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Autore: morgana85    03/12/2010    4 recensioni
‹‹Vedete? Se vi chiedessi di scegliere tra la parte cupa e grigia del cielo e quella più luminosa, dove il sole comincia a fare capolino, voi cosa direste?››.
Lady Ygreanne lo fissò con espressione dubbiosa, il sopracciglio alzato con fare scettico. ‹‹Sceglierei la parte che preannuncia il bel tempo, è ovvio›› concesse infine, con un esile sospiro.
‹‹Era proprio quello che sospettavo››.
[Storia partecipante al Contest "The Rain&Baudelaire" indetto da Ribrib20]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Buonasera a tutti!

Beh, se devo dire la verità sono un po’ emozionata, presentandovi questa storia.
Perché mi è valsa il mio primo posto in un contest…e perché ad ispirarla è stata la mia altra metà del cielo.
Forse lui ancora non lo sa, ma questo è sicuramente un modo per farglielo capire.
 
 
Storia partecipante al contest “The Rain&Baudelaire” indetto da Ribrib20
 
1° Posto:
- Correttezza ortografica e grammaticale: 10/10
- Stile e lessico: 10/10
- Attinenza al tema: 10/10
- Attinenza e uso della frase/poesia: 10/10
- Originalità: 10/10
- Caratterizzazione dei personaggi: 10/10
- Gradimento personale: 5/5
Totale: 65/65
 
Dunque. Dal punto di vista grammaticale, ho trovato solo un errore di battitura qui: "prega" anzichè “pregna”. Ma per il resto tutto era perfetto.
E ora inizio a riempirti di complimenti: lo stile è perfetto così come il lessico, davvero azzeccato per il tuo racconto; anche i personaggi quando interagiscono mantengono un registro adatto al tempo in cui si svolge la storia.
Per quanto riguarda l’uso della pioggia e della citazione, anche qui nulla da dire: un uso magistrale, davvero. Hai usato la prima tematica come evento atmosferico “base” della storia narrata: l’evento principale infatti, ha come sfondo proprio la pioggia. Non sono in grado di dirlo a parole, perché quest’ultime non bastano per descrivere la meravigliosa creazione che mi hai mandato.
In una parola: un libro. Ecco quello che ho letto.
Hai scritto una storia che potrei paragonare ad un libro, davvero.
Non credo di aver mai avuto occasione di leggere storia più bella: molte si avvicinavano a questa, ma mai raggiungevano un livello così alto.
Non so che altro dire, davvero.
Spero vivamente di leggere presto qualcosa d’altro di tuo.
La tua storia, per stile e atmosfere ricreate, mi ha davvero incantata.
Bravissima.
 
 
Poesia scelta: Non pretendo che la gioia non possa accompagnarsi alla bellezza; ma dico che la gioia è uno degli ornamenti più volgari, mentre la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore.
- C. Baudelaire, Opere Postume – (la frase è evidenziata in corsivo nel testo)
 
 
 
 

~L’altra metà del cielo

Per l’ennesima volta ripercorse con lo sguardo il complicato ricamo della tenda del letto a baldacchino. Non avrebbe saputo dire da quanto tempo la stesse osservando, ma era ormai certo di saperla riprodurre in uno qualsiasi dei suoi dipinti.
Con uno sbuffo appena trattenuto cercò di districarsi dal groviglio di lenzuola e coperte, sollevandosi a sedere e abbandonandosi contro la solida testiera del letto.
Lasciò vagare lo sguardo sulla camera avvolta dall’oscurità, fino ad incontrare il profilo della figura adagiata accanto alla sua, sfiorata dalla poca luce che filtrava dalle persiane chiuse. Ne seguì la curva flessuosa della schiena, quasi nascosta da una cascata di capelli neri come la notte, e quella più sinuosa dei fianchi. I suoi occhi attenti colsero la sfumatura olivastra dell’incarnato, una tonalità calda e dal sapore esotico. Corrugò la fronte, accorgendosi di non ricordare il nome di quella fanciulla. Avrebbe saputo disegnare con millimetrica precisione le forme di quel corpo, che si era inarcato sotto il suo e lo aveva accolto nella sua innocenza. Con poche pennellate sarebbe stato in grado di evocare la morbidezza di quella pelle, liscia sotto i suoi polpastrelli. Eppure per lui non rappresentava altro che un insieme di linee e colori, che ben presto avrebbero preso parte in una delle sue opere.
Nel silenzio della stanza avvertì il respiro lieve della ragazza, a cui faceva eco il rumore attutito della pioggia sulla strada, e se ne sentì cullato. Socchiuse gli occhi, reclinando il capo all’indietro, cercando di godere ancora per qualche minuto del piacevole torpore che gli avvolgeva le membra e offuscava i sensi.
Fu il suo errore più grande.
Un profumo soave, dalle vaghe reminiscenze di magnolia in fiore, unito a qualcos’altro a cui non era in grado di dare un nome, gli provocò un tremito e un sussulto al basso ventre. Quasi una mano invisibile, con tocchi leggeri e sensuali, gli avesse sfiorato il volto, il collo, scendendo lungo la spalla e il torace. Rabbrividì nuovamente quando oltre le palpebre chiuse, tra ombre indistinte, comparve un volto, bello e dannatamente vivido, seppure solo un pallido riflesso della sua memoria.
Ogni cosa perse consistenza, se non il battito accelerato del suo cuore e i ricordi che lo travolsero con la stessa furia di una tempesta.
 
Sistemò con accuratezza i pennelli, cercando poi la giusta collocazione per tela e cavalletto, in modo da cogliere ogni sfumatura che la luce opaca di quel giorno di pioggia avesse regalato.
Quando un leggero colpo di tosse richiamò la sua attenzione, si accorse della presenza discreta e silenziosa alle sue spalle. Alzò gli occhi quasi infastidito, e rimase senza fiato. Gli fu sufficiente la frazione di un secondo per sapere che non avrebbe mai dimenticato quel volto.
Non fu la bellezza a colpirlo. Nonostante fosse graziosa, aveva ritratto donne di gran lunga più avvenenti. Era tutto ciò che quel viso esprimeva che lo lasciò stordito. Ogni lineamento parlava di un’emozione diversa, eppure in una tale armonia da lasciarlo privo di parole. Registrò solo lontanamente lo sguardo scettico della giovane donna di fronte a lui.
‹‹Ebbene, siete voi Mastro Elzewir?›› la voce della ragazza era pacata e cortese, nel rispetto dell’etichetta di corte.
‹‹James Edward Elzewir per servirvi, mia signora›› cercò di recuperare almeno parte del contegno che esibiva abitualmente.
‹‹Vengo in nome del re mio padre. Mi ha pregata di…››
‹‹Oh, siete dunque voi la dama da ritrarre?›› si intromise, senza riuscire a tenere a freno la lingua. ‹‹Quello che mi concedete è un onore troppo grande››. Le rivolse una profonda riverenza, accompagnata dall’ondeggiare del suo corto mantello.
‹‹Credo che abbiate frainteso››. Gli rivolse uno sguardo severo, segno tangibile della sua irritazione per essere stata interrotta. ‹‹Mia sorella sarà la vostra modella. Il re si affida alla vostra abilità perché la principessa appaia splendida come una stella, così che anche il suo futuro sposo possa rimanerne abbagliato. Come ogni altro uomo, del resto››. Senza aspettare alcuna risposta e liquidando la conversazione con un breve inchino, gli voltò le spalle e si allontanò in un fruscio di gonne.
 
Da quel giorno erano passate settimane, poi mesi. L’estate era giunta e trascorsa così come l’autunno, ed ora l’inverno preannunciava il suo arrivo tra la pioggia e il vento. Eppure ricordava quell’istante come se lo avesse appena vissuto.
La sua personale dannazione, con le sembianze di un angelo del Paradiso.
Scostò le coperte con un gesto stizzito, mentre i pedi posavano sulla fredda pietra del pavimento. Poggiò i gomiti sulle ginocchia, prendendo il capo tra le mani e stringendo convulsamente le dita tra i lunghi capelli castani.
Non poteva continuare così. La sua ossessione lo avrebbe condotto lentamente ma inesorabilmente verso la follia. Nella sua stoltezza, aveva creduto di poter dimenticare i lineamenti di quel viso, tormento ed estasi delle sue giornate. Invece non era altro che un povero sciocco.
Doveva averla. In un modo o nell’altro, avrebbe dovuto essere sua. L’avrebbe messa a nudo – corpo e anima – e avrebbe carpito ogni cosa di lei, ogni flebile sfumatura del suo essere.
Un brivido di freddo lo scosse, rammentandogli di essere ancora svestito. Si alzò svogliatamente, recuperando gli abiti sparsi sul pavimento. Aprì le persiane, che ruotarono sui cardini poco oleati con un cigolio prolungato, incurante che la luce perlacea del mattino potesse disturbare la donna che ancora dormiva tra le sue lenzuola. Osservò distrattamente oltre la finestra, mentre allacciava l’ultimo bottone del farsetto. Sottili strisce d’acqua si diramavano sui vetri come radici di un albero di cristallo, piccole perle argentee che scivolavano lungo la superficie trasparente come puro distillato di cielo. Anche quel giorno pioveva, pensò indossando la cappa di velluto rosso scuro e il mantello pesante.
Prima di uscire dalla stanza, lanciò un’ultima occhiata sopra la spalla verso il suo letto. Sperava solo di non trovare nessuna donna piagnucolante al suo ritorno, era decisamente l’ultima cosa di cui avesse bisogno.
Mentre scendeva i gradini con passo pesante, sentiva i rumori della bottega farsi sempre più vicini. Il battere ritmico del pestello con cui i pigmenti venivano ridotti in polvere, il suono secco del martello che piantava i chiodi nella struttura in legno che avrebbe ospitato una nuova tela, lo scalpiccio di piedi che si muoveva all’interno della stanza.
Si fermò accanto alla porta semiaperta, da cui proveniva l’odore intenso e pregnante dell’olio di lino con cui venivano legati i colori, e quello pungente dell’acqua ragia. Sorrise al pensiero che, oltre quella soglia, esisteva un mondo solo suo, di cui era l’indiscusso padrone e creatore. Dove il tempo scorreva al ritmo lento e accurato delle sue pennellate o a quello più veloce del carboncino che dava forma ad un nuovo bozzetto. In cui luce ed ombra divenivano colore nelle sue mani, modellandosi sulla tela secondo ogni suo comando. Una risata più forte delle altre lo scosse, facendolo tornare alla realtà. Per quella mattina i suoi allievi avrebbero dovuto fare a meno di lui.
Una sferzata d’aria gelida lo investì non appena mise piede fuori casa. Si strinse maggiormente nel mantello, avviandosi lungo l’ampia strada deserta e silenziosa, immersa nel placido torpore dell’alba sorta da poco. Camminò rasente i muri di pietra delle lussuose case di mercanti e piccoli borghesi, fermandosi solo ogni tanto nella piccola rientranza di una nicchia, giusto il tempo di ripararsi dagli scrosci di pioggia più violenti. Oltre il rumore dei suoi stivali sul selciato, si udiva solo lo sgocciolio dell’acqua dai tetti.
Vagava senza meta, seguendo l’inerzia dei suoi piedi che, muovendosi a passo cadenzato e costante, lo condussero oltre il dedalo di vicoli del Borgo degli Artigiani prima e nei quartieri nobili poi. Si accorse di essersi allontanato di molto da casa quando si trovò ad attraversare il Ponte del Vento, dove il Pyrel divideva in due la città. Rimase immobile per qualche istante, quasi disorientato, gli occhi alzati verso il cielo di un grigio cupo e slavato, dove stralci di azzurro cenere e rosa sembravano tracce sfumate del passaggio di un pennello bagnato. Lo trovò uno spettacolo incredibilmente bello, intriso di una malinconia quasi dolorosa. Abbassò il cappuccio sulle spalle, permettendo così alla pioggia – lieve e vaporosa come nebbia – di sfiorargli il viso, mentre il freddo vento del Nord lo faceva rabbrividire, penetrando oltre il mantello ormai fradicio e tra il velluto dei suoi abiti.
Proseguì il suo cammino fino a raggiungere la grande piazza ovale dove sorgeva la Cattedrale di St. George. Lì cercò riparo sotto l’elegante colonnato che racchiudeva quasi per intero l’ampio spazio antistante la chiesa. Non vi era nessuno oltre lui, se non un vecchio cane randagio che, poco distante, aveva cercato un posto asciutto dove attendere che smettesse di piovere.
Osservò il bagliore iridescente del nuovo giorno fluttuare nell’aria come un velo sottile, scivolando lungo le pareti delle case e tra le foglie degli alberi come rugiada. Diametralmente opposto alla cattedrale, le mura di pietra del palazzo reale sembravano risplendere di luce propria.
Studiò con critica attenzione l’imponente architettura dell’edificio di culto, dove guglie e pinnacoli svettavano verso il cielo. L’imperfezione è degli uomini, per questo cerchiamo di avvicinarci a Dio, in qualunque modo a noi conosciuto, soleva ripetergli il suo precettore quando era solo un bambino. Ma lui non riusciva a scorgere nemmeno un difetto nel complicato e armonioso alternarsi di figure paradisiache e mostri grotteschi, che si snodavano lungo le pareti fino al pennacchio più alto.
Una figura, poco più di una sagoma dal profilo incerto avvolta in un lungo mantello blu notte, attirò la sua attenzione. Camminava veloce attraverso la grande piazza, il capo chino e il cappuccio a celare il viso. Anche da quella distanza riconobbe l’eccellente fattura dell’ampio manto impreziosito da profili di damasco color rame. Le proporzioni minute facevano pensare ad una donna, nonostante fosse alquanto insolito che una nobildonna non fosse accompagnata da una scorta o dal seguito delle sue dame di compagnia.
Quando la riconobbe avvertì il cuore perdere un battito e un violento tremore scuotergli le membra. Gli era bastato scorgere tra le ombre del cappuccio i lineamenti di quel viso che ormai era diventato la sua ossessione. Non avrebbe mai potuto confonderlo con nessun’altro. ‹‹Lady Ygreanne››. La vide passargli accanto senza quasi fare caso a lui, per poi fermarsi a qualche passo di distanza. Si voltò di scatto, come se aver sentito pronunciare il suo nome l’avesse strappata a chissà quale pensiero. ‹‹Vostra Maestà perdoni il mio gesto impulsivo, ma quando vi ho riconosciuto non ho saputo resistere al desiderio di rendervi omaggio››. E di potervi guardare nuovamente, al di là dei miei sogni, pensò mentre si inchinava con fare cerimonioso. Rispose allo sguardo dubbioso che gli rivolse con un sorriso. ‹‹Non vi ricordate di me?››.
‹‹Oh, ma certo, voi siete Mastro Elzewir››. La vide abbassare il cappuccio, rivelando i meravigliosi capelli rossi, raccolti in una complicata acconciatura impreziosita da un diadema di zaffiri. ‹‹Come dimenticarsi di voi, avete svolto un lavoro eccellente a corte. Mio padre è rimasto molto soddisfatto del vostro operato, vi ritiene il più eccelso tra i maestri››.
‹‹Vostra Maestà mi lusinga›› reclinò appena il capo in segno di gratitudine. ‹‹Ma credo che gran parte del merito sia dovuto a vostra sorella, Lady Elzebeth, e al suo innato fascino››.
‹‹Certamente, come darvi torto?››.
Nonostante nel suo tono di voce la cortesia non fosse venuta a mancare, l’innaturale freddezza del sorriso che le incurvava le labbra gli fece mancare la terra sotto i piedi. Scorse distintamente l’ombra scura che attraversò il suo sguardo, offuscando quegli occhi quasi sovrannaturali – grigi, o forse azzurri, non avrebbe saputo dirlo. Dello stesso colore del riverbero della luce lunare tra le onde del mare – tanto da renderli opachi come vetro. ‹‹Non volevo offendere Vostra Maestà con le mie sciocche parole››.
‹‹Non lo avete fatto››. Vi era una strana frenesia nei gesti con cui si coprì nuovamente il volto con il cappuccio, e il tremore delle sue dita era la prova che qualcosa l’aveva turbata. Improvvisamente ebbe la netta sensazione che volesse scappare. ‹‹E’ stato un piacere incontrarvi Lord Elzewir. Spero che onorerete al più presto la corte con la vostra presenza››.
Prese nella sua la mano che gli porse, posandovi un delicato bacio sul dorso. Inspirò a fondo il profumo della sua pelle, così delicato e leggero, prima di vederla allontanarsi senza nessun rumore. ‹‹Voglio dipingervi››. Le parole gli sfuggirono dalle labbra prima ancora di accorgersi di averle anche solo lontanamente pensate.
Si era fermata a qualche passo da lui, senza tuttavia voltarsi a guardarlo. Il silenzio sembrava averli avvolti in un morbido rifugio, in cui il tempo non scorreva e solo la pioggia era testimonianza del mondo che li circondava. ‹‹Il compenso che vi è stato pagato per il ritratto della principessa non è stato soddisfacente?››. Tacque per un istante, quasi stesse aspettando una risposta che in realtà non aveva alcuna intenzione di ascoltare. ‹‹Non sarà necessaria una nuova commissione, intercederò io stessa presso il re perché venga elargita in vostro favore la somma adeguata al valore del vostro operato››. Gli dedicò una breve occhiata da sopra la spalla, considerando chiuso il loro colloquio.
‹‹Non è il denaro che mi interessa›› ribatté l’uomo, le mani strette a pugno lungo i fianchi per contenere la collera. ‹‹Siete voi ad interessarmi. Dalla prima volta in cui vi ho visto, siete diventata l’aria dei miei giorni e ispirazione ogni notte››. Forse aveva esagerato. Ma era ormai tempo di giocare a carte scoperte. ‹‹Io desidero ritrarvi. Avete così tante sfumature, così tante emozioni da esprimere, che voglio riuscire a catturarle tutte, perché possano essere ricordate per sempre››.
‹‹Non troverete niente di diverso in me, o di speciale, che non avete già incontrato in mia sorella, o in qualunque altra donna immortalata nei vostri quadri››.
‹‹Ed è qui che cadete in errore››. Mosse un passo, poi un altro, fino a trovarsi così vicino a lei da poterne udire il respiro. ‹‹C’è qualcosa che vi rende diversa da ogni altra››. Con un gesto avventato le prese il braccio, in maniera decisa ma delicata al contempo, obbligandola a voltarsi verso di lui. Le indicò il cielo, che lentamente andava schiarendosi, nonostante la pioggia continuasse a cadere. Ne avvertì improvvisamente l’umidità tra i vestiti e il fresco odore nell’aria. ‹‹Vedete? Se vi chiedessi di scegliere tra la parte cupa e grigia del cielo e quella più luminosa, dove il sole comincia a fare capolino, voi cosa direste?››.
Lady Ygreanne lo fissò con espressione dubbiosa, il sopracciglio alzato con fare scettico. ‹‹Sceglierei la parte che preannuncia il bel tempo, è ovvio›› concesse infine, con un esile sospiro.
‹‹Era proprio quello che sospettavo››. Una profonda risata accompagnò le parole di James Elzewir, che scosse la testa, facendo ondeggiare i lunghi boccoli castani. Lei continuava a guardarlo senza in realtà capire. ‹‹Avete risposto nel modo in cui lo avrebbe fatto qualunque altra persona a cui avessi posto questa domanda. Non vi dico che sia un’osservazione sbagliata, ma credo che a volte ci accontentiamo di vedere solo ciò che ci fa comodo vedere, senza nemmeno fare lo sforzo di provare a cercare qualcosa di diverso. Per paura dei giudizi altrui, molto probabilmente››. Si accostò al limite del colonnato, dove l’acqua cadeva a pochi centimetri dalle sue scarpe. ‹‹Per quanto mi riguarda, adoro il cielo grigio dell’autunno, la sua consistenza densa e insondabile. Sembra racchiudere l’intera sofferenza del mondo, e la pioggia le sue lacrime. Ma una volta sfogate, la sofferenza viene lavata via, e diventa più facile apprezzare l’azzurro intenso di una giornata di sole››. Tornò a guardarla e si meravigliò di trovare quegli occhi arcani lucidi di pianto. ‹‹Non pretendo che la gioia non possa accompagnarsi alla bellezza; ma dico che la gioia è uno degli ornamenti più volgari, mentre la malinconia è della bellezza, per così dire, la nobile compagna, al punto che non so concepire un tipo di bellezza che non abbia in sé il dolore››. Poggiò una mano sulla colonna, cercando un sostegno per non cadere, quasi le forze lo avessero abbandonato nello stesso istante in cui la sua bocca aveva pronunciato parole troppo sincere, – sbagliate per loro, così diversi, lontani anni luce in quella realtà che li vedeva guardarsi da lontano solo per l’impossibilità di potersi sfiorare – lasciandolo indifeso. ‹‹Voi siete per me l’altra metà del cielo››.
Passarono istanti in cui non fecero altro che fissarsi, senza quasi respirare. Poi Lady Ygreanne indietreggiò lentamente fino a voltare le spalle a quel silenzio, a quell’uomo che le aveva fatto sobbalzare il cuore, a quegli occhi che la incantavano e le facevano desiderare solo calore, lasciando dietro di sé soltanto il cristallino tintinnare della pioggia.
 
 
Il sommesso bussare alla porta lo fece sobbalzare, cogliendolo alla sprovvista. Gettò una rapida occhiata fuori dalla finestra, dove le ombre della sera erano ormai scure e il cielo ospitava già le prime stelle. L’ora era tarda e lui non aspettava visite.
Sentendo nuovamente battere sull’uscio si costrinse ad alzarsi, attraversando lo studio silenzioso e avvolto dalla penombra. Forse è la governante pensò, ricordando di averle detto quella mattina di passare da lui prima di tornare a casa.
Quando aprì la porta trovò una donna ad aspettarlo, ma sicuramente non chi aveva creduto che fosse. Sbattè le palpebre una volta, poi un’altra, incredulo. Riconobbe il mantello, ancora fradicio dalla pioggia caduta per tutta la giornata, e il profumo soave e angelico. Rispose alla sua domanda inespressa lasciandola entrare.
‹‹Ho ripensato alla vostra offerta››. La sua voce era flebile ma decisa, mentre le mani andavano ad allentare il nastro che le teneva chiuso il mantello. Lasciò che il pesante velluto blu scivolasse a terra come acqua da una brocca, formando una pozza immaginaria ai suoi piedi. ‹‹Credo sia giusto che anche la primogenita del re venga ritratta per essere ammirata dalla corte››.
La guardò con la stessa intensità con cui si osserva un miraggio nel deserto, cercando forse un indizio che indicasse che lei era realmente lì, alla distanza di un respiro da lui, e non si trattasse dell’ennesima visione ad occhi aperti. ‹‹Perché siete qua?››.
‹‹Non ve l’ho forse appena detto? Desidero un nuovo dipinto››.
‹‹Forse potete mentire a voi stessa, Milady, ma certamente non potete farlo allo sguardo di un pittore››. Le si avvicinò, raccogliendo il suo indumento e appendendolo accanto al camino ad asciugare. ‹‹I vostri occhi sono per me come le pagine di un libro aperto››.
‹‹E ditemi, cosa vedete?›› lo sfidò, sollevando il mento.
Indugiò per il tempo di un battito di ciglia, colpito dalla sua sicurezza. ‹‹Dolore. Voglia di rivalsa. Delusione. Affetto››. Allargò le braccia con un ghigno ironico a increspargli le labbra. ‹‹Devo continuare? So quale sentimento nutrite verso vostra sorella. La secondogenita, la favorita del re. Colei che sembra adombrare ogni vostro tentativo di brillare agli occhi di vostro padre››.
‹‹Voi farneticate!››. gli puntò il dito contro, in un’esplicita accusa. ‹‹Non conoscete nulla di ciò che state dicendo››.
‹‹E invece credo di sapere molto più di quanto voi non crediate››. Lasciò che la sua voce diventasse più dolce e profonda. ‹‹So tutto ciò che non è vostra sorella. Le ho fatto un ritratto, ricordate? È solo una sciocca ragazzina, troppo viziata e stolta per comprendere che, una volta venduta al miglior offerente, perderà fascino agli occhi del re››. Arrotolò le maniche della camicia, lentamente, allentando poi il nodo attorno al collo. ‹‹So quanto voi assomigliate a vostra madre, la regina Isabel. Per questo vostro padre cerca di ignorare la vostra esistenza…perché gliela ricordate così vividamente da risvegliare in lui tutto il dolore della sua perdita››. Infine si passò una mano tra i capelli, scostando alcune ciocche ribelli dalla fronte. ‹‹E so quale sia la meraviglia che invece siete voi, e che vi affaticate a nascondere dietro una freddezza che non è altro che un futile rimedio contro la paura di essere conosciuta per ciò che siete. Una donna intelligente, forte e consapevole del suo coraggio››. Le posò un dito sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. Non erano mai stati così vicini. ‹‹Una donna fatta per essere desiderata e corteggiata e amata››.
La vide serrare le labbra fino a ridurle ad una linea sottile, combattuta tra l’orgoglio di una futura regina e il dolore di una semplice donna. ‹‹Dato che ritenete di saper cogliere ciò che gli altri non sono in grado di vedere, mostrate al mondo cosa vedete di me››. Lo sussurrò appena, insieme ad un sospiro, arrendendosi alla verità di quelle parole. ‹‹Voglio che dipingiate l’altra metà del cielo››.
Le sorrise, avvertendo una piacevole sensazione di euforia diffondersi sotto la pelle quando si accorse che anche lei stava sorridendo. Aveva deciso di fidarsi di lui. E non l’avrebbe delusa. ‹‹Venite››. La condusse nella zona più lontana della stanza, facendola accomodare dietro un paravento di mogano foderato di damasco verde e argento, porgendole una semplice tunica di un cangiante bianco perlaceo. ‹‹Indossatela. Io vi aspetto di là››. La lasciò sola, concedendole il tempo necessario per cambiarsi. O per fuggire dalla sua stessa scelta.
Preparò tela e cavalletto e riattizzò le fiamme del camino. Spostò il triclinio trapuntato di seta dai motivi orientali proprio di fronte a lui, ricoprendolo in parte con un drappo di velluto color bronzo che fungeva da morbida coperta. Osservò con sguardo criticò la scena, finché il lieve rumore di piedi nudi sul pavimento non attirò la sua attenzione. Quando rialzò il viso, rimase incantato da ciò che vide.
Alonata dalla luce amaranto screziata d’oro delle fiamme, Lady Ygreanne sembrava un essere sovrannaturale. Aveva sciolto i capelli – dalle sfumature delle foglie d’autunno baciate dal sole – che le ricadevano fino alla vita, mentre le forme sinuose del corpo si intravedevano tra le pieghe dell’organza di seta della lunga sottoveste.
Era splendida ed era lì, solamente per lui.
Allungò la mano, invitandola ad avvicinarsi. Il suo corpo era rigido mentre la faceva stendere sul divano, forse per l’imbarazzo.
Trattenne il respiro mentre allentava il laccio dello scollo, lasciando scivolare la stoffa dalla spalla, scoprendola quasi fino al seno. Scostò i lunghi boccoli per lasciare che i bagliori del focolare danzassero sul viso, sulla curva elegante del collo e sulla pelle delicata del petto, creando strani arabeschi.
Avvertì nitidamente il suo tremore quando le percorse la gamba in una lenta carezza, risalendo fino al ginocchio e lasciandola completamente scoperta. Avrebbe voluto dirle qualcosa per rassicurarla, qualunque cosa, ma il silenzio che fluttuava nell’aria come profumo era troppo accogliente per essere infranto.
Le cercò il volto, perché potesse guardarla. Le parlò con il respiro e con il calore delle sue mani, sussurrandole di non avere timore. Lesse in quegli occhi di cielo uno strano abbandono, accompagnato da una cupa sfumatura di piacere.
Quando comprese il significato di quello sguardo, sentì un’improvvisa elettricità fargli ribollire il sangue, diffondendosi fino al basso ventre. Fissò la sua bocca, delicata e morbida, dal colore delle rose di maggio. Forse in risposta a quello sguardo acceso da un fuoco che la avvolgeva nel suo peccaminoso calore, lei si passò la lingua sulle labbra, socchiudendole appena. Sarebbe stato sufficiente un movimento appena più deciso, per poterla baciare. E solo il cielo sapeva quanta voglia aveva di farlo.
Oh si, eraeccitato. Il desiderio di prenderla lì, su quel divano, di sentirla muoversi sotto di lui in balia della passione, divenne quasi insopportabile. Fu costretto ad allontanarsi, prendendo un profondo respiro per controllare la necessità che aveva di lei. L’occhiata contrariata che la principessa gli rivolse fece vacillare la sua decisione, ma si costrinse ad accomodarsi sullo sgabello davanti alla tela.
Chiuse per un istante gli occhi, cercando di placare il tremore delle mani e il veloce pulsare del cuore. Quando li riaprì, spese qualche minuto per osservare Lady Ygreanne, prima che l’ispirazione annebbiasse i suoi pensieri per concedere alla mano di muoversi liberamente, senza le inibizioni dettate dalla ragione.
Ringraziò il destino per l’immenso privilegio che gli aveva accordato, consentendogli di svelare al mondo intero l’incredibile fascino e la sensualità di quella innocente fanciulla, che presto sarebbe diventata regina.
Così che la dipinse, come una dea. E fu sua, gli concesse tutto ciò che racchiudevano quegli occhi e quel viso, ogni singola sfumatura della sua anima.
La amò, se non con il corpo, attraverso ombre e colori, e fu un amore intenso e travolgente.
Fuori, oltre le pareti di quella stanza che ospitava un’ insolita unione di anime affini, la pioggia riprese a cadere, fluttuante nell’aria prega di nebbia, nascondendo ad occhi mortali quell’incontro fatto di silenzio e calore.
 

 

  
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