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Autore: Samaele    04/12/2010    2 recensioni
Il manifesto degli anarchici della vita - gli scrittori - la razza di Caino.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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<< “Assioma fondamentale:
Se è felice non è uno scrittore.

I gruppo di corollari:
Se la notte dorme senza problemi non è uno scrittore.
Se fa leggere ciò che scrive ad altri, senza trovare tutto ciò pornografico non è uno scrittore.
Se non si domanda ogni santo giorno il perché non si ficchi una pistola in bocca non è uno scrittore.
Se non è un drogato (di sesso, di letteratura, di stupefacenti, di solitudine) non è uno scrittore.
Se non preferisce scrivere a mangiare, dormire, vivere non è uno scrittore.
Se non è affogato nel blu atomico non è uno scrittore.
Se non è il solo, alla fine della notte, a ricordarsi il proprio nome non è uno scrittore.
Se non si sente Dio mentre plasma le parole non è uno scrittore.
Se non ha barattato la sua casa e la sua famiglia per una bottiglia di obliata solitudine non è uno scrittore.
Se non è fottuto oltre ogni possibilità di redenzione non è uno scrittore.
Se non è consapevole della perdizione senza colpa che macchia il suo animo non è uno scrittore.

II gruppo di corollari:
Diffida di chi scrive poesie.
Diffida di chi scrive racconti.
Diffida di chi scrive e non è un adulto.
Coloro sono feti di scrittori.

Fuggi da chi scrive poesie ed ha la barba.
Fuggi da chi scrive racconti e può fare dei figli.
Fuggi da chi scrive ed è adulto.
Coloro sono scrittori.
Coloro sono anarchici della vita. Fuggi da loro, per l'amor di Dio, oh razza di Abele.

( A meno che tu non sia uno di loro. In tal caso, banchetta al loro convivio fino al mattino, oh razza di Caino. )

I Metodo:
Scrittore -
Ricerca il suono perfetto.
Scrittore -
Ricerca la parola che racchiude in sé l'essenza.
Scrittore -
Ricerca la poesia del cosmo che un bambino africano pensò ma mai scrisse prima di essere divorato da un leone passato di lì per caso.
Scrittore -
Ricerca i mattoni fatti di lacrime d'inchiostro per impedire all'oscurità di nutrirsi della tua luce prima che l'abisso si sia nutrito della tua carne.

II Metodo:
Scrittore -
Sonda l'abisso.
Discendi nell'abisso.
Crogiolati nell'abisso.
Non uscire mai dall'abisso. Mai.
Le parole sono le figlie dell'abisso.

Dimostrazione:
E le parole sono il tuo simulacro di felicità.
Le parole sono la tua luce di stelle morte.
Le parole sono la tua veglia e il tuo sonno.

Conclusione:
Scrittore, tu sei e perché sei dove tutti gli altri rifuggono.
Scrittore, tu sei e perché sei nell'abisso e nell'oscurità.
Gioisci di questo.

Attaccai questo “manifesto” sulla bacheca del mio liceo, con l'ovvia speranza di trovare qualcuno come me. Tre giorni dopo era irriconoscibile, tutto scarabocchiato, con peni e vagine marchiate a fuoco nero sopra. Di fatto, sarebbe passato ancora molto tempo prima che fossi riuscito a distinguere quelli che possedevano il mio stesso fetido marchio. E per fortuna, direi ora: mi sarei sentito dannatamente sconfortato nello scoprire che lì, in quella scuola, ero completamente solo, avviluppato in spire di perfetti discendenti di Abele. E sarebbe passato ancor più tempo, prima che riuscissi a trovare la mia “razza” e, uniti illusoriamente (massima nostra aspirazione di compagnia), tentare di sognare di spodestare Dio. Ma, oh!, le storie che ci apparvero e che a tutti gli altri furono precluse! Oh! Quanto furono infuocate le notti che trascorsero prive di ricordi di carne, ma floride d'inchiostro mentre un inevitabile proiettile si stava avvicinando sempre più alla mia tempia! Oh! Li vedevo, gli altri, unirsi in storie di baci e corpi avvinghiati e letti caldi e pieni, ed agognavo dolorosamente a riempire quel vuoto nero, che loro così bene riuscivano a tarpare con simili fulgidi orgasmi. Ma mai mi riuscì di sentire sussurri d'amore che non fossero d'inchiostro. E, certe volte, rinchiuso nelle mie solitudini, in cui il mio destino mi aveva relegato e il mio libero arbitrio giustificato, rinchiuso in quelle cineree solitudini mi chiedevo se tutte le parole del cosmo potessero valere anche un solo bacio della terra. Non potevo far altro che rispondere che sì, era il prezzo giusto che dovevo pagare per poter scrivere. Era il prezzo che noi, figli di Caino, dovevamo pagare per il nostro marchio maledettamente benedetto. Ancora oggi non capisco se quelle erano solo menzogne verso me stesso o verso l'intero cosmo. E il Dio morto affogato nel proprio alcolico vomito m'è testimone: non voglio scoprirlo. Cristo. Scrivo come scrivevo allora. E' come se decenni di sconfitte e sangue non mi avessero insegnato nulla, come se tutti i feticci di successi e di vittorie portati dalle parole si siano annullati. Forse è così: per la razza di Caino non vi è cammino. Ora capisco che a dannarmi – a dannarci, noi figli di Caino – furono gli arcobaleni. I brevi, maledetti, refoli di felicità che ci giungevano inaspettati e sperati e ingigantiti dal serir di lacrime cerulee in cui vagavamo barcollanti. Vedevamo per un fulgido istante la luce (teofania?) risplendere nell'oscurità cieca dell'Inferno, e con il suo ricordo nel cuore (proprio per quel ricordo) continuavamo ad ostinarci a vagare senza portarci la redenta pistola alle nostre colpevoli bocche. A dannarci fu l'arcobaleno. Per loro, invece, per i figli d'Abele, non fu così: loro non videro mai gli arcobaleni. Sempre che arcobaleni potessero germogliare nei loro cieli privi d'inchiostro e di colore. Di cielo, insomma. Noi che conoscevamo la solitudine e che avevamo giaciuto con sua figlia in infinite notti, cantando di lisergiche albe, noi non avevamo esitato a cogliere quei simulacri di felicità che solo per noi esistevano. Ma non erano durati, ovviamente. Non sarebbero mai potuti durare. Non avessimo mai conosciuto la luce, non avremmo mai potuto conoscere realmente l'oscurità. In momenti di pura lucidità pensavo (e vergognosamente penso tutt'ora) che, a simili condizioni, sarebbe stato meglio non conoscerla mai. Però poi, (fortunatamente?) sprofondo, nuovamente, nel delirio della mia vita. Fino a quando la pallottola finale non guarirà la mia mente. La nostra mente.
Noi siamo capite censi. Feccia della feccia.
E ringraziamo Dio di questo.”>>
<< Ma che roba è? >>
<< E' una specie d'opuscolo che ho... >>
<< Che hai...? >>
<< ...Che ho trovato al bar... >>
<< Ah, capito. >>
<< Che... Che ne pensi? >>
<< Mah. Per me chi ha scritto 'sta roba doveva semplicemente scopare di più. >>
<< Ah... >>
<< Tutto ok? >>
<< Sì sì... >>
  
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