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Autore: EternallyMissed92_    07/12/2010    10 recensioni
Jared annuì.
“Già. E io un giorno, ci andrò, sulla luna.”
Sheila frenò con i piedini e lo guardò, curiosa.
“Perché?”
“Perché, lassù, la vita è migliore.”
Perché trenta anni non bastano per dimenticare il vero amore.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                      Moonlight
 
 
Inverno 1980
La Louisiana era bellissima in inverno, uno spettacolo inverosimile. L’aria soffiava, fredda, portando con sé dei piccoli e leggeri fiocchi di neve che creavano un magnifico contrasto con il bagliore dei lampioni accesi. Le giornate erano diventate più brevi, la sera arrivava prima e il buio copriva molto presto la città, rischiarandola con la luce della luna e di qualche stellina luminosa. Nonostante tutto, il parco pullulava comunque di bambini che si divertivano e giocavano sulle giostre, dolcemente imbacuccati nei loro cappottini. Uno di questi, dai capelli scuri e gli occhi azzurri, si dondolava lentamente su una delle due altalene. Le sue piccole manine tenevano strette le catene cigolanti, mentre il nasino gocciolava per il vento gelido.
“Ciao!” Una bambina della sua stessa età si era appena seduta sull’altalena vicina alla sua, con un bellissimo sorriso, i capelli biondo-cenere che si muovevano, spinti dall’aria.
“Ciao…” le rispose lui, un po’ imbarazzato.
“Come ti chiami?”
“Jared. E tu?”
“Io mi chiamo Sheila.”
Jared le sorrise, poi distolse lo sguardo dai suoi grandi occhi neri e guardò in alto il cielo scuro e stellato.
Sheila iniziò a dondolarsi piano.
“Cosa stai guardando?” gli domandò.
“La luna.”
La bambina alzò lo sguardo anche lei. La luna, quella sera, era perfettamente disegnata, incastonata in quell’oceano di inchiostro nero che era il cielo. Splendeva sicura, diffondendo un dolce alone argentato.
“È davvero bella.”
Jared annuì.
“Già. E io un giorno, ci andrò, sulla luna.”
Sheila frenò con i piedini e lo guardò, curiosa.
“Perché?”
“Perché, lassù, la vita è migliore.”
Due bambini davanti a loro si stavano contendendo lo scivolo: il primo, piuttosto robusto, spinse l’altro da un lato, facendolo atterrare sul sederino. Immediatamente cominciò a piangere. Una donna, probabilmente la mamma del bambino caduto, accorse subito, cercando di calmarlo.
“Mi porterai con te?” chiese ad un tratto la bambina.
Jared sorrise, tranquillo.
“Certo, perché no!?”
“Jared!? Jared! La mamma dice di rientrare!” Una voce che lui conosceva benissimo, proveniente in lontananza da un bambino dagli occhi verde-nocciola, lo stava chiamando.
“Arrivo, Shannon! Solo un secondo!” Jared sfilò un piccolo bracciale con dei cuoricini rossi dalla tasca del giubbottino e lo porse alla bambina. “Prendilo.”
“Dove l’hai trovato?”
“Non importa. Domani ti voglio vedere ancora qui. Ricordati che dobbiamo andare sulla luna!”
“Ma io…”
“Jared! Sbrigati, altrimenti la mamma si arrabbia!” lo chiamò di nuovo Shannon.
Jared scese dall’altalena e le sorrise.
“Devo andare. Ci vediamo domani!” e corse da suo fratello, salutandola con la mano.
Sheila rimase un attimo sorpresa da quel bambino dai bellissimi occhi chiari. Posò lo sguardo sul braccialetto e, con un po’ di difficoltà, lo indossò. Sorrise. Era davvero bello, proprio come la luna.
                                                                            

*****

 
Una bambina correva a perdifiato verso il parco. Al polso destro portava un piccolo bracciale dai teneri cuoricini di plastica rossa che tintinnavano tra loro. Si mise sull’altalena, emozionata, e aspettò.
Aspettò tutto il giorno, fino alla sera, ma nessuno si fece vivo. Lui non si fece vivo.
Una piccola lacrima scese, calda, facendosi strada lungo la guancia di Sheila.
 

*****

 
Una vecchia auto nera stava attraversando l’autostrada verso una destinazione ancora sconosciuta. Le ruote filavano lisce sull’asfalto innevato. Due occhi azzurri guardavano fuori dal finestrino, tristi. Jared strinse forte a sé la piccola tartarughina di peluche, cercando di non piangere. Suo fratello Shannon era posato sopra la sua spalla, totalmente rapito dal sonno. La macchina frenò all’improvviso e alcuni scatoloni pieni di vestiti, giocattoli e cose varie traballarono nel bagagliaio.
Jared accarezzò il dorso morbido del suo peluche, tirando su col naso. Si stavano trasferendo un’altra volta, in chissà quale Stato, in chissà quale nuova fantomatica casa da cinquanta metri quadrati che si potevano a malapena permettere e a lui, tutta quella situazione, dava maledettamente fastidio. Non potevano stare nemmeno tre mesi in un posto che subito dovevano raccattare le loro cose e partire per un altro luogo. Pur avendo solo nove anni, era già parecchio sveglio per capire cosa stava accadendo.
Una mano gli toccò la gamba, riscuotendolo dai suoi pensieri.
“Che cos’hai tesoro?” Mamma Constance aveva notato il suo sguardo malinconico dallo specchietto retrovisore mentre erano fermi.
Jared piantò i suoi occhi in quelli della madre, riflessi ancora nello specchietto.
“Nulla. È solo che non mi piace continuare a spostarmi da uno Stato all’altro…”
La fila di macchine davanti a loro si mosse e Constance ingranò la prima, ricominciando la sua corsa.
“Ti capisco. Ma sai che il mio lavoro mi impone questo… lo faccio per te e tuo fratello. Devo mantenervi in qualche modo.”
Jared ritornò a guardare fuori dal finestrino.
“Sì, lo so, mamma.”
Shannon si mosse sulla sua spalla, grattandosi il naso.
“Jared, fatti più in là!” mugugnò, con la voce impastata dal sonno, raddrizzandosi di colpo sul sedile.
“Ehi, ti sei svegliato inverso? Guarda che ce n’è di spazio qui dietro!”
“Ragazzi, non iniziate a litigare!” li rimproverò Constance. “Shannon, non trattare male tuo fratello!”
“Ma mamma…”
“Niente mamma! Fai il bravo e torna a dormire!”
Shannon sbuffò e posò di nuovo la testa sul sedile, riprendendo subito il sonno precedentemente interrotto. Jared lo osservò e, pian piano, appoggiò la testa contro la sua, stando attento a non risvegliarlo, poi chiuse gli occhi. In fondo, a sua madre, non aveva detto tutta la verità. Certo, gli dispiaceva continuare a spostarsi da un luogo all’altro, ma quella volta gli dispiaceva ancora di più per un altro motivo, un motivo dai grandi occhi neri: Sheila.
 

*****

 
30 anni dopo, Estate 2010
Jared aveva deciso di passare quelle poche settimane di vacanza con suo fratello Shannon nella loro città natale, la Louisiana, prima di riprendere il tour con i 30 Seconds To Mars. Tomo, invece, era andato a trovare i suoi genitori insieme alla sua ragazza, cercando di trascorrere quei miseri giorni di riposo in famiglia.
Jared si fermò di colpo, facendo sbattere Shannon addosso alla sua schiena.
“Jared, ma che cavolo ti prende? Perché ti sei fermato?”
Il cantante osservò il parco che si trovava davanti ai loro occhi. Altalene, scivoli, girandole erano intasate da bambini che se la spassavano come pazzi, gridando e ridendo. Non seppe spiegarsi il perché, ma aveva la netta sensazione di essere già stato lì.
“Shan, ma noi in quel parco ci siamo mai stati?”
Shannon scrollò le spalle.
“Può darsi. Abbiamo girato un sacco di posti quando eravamo piccoli… magari abbiamo fatto tappa anche lì. Ma perché me lo chiedi?”
“Perché è come se quel posto… non lo so… mi ricorda qualcosa di particolare, ma non so che cosa…”
Il batterista ridacchiò, divertito.
“Magari ti ricorda la tua prima caduta dallo scivolo!”
Jared gli tirò una gomitata nel fianco, fingendo di essersi offeso.
“Quanto sei idiota!”
“Senti, io vado a prendere qualcosa di fresco da bere. Qui si muore dal caldo. Vuoi qualcosa anche tu?”
Il cantante scosse il capo.
“No, grazie. Non ho sete.”
“Come vuoi” tagliò corto Shannon, dirigendosi verso il bar all’angolo.
Jared lo guardò attraversare la strada, poi la sua attenzione venne di nuovo calamitata da quel parco.
Perché quel parco continuava ad attrarlo come fosse un magnete? Che c’era di così bello nel vedere delle vecchie giostre? Si grattò la testa e sospirò. Curioso com’era, lo avrebbe scoperto.
 

*****

 
Jared si diresse nel parco la sera stessa. Fortunatamente, di bambini, non ce n’erano in giro. L’afa si faceva sentire maledettamente, ma lui si era premunito con una bel bicchiere di granita alla menta formato gigante per sconfiggere quel caldo pazzesco. Il cielo era mediamente scuro, puntellato da qualche stellina e da un lievissimo accenno di luna. Si sedette sull’altalena, stando attento a non romperla. Le catene cigolarono sotto il suo peso: magro come un chiodo sì, ma troppo grande per quel genere di giostre. Con un piede si diede un leggero movimento, strusciandone la punta sul terreno, che provocò un po’ di polvere marroncina.
“Ciao, Jared.”
Jared sollevò lo sguardo sulla ragazza che lo aveva appena salutato. Non la riconobbe.
“Ci… ci conosciamo?”
La ragazza sorrise e si mise anche lei sull’altalena di fianco alla sua. Gli mostrò un braccialetto con dei cuoricini rossi intorno al polso.
“Non ti ricordi di me?”
Il cantante sgranò gli occhi. Quei capelli biondo-cenere che scendevano a boccoli lungo le spalle, quei grandi occhi neri, quel bracciale… no, non poteva essere davvero lei, dopo tutti quegli anni.
“Sheila?! Sei… sei proprio tu?”
Sheila ridacchiò, sbarazzina.
“Certo che sono io! Non hai perso la memoria, allora!”
Jared si sentì un perfetto idiota, in quel momento. Ma finalmente aveva capito perché quel parco gli ricordava così tanto qualcosa, o meglio, qualcuno. Era lei. Era Sheila.
“Dal giorno in cui ti ho conosciuto, non ho fatto altro che venire qui nella speranza di incontrarti di nuovo… ma tu non sei mai arrivato…” mormorò lei, abbassando leggermente lo sguardo. “Mi crederai stupida ora, ma…”
“No, non sei stupida” la interruppe il cantante. “Sono io lo stupido, in questo caso. Mi dispiace di non essere mai venuto quel giorno… il fatto è che, a quei tempi, io e mio fratello continuavamo a spostarci in lungo e in largo per il lavoro di mia madre.”
Sheila rialzò il viso e gli sorrise.
“Non preoccuparti.”
Jared si grattò la nuca, poi tirò della granita, ormai liquida, dalla cannuccia.
“Credimi, avrei voluto davvero portarti sulla luna! Avrei voluto davvero incontrarti il giorno dopo!”
“Ti credo, Jared. Non mi devi alcuna spiegazione. In fondo, eravamo solo bambini…”
Il cantante finì la sua granita e appoggiò il bicchierone di plastica a terra.
“Devi ammettere che però, già a quell’età, avevo una gran bella fantasia! Portarti sulla luna… sarei curioso di sapere come avrei fatto!”
Sheila rise, serena.
“In effetti… però, io, sono curiosa su un altro fatto…”
“Cioè?”
“Posso sapere dove hai trovato il bracciale che mi hai regalato?”
Jared ghignò.
“Non prendertela, ma… davvero, non me lo ricordo! Forse l’avrò rubato in una delle tante case in cui andavo illegalmente quando i proprietari erano fuori…” concluse, con nonchalance.
Sheila sgranò gli occhi, allibita.
“Cosa?”
“Dai, sto scherzando! O meglio, da piccolo andavo davvero nelle case degli altri, ma certo non per rubare! Ero un bambino parecchio strano…”
“Non che tu adesso non lo sia, eh!” lo derise lei, per poi tornare seria. “In questi anni ho seguito la tua carriera artistica. Prima attore, poi cantante e regista affermato… non pensavo che un bambino come te, di soli nove anni, un giorno sarebbe riuscito a diventare famoso!”
Jared sorrise, imbarazzato.
“Tu cosa fai, invece?”
“Io lavoro in un asilo. Amo i bambini.”
“Sei sposata?” indagò lui.
Sheila scosse la testa.
“No. Come potrei essere sposata quando qualcuno, trent’anni fa, mi ha segnato la vita?”
Il fiato di Jared si mozzò per un secondo. Capì perfettamente che quel qualcuno era lui.
“Non… non pensavo di… di aver fatto breccia nel tuo cuore…” farfugliò, avvampando di vergogna.
Sheila ondeggiò sull’altalena, senza smettere di guardarlo.
“E invece ci sei riuscito. Non chiedermi come, ma lo hai fatto. Forse… forse sono stati i tuoi incredibili occhi… mi hanno paralizzata…”
Il cantante fermò la catena dell’altalena della ragazza e la avvicinò a sé, facendola toccare con la sua. Sheila lo guardò senza capire.
Jared le perforò l’anima con i suoi occhi di ghiaccio. Poi, a perforarle completamente l’anima, arrivarono le sue labbra, morbide, fresche. La baciò piano, con dolcezza, senza prevalere su di lei. La baciò come se fosse l’ultima volta che poteva farlo.
Quando Sheila interruppe il contatto, gli sorrise, accarezzandogli una guancia. Quanto aveva desiderato un momento come quello.
“Alla fine, sei riuscito a portarmi sulla luna!”

 

FINE 

   
 
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