Titolo:
Les
suspects
Autore:
Only_
(Only_Me)
Rating:
verde
Genere:
introspettivo,
fluff
Avvertimenti:
Slash,
One-shot
Tema:
I
- “Amore è di sospetti fabbro – Silvio
Pellico”
Les suspects
Amore è di sospetti fabbro.
Lo guardavo
sorridere a quella ragazza, con quella dolcezza che avrei voluto
riservasse solo alla mia persona. La rabbia montava in me, la gelosia
si faceva strada nel mio cuore.
Non riuscivo più a
sopportare quella tenerezza che le mostrava senza problemi. Mi alzai
di scatto, lanciandogli un'occhiata furiosa; non se ne accorse
neppure, come io non diedi corda alle domande stupite di James,
seduto al mio fianco.
Uscii
dalla Sala Grande con passo veloce, arrabbiato, furioso. Ero geloso
di lui. Mi sentivo terribilmente tradito da quel sorriso, mi sentivo
terribilmente... stupido.
Continuai
a camminare, senza prestare ascolto alla parte razionale del mio
cervello, quella parte che mi gridava 'Torna
dentro, razza di idiota! Se tu reagisci così per uno stupido
sorriso, lui che dovrebbe fare?'.
Sapevo che aveva ragione, che io per primo dimostravo davvero poco
quanto realmente tenessi a lui; io, che non rifiutavo mai una
carezza, un bacio a fior di labbra da quelle ragazze che mi giravano
sempre intorno, mi arrabbiavo così per un fottuto
sorriso. Un
sorriso.
Un
suo
sorriso, però. Non potevo accettare che lo regalasse
così a una
ragazza
qualsiasi,
una ragazza che non lo conosceva, una ragazza che probabilmente aveva
solo bisogno di ripetizioni di Trasfigurazione. Non potevo
assolutamente accettarlo. Ero un egoista, uno stupido e geloso
egoista, ma non potevo davvero sopportare di vedere una scena del
genere.
Giunsi su una sponda
del Lago Nero, quella più lontana dal castello; mi lasciai
cadere a
terra, sedendomi sulla ghiaia umida senza preoccuparmi per la divisa,
senza pensare che si sarebbe sicuramente sporcata. Nella mente avevo
solamente i suoi occhi ambrati e le sue labbra sottili e rosee che
sorridevano a quella ragazza.
Nemmeno l'aria
fredda di quel pomeriggio riusciva a far sbollire la mia rabbia.
Afferrai una
manciata di pietre da accanto alla mia gamba, sollevandomi di nuovo
in piedi e cominciando a scagliarle con forza nelle acque sicuramente
gelide del lago.
«Hai in programma
di farti un bagno con la Piovra Gigante?».
La
sua
voce mi arrivò inaspettata alle orecchie, facendomi
sobbalzare; come
diavolo aveva fatto ad arrivarmi alle spalle così
silenziosamente?
Continuai a gettare
le pietre in acqua, osservando con finto interesse le increspature
che provocavano sulla sua superficie.
Non appena la mia
mano fu nuovamente vuota, mi voltai a guardarlo.
Era seduto dove
pochi attimi prima c'ero io, infagottato nel suo mantello. Mi
sfuggì
un sorriso intenerito – aveva sempre odiato il freddo.
«Che ci fai qui,
Lunastorta? Rischi di prenderti un raffreddore».
Ero
preoccupato per lui, ovviamente.
Neanche da arrabbiato riuscivo ad impedirmelo.
«Sei più scoperto
di me, Sirius» sorrise, accennando ai miei abiti.
Solo in quel momento
mi resi conto di aver lasciato il mantello al Dormitorio; quella
mattina non era in programma di uscire dal castello, e avevo
preferito non portarlo con me, per non avere pesi inutili. I libri
erano abbastanza.
Rabbrividii
involontariamente, maledicendo il mio corpo; possibile che non mi
aiutasse mai, quando avevo più bisogno di lui?
«Vieni
qua, cagnone pulcioso» mi sorrise il licantropo, allargando
il
braccio destro e lasciandomi lo spazio per accoccolarmi contro di
lui, sotto il suo mantello, al
caldo.
Non riuscii a
resistere; il mio corpo – quello sporco traditore!
– si mosse da
solo, andandosi a sedere accanto a Remus, lasciando che il suo
braccio si posasse sulle mie spalle ed il suo mantello mi coprisse.
Ma era il tepore che sprigionava il suo corpo, quello che mi scaldava
veramente.
La
mia rabbia non era sbollita, però, nonostante mi stesse
abbracciando
ed io fossi premuto contro il suo fianco con la testa appoggiata alla
sua spalla. Non riuscivo ancora ad accettare che avesse sorriso in
quel
modo a qualcuno che non fossi io. Era più forte di me. Ero
ancora
arrabbiato.
«Mi spieghi perché
hai fatto questa scenata? Non sarà per quella ragazza,
vero?»
chiese ad un tratto, sorprendendomi come sempre per il suo esagerato
intuito.
Era sempre stato
difficile nascondergli qualcosa: riusciva a capire sempre tutto dai
minimi dettagli. Ci aveva sempre riso su, sminuendosi, affermando che
chiunque l'avrebbe potuto fare: bastava stare attenti ai dettagli ed
osservare attentamente i comportamenti, diceva.
Grugnii una
rispostaccia contro la sua spalla; non ero pronto ad ammettere la mia
gelosia nei suoi confronti. Sarebbe stato troppo, mi sarei esposto
troppo. Dopotutto eravamo d'accordo: non dovevamo coinvolgerci
sentimentalmente, non avevamo nessun diritto l'uno sull'altro.
La bomba era esplosa
l'anno prima, quando eravamo due sedicenni attratti reciprocamente
dai nostri corpi, impazienti di assaggiarli. Qualche giorno prima del
plenilunio eravamo rimasti soli nel Dormitorio, e in quel momento era
tutto degenerato.
Rabbrividii
nuovamente. Ricordare quegli
attimi non era certo la cosa migliore, in un momento del genere; ero
o no geloso, arrabbiato con lui?
«Non riesco a
crederci» lo sentii mormorare; dal tono della sua voce
compresi che
stava sorridendo «Sei geloso, Sirius? Sei davvero
geloso?».
Non mi sfuggì la
punta di genuino interesse che c'era nelle sue parole, e forse fu
quello a spingermi a dirgli la verità, a fare quel passo che
avevo
promesso a me stesso di ritardare il più possibile.
«Sì» risposi
piano, quasi in un sussurro «Sono geloso, Remus».
Continuai a fissare
le acque del Lago Nero, mentre quella manciata di parole fuoriusciva
dalle mie labbra; i miei occhi continuarono a fissare la sua
superficie, che si increspava dolcemente sotto la brezza che aveva
cominciato a soffiare. Mi ero incantato o, forse, non avevo il fegato
di guardare il suo viso?
Era
una situazione paradossale: io, Sirius Black, che temevo la sua
reazione, che mandavo al diavolo il famoso coraggio Grifondoro per il
timore di non poter più godere di quegli attimi che
– come la
notte prima – ci ritagliavamo l'un l'altro, a causa di una
sciocca
ammissione di gelosia?
«Sei uno stupido».
Non avevo pensato ad
una risposta così diretta e così fredda. Forse
speravo in una
sfuriata, una bella ramanzina che mi avrebbe ricordato quali fossero
i nostri ruoli, su cosa si basasse la nostra relazione. Sentire
solamente quel semplice insulto mi fece stare male e sicuramente ebbe
più effetto di discorsi gridati e lunghe paternali che
rimarcavano i
confini tra corpo e sentimento.
Non dissi nulla,
aspettando che continuasse. Dopotutto non poteva dire una cosa del
genere e non andare avanti; non era da lui, più che altro.
Lui
giustificava sempre ciò che diceva, lo motivava. Anche lui,
però,
rimase in silenzio.
Alzai gli occhi ed
incontrai il suo volto sereno, segnato dalle solite cicatrici; le sue
iridi color ambra erano perse nel cielo terso e gelido di quel
giorno, gli angoli delle sue labbra piegati verso l'alto.
Rideva
di me?
Mi arrabbiai
nuovamente, ma non appena mi mossi per alzarmi ed allontanarmi di
nuovo da lui, il suo braccio scivolò dalle mie spalle alla
vita, e
strinse con più forza, guidandomi più vicino al
suo corpo tiepido.
Sentii persino la vibrazione della sua mentre nasceva nel suo petto.
«Sei davvero
stupido, Sirius» ripeté, stringendo la mano sul
mio fianco «O
forse sono io che ho dato per scontate troppe cose?»
continuò, in
un monologo di cui non capivo il significato.
«Merlino, Remus!»
sbottai, perdendo l'ultima briciola della mia – poca
– pazienza
«Che diavolo stai dicendo?».
Odiavo non capire di
cosa stesse parlando; era una delle cose che più mi faceva
innervosire.
«Sto
dicendo» mi rispose lui, senza che il sorriso svanisse dalle
sue
labbra sottili e chiare «Che pensavo che fosse chiaro che le
ragazze
non mi interessano; o pensi che ti abbia scambiato per una tenera,
delicata e morbida fanciulla?».
Boccheggiai, prima
che il mio cervello elaborasse una risposta degna di tale nome.
Lì
per lì non ne trovai nemmeno una, perciò rimasi
in silenzio, con le
sopracciglia aggrottate, a fissare il Lago cercando l'ispirazione.
Nulla, la mia proverbiale loquacità era andata a farsi
benedite.
«Sirius» continuò,
con quel tono serio che mi metteva sempre i brividi, costringendomi a
voltarmi verso di lui, verso il suo volto che rispecchiava
perfettamente il modo in cui aveva parlato «Credi davvero che
mi
interessi qualcun altro al di fuori di te?».
Non
so se in quel momento arrossi; sicuramente sgranai gli occhi,
stupefatto dalla sua dichiarazione – perché di
questo si trattava,
di una dichiarazione
– così improvvisa, così inaspettata...
così terribilmente
giusta.
Sentii il cuore
riprendere a pompare sangue furiosamente, come una decina di minuti
prima, in Sala Grande. In quel momento non batteva per la rabbia
però, assolutamente no. Il motivo era un altro, molto
diverso.
Vidi la sua
espressione seria mutare lentamente in una più divertita,
finché
dalle sue labbra – così vicine alle mia
– non uscì il fantasma
di una risata.
Non
capii il perché di quell'improvvisa ilarità ma,
nonostante fosse
più che plausibile che si stesse prendendo gioco della mia
ingenuità, non riuscii ad arrabbiarmi. La mia mente non
riusciva a
concepire l'idea che Remus potesse scherzare su una cosa del genere,
su dei sentimenti.
Inaspettatamente si
chinò verso il mio volto, posando le sue labbra sulle mie
per pochi
secondi, in un bacio che non si poteva nemmeno chiamare tale, in
quanto era stato solamente il premersi delicato della sua bocca sulla
mia.
Non mi mossi, non
tentai né di sottrarmi né di prolungare quel
contatto. Non sapevo
cosa pensare.
«Incredibile»
ridacchiò il licantropo, spingendomi con una leggera
pressione del
naso – gelato – a voltare nuovamente il capo verso
il lago; parlò
direttamente nel mio orecchio, con quel tono divertito che raramente
utilizzava, ma che palesava il motivo per cui anche lui, il
Prefetto-Perfetto,
facesse parte dei Malandrini «Sono riuscito a zittirti,
Sirius
Black. Adesso pretendo una medaglia».
Sbuffai,
sentendo un sorriso nascere sulle mie labbra; eccolo, il mio
Remus Lupin.
Da
quel momento, ogni volta che penso a quel giorno, non posso fare a
meno di ridere di me, della stupida ed impulsiva
gelosia, della rabbia
che mi aveva colto vedendo quel sorriso – il mio
sorriso – rivolto a un'altra persona.
La
mia gelosia, però, mi aveva permesso di aprire gli occhi, di
rendermi conto che ciò che provavo per lui non era semplice
attrazione fisica, che ciò che lui
provava per me era diverso dal desiderio del mio corpo.
Ero innamorato di
lui – lo sono tutt'ora – e i miei sospetti mi
avevano aperto gli
occhi.
Amore è di sospetti fabbro.