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Autore: kenjina    03/12/2010    2 recensioni
Aprì improvvisamente gli occhi, la fronte imperlata di sudore e la frangia ribelle e scura incollata ad essa. Era notte fonda e l'intera residenza gravitava nel silenzio più assoluto, tranne per qualche cornacchia che non dormiva. [...]
Rebecca si mise a sedere sulla branda su cui riposava e si passò una mano tra i capelli, respirando affannosamente.
Di nuovo quel sogno.
Di nuovo dopo sette giorni dall'ultima volta.
All'inizio accadeva solo sporadicamente, una volta al mese, oppure due. Poi, poco a poco, le cose erano cambiate e quel sogno tornava puntuale come la morte ad occupare la sua mente addormentata. Ormai provava terrore ogni volta che prendeva sonno in quelle notti così buie e tetre.
Più passava il tempo, più continuava a non capire cosa accadesse nella sua mente.
Quella situazione andava avanti da parecchio, ormai. Da quando aveva messo piede in quella casa nel mezzo della campagna francese, ora che ci pensava bene.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dominus Somniorum

Dominus Somniorum.

 

 

Aprì improvvisamente gli occhi, la fronte imperlata di sudore e la frangia ribelle e scura incollata ad essa. Era notte fonda e l'intera residenza gravitava nel silenzio più assoluto, tranne per qualche cornacchia che non dormiva. Il cielo plumbeo era carico di nuvole, pronte a riversare quanta più acqua fosse possibile, davanti alla luna, completamente oscurata dalla loro pesante presenza.

Rebecca si mise a sedere sulla branda su cui riposava e si passò una mano tra i capelli, respirando affannosamente.

Di nuovo quel sogno.

Di nuovo dopo sette giorni dall'ultima volta.

All'inizio accadeva solo sporadicamente, una volta al mese, oppure due. Poi, poco a poco, le cose erano cambiate e quel sogno tornava puntuale come la morte ad occupare la sua mente addormentata. Ormai provava terrore ogni volta che prendeva sonno in quelle notti così buie e tetre.

Più passava il tempo, più continuava a non capire cosa accadesse nella sua mente.

Quella situazione andava avanti da parecchio, ormai. Da quando aveva messo piede in quella casa nel mezzo della campagna francese, ora che ci pensava bene.

Sempre lo stesso strano sogno. O avrebbe dovuto chiamarlo incubo?

Si trovava nell'ampia biblioteca di famiglia, stracolma di libri impolverati che avrebbe voluto divorare, dal primo all'ultimo. Leggere era la sua più grande passione e si rifugiava tra le pagine di qualche romanzo quando le sue faccende domestiche erano finite, dopo cena. Perché, sebbene fosse la donna delle pulizie di quella grande casa, aveva imparato a leggere da bambina, con l'aiuto di suo padre. Non aveva più smesso.

Ebbene, lei era lì, seduta sulla sua consueta poltrona che l'abbracciava ogni volta, quando l'aveva sentito alle sue spalle, le mani gelide che si posavano su di esse. Come sempre rimaneva immobile, il respiro che si trasformava in un sospiro, le mani che richiudevano il libro, lasciando un dito per ricordarsi dove fosse arrivata con la lettura.

E lui, lui si era chinato su di lei, scostandole la lunga treccia sfatta per lasciarle scoperto il collo liscio e morbido. Quindi le aveva accarezzato la pelle intirizzita con le labbra, in un bacio casto e dolce.

«Sei ancora qui.»

La sua voce, quella voce che sembrava provenire direttamente dall'Inferno, tanto bassa e roca fosse, tanto avesse il potere di ammaliarla anche solo quando pronunciava il suo nome.

«Aspettavo te.»

Rebecca, ripensando alle parole che aveva pronunciato nel sogno, arrossì, convincendosi che nella realtà non sarebbe mai accaduta una cosa simile, tanto meno con quel tono confidenziale che non usava neanche con madame Theresa, la governante sua migliore amica, in quell'ambiente. Era stata educata sin da subito a portare rispetto anche ai suoi fratelli, indi per cui il voi di circostanza era d'obbligo con chiunque altro.

Lui aveva sorriso, quelle splendide labbra carnose e pallide che si piegavano in quella smorfia sensuale.

Le adorava.

«Molto gentile da parte tua, ma chére.» Le aveva offerto una mano per farla alzare e lei aveva accettato docilmente, come sempre. L'aveva condotta davanti al caminetto acceso, dove un grande tappeto rosso era steso sul parquet lucido. Il fuoco scoppiettante non era riuscito a scaldarla come l'abbraccio freddo dell'uomo; Rebecca si era ritrovata seduta tra le gambe lunghe e toniche di lui, schiena contro torace, le sue braccia che l'avvolgevano con possesso. I suoi occhi scuri, glaciali, si erano spostati sul libro che teneva ancora tra le mani.

«Riprendi da dove hai interrotto, per favore.»

La domestica allora aveva iniziato a leggere a voce alta, un'attività che lui le chiedeva di fare ogni sera, da qualche tempo. Mai, però, si era ritrovata così a stretto contatto con il suo corpo; unicamente in quegli strani sogni che le sarebbero sembrati veri se non fossero stati così bizzarri e imbarazzanti da far arrossire anche una donna di strada.

Lui aveva ripreso a baciarle il collo, ora con voluttà, spostando il tessuto della camicia da notte che gli disturbava le spalle. E lei sospirava tra una parola e l'altra nel sentire quelle labbra, quella lingua, quei denti affilati che la mordicchiavano senza farle male.

«Sei così buona che ti mangerei.»

Rebecca aveva avvicinato una mano tra i capelli lunghi e scuri di lui, accarezzandoglieli.

Chissà se nella realtà erano così morbidi?

«Non sarebbe la prima volta.»

«Lo so, ma voglio gustarti a piccole dosi. Altrimenti ti finirei dopo un morso.»

Dopo aver detto quelle parole, si era chinato nuovamente sul suo collo e lei non aveva opposto resistenza quando aveva sentito i suoi canini penetrarle la carne, la lingua che leccava il suo sangue caldo. Le sue mani fredde - come poteva sentirle così bene? - le avevano preso il libro, poggiandolo da qualche parte accanto a loro, per poi accarezzarle la pancia, poco sotto i seni.

Rebecca non riusciva a comprendere come potesse sognare situazioni del genere. Quando si era documentata, presa dalla curiosità all'inizio di quegli strani avvenimenti, aveva scoperto le leggende sui vampiri.

Di cui non aveva mai sentito parlare.

Come aveva, dunque, potuto sognare uno di loro? Per giunta lui?

Certo, credeva di provare qualcosa più della curiosità e dell'ammirazione per quell'uomo che l'aveva stregata dal primo momento e sognarlo probabilmente era un segnale di pericolo. Ma perché in veste di vampiro? Probabilmente era frutto del suo inconscio, si ripeteva spesso per trovare una spiegazione che la tranquillizzasse.

Rebecca si guardò intorno nel buio, cercando con le mani i fiammiferi per accendere la lampada ad olio sul comodino, accanto al letto. Si alzò velocemente, sperando di non far troppo rumore per non svegliare nessuno. Doveva bere qualcosa di fresco per raffreddare il caldo che provava.

Madame Theresa le aveva sempre raccomandato di non uscire dalla sua stanza di notte senza un rosario, spiegandole che così i demoni sarebbero stati lontani. Non aveva mai creduto a quelle storie che si raccontavano ai bambini per terrorizzarli, ma quella notte, ancora scossa per il sogno appena fatto, lo strinse tra le dita.

Scese le scale a chiocciola in legno con calma, per non far scricchiolare troppo le assi dei gradini - non voleva immaginare cosa tutto avrebbe potuto dirle contro la donna trovandola a sgusciare dal letto a quell'ora della notte. Le ombre tremule che la fiammella della lampada producevano la fecero rabbrividire. Osservando da una finestra lungo il corridoio notò che la luna, che aveva fatto capolino per un attimo, venne nuovamente oscurata da quelle nuvole cupe. Stava per giungere un temporale con i fiocchi. Forse avrebbe fatto meglio a rimanere in camera al sicuro sotto le coperte?

La cucina di servizio si trovava al primo piano. Era grande abbastanza per ospitare un tavolo per lei, madame Theresa e i cuochi, con i mobili degli utensili contro la parete cieca sulla destra; c'era una porta in legno laccato di bianco, che attraverso una piccola scala portava all'orto sul retro. Nonostante fosse una stanza utilizzata unicamente dalla servitù della magione era arredata con gusto e il colore caldo del legno dei mobili sembrava riscaldare quell'ambiente quasi sempre freddo, esposto al vento del nord.

La residenza era completamente addormentata, ma non era sicura di essere l'unica persona in piedi, in quel momento. Si disse di darsi una calmata, era solo colpa di un sogno.

Riempì un bicchiere di acqua che bevve in pochi sorsi, ma non servì molto a calmarla. Aveva paura a riaddormentarsi, la notte d'altronde era ancora lunga.

Lui sarebbe potuto tornare a tormentarla.

Alzò lo sguardo sulla vetrina specchiata, dove erano esposti i bicchieri più belli, e osservò il suo riflesso contro il vetro, stanca e con due occhiaie da far invidia. Quando si voltò per cercare qualche avanzo di pane dovette coprirsi la bocca con le mani per reprimere un grido di spavento. Così facendo fece cadere il bicchiere sul pavimento in cotto, che andò in pezzi.

Lui era lì, davanti a lei.

E non era un sogno.

O forse sì?

Non era più sicura di niente, ormai.

L'unica cosa che sapeva, senza l'ombra di dubbi, era che fosse bellissimo. Era pallido, sì. Avrebbe azzardato un mortalmente pallido, se solo non l'avesse fatta rabbrividire. Ma adorava quei capelli neri, ritirati in una coda bassa con un fiocco porpora, gli occhi scurissimi, profondi come un pozzo, i lineamenti marcati degli zigomi e della mascella che spiava ogni volta ne avesse la possibilità. Non negava che quell'uomo, il proprietario di quella grande residenza, fosse ambiguo e avvolto da un alone di mistero. Non si presentava mai a pranzo; madame Theresa le aveva spiegato che usciva di casa molto presto la mattina per lavoro e tornava solo all'imbrunire, per la cena. Non aveva moglie, ma aveva notato un seguito ben nutrito di giovani ragazze che entravano furtivamente dal retro e raggiungevano le sue stanze. Probabilmente anche loro abbandonavano la casa prima che si svegliasse, perché non le aveva mai riviste.

«Perdonate l'intrusione, vi ho spaventata

Rebecca rabbrividì al suono di quella voce. Da dove era comparso? Eppure non l'aveva sentito arrivare né l'aveva visto riflesso alle sue spalle!

«Perdonate voi la mia reazione, sono un po' suscettibile, ultimamente.», borbottò, chinandosi per raccogliere il vetro. Imprecò a denti stretti appena si tagliò con un coccio affilato.

Lui osservò il sangue che fuoriusciva dal dito leso e che la ragazza si portò alla bocca con una smorfia. «Brutto incubo, immagino.»

La fossetta che comparve sul lato sinistro delle labbra le fece pensare che stesse facendo dell'ironia, come se sapesse. Che pensiero stupido, come avrebbe potuto?

Un tuono lontano squarciò il cielo, illuminando a giorno la stanza per qualche secondo. Sì, un bel temporale in vista.

Continuava a fissarla senza dire niente e Rebecca si sentì tremendamente a disagio. Era strano il loro rapporto: si incontravano tutte le sere da soli in biblioteca per la lettura, e ogni volta l'imbarazzo sfumava via nel momento in cui lui si sedeva nella poltrona di fronte, ad osservarla e ascoltarla.

Ma quella volta era diverso. Lei era ancora scossa dal vivido ricordo di lui che le succhiava il sangue, alternando dei focosi baci sulla pelle del collo, e lui era troppo vicino per provare a frenare il veloce battito del suo cuore. Senza contare il fatto che detestava quei silenzi imbarazzanti.

«Siete spaventata, lo sento. Perché?»

I tuoni, forse. Non le erano mai piaciuti, nemmeno da bambina. Ogni volta si rifugiava sotto le coperte o tra le braccia del padre per proteggersi da quei ruggiti. Ma no, non era il temporale ora che la spaventava, no.

«No, non è il temporale che temete.»

Rebecca sbarrò gli occhi nel sentire i suoi stessi pensieri pronunciati a voce alta da lui. Strinse tra le dita il rosario in metallo, sperando che l'aiutasse a tranquillizzarsi. Ma cosa le stava accadendo?

L'uomo si scostò dalla sua posizione, per recuperare una bottiglia impolverata di vino, dal mobiletto in legno apposito e ne versò un po' in due bicchieri, uno dei quali lo porse alla ragazza. Vino rosso, notò lei.

«Bevetene un goccio, vi riscalderà.»

Non osò rifiutare l'offerta, qualcosa dentro di lei le diceva di accettare. Cosa aveva da temere, d'altronde?

Rabbrividì quando le sue dita sfiorarono quelle di lui.

Gelide.

Egli le sorrise rassicurante, sorseggiando il vino senza spostare lo sguardo dagli occhi di lei. «Raccontatemi, Rebecca, che sogno avete fatto?»

«Io... non lo so, veramente.» Chinò il capo, guardandosi senza interesse le punte dei piedi.

«Immagino sembrasse reale, se vi ha sconvolta così tanto.»

Lei tornò a guardarlo, annuendo. «Sì, era così... vero. Io però non ero spaventata.»

L'uomo pesò le sue parole, socchiudendo le labbra. «Eravate felice.» Il rossore che le giunse alle guance lo fece fremere.

«Sì, lo ero...», ammise, tornando a guardare in basso, questa volta verso il bicchiere, ancora pieno di vino.

«E voi desiderereste che fosse veramente reale?»

Il cuore di Rebecca, già impazzito da prima, sembrò ora scoppiarle in petto. Quel sogno realtà? Era troppo singolare e pericoloso per immaginare cosa potesse significare una cosa del genere. «Non potrebbe esserlo, signore.»

«Perché?»

«Perché è solo il frutto della mia immaginazione.»

Rebecca lo osservò mentre le dava le spalle e si avvicinava alla finestra, osservando le prime gocce di pioggia battere contro il vetro. «Ne siete sicura, Rebecca?»

Corrugò la fronte, lei, non capendo il motivo di quella domanda. «Non dovrei esserlo, monsieur Stein?»

L'uomo si voltò, avvicinandosi. Le afferrò con delicatezza una mano, quella che la ragazza aveva ferito poco prima con il vetro rotto.

Era così calda, quella sua piccola mano.

Il sangue usciva ancora copioso. Probabilmente le bruciava, ma non si era lamentata. Non a voce alta, almeno.

Rebecca sentì le gambe diventarle gelatina appena le labbra di lui si posarono sul dito leso, succhiando via il sangue.

E quello sguardo... sembrava proprio quello del sogno.

Chiuse gli occhi, sospirando profondamente per far arrivare più aria ai polmoni. Ma che stava facendo?

«Sapete bene cosa sto facendo, Rebecca.»

La sua voce le sembrò troppo, veramente troppo vicina e quando riaprì gli occhi lui era accostato al suo orecchio, la sua mano che sfregava il dito ferito contro le labbra, sporcandole di sangue. Se le leccò subito dopo con lentezza, gesto che le fece provare un imbarazzante calore tra le gambe.

«Siete troppo intelligente per non aver capito.»

Rebecca provò a dire qualcosa, ma per qualche secondo riuscì solo a pronunciare parole sconclusionate. «Voi non... no, era solo un sogno.»

Lui annuì. «Sì, lo era. Era solo un... assaggio.»

«Un assaggio?»

Le baciò il dito, poi il dorso della mano. «Non volevo spaventarvi con la realtà, ma petite étoile.»

Rebecca arrossì a quel soprannome così dolce e intimo. Nessuno l'aveva mai chiamata piccola stella, nemmeno suo padre.

«Volevo prepararvi a quella che potrebbe essere la realtà stessa.»

«Io... non capisco.»

«Avete capito tutto, Rebecca.» Le sorrise, avvicinandosi al suo viso, quasi a sfiorarle il naso con il suo. La mano, intanto, stringeva la sua e la portò all'altezza del cuore, sopra il tessuto della camicia bianca che indossava. «Siete solo troppo spaventata per ammetterlo

Spalancò gli occhi, rimanendo senza fiato quando non sentì il battito cardiaco dell'uomo, sotto le dita. «Voi... voi siete...»

«Morto, sì.» Le posò un dito freddo sulle labbra, per intimarle il silenzio. Quel gesto brusco diventò subito una carezza che lo fece rabbrividire. Aveva potuto sfiorare quella carne solo nelle passeggiate mentali a cui la sottoponeva ogni settimana, ma niente poteva competere con un tocco reale. «Da duecento cinquant'anni circa.»

Rebecca scosse la testa, prima debolmente, poi con più veemenza, come a convincersi che quello fosse l'ennesimo sogno. Non poteva essere vero, era tutto falso, tutto una bugia! Provò a divincolarsi dalla presa dell'uomo, ma lui non osò lasciarla andare.

«Sono morto, Rebecca, ma voi... tu, tu mi fai sentire vivo come una volta.», le sussurrò, mentre il dito segnava con delicatezza la forma del suo viso. «Non ti sei mai chiesta perché spendo del tempo con te, una semplice domestica, per sentire la lettura di libri che ho letto un'infinità di volte?»

Lei arrossì al pensiero che fece. Aveva sempre immaginato che lui, per quanto sembrasse un uomo colto, non avesse mai imparato a leggere e che per quel motivo incaricasse lei di farlo per lui.

«Oh, ma petite, io so leggere eccome.» Le sorrise quando la vide stupita ancora una volta. Non doveva piacerle l'idea che qualcuno potesse entrare a proprio piacimento nella sua mente. Del resto, i pensieri sarebbero dovuti essere i segreti che nessuno avrebbe mai potuto scoprire; la mente di una persona doveva essere un luogo proibito persino per Dio, e l'idea che lui, come il Creatore, potesse leggerla così facilmente la portò a pensare una sola cosa.

Era un demone, il Diavolo in carne ed ossa.

«Voi mi spaventate, ora.», mormorò, muovendo qualche passo indietro.

Lui sospirò, rattristato le parve. «Cosa posso fare per evitarlo?»

Rebecca lo osservò per qualche istante, prima di dargli una risposta. L'idea di non avere un umano davanti a sé, ma un essere leggendario a cui non aveva mai creduto, la confondeva e la terrorizzava. Un demonio che aveva le sembianze dell'uomo di cui lentamente, in quei pochi anni che abitava sotto il suo stesso tetto, si era innamorata.

Eric Stein.

Che bel nome aveva.

Poteva il Diavolo chiamarsi così?

«Volete uccidermi? Volete... farmi diventare come voi?»

«Diavolo, Rebecca, no!», esclamò, afferrandola con forza per le spalle. «Non potrei mai farlo, nemmeno se mi supplicassi.», aggiunse più dolcemente. «Ho passato tutto il tempo dopo la mia morte a cibarmi di animali, perché ho sempre rifiutato l'idea di uccidere un essere umano. E poi, poi sei arrivata tu, dopo un'eternità di buio sei arrivata tu, la mia luce. Poterti vedere, poter stare con te alcune ore a guardarti, ad immaginare cosa avrebbe significato poterti sfiorare, poterti... mordere. E' stata la prova più dura della mia esistenza dover resistere al richiamo del tuo sangue, del tuo calore umano, del tuo profumo.»

Rebecca riprese a respirare poco dopo, troppo stupita e inebetita da quel flusso di parole che non avrebbe mai immaginato potesse sentirgli dire.

«Ero un mostro prima, ora lo sono ancor di più. Sì, sono il Diavolo, Rebecca! Ho dovuto uccidere le prime donne della mia esistenza per soffocare il desiderio di te, immaginare di avere il tuo collo tra i canini, di accarezzare la tua pelle invece dell'ultima prostituta di periferia. Ero sporco prima, ora lo sono doppiamente. Quale Uomo o Angelo, altrimenti, avrebbe potuto compiere atti simili?»

Le prime lacrime scesero dagli occhi della domestica, incredula, spaventata. Che vita crudele, se di vita avrebbe potuto parlare, aveva dovuto trascorrere quell'uomo? Ora finalmente iniziava a comprendere quel rompicapo intorno alla figura del suo padrone.

Capiva perché lo incontrasse solo di notte - aveva letto che esseri come lui temevano la luce del sole.

Capiva chi fossero le donne che vedeva e che poi sparivano nel nulla – erano la sua cena.

Capiva le raccomandazioni di madame Theresa – era lui il demone da cui doveva proteggersi.

Capiva perché rimanesse affascinata e incantata ogni volta che lui incrociava il suo sguardo – non erano umani, quegli occhi.

«Non piangere, non per me. Non ne vale la pena.» Eric le asciugò le guance con i pollici, abbozzando un sorriso. «Comprendo che quello che ti chiedo possa spaventarti, e continuerò a guardarti da lontano se tu non vorrai.»

«Cosa mi chiedete?», gli domandò, in un soffio.

«Che mi permetta di amarti a mio modo. Anche se questo significherà perderti quando giungerà il tuo momento. Che i pochi anni che trascorreremo insieme, nella vastità della mia esistenza, siano i più belli e che poi, quando sarai solo un ricordo, io possa continuare ad esistere senza dimenticarti.»

Rebecca non seppe cosa ribattere. La sensazione di torpore e panico che provava non glielo permettevano. Riuscì solo ad allungare una mano tremante sulla guancia marcata e pallida di lui, dapprima con timore, poi con dolcezza. Era lui, era sempre lui. Non le aveva mai fatto del male, in quei mesi, poteva dunque fidarsi di lui? «Sarebbe bello se potessimo vivere normalmente.», sussurrò, abbassando gli occhi.

«Ma non possiamo, Rebecca. Lo sai bene, ora.» Si chinò sul suo collo per baciarglielo, finalmente per davvero.

La ragazza si aggrappò alla sua camicia per evitare di perdere l'equilibrio dal forte giramento di testa che quelle labbra infuocate le provocò. Aveva paura, una paura folle. Eppure non seppe resistere a quei baci, a quella voce, a quegli occhi, a quelle mani.

«Cosa devo fare?», gli chiese, allungando il collo per permettergli di baciarla meglio.

«Devi fidarti di me. Riprenderò a cibarmi di animali quando non assaggerò te, nei giorni di pausa. Devi riprenderti affinché il tuo sangue possa tornare ad essere copioso nelle tue vene.» Le baciò l'orecchio contro cui le aveva sussurrato quelle parole, ancora troppo bizzarre per sembrarle vere. Forse stava ancora sognando? «Sarà difficile resistere, ma non prosciugherò via tutte le tue forze, ma chére

Lei sospirò appena sentì le mani di lui circondarle la schiena, abbracciandola. «Io... mi fido di voi... di te. L'ho sempre fatto, Eric. Ma…»

Fu quando sentì il suo nome per la prima volta pronunciato dalla sua splendida voce che non resistette oltre e affondò con forza i canini, ora allungati spaventosamente, nella morbida pelle del collo. Aveva resistito fin troppo e il cieco desiderio di unirsi finalmente con la donna amata superò di gran lunga le possibilità di farle del male.

Rebecca spalancò gli occhi e la bocca, da cui però non provenne alcun suono, se non un gemito soffocato dal dolore. La sensazione di panico svanì poco dopo, quando oltre alla dolce sensazione provocata dal suo abbraccio, sentì un calore improvviso dovuto al piacere. Un piacere che non aveva niente a che fare con i desideri carnali, eppure tutta quell'incredibile libidine che le fluì fino al ventre la fece avvampare. Sentì il rumore sinistro e l'odore ferroso del suo sangue che veniva deglutito con bramosia dalle labbra del vampiro e gemette quando la mano di lui scivolò lungo la schiena, attirandola a sé. Le sensazioni di lussuria che stava provando erano le stesse dei sogni, eppure così intense da stordirla. Possibile che esistesse un desiderio così forte da farle perdere completamente l'utilizzo del raziocinio?

Poco a poco il piacere diminuì, lasciando spazio ai brividi di freddo che il poco sangue in circolazione le provocava. Eric leccò via le ultime gocce di quel nettare vitale dal collo pallido e l'abbracciò, per evitare che cadesse per le poche energie. La sollevò con delicatezza, un braccio sotto le gambe e uno sotto la schiena, e lei, nel dormiveglia causato da quello strano torpore che la stava avvolgendo, sorrise. La portò alla sua stanza, adagiandola sul grande letto a baldacchino dalle lenzuola rosse come il sangue che poco prima aveva bevuto. Ora ella era la sua donna, la sua sposa mortale, e come tale avrebbe dovuto vivere, fino a che quel bel fiore non fosse appassito per sempre.

 

 

 

~ Angolino autrice

 

Buona sera a tutti!

Ritorno con un'altra one shot vampiresca, nata non mi ricordo come né mi ricordo quando... so solo che stava marcendo nei meandri del mio piccì-umpa-lumpa, in attesa di una rispolverata e di una degna fine. Sul degna si potrebbe aprire un dibattito, ma mi limiterò a dire che non mi convince ancora tanto. Insomma, volevo qualcosa di romantico ma anche drammatico e che creasse suspence, volevo l'elemento sorpresa ma l'idea geniale non è arrivata... non so quanto questo mi sia riuscito, sento che manca qualcosa di fondamentale - il problema è che non capisco ancora cosa! Prima o poi lo capirò, lo sento. '-'

Vi lascio con un arrivederci e un ringraziamento anticipato a chi leggerà!

Marta.

PS: ho aperto un account di Facebook che utilizzerò per gli aggiornamenti e le novità di EFP, chiunque voglia aggiungermi è liberissimo di farlo. (:

   
 
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