Filìa
Il
giovane Achille fissava il mare davanti a sé. I doni di Helio
illuminavano la sua superficie, tingendola con i colori
dell'arcobaleno. Le onde, incoraggiate dalla brezza primaverile,
interrompevano la loro breve vita infrangendosi sugli scogli della
rocciosa isola di Ftia.
Sebbene
tutti considerassero quell'immensa distesa d'acqua volubile e
inconstante, era proprio la vista di essa che dava refrigerio
all'animo ardente del ragazzo.
Il
mare gli ricordava Teti, sua madre. Non aveva mai avuto il privilegio
di essere cresciuto da lei, e, per questo, Achille custodiva i loro
brevi incontri con una cura ossessiva.
Erano gli occhi della dea che lo colpivano ogni volta. Assomigliavano
in
modo impressionante ai suoi, gemme create dall'acqua.
E
anche poco prima il suo sguardo velato da dolci lacrime materne aveva
turbato il suo animo.
Lo
aveva messo di fronte al suo destino, e lui aveva scelto la strada
che avrebbe reso il suo nome immortale. In quel momento era
orgoglioso. Una vita di gloria, ciò che aveva sempre desiderato.
Ma,
quando i suoi occhi si posarono su quelli di Teti, una morsa aveva
attanagliato il suo cuore.
La
stessa che sentiva adesso, pensando a lui.
Sentì
una mano posarsi sulla spalla lasciata scoperta dal chitone. Avrebbe
riconosciuto quel tocco tra innumerevoli altri. Il suo tocco.
-Achille,
dov'eri finito?-la calda voce di Patroclo gli accarezzò l'udito
Il
Pelide si scostò per fare posto all'amico che, ricevuto l'invito, si
sedette accanto a lui
-Cosa
ti turba? Sei strano-chiese di nuovo il figlio di Menezio, notando
che il compagno era più silenzioso del solito. Troppo silenzioso.
Sapeva bene che l'animo di Achille non era portato alla riflessione,
il fuoco che lo dominava lo avrebbe impedito.
-Ho
incontrato mia madre. Mi ha messo di fronte ad una scelta concessami
dal Fato-rispose, alzando le spalle, come se l'argomento non lo
interessasse
-Doveva
essere una decisione di poco valore, da come ne parli. Ma non credo
che il Destino ti abbia offerto qualcosa di indegno del tuo nome. Sei
sempre il figlio di una dea. E uno dei guerrieri più promettenti, se
non il migliore-constatò Patroclo, tentando di carpire il motivo di
un disinteresse così percepibile
-Hai
detto bene. Il Fato non concede i suoi doni a chiunque. Mi ha offerto
una vita lunga e felice, ma priva di gloria. E una breve per il mio
corpo, ma immortale per il mio nome. Ho scelto la seconda. Non serve
che io ti spieghi il perché-rispose Achille, tentando di apparire
più entusiasta agli occhi dell'amico. Ma ora che Patroclo si trovava
davanti a lui quel senso di turbamento non accennava ad abbandonarlo.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per fare in modo che il suo proverbiale
orgoglio venisse in suo aiuto.
-Eppure
non sei soddisfatto. O, perlomeno, non come ti saresti aspettato.
Qualcosa tormenta il tuo cuore-Patroclo tradiva la tristezza che
provava il suo animo. Era felice che il suo amico prediletto avesse
davanti a sé una gloriosa eternità. Eppure era proprio il concetto
di 'breve vita' che gli riempiva lo spirito di tristezza.
-Ci
stavo pensando, Patroclo. Mia madre mi ha anche raccontato di una
guerra che si combatterà presto. Neanche essa sarà dimenticata
dagli uomini. Ed è' proprio lì che io perderò la vita. Ma ho
paura, Patroclo. Fobos e Deimos si sono impossessati di me.-Achille
volse lo sguardo verso l'amico, osservandolo con quei suoi occhi
gelidi come il ghiaccio, illuminati dal fuoco che bruciava dentro di
lui
-La
morte ha sempre spaventato gli uomini, è normale che tu abbia
qualche istante di sconforto-sentenziò l'altro, rispondendo allo
sguardo profondo appena rivoltogli
-No,no,
Patroclo. Non credere che sia la morte a turbarmi. Lo sai che non me
ne è mai importato. Mi interessava solo la gloria, nient'altro. O,
almeno, prima che arrivassi tu. Ma il pensiero di non vedere più il
tuo volto, di non sentire più la tua voce, di non percepire più il
tuo respiro sulla mia pelle...è questo ciò che mi turba, che mi
spaventa più di mille lance.-Achille si portò una mano alla
tempia,crogiolandosi per dei brevi istanti sul vortice di sentimenti
che gli avevano invaso la mente.
Riprese-Odierei
me stesso se ti costringessi a seguirmi nell'Ade, quel luogo tetro e
misterioso dal quale solo Hermes ha il permesso di uscire. Ma, ti
prego, seguimi, Patroclo. Questa guerra genererà eroi come poche
altre che verranno. Porta gloria anche al tuo nome, perché io non
desidero nulla che non posso condividere con te. Sarò sempre al tuo
fianco, ma tu non abbandonare il mio. Lo scudo di cui mi servirò ti
proteggerà in ogni istante durante la battaglia. Io ti chiedo solo
di non negarmi la tua presenza, perché se ho scelto una breve
esistenza non posso permettermi di viverla a metà-
Patroclo
rimase in silenzio. Quelle parole gli avevano toccato l'animo in un
modo che neanche lui seppe spiegarsi. Eppure, nel profondo dei suoi
pensieri, aveva capito di provare i medesimi sentimenti. Non avrebbe
mai lasciato Achille, non avrebbe mai perso quell'affetto senza
confini che l'amico gli aveva concesso, non per ripagarlo delle sue
attenzioni, ma perché era proprio quello che il cuore gli ordinava.
Avevano
imparato a conoscersi in quei mesi trascorsi insieme. Patroclo e suo
padre avevano dovuto rifugiarsi a Ftia per un omicidio di cui il
ragazzo si era involontariamente macchiato.
Achille
non lo aveva giudicato, non lo aveva emarginato. Al contrario,
sembrava che già dal primo istante in cui i loro occhi si erano
uniti in un unico sguardo, lo avesse scelto. E da allora erano ben
pochi gli attimi che i due trascorrevano separati. I loro corpi si
muovevano in ricerca l'uno dell'altro.
Patroclo
cinse il mento di Achille, sorridendogli-Come puoi pensare che io ti
abbandoni? Come potrei mai lasciare colui che amo più di me stesso?
Mi rimarrebbe una vita lunga, certo. Ma non sarebbe fatta di
felicità. Forse anche io, negli angoli più remoti del mio cuore,
desidero la gloria. Però non ti seguirò per questo, Achille. Verrò
con te perché i nostri destini sono legati, le Moire tessono un
unico filo che collega le nostre due vite. Non ha senso contrastare
la volontà degli dèi.-
Patroclo
sentì sulle sue labbra un tocco leggero, che si intensificava sempre
di più quando la lingua di Achille bramava di entrare nella sua
bocca. Lo lasciò fare, trasportato dalla brutale dolcezza di quel
gesto.
Il
Pelide afferrò i capelli castani dell'amico, tirandolo a sé e
avvolgendogli intorno al collo il braccio libero. Erano un unico
essere, adesso. Le loro lingue eseguivano una danza conosciuta solo
ai due ragazzi che, inebriati dal piacere di quegli istanti, non
mostravano alcuna intenzione di scostarsi l'uno dall'altro.
Fu
a Achille a interrompere per primo l'estasi provocata da quel bacio.
La forza che lo aveva spinto a cercare le labbra di Patroclo era
un'onda, potente e inarrestabile come l'amore, che si infrangeva su
uno scoglio, la cui solidità gli ricordava la loro amicizia. Ora, il sentimento che li univa era la fusione di affetto e passione.
-Patroclo,
promettimi che non mi negherai neanche questo-disse, un sussurro nel
vento
L'amico
non rispose. Si limitò a cingere il fianco di Achille e a baciarlo,
concedendo alle labbra di entrambi la gioia di essersi di nuovo
ritrovate.
Note:
Con questa ho voluto rendere omaggio al rapporto dei due personaggi
che amo di più dei Poemi Omerici.
Mi
farebbe piacere conoscere la vostra opinione, quindi i commenti, così
come le critiche costruttive, sono sempre graditi.
Spero
che vi sia piaciuta
Alla
prossima storia :)
Marty