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Autore: Onlyna    04/12/2010    7 recensioni
«Sto dicendo» mi rispose lui, senza che il sorriso svanisse dalle sue labbra sottili e chiare «Che pensavo che fosse chiaro che le ragazze non mi interessano; o pensi che ti abbia scambiato per una tenera, delicata e morbida fanciulla?».
Ottava classificata al contest "Cave Canem" di Crystalemi.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Titolo: Les suspects
Autore:
Only_ (Only_Me)
Rating:
verde
Genere:
introspettivo, fluff
Avvertimenti:
Slash, One-shot
Tema:
I - “Amore è di sospetti fabbro – Silvio Pellico”

Les suspects

Amore è di sospetti fabbro.

Lo guardavo sorridere a quella ragazza, con quella dolcezza che avrei voluto riservasse solo alla mia persona. La rabbia montava in me, la gelosia si faceva strada nel mio cuore.
Non riuscivo più a sopportare quella tenerezza che le mostrava senza problemi. Mi alzai di scatto, lanciandogli un'occhiata furiosa; non se ne accorse neppure, come io non diedi corda alle domande stupite di James, seduto al mio fianco.
Uscii dalla Sala Grande con passo veloce, arrabbiato, furioso. Ero
geloso di lui. Mi sentivo terribilmente tradito da quel sorriso, mi sentivo terribilmente... stupido.
Continuai a camminare, senza prestare ascolto alla parte razionale del mio cervello, quella parte che mi gridava '
Torna dentro, razza di idiota! Se tu reagisci così per uno stupido sorriso, lui che dovrebbe fare?'. Sapevo che aveva ragione, che io per primo dimostravo davvero poco quanto realmente tenessi a lui; io, che non rifiutavo mai una carezza, un bacio a fior di labbra da quelle ragazze che mi giravano sempre intorno, mi arrabbiavo così per un fottuto sorriso. Un sorriso.
Un
suo sorriso, però. Non potevo accettare che lo regalasse così a una ragazza qualsiasi, una ragazza che non lo conosceva, una ragazza che probabilmente aveva solo bisogno di ripetizioni di Trasfigurazione. Non potevo assolutamente accettarlo. Ero un egoista, uno stupido e geloso egoista, ma non potevo davvero sopportare di vedere una scena del genere.
Giunsi su una sponda del Lago Nero, quella più lontana dal castello; mi lasciai cadere a terra, sedendomi sulla ghiaia umida senza preoccuparmi per la divisa, senza pensare che si sarebbe sicuramente sporcata. Nella mente avevo solamente i suoi occhi ambrati e le sue labbra sottili e rosee che sorridevano a quella ragazza.
Nemmeno l'aria fredda di quel pomeriggio riusciva a far sbollire la mia rabbia.
Afferrai una manciata di pietre da accanto alla mia gamba, sollevandomi di nuovo in piedi e cominciando a scagliarle con forza nelle acque sicuramente gelide del lago.
«Hai in programma di farti un bagno con la Piovra Gigante?».
La
sua voce mi arrivò inaspettata alle orecchie, facendomi sobbalzare; come diavolo aveva fatto ad arrivarmi alle spalle così silenziosamente?
Continuai a gettare le pietre in acqua, osservando con finto interesse le increspature che provocavano sulla sua superficie.
Non appena la mia mano fu nuovamente vuota, mi voltai a guardarlo.
Era seduto dove pochi attimi prima c'ero io, infagottato nel suo mantello. Mi sfuggì un sorriso intenerito – aveva sempre odiato il freddo.
«Che ci fai qui, Lunastorta? Rischi di prenderti un raffreddore».
Ero preoccupato per lui,
ovviamente. Neanche da arrabbiato riuscivo ad impedirmelo.
«Sei più scoperto di me, Sirius» sorrise, accennando ai miei abiti.
Solo in quel momento mi resi conto di aver lasciato il mantello al Dormitorio; quella mattina non era in programma di uscire dal castello, e avevo preferito non portarlo con me, per non avere pesi inutili. I libri erano abbastanza.
Rabbrividii involontariamente, maledicendo il mio corpo; possibile che non mi aiutasse mai, quando avevo più bisogno di lui?
«Vieni qua, cagnone pulcioso» mi sorrise il licantropo, allargando il braccio destro e lasciandomi lo spazio per accoccolarmi contro di lui, sotto il suo mantello,
al caldo.
Non riuscii a resistere; il mio corpo – quello sporco traditore! – si mosse da solo, andandosi a sedere accanto a Remus, lasciando che il suo braccio si posasse sulle mie spalle ed il suo mantello mi coprisse. Ma era il tepore che sprigionava il suo corpo, quello che mi scaldava veramente.
La mia rabbia non era sbollita, però, nonostante mi stesse abbracciando ed io fossi premuto contro il suo fianco con la testa appoggiata alla sua spalla. Non riuscivo ancora ad accettare che avesse sorriso in
quel modo a qualcuno che non fossi io. Era più forte di me. Ero ancora arrabbiato.
«Mi spieghi perché hai fatto questa scenata? Non sarà per quella ragazza, vero?» chiese ad un tratto, sorprendendomi come sempre per il suo esagerato intuito.
Era sempre stato difficile nascondergli qualcosa: riusciva a capire sempre tutto dai minimi dettagli. Ci aveva sempre riso su, sminuendosi, affermando che chiunque l'avrebbe potuto fare: bastava stare attenti ai dettagli ed osservare attentamente i comportamenti, diceva.
Grugnii una rispostaccia contro la sua spalla; non ero pronto ad ammettere la mia gelosia nei suoi confronti. Sarebbe stato troppo, mi sarei esposto troppo. Dopotutto eravamo d'accordo: non dovevamo coinvolgerci sentimentalmente, non avevamo nessun diritto l'uno sull'altro.
La bomba era esplosa l'anno prima, quando eravamo due sedicenni attratti reciprocamente dai nostri corpi, impazienti di assaggiarli. Qualche giorno prima del plenilunio eravamo rimasti soli nel Dormitorio, e in quel momento era tutto degenerato.
Rabbrividii nuovamente. Ricordare
quegli attimi non era certo la cosa migliore, in un momento del genere; ero o no geloso, arrabbiato con lui?
«Non riesco a crederci» lo sentii mormorare; dal tono della sua voce compresi che stava sorridendo «Sei geloso, Sirius? Sei davvero geloso?».
Non mi sfuggì la punta di genuino interesse che c'era nelle sue parole, e forse fu quello a spingermi a dirgli la verità, a fare quel passo che avevo promesso a me stesso di ritardare il più possibile.
«Sì» risposi piano, quasi in un sussurro «Sono geloso, Remus».
Continuai a fissare le acque del Lago Nero, mentre quella manciata di parole fuoriusciva dalle mie labbra; i miei occhi continuarono a fissare la sua superficie, che si increspava dolcemente sotto la brezza che aveva cominciato a soffiare. Mi ero incantato o, forse, non avevo il fegato di guardare il suo viso?
Era una situazione paradossale: io, Sirius Black, che temevo la
sua reazione, che mandavo al diavolo il famoso coraggio Grifondoro per il timore di non poter più godere di quegli attimi che – come la notte prima – ci ritagliavamo l'un l'altro, a causa di una sciocca ammissione di gelosia?
«Sei uno stupido».
Non avevo pensato ad una risposta così diretta e così fredda. Forse speravo in una sfuriata, una bella ramanzina che mi avrebbe ricordato quali fossero i nostri ruoli, su cosa si basasse la nostra relazione. Sentire solamente quel semplice insulto mi fece stare male e sicuramente ebbe più effetto di discorsi gridati e lunghe paternali che rimarcavano i confini tra corpo e sentimento.
Non dissi nulla, aspettando che continuasse. Dopotutto non poteva dire una cosa del genere e non andare avanti; non era da lui, più che altro. Lui giustificava sempre ciò che diceva, lo motivava. Anche lui, però, rimase in silenzio.
Alzai gli occhi ed incontrai il suo volto sereno, segnato dalle solite cicatrici; le sue iridi color ambra erano perse nel cielo terso e gelido di quel giorno, gli angoli delle sue labbra piegati verso l'alto.
Rideva di me?
Mi arrabbiai nuovamente, ma non appena mi mossi per alzarmi ed allontanarmi di nuovo da lui, il suo braccio scivolò dalle mie spalle alla vita, e strinse con più forza, guidandomi più vicino al suo corpo tiepido. Sentii persino la vibrazione della sua mentre nasceva nel suo petto.
«Sei davvero stupido, Sirius» ripeté, stringendo la mano sul mio fianco «O forse sono io che ho dato per scontate troppe cose?» continuò, in un monologo di cui non capivo il significato.
«Merlino, Remus!» sbottai, perdendo l'ultima briciola della mia – poca – pazienza «Che diavolo stai dicendo?».
Odiavo non capire di cosa stesse parlando; era una delle cose che più mi faceva innervosire.
«Sto dicendo» mi rispose lui, senza che il sorriso svanisse dalle sue labbra sottili e chiare «Che pensavo che fosse chiaro che
le ragazze non mi interessano; o pensi che ti abbia scambiato per una tenera, delicata e morbida fanciulla?».
Boccheggiai, prima che il mio cervello elaborasse una risposta degna di tale nome. Lì per lì non ne trovai nemmeno una, perciò rimasi in silenzio, con le sopracciglia aggrottate, a fissare il Lago cercando l'ispirazione. Nulla, la mia proverbiale loquacità era andata a farsi benedite.
«Sirius» continuò, con quel tono serio che mi metteva sempre i brividi, costringendomi a voltarmi verso di lui, verso il suo volto che rispecchiava perfettamente il modo in cui aveva parlato «Credi davvero che mi interessi qualcun altro al di fuori di te?».
Non so se in quel momento arrossi; sicuramente sgranai gli occhi, stupefatto dalla sua dichiarazione – perché di questo si trattava, di una
dichiarazione – così improvvisa, così inaspettata... così terribilmente giusta.
Sentii il cuore riprendere a pompare sangue furiosamente, come una decina di minuti prima, in Sala Grande. In quel momento non batteva per la rabbia però, assolutamente no. Il motivo era un altro, molto diverso.
Vidi la sua espressione seria mutare lentamente in una più divertita, finché dalle sue labbra – così vicine alle mia – non uscì il fantasma di una risata.
Non capii il perché di quell'improvvisa ilarità ma, nonostante fosse più che plausibile che si stesse prendendo gioco della mia ingenuità, non riuscii ad arrabbiarmi. La mia mente non riusciva a concepire l'idea che Remus potesse scherzare su una cosa del genere, su dei
sentimenti.
Inaspettatamente si chinò verso il mio volto, posando le sue labbra sulle mie per pochi secondi, in un bacio che non si poteva nemmeno chiamare tale, in quanto era stato solamente il premersi delicato della sua bocca sulla mia.
Non mi mossi, non tentai né di sottrarmi né di prolungare quel contatto. Non sapevo cosa pensare.
«Incredibile» ridacchiò il licantropo, spingendomi con una leggera pressione del naso – gelato – a voltare nuovamente il capo verso il lago; parlò direttamente nel mio orecchio, con quel tono divertito che raramente utilizzava, ma che palesava il motivo per cui anche lui, il
Prefetto-Perfetto, facesse parte dei Malandrini «Sono riuscito a zittirti, Sirius Black. Adesso pretendo una medaglia».
Sbuffai, sentendo un sorriso nascere sulle mie labbra; eccolo, il
mio Remus Lupin.

Da quel momento, ogni volta che penso a quel giorno, non posso fare a meno di ridere di me, della stupida ed impulsiva gelosia, della rabbia che mi aveva colto vedendo quel sorriso – il mio sorriso – rivolto a un'altra persona.
La mia gelosia, però, mi aveva permesso di aprire gli occhi, di rendermi conto che ciò che provavo per lui non era semplice attrazione fisica, che ciò che
lui provava per me era diverso dal desiderio del mio corpo.
Ero innamorato di lui – lo sono tutt'ora – e i miei sospetti mi avevano aperto gli occhi.

Amore è di sospetti fabbro.

   
 
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