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Autore: Kobato    03/12/2010    1 recensioni
Dylan ha solo diciotto anni, eppure, nonostante dovesse trattarsi soltanto di un semplice ragazzo intento a studiare, dietro la sua giovane età si nasconde ben altro: è un assassino. Un assassino crudele, che non risparmia nessuno, appartenente ad un organizzazione di assassini, altrettanto spietata.
Sembrerebbe apparentemente che il suo cuore di ghiaccio, freddo come i suoi occhi impassibili, non abbiano mai conosciuto il calore di un sentimento come l'amicizia, o persino l'amore.
Ma Melany, una dolce ragazza, riuscirà a farlo cambiare... poco a poco... passo dopo passo...
Che succede, però, se questa ragazza è in cerca di vendetta contro quell'organizzazione di cui proprio Dylan fa parte? E che succede se la giovane diventa suo ostaggio?
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo


Tutti erano totalmente all’insaputa della sua esistenza. Persino ora che alloggiava in America, più esattamente negli Stati Uniti, era rimasta segreta addirittura al presidente stesso. Come ombre non si facevano notare, né permettevano di farsi scoprire; qualunque componente avesse dato anche solo l’opportunità di farli scovare, andava incontro alla morte.

Era un’organizzazione di assassini professionisti, il loro nome era “Divine punishers” . Si facevano chiamare “punitori divini” perché dell’idea di fare il giusto, di aiutare la società a vivere meglio e di eliminare gente che non meritava, secondo loro avviso, di essere in vita: gente come gangster, mafiosi o comunque responsabili di delitti e azioni illecite.

I componenti erano di un numero spropositato: andavano dai quattrocento ai cinquecento e provenivano dalla maggior parte del mondo.
Non si poteva di certo fare richiesta di entrare nell’organizzazione visto che essa rimase sempre nel buio e non si espose all’esterno, ma alcuni dei più anziani membri, quando notavano qualche soggetto abile nel maneggiare pistole, spade, fucili, - insomma armi in generale - facevano richiesta di entrare nei punitori a quest’ultimo. Se la sua risposta era affermativa lo si conduceva sino alla base dove in seguito ci sarebbe stata la cerimonia del giuramento, se invece la risposta era negativa gli si davano medicinali che cancellavano i ricordi di quell’incontro. Questo era uno dei metodi più umani che avevano, ma nella maggior parte dei casi, se il soggetto dell’interessamento di qualche anziano era davvero abile, o meritevole di lode, non si facevano scrupoli a rapirli, cancellando ogni ricordo passato delle loro vite.

I membri potevano entrare nell’organizzazione a partire dai quattordici anni ed arrivare persino ai sessantacinque purché, comunque, in grado di utilizzare armi.

Fra i più giovani ve ne era uno che era divenuto parecchio noto tra i punitori: Dylan. Famoso perché rapido, silenzioso e senza scrupoli nell’uccidere chiunque – che si tratti di donne, uomini, vecchi e bambini, se ne necessario – già dalla sua età che risaliva solo a diciotto anni.

Tutti gli elementi avevano un soprannome per non mettere a rischio la loro identità, il suo era Black swan, poiché veniva accompagnato nei suoi omicidi da un magnifico esemplare di cigno nero. Era entrato nell’organizzazione all’età di dodici anni, addirittura prima dell’età prestabilita per la sua enorme abilità nel maneggiare la pistola; il ragazzo li seguì spontaneamente quando proprio il capo dei punitori gli aveva fatto richiesta di entrare tra i membri dell’enorme gruppo che si era venuto a creare. Allenatosi da quella tenera età, quindi, era diventato il più abile tra gli elementi giovanili e stava arrivando pian piano al livello dei compagni adulti.


 Capitolo I



Bob Butler era un ricco commercialista che in segreto vendeva armi senza che il compratore possedesse necessariamente il porto d’armi.

Quella sera era tornato a casa da lavoro e ad aspettarlo c’era la sua consueta ragazza per la notte che era solito cambiare ogni giorno.

“Bob, dai, vieni a letto. È da tanto che ti sto aspettando”

“Vengo, piccola. Un attimo solo, che chiudo la finestra” . Fatto ciò, si mise nel letto e attirò la donna a sé.

Ad un tratto, però, la finestra  si ruppe e, spaventati, i due cercarono di capire cosa fosse successo. Sentirono, poi, il verso di un cigno che volava sulle loro teste.

“Ma che diamine ci fa un cigno qua?” , disse la donna, continuando a guardarlo.

“Non ne ho idea, ma non voglio che niente e nessuno ci interrompa”  . Prese la pistola dal cassetto e la puntò verso il volatile, quando si sentì qualcosa alla tempia; quel qualcosa era freddo e solido e, anche se non sapeva con esattezza cosa potesse essere, ne aveva già il presentimento.

La ragazza lo guardava terrorizzata, tanto era impaurita che emise un urlo, si rivestì e scappò via. Evidentemente non lo fece abbastanza in fretta, poiché neanche mise fuori il piede dalla stanza che il pavimento si ritrovò di un colore rosso molto vivace.

L’uomo restò immobile e, anche se cercava di mascherarlo, era atterrito. “Non credevo che uno sbirro arrivasse a tanto. Sei uno di loro?”

Non ebbe risposta.

“Oppure sei uno di quelli che sta iniziando a farmi concorrenza? O sei stato mandato da uno di quegli altri?” . Non aveva il coraggio di voltarsi sentendosi quella pistola appoggiata del tutto sulla sua testa.

Ancora una volta silenzio. Il verso del cigno nero faceva da sottofondo a quegli attimi strazianti di paura e attesa. 

“Senti, amico, non so chi tu sia, ma ti prometto che qualunque cifra ti abbiano dato per fare questo, io te ne darò il doppio, anzi il triplo. Per cui cerca di evitare di eliminarmi e…”

“Non lo senti?” , lo interruppe lui.

Lui rimase zitto con sguardo perplesso.

“Il suo pianto. Sta piangendo” . Gli indicò con l’altra mano il cigno che stava intonando una musica malinconica, struggente.

“Piangendo?”

“Sì, sta piangendo per te”

 

Il ragazzo guardava la scena dal terrazzo del palazzo di fronte: la polizia, l’ambulanza, tutti lì per quell’uomo che ormai non c’era più.

“Che inutile spreco di tempo” , disse Dylan, accarezzando la testa del cigno che gli si era appoggiato sul braccio, quasi come un falco. “Se lo volete, cercatelo all’inferno” .

“Un ottimo lavoro, Black swan, come sempre, del resto” . Una donna era comparsa alle sue spalle.

“Che ci fai qui, Black feather?”

“Ma bravo, mi hai riconosciuta anche solo dalla voce. Devo complimentarmi con te”

“Non farmelo ripetere una seconda volta:  perché sei qui?”

Gli si avvicinò e si sedette su una tegola del tetto, accanto a lui. “Niente, ho finito il mio lavoretto e, non avendo niente da fare, ho pensato: “Perché non fare una visitina a Black swan?””

Il ragazzo si sedette accanto a lei e si stese del tutto, appoggiando la testa alle braccia. “Non sono più un bambino, non ho bisogno di essere visionato”

“Lo so, sei grande ormai” , disse sorridendo la ragazza.

“Non fare tanto la professionista, ti ricordo che hai solo due anni più di me”

“Già, lo so. Lo so”

Black feather, piuma nera, era stata, da quando Dylan aveva avuto dodici anni, sino ai quindici, la sua insegnante. Aveva provenienze russe e il suo vero nome era Astra. Era stata fatta entrare nell’organizzazione all’età di quattordici anni per la sua grandissima abilità con la lancia; la sua arma veniva ritenuta una delle più potenti ed efficaci poiché la punta metallica dell’asta conteneva un veleno potentissimo e così efficiente ed istantaneo che riusciva ad uccidere anche nel giro di qualche secondo. Prima dell’allievo, Astra era considerata la migliore tra i giovani, poi, arrivata a vent’anni, entrò nella fascia adulta dell’organizzazione ed anche lì risultò l’eccellenza in persona.

I divine punishers avevano ideato questo metodo proprio per stimolare i membri a diventare sempre più forti e abili, tentando di superare i loro compagni e venendosi a creare rivalità tra quest’ ultimi.

Era anche questo per la maggior parte che aveva spinto Dylan a dare il meglio di se stesso; voleva, aveva sempre voluto superare la sua maestra e ci stava riuscendo, ormai stava superando tutti gli adulti, uno dopo l’altro, tanto da arrivare quasi a lei. Dall’altra parte lei continuava a mantenere il suo buon ritmo migliorandolo ogni volta con l’intenzione di non farsi superare da lui. Tuttavia, nonostante la grande rivalità tra loro, i due andavano d’accordo e forse Astra era l’unica persona di cui a Dylan importasse qualcosa. Sempre qualcosa di superficiale, ma pur qualcosa gli importava, questo perché gli era stato insegnato a non nutrire più affetto per nessuno, per niente; gli ripetevano ogni volta che il suo cuore si sarebbe indebolito se avesse iniziato a nutrire affetto per qualcuno e che sarebbe stato cacciato fuori dall’organizzazione se l’avesse fatto, quindi sarebbe morto. La stessa Astra glielo ribadiva spesso e quando le capitava di essere gentile con lui, subito lo picchiava per evitare sempre che quell’amorevolezza lo influenzasse; lei non era cattiva nei suoi confronti e non voleva neanche fargli del male, ma lo faceva per il suo bene e questo, nonostante lo maltrattasse in continuazione, il ragazzo lo aveva capito tanto da nutrire, se ben in maniera superficiale, quel poco di affetto per lei.

“Piuttosto com’è andata a te?”

“Piuttosto male, sono stata costretta ad uccidere appresso al trafficante di droga anche la moglie e la figlia, sono entrate proprio quando stavo svolgendo il mio compito”

“Beh, lo sai anche tu, no? È la nostra legge: chiunque intralci i punitori, non può restare in questo mondo”

“Sì, lo so bene” . Astra aveva uno sguardo assente.

Dylan si alzò dal tetto. “Io ritorno alla base, qui non c’è più niente da fare”

Lei lo guardò e si alzò anche lei. “Vengo con te”

 

La base segreta era in realtà un’enorme villa situata su un promontorio. Era composta da due piani immensi, una terrazza e al posto di una cantina vi era una smisurata camera segreta usata per le riunioni speciali ove venivano convocati tutti i componenti dell’organizzazione. La villa doveva essere, infatti, molto grande per contenere un numero da quattrocento a cinquecento persone.

Tornato nella sua stanza, composta da un letto, un comodino e un minuscolo bagno, come la camera di ogni membro dei punitori, si stese sul suo materasso a fissare il soffitto. Gli ci volle poco per addormentarsi e sognò. Nel suo sogno era tornato bambino e stava camminando in una sera di pioggia per strada, ad un tratto lo prese per un braccio l’uomo che aveva ucciso quella stessa sera e a poco a poco lo raggiungevano tutti quelli che aveva ammazzato sino a quel momento. Lo prendevano a calci, lo insultavano, lo picchiavano, approfittando del fatto che era piccolo, quando ad un punto tutti uscirono le loro pistole, i loro fucili, le loro armi e gliele puntarono contro. In sottofondo sentiva la melodia angosciante del suo cigno nero che gli volava sulla testa proprio come faceva per le sue vittime; era confuso, terrorizzato a tal punto da urlare mettendosi le mani alla testa, un urlo forte, così forte che quando riaprì gli occhi si ritrovò grande, e prima che potesse capire quello che era successo si ritrovò la pistola fumante in mano e i suoi nemici a terra, morti nuovamente. Il volatile a quel punto si andò a posare sul loro sangue accumulato, come stesse facendo una naturale nuotata su un laghetto, tanto ce n’era.

A quel punto si svegliò ansimante, gli occhi sbarrati e tutto sudato. “Di nuovo? Maledizione!” . Aveva fatto quel sogno anche la notte scorsa e la notte precedente. Da un bel po’ sempre quello stesso sogno lo torturava in continuazione, senza dargli tregua, unicamente con la differenza che ad ogni giorno che seguiva si aggiungevano più uomini nel suo sogno.

L’avevano sempre avvertito di questo: le tue vittime ti danneranno l’anima, ti faranno star male con ogni mezzo a loro possibile fino a quando non troveranno pace.

Prima non accadeva, forse con il fatto che i suoi omicidi non avvenivano spesso, ma ora che uccideva più di una persona al giorno la cosa era diventata insopportabile.

Si mise a sedere sul letto e il suo sguardo cadde sulla sua foto di quando era bambino, la prese in mano e la osservò per un po’, poi la gettò per terra, si alzò e andò in bagno per lavarsi un po’, quindi si guardò allo specchio…I suoi occhi erano sempre di quel castano chiaro, così chiaro tanto da diventare quasi un giallo-sabbia, ma non erano più gli stessi occhi ingenui di quando era piccolo; quegli occhi avevano conosciuto il dolore, l’angoscia, la paura, la solitudine e avevano visto omicidi, gente morire per mano del tempo, di malattie, del destino, dei suoi compagni ed anche per mano sua. Avevano visto la parte del mondo, la feccia del pianeta, a cui stava cercando di dare una fine, conoscevano il mondo e ormai erano diventati freddi, diffidenti, quasi cattivi, non lasciavano intravedere punte di gioia, di felicità, ma solo di amarezza e vasta solitudine.

Non riuscendo a prendere sonno uscì dalla stanza girovagando nella villa senza meta, quando ad un tratto sentì dei lamenti, allora seguì il suono che lo portò verso un corridoio buio e l’unica stanza fiocamente illuminata su otto che ve n’erano. Si sporse per intravedere qualcosa e vide Astra a terra, senza un abito che le coprisse la parte superiore del corpo, ma solo in intimo, ricevere delle frustate da uno dei due anziani che erano nella camera. Uno di questi era Alfons, uno dei più anziani e, al suo tempo, il migliore punitore dopo il capo dell’organizzazione, era tedesco ed era stato sempre fedelissimo ai divine punishers anche a costo della vita; poi vi era l’anziano che la stava punendo: Dheeraj, proveniva dall’India, anch’esso era uno dei componenti più anziani del gruppo e, quando aveva più o meno l’età di Astra, fu il consigliere del capo dei punitori.

Dylan non sapeva cosa avesse fatto la ragazza, ma doveva essere stato qualcosa di grave se due componenti così importanti dell’organizzazione erano andati da lei a posta per castigarla. Si nascose in modo tale da sentire ciò che dicevano ma da non farsi vedere.

La ragazza gemeva per il dolore, ma non si tirava indietro.

“Fa male, vero?” , le chiese Dheeraj continuando a frustarla. “Questa è la tua punizione per non aver seguito le regole”

Si fece avanti l’altro anziano che fece cenno all’altro di fermarsi. “Black feather, vogliamo sperare che le cento frustate ti siano bastate per capire il tuo sbaglio”

Ancora dolorante, la ragazza si mise a sedere per terra cercando di farsi forza. “Sì, signore”

“Non aver ucciso quelle due donne avrebbe potuto implicare un grande pericolo e credo che tu ne sia abbastanza cosciente”

“Sì, signore”

“Non mi aspettavo proprio da te, che sei una dei migliori tra i punitori, un’esitazione di tale genere. Devi ringraziare soltanto che era buio e non ti hanno vista in volto, perciò non hanno la minima idea di chi sia stato, ma se avessero anche solo intravisto il tuo viso sarebbe stata la fine per te e un pericolo enorme per l’intera organizzazione!” . Il tono dell’uomo era duro e austero, non lasciava trasparire pietà.

Astra aveva il volto basso. “Sono davvero desolata, signore, le garantisco che non accadrà più”

“Lo spero bene. Ora puoi anche andare”

La donna si alzò da terra e pian piano si diresse verso l’uscita mentre i due, spostando un quadro, aprirono un passaggio che portava direttamente all’area predestinata al capo dei divine punishers e agli anziani.

Uscita dalla porta, ansimante cadde a terra in ginocchio.

“Perché mi hai mentito?”

Quando si voltò notò Dylan con le braccia conserte e la spalla poggiata al muro, poi abbassò la testa cercando di non guardarlo.

“Perché mi hai detto di aver ucciso anche la moglie e la figlia di quell’uomo se invece non lo avevi fatto?”

“Io…Non sapevo come dirtelo”

Il ragazzo la raggiunse e l’aiutò ad alzarsi, ma era così debole che dovette farle mettere un braccio attorno al proprio collo per aiutarla a camminare. “Ti aiuto ad andare nella tua stanza”

Lei annuì, permettendogli, quindi, di soccorrerla.

Appena furono nella stanza della ragazza, l’amico la poggiò sul letto e lei si sforzò per stendersi. Poi lui si sedette ai piedi del letto, accavallando le gambe. “Perché non le hai uccise?”

“Non lo so, credimi…Io non lo so”

Dylan la fissò senza staccare gli occhi da lei; Astra incrociò il suo sguardo per un po’, quando ad un certo punto girò la testa. “Per favore, Black swan, non mi guardare così… Credimi, avevo la lancia puntata su di loro, ma quando ho incrociato lo sguardo della bambina, così impaurito, così innocente, non ho pensato: questa è la figlia di un trafficante di droga che potrebbe un giorno o l’altro prendere il suo posto…Ho pensato soltanto che fosse una bambina, come tutte le altre e non sono riuscita ad infligger loro nessun colpo”

“Quindi non le hai uccise e hai preferito scappare”

La ragazza annuì.

Lui sospirò. “Che ti sta succedendo, Black feather? Prima uccidevi addirittura neonati, se ti veniva incaricato”

“Non lo so, ma se non mi riprendo in fretta, qui ci rimetto la pelle”

“I punitori sanno tutto; sanno quando fallisci, quando tentenni, quando trionfi…Non puoi nasconder loro niente, perciò, qualunque cosa ti stia accadendo, vedi di liberartene subito. Loro non si fanno scrupoli per un membro in meno e non danno seconde opportunità”

“Ne sono consapevole. Vedrò di sistemare tutto” . Sospirò a lungo. “Piuttosto, che ci facevi tu in giro a quest’ora di notte?”

Dylan si alzò dal letto e si andò a poggiare si spalle al muro abbassando la testa.

“Di nuovo quell’incubo, eh?” , indovinò Astra.

“Non mi da tregua”

“Non ne da a nessuno. Te l’avevo sempre detto, no? I nostri omicidi diventeranno la nostra maledizione”

Il ragazzo rimase in silenzio, poi aprì la porta della stanza. “Io vado”

“Okay e cerca di dormire, altrimenti domani non avrai la forza neanche di muoverti e dal nostro lavoro, tu lo sai, non possiamo prendere ferie o giorni di riposo”

Lui annuì ed uscì. La sua maestra continuava a fissare la porta, chiedendosi se il suo caro allievo sarebbe riuscito anche soltanto a prender sonno.

 

“Sbrigatevi! Presto, fermatelo!” . L’uomo era terrorizzato e le sue due guardie del corpo tentarono di colpirlo, ma non ci riuscirono. Riusciva a schivare i proiettili quasi come semplicemente un corridore salta gli ostacoli.

Uccise le due guardie del corpo, si trovò faccia a faccia con lui;

Thomas Anderson, potente uomo politico si piegò di fronte a lui come se lo volesse venerare, quasi fosse un dio. “Ti prego, non uccidermi! Farò tutto quello che vuoi! Tutto!”

“Non è di fronte a me che ti devi inchinare. Riserva questa scena per il vero Dio” , gli puntò la pistola contro.

“No! Ti scongiuro! Non lo fare, abbi pietà di me!”  . Si appese alle sue gambe cercando di fargli pietà in tutti i modi possibili.

“Ormai sta già piangendo. Non lo senti?”

L’intonazione dolorosa del cigno nero diventò pesante, come un masso enorme sulla schiena di un bambino.

“Sta piangendo per te, perché sa che giudizio avrai all’altro mondo” . Non esitò neanche un altro secondo: sparò e si sentì lasciare le gambe, prima strette dal pressante desiderio di sopravvivenza di Anderson.

Dylan uscì dalla lussuosa villa e proprio all’ingresso di quest’ultima vide una sagoma oscura appoggiata di spalle al muro che precedeva la porta; il ragazzo lo superò senza degnarlo di uno sguardo.

“Ottimo lavoro, grande Black swan. Immagino che ti ci siano voluti mesi di preparazione per questo omicidio”

L’altro si fermò di colpo senza, però, voltarsi. “Non sono mica come te, Dark cloud”

Allora, il ragazzo estrasse la sua spada e gliela puntò contro. “Ti conviene non scherzare troppo col fuoco, ragazzino”

Dylan, che era rimasto completamente immobile, senza batter ciglio, spostò con la mano la spada e continuò a camminare quasi ignorandolo. “Qui l’unico che sta giocando con il fuoco sei tu”

L’altro sospirò, ripose la spada nel fodero e lo raggiunse. “Quanto?”

“Venti minuti e trentasei secondi”

“Da quando?”

“Da quando ho messo piede nella villa”

“Non va bene” , sghignazzò

“Lo so” . Ci fu una pausa poi continuò. “E tu? Quanto?”

“Diciannove minuti e cinquantasei secondi”

“Da quando?”

“Da quando sono entrato in casa”

Dylan sorrise.“Non va bene”

"Lo so” . Sospirò a lungo. “Ma è impossibile raggiungere il record di dodici minuti e ventisette secondi”

“Tecnicamente è possibile, ma ci vuole moltissima pratica”

“Mi sto allenando duramente, non mi ci vorrà molto per farti mangiare la polvere, ho fatto già un minuto in meno di te”

“Capirai quanto vale un minuto”

“Ti perdi troppo in chiacchiere con le vittime. Spara e basta…E vedi che fai in fretta” 

“Non ti permetto di predicare il mio metodo”

Black cloud incominciò a ridere. “Ma è patetico conversare con una persona quando stai per ucciderla. Non farai altro che aumentare la tua angoscia quando sarà morta!”

Black swan rimase in silenzio e abbassò la testa.

“Si vede che ti atteggi soltanto a fare il professionista, ma hai molte cose ancora da imparare” . Detto ciò si voltò e scomparse nella nebbia che stava comparendo poco a poco.

Dark cloud, nube oscura, era il fratello minore di Astra e, contemporaneamente, il miglior rivale di Dylan. Il suo vero nome era Mark, aveva diciannove anni e, da quando il rivale era arrivato nell’organizzazione e gli avevano assegnato la sorella maggiore come insegnante, gli si era continuamente messo contro. Probabilmente centrava il fatto che, per allenare il ragazzo, Astra lo aveva trascurato e il fratellino si era sentito abbandonato dall’unico componente della famiglia che aveva. Poi, col passare degli anni, notando la bravura di Black swan si era messo in testa di superarlo per fargli capire che non era il migliore e che gli sarebbe stato sempre lui davanti. Non c’era mai stato un odio profondo, ma se avesse potuto farlo cacciare dai punitori l’avrebbe certamente fatto; anche perché la sorella, finiti gli anni di apprendimento, continuava a stare più con Dylan, che con lui, e la sua rabbia aumentava, portando il suo livello di sopportazione a zero.

Diventato un po’ più grande incominciò a sapersi regolare e a concentrarsi più sui suoi compiti che sui rapporti tra lui ed Astra, così che non tornava neanche più alla base e quelle rare volte che ci tornava aveva appena l’abitudine di salutare qualcuno prima di ripartire nuovamente. Voleva dimostrare alla sorella e al suo rivale che era superiore a tutti e che meritava di avere le attenzioni di ogni singolo individuo dell’organizzazione. Tuttavia l’affetto per la ragazza era rimasto immutato e, nonostante fosse stato notato dall’inizio dagli anziani e dal capo dei punitori, ritenendo che fosse un abile mezzo per spingerlo a dare il massimo, non si intromisero nella situazione, facendola rimanere tale.
  
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