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Autore: AkaneTachibana    07/12/2010    2 recensioni
Vivi come se dovessi morire domani, pensa come se non dovessi morire mai, oltre il limite, senza freni.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La porta della camera si aprì. Un ragazzo entrò abbracciato a due ragazze, una bionda e una castana. In una mano una bottiglia di vodka, praticamente vuota. Ridevano, ridevano forte. Piccole gocce di sudore imperlavano la fronte del ragazzo e anche i capelli portavano i segni dello spirito bollente dentro quel corpo.
Erano chiaramente ubriachi. Paul aveva rimorchiato quelle due ragazze in un pub a pochi isolati da lì. Le aveva viste da lontano, lui appoggiato al bancone con i gomiti e la schiena, il suo cocktail in mano. Loro chiacchieravano animatamente sedute ad un tavolino, sole, ma già nel mirino di qualche altro gruppo di ragazzi. Lui non era come gli altri, nessuno poteva essergli paragonato. Fece un segno al barista, che per la troppa musica, fu costretto ad avvicinarsi per porgere l’orecchio. Paul si allungò leggermente sul bancone e gli sussurrò qualcosa. Di lì a poco, una bottiglia di champagne fu portata a quel tavolo, osservò la cameriera parlare con le due giovani e poi la vide indicarlo. Le due si rivolsero a lui con due bei sorrisi, lui alzò lievemente il proprio bicchiere e accennò un sorriso enigmatico, poi tornò a guardarsi intorno fino a rivolgersi di nuovo verso il bancone, per alcuni minuti, ad osservare le mani abili del barista nel miscelare quelle sostanze alcoliche a lui molto note.
Finito il drink, si voltò e fece per uscire dal locale. In realtà il tragitto che avrebbe potuto fare sarebbe stato più breve, ma era necessario sfiorare il tavolo a cui si trovavano le due ragazze che prima aveva omaggiato. Non guardò loro, non ne aveva bisogno, il suo sguardo era rivolto davanti a sé. Sentì il contatto del suo braccio con una mano, la castana l’aveva fermato. Stupito si chinò per sentire cosa volesse. Di lì a poco si trovarono tutti insieme al tavolo a brindare e parlare, presto si aggiunse una seconda bottiglia e molti bicchieri vuoti.
Alla fine le due ragazze si erano affezionate così troppo a lui, che non avevano voluto lasciarlo. Anzi avevano insistito per accompagnarlo in camera d’albergo per rimboccargli le coperte.
Chiuse la porta con la pianta del piede. Si girò verso la bionda, Tiffany, e la baciò mentre sganciava i bottoni della camicetta bianca che indossava. Poi fu il turno di Alesha, partì dal suo collo, esplorando lentamente con le sue labbra, mentre con la mano raccoglieva i suoi capelli e li teneva dietro la sua nuca. L’altra mano scendeva ad alzare la sua gonna e palpare la sua natica, fortemente. Strinse di nuovo. Era proprio un bel culo. La girò con forza, le prese le mani e le alzò in alto. Appoggiò il suo corpo al muro e scese giù, tolse la gonna e iniziò a mordere quel sedere con gusto, la ragazza iniziava ad ansimare. Sentì la bionda avvinarsi da dietro e togliergli la maglietta. Odiava spogliarsi prima che la donna fosse completamente nuda, ma continuò ad assaporare ciò che aveva davanti la bocca e con una mano libera iniziò a perlustrare sotto la camicetta della ragazza che scalpitava di avere anche lei la sua parte. Alzò lievemente il reggiseno, fin troppo tirato, e seguì il declivio scosceso di carne, fino alla cima, la turgida cima. Lasciò subito la mora e si rialzò, levò tutto il tessuto che ostruiva le passeggiate della sua mano e sganciò con abilità il reggiseno. Si avventò su quei capezzoli, li amava grossi e duri come quelli. In quegli attimi si sentiva un bambino che dopo una grande astinenza da cibo, si ritrovava un seno grondante latte. Con la mano destra tornò di nuovo sul corpo di Alesha, che nel frattempo si era girata. Scese pian piano verso le cosce, passando da una all’altra e salendo lentamente. Passò le dita sopra il suo intimo e scese ancora più in basso. Più sotto c’era solo il vuoto, doveva scendere in profondità, mentre ancora assaporava quei capezzoli con un grandissimo gusto e riusciva a malapena a contenersi dallo stringere fino a staccarglieli. Scostò leggermente le mutande e l’indice iniziò ad inoltrarsi in quel terreno bagnato. Iniziò a compiere piccoli cerchietti e all’apice di ciascuno di questi cerchi la ragazza si muoveva in avanti, come se il suo corpo fosse attraversato in quel momento da una scossa. Finì di spogliarle entrambe, poi le gettò sul letto, ma lui non le raggiunse subito. Doveva preparare l’atmosfera.
Accese il piccolo stereo in dotazione. Chiaramente ci voleva atmosfera e per il vero sesso ci voleva del sano hip hop, il ritmo dell’eccesso e della trasgressione per lui. Rimaneva un’ultima cosa da fare: aprì il cassetto e prese una bustina trasparente contenente qualcosa di bianco. Dalla tasca tirò fuori una banconota da cento dollari e una carta di credito. Offrì la polvere magica alle due ragazze che accettarono con voglia quell’offerta, come se la aspettassero da tempo. Finita la generosità, durata fin troppo per i suoi gusti, fu il suo momento, decise che quella era una sera speciale e preparò una pista a due corsie. Velocemente passò il tubetto, ricavato dalla banconota, e aspirò con forza. Sentì il naso pizzicargli, ma ormai aveva fatto l’abitudine a quella sensazione che aveva ritenuto estremamente irritante le prime volte. Si sentì come attraversato da una scossa elettrica e con forza stese le due ragazze sul letto, ne cavalcò una e con forza le penetrò.
Fu quella l’ultima immagine che si ricordò il mattino dopo, di lui che si muoveva avanti indietro muovendo la bocca e sussurrando le parole della canzone che faceva da sottofondo.
Si svegliò per colpa della luce solare, si era dimenticato di chiudere la tenda che oscurava l’intera parete finestrata di quella stanza. Si alzò con la testa che sembrava scoppiargli e aprì del tutto la finestra, prendendo la reflex che aveva sul comodino. Altre due prede a far parte della collezione: scattò diverse foto ai corpi nudi, in parte coperti dalle lenzuola. Poi prese una sedia e la pose davanti la finestra, si sedette con i piedi appoggiati al vetro.
Che vita la sua, sempre a grandi feste, nei migliori locali, con le migliori donne, la migliore coca. Eppure tutto questo aveva davvero un senso? Quelle due ragazze se ne sarebbero andate di lì a dieci minuti e lui non le avrebbe più riviste e nemmeno ricordate. Era solo. Sì, era circondato da tantissime persone, ma solamente perché lui era Paul Knox, figlio del arcimilionario Robert Knox. Tutte quelle persone che gli svolazzavano intorno come api intorno all’alveare ricolmo di miele. Qualche anno prima aveva provato a fidarsi di qualcuno, di farsi un vero amico, ma tutte le volte la sua faccia si era infranta con l’acciaio temperato della realtà. Dopo aveva smesso. Non credeva più a certe illusioni. Il suo migliore amico era un bicchiere, ma solamente se pieno. Le donne erano diventate la sua ossessione, il suo vero amore, che non poteva esplicarsi nel desiderio in una femmina soltanto, ma nell’interno universo del gentil sesso. Tutte le notti una donna, o più, diverse.
I soldi possono comprare davvero la felicità. Eppure la sua famiglia non c’era mai per lui, continuava a vivere in una stanza di albergo da mesi ormai, in compagnia soltanto di donne buone solo per essere scopate.
Avrebbe dovuto cambiare vita. Non avrebbe retto ancora così, era soltanto un figlio di puttana fottutamente solo, anche se pieno di soldi. Solo un figlio di puttana. Era l’ora di cambiare davvero vita.
Si voltò di nuovo, verso quella perfezione di corpi nudi e sorrise.
O forse no. La vita del dannato. Eternamente dannato.
Afferò le due paia di scarpe coi tacchi:
“E’ ora di andare” disse svegliandole entrambe.
Tornò a voltarsi di nuovo verso l’esterno, attraverso il vetro, mentre le ragazze si rivestivano. Non si voltò più.
Solamente quando sentì chiedersi la porta dietro le spalle delle due ragazze sorrise. E sul suo volto riflesso sulla finestra apparve una lacrima.
  
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