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Autore: _KyRa_    05/12/2010    3 recensioni
-Da piccolo mi piaceva così tanto l'idea di comparire in tv, di diventare un famoso cantante, amato per lo meno dalla maggior parte della gente...-
-E ora?- Mi presi qualche secondo per meditare sulla risposta, ma tutto ciò che ne ricavai furono solo pensieri confusi.
-E ora non lo so.- mormorai.
Genere: Generale, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Everything I couldn't have.



Guardo davanti a me e vedo, riflessa nello specchio, la mia figura, ormai spenta, ormai arresa a ciò che la vita le preserva e le cede.
Sarà poi così difficile poter godere di un po' di quella quiete che da giorni ormai innumerevoli cerco? Sarà poi così difficile far sì che accada qualcosa per cui il mio viso si distenda spontaneamente in un'espressione di pura serenità?
Serenità... Ho perso il conto di quanti mesi non sentono più questa parola fuoriuscire con urgenza dalle mie labbra. A dire il vero non la conosco più; ormai è un vocabolo sconosciuto alla mia testa ma agognato dal mio cuore.
Tutto ciò che vedo non è felicità, ma futili favoritismi.
Tutti credono che un paio di foto in prima pagina rendano una persona la più felice del mondo; che un autografo, oltre a liberare nero inchiostro, liberi anche l'emozione e la soddisfazione più pure; che qualche concerto permetta di condurre una vita da perfetto riverito.
La gente non ha capito un cazzo.
Tante cose ti porta il successo, ma quante te ne toglie? No, scusate... “Toglie” è un eufemismo. Quante te ne strappa via dalle braccia con brutalità? Perchè è questo il successo: un perfetto egoista.


-Bill, muoviti, accidenti, stiamo facendo tardi.-
Mio fratello era sempre stato un tipo piuttosto puntiglioso, nonostante apparisse in modo nettamente differente. Ero sempre stato io quello a impiegare più tempo del dovuto nel fare qualcosa; ero sempre stato io quello a creare squilibri in situazioni del tutto piatte. Insomma, ero sempre stato io, in qualche modo, ad accendere le discussioni, sia in casa che in studio.
-Arrivo, non mi manca molto.-
Non mi ero tuttavia mai posto il problema. Avevo sempre agito d'impulso, senza ragionare su conseguenze o simili. Era Tom quello razionale.
Sistemai il colletto della mia camicia e, assicuratomi di essere pronto per uscire, abbandonai il bagno per dirigermi in salotto dove mio fratello, assieme al resto della band, mi attendeva impaziente.
-Possibile che devi sempre perdere tempo in cose futili?- sbuffò mio fratello, dandomi successivamente le spalle per aprire la porta dello studio di registrazione.
Quella sera avevamo organizzato un'uscita che ci avrebbe visti in una discoteca di Berlino. Niente di speciale, semplicemente un po' di divertimento dopo tanto lavoro e stress. Non ero un amante delle discoteche e nemmeno Gustav. Quelli che si scatenavano in pista erano Tom e Georg, alla ricerca di qualche “pollastrella”, come usavano definire qualunque ragazza ritenessero all'altezza per intrattenersi assieme a lei in uno squallido bagno. Io e Gustav cercavamo approcci differenti che sicuramente non si sarebbero consumati in una discoteca.
-I capelli non sono cose futili, quando si tratta di farti vedere in pubblico in un determinato modo perchè sai che il giorno seguente troverai te e proprio i tuoi capelli su una copertina di un giornale di Gossip.- chiarii con le mie buone ragioni da esporre. Tom si limitò a rispondere a tutto ciò con una smorfia scettica e si affrettò a salire in macchina, al posto di guida, mentre noi lo imitavamo diligentemente.


Il locale era affollato. Troppo, per i miei gusti.
Adoravo la tranquillità, adoravo le cose fatte tra pochi intimi; quelle che ti avrebbero fatto tornare a casa con il sorriso sulle labbra e ancora piacevolmente scosso da chiacchierate e risate costruttive. Dopo una serata in discoteca, l'unica cosa che potevo fare era tornare a casa con un gran mal di testa e nient'altro.
Seduti nel privè, osservavamo sotto di noi la pista gremita di gente danzante, tra cui la maggioranza vestiva pericolose minigonne con vertiginosi tacchi a spillo. Il mio sguardo si spostò in automatico su mio fratello, notando che sul suo viso stanziava l'inconfondibile espressione che assumeva quando aveva voglia di “andare a caccia”. Per questo non passò molto prima che si alzò e scese le scalinate, dopo essersi congedato con un “Vado a lavorarmi qualcuna” ed un occhiolino piuttosto eloquente.
Sbuffai, sollevando gli occhi al soffitto: mio fratello non sarebbe mai cambiato. Lui, per lo meno, non sentiva la sofferenza di un amore non concesso. Tutto quello che io desideravo maggiormente era solamente di poter innamorarmi come un normale ragazzo della mia età. Questo non mi era permesso; questa era una di quelle bellezze della vita che il successo mi toglieva.
Il mio sguardo si spostava disinteressato in ogni singolo angolo di quel locale, mentre Gustav – affianco a me – si accingeva a fare la stessa cosa, mentre sorseggiava silenziosamente il suo drink. Tutto sembrava apparentemente tranquillo; la solita atmosfera confusionaria e monotona, almeno fino a che i miei occhi non si posarono su una curiosa figura femminile, seduta su un divanetto, affianco ad una persona che pareva essere un'amica.
Una ragazza dai capelli mori, degli splendidi occhi celesti ed apparentemente annoiata da quella festa, proprio come me, sedeva a qualche metro di distanza. Nessuna minigonna, nessun tacco a spillo o trucco pesante in viso. Chiusa in un semplice paio di jeans ed ai piedi un paio di ballerine nere, nascondeva le sue mani fra le ginocchia, guardandosi anch'ella attorno, apparentemente volenterosa di uscire da quel marasma. Un lieve trucco argenteo andava a dipingerle le palpebre, mentre le sue ciglia erano tirate su da una semplice passata di mascara. Un sottile strato di gloss rendeva le sue labbra carnose dannatamente invitanti, ma ancor di più, quella sua aria timida e riservata.
Le mie mani presero a torcersi, mentre una strana sensazione di calore cominciò ad invadermi il corpo.
Avevo un'inspiegabile voglia di avvicinarmi a lei e parlarle, conoscerla se possibile; eppure era la prima volta che la vedevo. Mi infondeva tanta dolcezza, solo con quel suo sguardo quasi spaesato ed indifferente a tutto ciò che intanto attorno le accadeva.
Fossi stato nei panni di mio fratello, probabilmente non avrei esitato ad alzarmi dal mio divanetto ed avvicinarmi a lei, con l'intento di instaurarvi un dialogo; ma ormai era assodato che io e Tom eravamo due esempi totalmente opposti di approccio con una ragazza.
Passai la serata ad osservarla, come rapito, e mi sorpresi nel constatare che probabilmente lei non mi aveva neppure notato.
Con un brivido alla schiena, mi accorsi improvvisamente che si era alzata dal divanetto, da sola e – voltatasi verso i suoi amici – aveva semplicemente detto “Esco a fumarmi una sigaretta”.
Percepii le mie gambe fremere a tale affermazione, volenterose di seguirla e, senza pensarvi ulteriormente, così feci.
-Vado a fumare.- riferii a Gustav, il quale si limitò ad annuire con il capo, quasi dormiente. Mi alzai velocemente dal divanetto e la seguii di corsa, cercando di non perderla di vista. Pochi minuti ancora trascorsero prima di trovarmi al di fuori della discoteca, al freddo pungente della notte. La osservai ancora qualche istante da parte, accendendomi una sigaretta per non dare troppo nell'occhio e notai che lei faceva la stessa cosa, sedendosi successivamente su un muretto. Deglutii rumorosamente, decisamente agitato da tale situazione.
D'altronde avevo agito d'impulso e l'istinto mi aveva detto di seguirla. Ora che l'avevo fatto, cos'avrei potuto fare? Mi sarei dovuto presentare o non vi era il bisogno? Come avrei attaccato un dialogo?
In quel preciso istante mi domandai il motivo per cui mia madre non mi aveva donato spigliatezza, come aveva generosamente fatto con mio fratello.
Presi un bel respiro e, deciso a buttarmi a capofitto in quella situazione decisamente estranea per me, mi avvicinai lentamente a quella ragazza.
-Ciao.- la salutai fremente, dopo essermi fermato a qualche passo da lei. Quest'ultima sollevò il proprio sguardo su di me, facendomi quasi sussultare, e sbattè qualche attimo le palpebre, forse accigliata per quel mio inspiegabile gesto.
-Ciao.- ricambiò il saluto, esitante.
-Posso?- le domandai impacciato, indicando il posto vuoto sul muretto, affianco a lei. La mora si strinse nelle spalle ed annuì appena. Con la sigaretta fra le labbra, mi sedetti accanto a lei, senza guardarla. Non sapevo che fare; mi sembrava tutto così assurdo e decisamente poco da me. -Io sono Bill.- decisi di presentarmi poi, intuendo che restare in silenzio per tutto quel tempo mi era decisamente poco consono.
-Sì, ti conosco.- rispose lei, osservandomi. Non seppi se esserne contento o meno. -Comunque io sono Angelica.- si presentò poi.
-Non sei tedesca.- constatai da quel nome.
-Italiana.- annuì semplicemente.
Trascorsero svariati attimi di silenzio, altamente imbarazzanti. Che diavolo mi era venuto in mente di fare? Era Tom quello spigliato, non io. Lui avrebbe saputo come agire in una situazione simile.
-Ti ho notato, prima.- presi coraggio. Angelica si voltò nuovamente verso di me, forse aspettando che continuassi a parlare. -Ti ho vista un po' assente e... Mi hai colpito. Non sei un'amante delle feste?- mi sentivo dannatamente stupido a dirle quelle cose ma, d'altronde, cos'altro potevo fare?
-No, infatti.- rispose, tornando ad osservare il vuoto di fronte a sé, mentre continuava a fumare con eleganza. -Ad essere sincera le odio profondamente.- aggiunse.
-Anche io.- mi trovai subito d'accordo.
-Strano.- commentò. Voltai lo sguardo nella sua direzione, perplesso.
-Perchè?- domandai.
-Avrei detto tutto il contrario. Solitamente, un personaggio famoso è abituato a feste, caos, cose del genere...-
-Non è sempre così. Io ad esempio non sono quel tipo di “personaggio famoso”. Purtroppo, molti danno per scontato che noi VIP abbiamo la corazza di ferro, che tutto quanto ci scivoli addosso e che abbiamo chissà quanta voglia di dimostrare eterna forza. In realtà non è così. C'è chi regge e chi non regge. Ancora prima di essere famoso, sono una persona normale, con un cuore e dei sentimenti concreti. Sta alle altre persone conoscermi per quello che sono realmente, oltre al personaggio televisivo.-
-Sarà, ma io sono del parere che nel momento in cui hai voglia di metterti in gioco in questo modo, devi saper reggere tutto quanto. Nel momento in cui scegli quello che fai, devi esserne consapevole e sapere a cosa stai andando in contro.-
-Io ne ero consapevole e infatti non mi sono mai lamentato, per questo motivo. Ma alla fine, è la tua psiche che lavora; nel momento in cui senti di essere arrivato al limite, crolli, anche senza volerlo.-
Non capivo perchè stavo affrontando quel genere di discorso proprio con lei, un'estranea. Probabilmente nemmeno le importava ma, nonostante quella sua aria misteriosa ed apparentemente diffidente, sentivo di poterlo fare perchè mi avrebbe capito.
-E allora, perchè scegliere questo lavoro?-
Quella domanda mi prese in contropiede. Naturalmente non avevo mai immaginato di dover rispondere ad una simile questione; o almeno, non posta da lei. Riconobbi in ogni caso che non aveva tutti i torti, nel farlo.
-Sai... Non ti so rispondere.- ammisi, in imbarazzo. -Da piccolo mi piaceva così tanto l'idea di comparire in tv, di diventare un famoso cantante, amato per lo meno dalla maggior parte della gente...-
-E ora?-
Mi presi qualche secondo per meditare sulla risposta, ma tutto ciò che ne ricavai furono solo pensieri confusi.
-E ora non lo so.- mormorai. -Se tornassi indietro, lo rifarei probabilmente... Ma perchè amo quello che faccio. Se ci fosse però la possibilità di fare musica, senza essere additato e seguito in ogni singolo spostamento, sarebbe decisamente meglio.-
-Vi contraddite sempre in tutto quello che spiegate.- Voltai lo sguardo sulla sua figura, sorpreso da tale affermazione. -Prima vi lamentate del successo, poi dite che se tornaste indietro lo rifareste, poi che amate quello che fate e poi che non vorreste la fama.- aggiunse, per poi ricambiare quello sguardo attento. Abbassai così il mio, sentendomi tremendamente sotto accusa.
Da una parte potevo capirla; non era facile comprendere quel mio ragionamento contorto e vi riconoscevo un qualcosa di non del tutto chiaro e contraddittorio. Ma perchè non poteva calarsi nei miei panni, per qualche secondo, come nessuno aveva mai osato fare? Tutti avevano sempre puntato il dito contro di noi, senza prestare la minima attenzione alle nostre parole o semplicemente definendole come non veritiere.
-La vita da rockstar non è semplice, per niente.- mormorai, scrutando le mie scarpe, come privo di ulteriori difese. Sentivo di non avere più altro da dire, di non dover difendermi ancora una volta.
-Oh, andiamo, avete tutto quello di cui avete bisogno... Ormai nella vita di noi persone comuni non sopravvivreste nemmeno mezzo secondo.- sputò senza pietà Angelica, per poi alzarsi dal muretto. -Potrai andare a dire a chiunque quello che hai detto ora a me, ma nessuno ti crederà... Ti prenderà sempre per una star viziata che ha avuto tutto dalla vita e non sa più che farsene... E personalmente la penso allo stesso modo. E non provate a piangere la vostra felicità davanti a noi. Siete tutti dei fottuti egoisti.- concluse la mora, prima di buttare a terra la sigaretta e voltarmi le spalle per rientrare nella discoteca. Osservai esterrefatto la sua figura allontanarsi sempre più velocemente, fino a che non sparì definitivamente dalla mia vista.
-E' l'affetto, quello vero, che ci manca.- sussurrai, ormai a me stesso.
Mi sentivo dannatamente stupido: mi ero semplicemente illuso che quella ragazza, apparentemente dolce e timida, potesse capirmi; mi ero illuso che per un momento potesse chiudere gli occhi, vestire i miei abiti e percepire le stesse sensazioni contrastanti che stavo cercando di trasmetterle; quell'enorme vuoto situato in mezzo a tante, troppe cose a primo impatto felici.
Cosa potevo aspettarmi d'altronde? Stupida comprensione? Per cosa poi? Per andare a raccontare a qualcuno che una persona al mondo mi aveva dedicato un minuto del suo prezioso tempo a compatirmi? Che importanza poteva avere gioire di tanto successo se poi la gente mi dimostrava di non riporre fiducia nelle mie parole?
La verità era che avrei dovuto continuare a combattere a vuoto; avrei dovuto continuare a combattere contro un muro di gomma, correre contro i mulini a vento e pretendere di ottenere tutto ciò che non avrei mai potuto avere.
E no... Non sto parlando di abiti firmati e tanti soldi.







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E' una One Shot forse molto semplice, ma sentivo il bisogno di scriverla, per poter dare anche una mia interpretazione di tale argomento. Per me ha un particolare significato, ma magari per voi è diverso. Non so, ditemi voi se ve ne leggete qualcuno e se sì, che cosa. Mi farebbe davvero piacere ricevere pareri a riguardo; capire se vi è piaciuta o meno, pur nella sua semplicità. Fatemi sapere; un bacio.

  
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