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Autore: Macchia argentata    01/12/2010    24 recensioni
Questa storia prende il via dopo l’incidente di Andrè: il generale Jarjayes, vedendo la figlia sempre più chiusa e scostante dopo la mancata cattura del cavaliere, decide di organizzare una villeggiatura invernale…Ma forse i suoi scopi sono ben altri, visto che si premurerà di invitare nella casa di campagna di Arras due buoni partiti di nostra conoscenza non ammogliatiXD
Fan fiction senza pretesa e dai toni leggeri, scritta naturalmente per le Oscar/Andrè addictedXD
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: * Victor Clemente Girodelle, André Grandier, Axel von Fersen, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Villeggiatura 2 2 - Le donne, i cavallier, il vino, gli amori

Quando, dopo interminabili ore, la carrozza entrò cigolando nel cortile della villa di Arras, il cielo plumbeo e nuvoloso che ci aveva accompagnato per l’intero viaggio era stato sostituito dal blu denso della notte, in cui non si riuscivano a scorgere che poche e velate stelle.
Non attesi nemmeno che il lacchè venisse ad aprirci la porta e saltai giù dal predellino, evitando di travolgerlo per un soffio.
Mai più, mai più, mai più avrei voluto ripetere un viaggio come quello, considerai, mentre mi calcavo il cappello a tesa larga sulla testa e a grandi falcate mi allontanavo dalla carrozza.
Se mai nella vita avevo pensato di aver vissuto attimi di imbarazzo, era perché non avevo ancora passato circa sette ore nella stessa carrozza con mio padre e il conte di Fersen.
Feci qualche passo nel cortile spoglio. Il terreno era brullo e gelato sotto ai miei stivali, e osservandomi intorno nell’oscurità constatai quanto strana fosse quella villa senza le maestose e folte chiome degli alberi che la circondavano. Non ricordavo di averci mai messo piede nella stagione invernale, e osservai con una certa inquietudine i rami spogli che si allungavano intorno a noi come lunghe dita ossute.
Un pensiero inquietante. Ero in trappola.
Alle mie spalle, anche Fersen era sceso dalla carrozza, e si guardava attorno con una punta di curiosità.
Distolsi immediatamente lo sguardo da lui, sentendo che il mio cuore accelerava di un battito.
Il viaggio era stato un vero strazio, visto e considerando che la conversazione si era mantenuta decente per i primi quindici minuti, per poi scivolare lentamente nella classiche frasi di circostanza, ed arenarsi, infine definitivamente, dopo circa una mezz’ora di viaggio.
Per il resto del tempo avevo guardato fuori dal finestrino, mentre Nanny salmodiava preghiere in sottofondo e mio padre riempiva il resto del silenzio con il suo leggero russare. Io e Fersen sedevamo dai lati opposti della carrozza, ognuno concentrato sul finestrino antistante, e le poche volte che i nostri sguardi si erano incrociati, ci eravamo limitati ad abbassare lo sguardo imbarazzati.
Probabilmente, anzi, indubbiamente avevamo qualcosa da chiarire. Ma non ero del tutto certa di volere che accadesse.
In quel momento il rumore delle ruote di una carrozza interruppe il filo dei miei pensieri, e mi voltai ad osservare il cocchio in cui viaggiavano Girodelle e la sorella percorrere l’ultimo tratto del viale alberato, per fare il suo ingresso nel patio.
Della carrozza in cui viaggiava Andrè, ancora nessuna notizia.
“E così, questa è la sua casetta di campagna, generale? E’ deliziooosa!” Trillò la voce della contessa Colette, mentre scendeva dalla carrozza aiutata da un lacchè.
Alle sue spalle, un frastornato Girodelle si sistemava il cappello sulla chioma leonina, osservandosi attorno vagamente smarrito. Sulla sua guancia sinistra faceva bella mostra di sé il segno dell’imbottitura del sedile di pelle, e sospettai avesse passato l’ultima parte del viaggio appisolato.
Quando i nostri sguardi si incrociarono mi fece un leggero cenno con la testa: “Madamigella, avete trascorso un piacevole viaggio?”
Fersen era a meno di due metri da me.
Eccellente, Girodelle. E voi?”
Girodelle lanciò un’occhiata in tralice alla sorella, che stava già impartendo ordini ai lacchè su come trattare i suoi bagagli.
“Si, eccellente.” Mormorò, con poca convinzione.
“Avete notizia del…vostro bagaglio?”
“Intendete la carrozza su cui viaggiano i nostri servitori? Arriverà…” Girodelle si voltò a scrutare nella notte “Temo non sia dotata di un cavallo particolarmente veloce. Siete in pena per il vostro servitore?”
“Il mio attendente.” Precisai, con il tono che usavo solitamente per dargli degli ordini. Girodelle mi parve leggermente sconcertato, forse per un attimo aveva dimenticato che, nonostante fosse mio ospite, io ero e rimanevo pur sempre il suo comandante.
“Si, perdonatemi, il vostro attendente.”
“Comunque, no. Perché dovrei preoccuparmi? Era una semplice curiosità…”
Già, perché avrei dovuto preoccuparmi?
Per un istante ripensai al volto femminile che avevo intravisto dal finestrino, incorniciato dalla cuffietta di pizzo.
Poi mi resi conto che ero ancora in piedi davanti a Girodelle, e che il suo sguardo era ancora posato interrogativamente su di me.
“Seguitemi, Girodelle, vi mostro la casa.” Conclusi indispettita.
“Con piacere, madamigella!” Esclamò il conte, porgendomi il braccio con un entusiasmo che non gli avevo mai visto adottare, lui che era sempre così imperturbabile .
Ci fu un attimo di imbarazzo, in cui io guardai con una certa curiosità il suo braccio teso e le sue guance si colorarono di rosso.
“Girodelle…siete forse impazzito?” Mormorai, non potendo mascherare un sorriso.
“Hem…si, suppongo che sia così. Perdonatemi…comandante, credo che il freddo mi abbia momentaneamente intorpidito l’intelletto.” Si giustificò, ritirando il braccio.
 Gli sorrisi: “Non scusatevi, Girodelle, è vero, sono il vostro comandante, ma dato che siete mio ospite, dimentichiamo queste formalità, almeno per il momento. Tuttavia, vi prego di non avere per me i riguardi che adottereste per una signora, perché non ne vedo il motivo alcuno, siete d’accordo?”
“Assolutamente…” Farfugliò Girodelle, che aveva preso a sudare.
“Bene, ora che ci siamo chiariti, volete seguirmi?”
“Con piacere”
Mentre stavamo per incamminarci, tuttavia, l’ultima carrozza mancante del gruppo che era partito da palazzo Jarjayes fece il suo ingresso nel cortile.
Il palafreno nero alla quale era attaccata sbuffò aria gelata e si fermò a qualche metro da noi, mentre i lacchè si avvicinavano per staccarlo dal cocchio.
“Ecco la risposta alla vostra domanda, madamigella” Considerò Girodelle, che si era a sua volta girato.
“I nostri bagagli sono quiii!” Cinguettò la contessa, che si era attaccata al braccio di Fersen “E anche i miei tesori!”
Mi voltai verso di lei con il sopracciglio levato, ma lo sportello della carrozza che si apriva mi diede la risposta che cercavo.
Sul predellino comparve infatti Andrè. Aveva un’aria leggermente divertita, e il foulard bianco che portava legato al collo era tutto sgualcito.
Ma la cosa che era impossibile non notare, soprattutto, era il peloso cocker color cognac che teneva tra le braccia.
Andrè scese dalla carrozza, dopodiché si voltò per porgere la mano alla dama che smontò dopo di lui.
Anche lei teneva tra le braccia un piccolo e peloso cocker, diverso dall’altro per il fatto di avere il manto nero anziché fulvo, e anche lei sorrideva radiosa mentre la sua mano si posava in quella di Andrè.
Quando entrambi furono a terra liberarono le due bestiole, che si precipitarono nella direzione delle contessa, con i codini mozzi impazziti dalla gioia.
“Nanà, Zénon!” Esclamò la contessa, inginocchiandosi in uno sbuffo di vesti per abbracciare i suoi beniamini, mentre Fersen osservava la scena con uno sguardo vagamente malinconico.
“Cani?” Sentii che borbottava mio padre alle mie spalle.
“Oh, cielo! Sporcheranno dappertutto, e lasceranno peli ovunque!” Gli fece eco Nanny, che aveva sempre bandito qualsiasi tipo di quadrupede dalle stanze di palazzo Jarjayes.
Il mio sguardo, tuttavia, non si staccò da Andrè, che non aveva ancora guardato una volta nella mia direzione, impegnato com’era a ridere e scherzare con quella che sembrava diventata, in poche ore di viaggio, la sua nuova migliore amica.
Qualcosa mi punse, in un punto imprecisato dell’anima, e incrociai le braccia al petto, indispettita, mentre osservavo con gli occhi ridotti ad una fessura Andrè che, tra battute e risate, aiutava la serva dei Girodelle a levarsi i peli di cane dalla gonna, mentre insieme si davano da fare per scaricare i bagagli.
Insomma, cosa centrava Andrè con i bagagli dei Girodelle?
Quando, dopo un manciata di minuti che si dava da fare attorno alla carrozza del conte, mi passò a fianco tenendo tra le mani, non senza un certo sforzo, un grosso baule, ero ancora ferma con le braccia conserte.
“Oscar” Mi salutò “Viaggiato bene?”
Mi schiarii la voce.
“Meravigliosamente, grazie.” Mi espressi, mio malgrado, in tono piuttosto risentito “E…deduco che la stessa cosa sia stata per te…Affascinante la tua accompagnatrice. Mi pare di aver capito che avete legato molto, durante il viaggio.” Conclusi, lanciando un’occhiata a questa Camille, che a dirla tutta mi sembrava una tizia decisamente procace, nonostante l’ampio mantello scuro a nasconderle le curve.
Lo sguardo di Andrè si fece perplesso, mentre io distoglievo il mio.
“Oscar, c’è qualche problema?”
“No, perché me lo chiedi?”
Andrè, sempre sotto sforzo per via del baule, fece spallucce.
“No, niente…mi sembri irritata.”
“E solo un po’ di stanchezza…” Mi costrinsi ad ammettere infine. Si, decisamente il viaggio mi aveva provato, e non solo per la sua  lunghezza. Prendermela con Andrè per il fatto di non essere riuscita a spiccicare mezza parola con Fersen non avrebbe migliorato le cose.
“Scusami Andrè, adesso penso che mi ritirerò. A domani.” Aggiunsi poi, scostandomi e lasciandolo passare con il suo carico.
Andrè, barcollando leggermente, mi superò, voltando a sinistra, mentre io imboccavo la direzione opposta.
Tutto quello che volevo, in quel momento, era chiudermi la porta della mia stanza alle spalle e trovare nella solitudine un po’ di pace.

Lasciai cadere la giacca di velluto su una poltrona e mi allentai il nodo del foulard. Le finestre della mia stanza erano coperte di brina, e nonostante il camino fosse acceso da un’ora buona, quando respiravo davanti al mio viso andava formandosi una tenue nuvoletta di condensa.
Villeggiatura invernale, un’altra delle brillanti idee di mio padre.
E come sempre, ero stata costretta ad accettarla senza potermi opporre, nonostante a Versailles, ultimamente, fosse sempre più spesso richiesta la mia presenza.
“Distendere i nervi, respirare l’aria buona…Andiamo, padre!” Borbottai tra me e me.
Forse se mi avesse risparmiato la presenza di Fersen, durante quella villeggiatura, sarei stata più bendisposta nei confronti dei mio padre, che a dirla tutta, aveva adottato un bizzarro atteggiamento amichevole che destava in me più di un sospetto.
Mio padre non era mai amichevole.
A meno che non avesse in mente qualche oscuro proposito
E solitamente, ero io la vittima designata dei suoi oscuri propositi.
Mi lasciai cadere su una delle due poltrone damascate del mio piccolo salottino personale, e lasciai vagare la mano verso la bottiglia di vino che qualche perspicace servitore aveva avuto l’idea di lasciar decantare sul tavolino, versandomi un calice abbondante e portandomelo alle narici per assaporarne il profumo.
Avrei sempre potuto considerare l’idea di passare l’intera villeggiatura chiusa in camera con una discreta scorta di bottiglie. In questo modo, se non altro, avrei evitato di imbattermi in Fersen nei corridoi della casa. E forse sarei anche riuscita a scampare alle idiozie della sorella di Girodelle e di quella sua insulsa…della sua cameriera, ecco.
Chissà poi perché doveva irritarmi in quella maniera quella poveretta che non mi aveva fatto nulla di male. Non avevo nemmeno fatto in tempo a vederla bene in volto…
La colpa di tutto era di Fersen, basta, ormai era deciso!
“Si, è colpa vostra, Fersen, che non sapete distinguere il mosto dall’acquarello, perdiana!” Esclamai, scolandomi l’intero contenuto del bicchiere che avevo con tanta cura fatto scaldare tra le mani.
Posai il calice.
Va bene, forse non era proprio esattamente tutta colpa di Fersen…
Ma diavolo, quell’uomo aveva la rara capacità di capire sempre tutto e il contrario di tutto. Non aveva riconosciuto in me una donna, quando ci eravamo conosciuti, e non aveva riconosciuto me nella misteriosa donna con la quale aveva ballato tutta la notte*, la dannata sera in cui avevo deciso di scavarmi la fossa con le mie stesse mani.
Dovevo riconoscere che non era molto perspicace, sebbene i suoi modi gentili e il suo incredibile fascino spesso compensassero questa mancanza…
Sprofondai nella poltrona, con uno sguardo corrucciato.
‘Il mio migliore amico’, ecco come mi aveva definito, parlando con la misteriosa dama che altri non ero che io, calata in quella orribile farsa.
“L’amore è per gli stolti…” mi versai un altro calice di vino, e in quel momento un lieve bussare interruppe i miei pensieri.
“Avanti”
“Madame”
La voce sconosciuta mi indusse a voltarmi, e mi ritrovai a fronteggiare un volto rotondo e gentile, in cui spiccavano due grandi occhi color ambra.
Camille.
“La signora Maron Glacè mi ha pregato di salire a chiedervi se gradireste fare un bagno, per rimettervi dalle fatiche del viaggio, l’acqua è già pronta e dovrei solo portarvela su…” Mormorò, con un leggero accento popolano. Dalla cuffietta nera le scappavano alcuni ciuffi di capelli color rame, che davano un po’ di vivacità al suo incarnato bianco latte, spruzzato di efelidi. Sembrava estremamente giovane.
Mi grattai una guancia con la punta dell’indice, considerando la questione, dopodiché acconsentii.
Forse un bagno caldo era proprio quello che ci voleva per distende i miei nervi.
Quando Camille tornò con due enormi secchi ricolmi di acqua bollente mi stavo sfilando gli stivali seduta sul letto.
La vasca di rame troneggiava davanti al camino, dove Camille aveva avuto l’accortezza di spostarla, per fare in modo che non mi venisse una polmonite mentre facevo il bagno. Dovevo ammettere che era svelta ed esperta, nonché particolarmente forzuta, considerai vedendola sollevare senza sforzo un secchio ricolmo per svuotarlo nella vasca. Effettivamente era abbastanza robusta, con braccia ben tornite, un volto rotondo e…un seno prominente?
Con un leggero sconforto mi apprestai a slacciarmi i polsini della camicia, evitando di soffermarmi su ciò che la natura era stata tanto generosa nel donare a Camille, mentre con me si era rivelata estremamente parca.
Cominciavo a sospettare cosa Andrè avesse trovato di così piacevole nel viaggio trascorso con lei.
“La signora gradisce che l’aiuti a svestirsi?”
Il suo tono di voce era timido, e notai che mi osservava con una certa soggezione.
Certo, alla maggior parte delle persone dovevo sembrare un curioso caso di fenomeno da baraccone…Venite, signori e signore, ad ammirare il generale Jarjayes e la strana creatura che ha allevato come un figlio!
Va bene, forse stavo un tantino esagerando.
“Vi ringrazio, ma…no. Dopotutto non ci sono lacci da sciogliere e corsetti da allentare, perciò, grazie, ma posso fare benissimo anche da sola. Potete andare.”
Camille parve riprendersi dal suo stupore, chinando leggermente il capo in un inchino.
“Madame” Esclamò, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Rimasta sola mi sfilai i pantaloni e le calze, dopodiché, con solo la camicia addosso mi diressi al tavolino, dove mi versai un altro calice di vino, prima di accomodarmi nella vasca con il bicchiere in mano.
L’acqua calda gonfiò la mia camicia, prima di penetrare nel tessuto e incollarmela addosso, mentre un caldo torpore si impadroniva di me.
Appoggiai la testa alla vasca, lasciando ricadere i capelli fuori da essa, e mi portai il bicchiere alle labbra, lasciando che il sapore del vino si fermasse qualche secondo su di esse, prima di schiuderle e lasciare che mi scivolasse nella gola.
In quale stanza dormiva Fersen? Non mi ero nemmeno preoccupata di saperlo…
A dire il vero, appena scesa dalla carrozza ne non avevo voluto più sapere niente di lui, e non si può dire che durante il viaggio lo avessi degnato di qualche attenzione.
Mi stavo comportando come una sciocca ragazzina, constatai, mentre la cosa sensata da fare, l’unica cosa sensata da fare, era affrontarlo a viso aperto. Se c’erano dei problemi da risolvere si sarebbero risolti e se ci fossero stati degli adii da compiere…che fosse.
Oscar François de Jarjayes non scappava davanti ai problemi.
Appoggiai il bicchiere ormai vuoto al pavimento e mi immersi completamente.
Per quanto tempo si poteva resistere sott’acqua?
Una vita intera, lo sapevo bene io che dall’infanzia non avevo ancora respirato una sola volta.
Anzi, correggendomi, una volta ci avevo provato e mi era andata tanto di traverso quella boccata d’aria che mi bruciavano ancora i polmoni.
Quando dalle mie labbra cominciarono ad uscire delle piccole bolle d’aria riemersi, tirandomi indietro i capelli fradici, e riappoggiando la testa al bordo della vasca.
Il lieve scoppiettare della legna nel camino, il leggero fumo caldo che usciva dall’acqua, i tenui riflessi ambrati del fuoco che si riflettevano sul rame della vasca, nell’oscurità di quella stanza illuminata solo dalla luce di un candelabro, oltre a quella quasi magnetica del focolare impigrirono i miei sensi, e mi ritrovai a chiudere gli occhi, lasciandomi trasportare dal suono melodioso della legna che scoppiettava e dal leggero sciabordio dell’acqua attorno al mio corpo.
Probabilmente mi appisolai, perché avrei giurato di non aver sentito nessuno bussare alla porta, che ora, mentre le lanciavo uno sguardo vagamente intimorito, era innegabilmente socchiusa.
Mi aggrappai al bordo della vasca con una mano. Poteva essere stato un colpo d’aria? Forse Camille che veniva a portare altra acqua calda?
Mentre compivo quei ragionamenti, un rumore di passi alle mie spalle mi fece trasalire, ma prima ancora che potessi voltarmi, due mani risalirono lungo la mia schiena bagnata, per posarsi sulle mie spalle.
Mi irrigidii di colpo, e non urlai solo perché se lo avessi fatto mio padre sarebbe probabilmente arrivato nel giro di qualche minuto, e non volevo che gli venisse un infarto assistendo alla scena che, temevo, si sarebbe ritrovato davanti agli occhi se non avessi fatto qualcosa immediatamente: il suo valoroso figlio, capitano delle guardie reali, nudo, ops, pardon, nuda come un verme tra le braccia di qualche losco individuo.
“Chi siete? Come…osate?” Sibilai, rimanendo immobile.
Le mani dello sconosciuto ebbero un fremito, e si strinsero alle mie spalle.
“Oscar…” Sussurrò con voce rotta al mio orecchio.
“Fersen…?” Per un attimo, le parole mi morirono sulle labbra.
Lo sconosciuto strofinò il volto lungo il mio collo, e sentii i suoi capelli inumidirsi a contatto con la mia pelle bagnata. Non riuscivo a muovere un muscolo.
Era la voce di Fersen? Erano le sue mani, quelle? Erano le sue labbra quelle che mi sfioravano il lobo?
Sentii una delle sue dita insinuarsi sotto alla stoffa della camicia fradicia che mi copriva le spalle, spostandola leggermente, mentre le sue labbra posavano un dolce bacio sulla mia spalla nuda.
Inspirai ed espirai. A pochi metri da me, c’era la mia spada…Ma, ero davvero sicura di voler dare la morte a chi mi stava facendo…questo?
Lo sconosciuto posò la fronte sulla mia spalla nuda, e in quel momento trovai la forza di voltarmi lentamente.
I capelli gli arrivavano alle spalle, ed era tutto ciò che riuscivo a scorgere, data la sua posizione. Dall’oscurità della stanza, non riuscivo nemmeno a distinguerne il colore…
Ma poteva essere benissimo…
“Fersen? Siete voi?...Siete forse impazzito?”
Se era Fersen, si, lo preferivo impazzito.
L’uomo si sollevò, e senza darmi modo di scorgere il suo volto tornò alle mie spalle. Lo sentii inginocchiarsi piano, prima una gamba e poi quell’altra, mentre con le mani sulle mie spalle esercitava una leggera pressione, intimandomi di scivolare nell’acqua, sino a che non mi ritrovai nuovamente con la nuca appoggiata alla vasca; a quel punto si sporse su di me, e mi posò un leggero bacio sulla fronte.
“Perdonami Oscar…” mormorò “Perdonami se non sono lui”
Il suo mento coincideva ora con la mia fronte, e mi posò un altro delicato bacio sulla punta del naso.
I capelli corvini caddero attorno al mio volto come uno stormo di rondini, e in quel momento, sgomenta, capii.
“Andrè…”
Ero talmente sbalordita che, inspiegabilmente, non mi sovvenne di fermarlo.
Le labbra di Andrè scesero sulle mie, ma non vi si posarono.
Indugiavano.
Sentivo il suo respiro caldo sulla mia bocca. La pressione delle sue dita sulle mie spalle nude.
E improvvisamente, qualcosa di completamente sconosciuto mi spinse ad allungare un braccio, posandogli una mano sulla testa e spingendolo dove fino ad ora aveva esitato.
Le nostre labbra si incontrarono con una prepotenza sconosciuta, e mentre mi afferrava il labbro inferiore, succhiandolo leggermente, sentii le sue mani scendere oltre le mie spalle, sulla camicia bagnata e aderente, verso il mio seno…

Mi tirai su con forza dalla vasca da bagno, in cui ero scivolata sin quasi al mento, e mi aggrappai al bordo, respirando convulsamente.
Sola, ero sola.
Nessun maniaco travestito da Andrè si aggirava per la mia stanza. Era stato solo un sogno.
Un brutto sogno.
Un sogno orribile.
“Oddio…” Mormorai, ancora ansimante. Mi levai immediatamente dalla vasca da bagno e, lasciata cadere a terra la camicia fradicia, mi avvolsi nella vestaglia da camera. Involontariamente con il piede colpii il bicchiere vuoto che avevo posato a terra prima di addormentarmi, il quale cadde con un tintinnio, incrinandosi senza frantumarsi.
Mi fermai ad osservarlo, mordendomi le labbra.
Eccolo lì, il vero motivo di quel sogno assurdo.
“Sono ubriaca…” Mormorai tra me e me, cercando giustificazioni che tuttavia stentavo a trovare.
Insomma, era già abbastanza imbarazzante ammettere di aver avuto un sogno…erotico, su Fersen. Ma se Fersen si trasformava improvvisamente in Andrè, cosa poteva significare?
“Significa che sei ubriaca, appunto.” Mormorai tra me e me.
Andrè! Era…ridicolo.
Era ridicolo?
Si era ridicolo.
Per un breve istante mi tornò alla mente quella lieve fitta che avevo avvertito nel vederlo ridere e scherzare con Camille.
La sua mano che si posava sulla gonna di lei, intenta a levarle pelucchi di cane…
Quella stessa mano che avevo sentito così vividamente sul mio corpo…
Era stato un sogno dannatamente realistico, maledizione!
In quel momento mi voltai verso la porta, e con sgomento dovetti constatare che effettivamente…era socchiusa.
Deglutii. Poi sentii un chiaro rumore provenire dal salottino, nella stanza attigua.
“Va bene…” Mormorai, avvicinandomi alla spada ed estraendola lentamente. “Chiunque tu sia, puoi scamparla nei sogni, ma nella realtà sarai meno fortunato…” mormorai, avvicinandomi di soppiatto al salotto, mentre con la mano sinistra mi tenevo ben chiusi i lembi della veste da camera e con la destra tenevo la spada levata davanti a me.
Quando feci irruzione nella stanza, tuttavia, per poco non mi caddero le braccia. La bottiglia di vino che era appoggiata sul tavolo si era rovesciata, e il suo contenuto aveva formato una chiazza sul pavimento, in cui si stava ‘servendo’ il mio ‘ospite’, che quando mi vide comparire, stralunata e con la spada tesa, si limitò a scodinzolare ed emettere un piccolo latrato di benvenuto.
Non mi ero mai sentita tanto ridicola, escludendo la sera del ballo con Fersen, naturalmente.
“Sto minacciando…un cane.” Constatai “Sono decisamente ubriaca.”
Lentamente mi trascinai ad una delle due poltrone, e mi ci lasciai ricadere sopra, esausta.
Il cocker dal pelo fulvo, non avevo idea se fosse Nanà o Zénon, mi imitò, saltando sull’altra poltrona e guardandomi con occhi fiduciosi emise un altro piccolo latrato.
Raddrizzai la bottiglia di vino dal tavolo.
“Mi dispiace darti una delusione, ma temo che in due ci siamo scolati una bottiglia, e io non ne ho altre sottomano, per il momento.” Esclamai, irritata.
Il cocker scodinzolò.
Io appoggiai una mano al tavolo e vi posai la fronte sopra.
“Sarà una lunga villeggiatura, temo…”


*A quanto pare questo era un comportamento tipico anche del vero Fersen, che quando conobbe Maria Antonietta, parlò e ballò con lei senza avere il minimo sospetto che si trattasse della Delfina^^ C’è da dire, a sua favore, che Maria Antonietta era mascherataXD



Ecco il secondo capitolo^^ Anche questo è abbastanza introduttivo, ma dal prossimo ci sarà più interazione tra i personaggi e si entrerà più nel vivo della vicenda.
Spero di non aver snaturato eccessivamente i personaggi nel mio tentativo di renderli più adatti ad un storia dai toni leggeri come questa, ma se avete opinioni positive/negative da propormi, sono sempre bene accette!
Grazie di cuore a tutti quelli che hanno voluto lasciarmi la loro opinione, è una cosa che apprezzo sempre moltissimo^^ Come avrete notato mi sto servendo della nuova funzione di EFP per rispondere alle vostre recensioni, ma grazie ancora! Baci^^
  
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