monto la testa u.u Tu
non sai che parto
assurdo
è stato Uruha in questo capitolo *picchia Urupon* Ovviamente sono
strafelice che tale difficoltà non si noti nella lettura... ci
mancherebbe solo che si notasse, accidenti a lui =_=
Per
quanto riguarda i capitoli delle altre long, ehm, coff coff, prima o
poi arriveranno. Prima o poi ò.o
Un
bacione!
Cucciola81:
che dici, sono migliorata, no? Ehm, dai, solo quattro mesi *si va a
impiccare*
Dal
mio punto di vista Reita ha tutte le colpe di questo mondo xD (e il
bello è che lo descrivo bastardo e poi mi faccio impietosire xD), ma
vedrai che si riscatterà anche lui, la smetterà di comportarsi come
il cinico stronzo che effettivamente è e farà il buono u_u
Parola
di autrice u_u (mai, MAI, fidarsi della promessa di una fanwriter,
MAI! xD)
E
io ogni volta che leggo una tua recensione mi viene voglia di
pigliare un treno, una motocicletta, una zattera, un triciclo o i
pattini a rotelle per venire a stritolare di abbracci te e tua
sorella ;____;
Un
abbraccione!
Mammina
Grace:
abbiamo già discusso (e lamentate) abbastanza dei nostri rispettivi
seni su msn xD Quindi propongo di passare avanti xD Ribadisco
il concetto, mammina, tu mi fai M-O-R-I-R-E
xD “altro che voce profonda come una tempesta...Yuu dovrebbe dare
un'occhiata ai suoi piani bassi, e senti come ti sprofond-*la
abbattono*” tu non hai idea di quanto riso a suo tempo e di quanto
ho riso adesso rileggendola
xD Per non parlare degli insulti a Reita *muore*
Sto
cominciando anche io a pensare che la cose dello stesso numero di
parole sia stata una grande stupidata, ma ormai che sono dentro non
posso tirarmi indietro. Questo capitolo in particolare è stato un
incubo xD
Ti
adoro anch'io, Grace ♥
Papi:
tu e le tue seghe mentali riguardo alle recensioni. Ma quanto volte
dovrò ripeterti che va bene anche se mi dici che ti è piaciuto di
volata su msn? Mh? Già il fatto che tu legga e apprezzi mi fa un
piacere enorme, non ti angustiare riguardo alle recensioni.
Sei
la prima che non odia Ryo... e devo dirti che anche a me fa pena,
povero. Lo sto tartassando e martirizzando, però mi fa
un'incredibile malinconia.
Grazie
per la recensione, papi e per le uscite di testa al telefono xD
Un
bacione!
Aya:
ti ho già risposta privatamente, ma rinnovo i miei più sentiti
ringraziamenti per la recensione!
Un
bacione enorme, carissima ♥
Alla
prossima.
Grazie
a chiunque apprezzi questa ifc che procede a rilento, a chi paziente
tanto per i sudatissimi capitoli. Vi voglio bene.
Mya