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Autore: Mikaeru    02/12/2010    3 recensioni
Sherlock continuava a protrarre il proprio voto di ignorarlo: lo aveva stabilito il giorno in cui Watson gli aveva ricordato quanti pochi giorni mancassero alle sue nozze. Se ne stava accovacciato sulla poltrona con le ginocchia al petto, tenendo il mento su, altezzoso, come un bambino offeso.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Io non so proprio cosa devo fare con lei, Holmes.”
Sherlock continuava a protrarre il proprio voto di ignorarlo: lo aveva stabilito il giorno in cui Watson gli aveva ricordato quanti pochi giorni mancassero alle sue nozze. Se ne stava accovacciato sulla poltrona con le ginocchia al petto, tenendo il mento su, altezzoso, come un bambino offeso.
“Quant’è che non esce da qui?”
“Non mi sembra che gliene importi, Watson.”
“Certo che me ne importa, altrimenti non mi sarei disturbato a venire fino a casa sua, interrompendo i preparativi.”
“Ah, mi scusi tanto se ha dovuto interrompere i suoi preziosi preparativi!”
“La può smettere, per dieci minuti almeno, di comportarsi come se avesse dieci anni?”
“Questo mi impedirà di venire alle sue penose nozze?”
“No, e non si azzardi di nuovo a definirle penose!”
“Allora no, non penso proprio che la smetterò.”
“Holmes, fra tre giorni mi sposerò, la mia futura moglie è agitata da morire e lei non trova di meglio che ignorare ogni mio sollecito a farsi vivo in quanto mio testimone!”
“Lei sta facendo un grande errore.”
“A volerla come testimone? Questo sicuramente, l’ho già amaramente scoperto.”
“No, a sposarsi.”
Watson, che era rimasto a bollire per tutta la chiacchierata, stringendo con forza il pomello del bastone da passeggio con scariche irregolari di isteria, non lo resse più e lo tirò su per il colletto liso della camicia.
“Holmes, mi può dire una volta per tutta cosa diavolo vuole?!”
“Come se lei non lo sapesse già, mio acutissimo dottor Watson.”
Sherlock Holmes continuava a tenere il mento alto, con aria di sfida, senza riuscire a nascondere quello che navigava, fluttuava lentamente, liquido, nei suoi occhi, tutto l’odio e la gelosia e – e tutto quello che il dottore pareva notare ma non sopportando l’idea di farlo. Watson calmò il moto d’ira guardandolo così profondamente. Lo guardò, lo lasciò andare, sospirò.
“Ha forse scoperto qualcosa d’interessante? Dalla sua espressione pare di sì, mio caro Watson.”
“No.”
Sherlock, impettito, tronfio di sé, sembrava molto più alto. Lo guardava come se volesse sfidarlo ad un incontro di pugilato. Teneva le mani dietro la schiena, uno a stringere il polso, l’altra chiusa a pugno.
“Allora mi spiega cosa non le va del mio matrimonio?”
“Sua moglie, ad esempio.”
“Perché le chiedo ancora qualcosa… che cos’ha Mary che non va?”
“Non le offre la vita che le potrei offrire io.”
“Ah, certo, chi non vorrebbe rischiare costantemente la vita invece di poter esercitare tranquillamente la propria professione?”
“Vedo che ha colto il punto. Ora, se lo permette, le potrei illustrare gli altri motivi…”
“Lei non coglie mai il mio sarcasmo?”
“Non mi pare proprio il caso di fare del sarcasmo per una questione così seria. Inoltre, penso che…”
“Holmes, io non volevo davvero sapere cosa non le va del mio matrimonio, io volevo che lei si rendesse conto dell’età che ha e che la smettesse di comportarsi da moccioso!”
“Non ne ho intenzione, non mi porterebbe alcun vantaggio. Mary non è la ragazza adatta a lei! Non ha un livello di cultura abbastanza alto, scommetto che le vostre conversazioni…”
“Non si azzardi a dare dell’ignorante alla mia futura sposa, che si dia il caso abbia un ottimo livello di istruzione. Le ricordo che fa l’istitutrice.”
“Ah, vero. Questo non significa che il suo sia più alto del mio.”
“Questo non significa che io debba rompere il fidanzamento.”
“Io non ho mai parlato di questo. Mi mette in bocca parole non mie. Però, se lo ha detto, vuol dire che ci ha pensato.”
“La smetta di dire fesserie, lei parla sempre di questo, a livelli che oserei dire ossessivi.”
“Allora non ha mai cercato di intuirne il motivo?”
Holmes cominciava ad innervosirsi, anche se impercettibilmente. Voleva che quella conversazione finisse, assieme a qualcos’altro – assieme alla tensione, assieme a tutta quella soffocante gelosia.
“No, non ho voglia di andare a indagare in quel caos assoluto che è la sua mente. Per questo lo chiedo a lei, magari mi fa il favore di farlo al posto mio e di cavarsi fuori una risposta adulta e coerente.”
“Non ha bisogno di sposarsi, vivere con me è abbastanza.”
“Non lo faccio per bisogno, lo faccio per volontà.”
“Non ci credo.”
“Sì, sì, d’accordo, come vuole lei!”, sbottò infine Watson. Si piegò a recuperare il cappello che, per la rabbia, aveva fatto cadere. Lo spolverò con la mano – gli occhi di Holmes che non si scollavano da lui nemmeno per un frangente – e se lo rimise in testa. Riprese a fissarlo negli occhi. “Mi cercherò un altro testimone, lei mi sta facendo uscire dai gangheri.”, aggiunse con tono irato, senza credere davvero a nessuna delle parole usate. Voltò i tacchi, batté forte il bastone sul pavimento come se volesse lasciare un’impronta di sé (come se ce ne fosse stato bisogno!, si disse immediatamente dopo, alzando gli occhi al cielo), e fece per uscire.
“Ci pensi, Watson, lei non è me. E lei lo sa bene.”
Come se l’avessero frustato, John Watson rizzò la schiena e spalancò gli occhi. Non si voltò. Lasciò che le parole rimbombassero ovunque. Lasciò che lo colpissero, che stridessero contro di lui. Che lo bruciassero, ustionandolo.
Lasciò scorrere tutto.
Parlò quando fu finito.
“Questo è solo un problema suo, Holmes. Se lo risolva. Il matrimonio è domenica mattina alle dieci in punto. Cerchi di venire puntuale e, soprattutto, la prego, pulito. Con dei vestiti suoi. Grazie.”

  
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