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Autore: Nezu    08/12/2010    5 recensioni
[Gin/Sherry] "L’unica luce oltre alla sigaretta che si consumava lentamente era quella dei lampi che illuminava attraverso i vetri le due figure, i volti pallidi che si squadravano con freddezza. Su di loro era sceso un silenzio teso, senza che nessuno di loro se ne rendesse effettivamente conto o ne fosse imbarazzato."
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Akemi Miyano, Gin, Vermouth
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Detective Conan
Titolo: Straight Law
Beta: dylan-mx
Rating: arancione
Warning: what if?, missing moments, one-shot, het, death character
Note: Scritta per il BigBang Italia (dunque la storia doveva contare come minimo 10000 parole); spero vivamente di non essere caduta nell'OOC perché non me lo perdonerei mai °_° messo what if? come avvertimento perché potrebbero esserci delle piccole incongruenze con la storia vera e propria di DC, nonostante io abbia cercato di evitarle, ed inoltre perché la relazione tra Sherry e Gin non è ancora stata confermata dall'autore [per quanto per me sia decisamente palese xD]. Il titolo è il nome di un cocktail a base di Gin e Sherry xD Buona lettura!
Introduzione: La storia comincia un anno prima che Sherry abbandoni l'organizzazione: la ragazza sta lavorando all'APTX4869 e la sua vita si divide tra il lavoro e la sorella Akemi, fino a che non cattura accidentalmente l'attenzione di Gin che comincia a seguirla e controllarla, impedendole di venire a contatto con altre persone al di fuori dell'organizzazione. Lentamente tra i due si instaura una specie di rapporto di simbiosi per cui tra i due nasce una relazione senza che ci sia un vero sentimento da parte di Sherry, mentre Gin per lei ha un desiderio ossessivo che si aggrava quando la ragazza, dopo la morte della sorella, si oppone all'organizzazione.

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Straight Law

Fuori pioveva da ormai una settimana; la pioggia scrosciante si abbatteva con tanto di tuoni e fulmini sull'unica finestra della stanza polverosa e grigia. Era chiaro che non ci abitava più nessuno da un bel pezzo, in quel luogo. I pochi mobili era ormai grigi di sporco, il letto ad una piazza aveva lenzuola nuove, perfette, letteralmente intonse e l'angolo cucina era microscopico; il bagno era pulito, ma nonostante sembrasse non essere stato utilizzato da qualche mese c'erano ancora lo spazzolino e il dentifricio accanto al lavandino. Gin si guardò attorno, in guardia, la mano stretta attorno al calcio della pistola: sembrava che il suo obbiettivo se la fosse battuta da un bel po' di tempo. A dire il vero, dallo stato del monolocale, sembrava che il suo occupante fosse stato costretto improvvisamente a lasciarlo da ormai diversi mesi, se non avesse avuto notizie recenti del suo obbiettivo, avrebbe pensato che qualcuno l'avesse già eliminato al posto suo. Gin sbuffò, seccato: era stato solo tempo perso.
Avrebbe dovuto riferire a "quella persona" il fatto e aspettare nuovi ordini.
Si avvicinò alla scrivania, accese il computer e cominciò a frugare nei cassetti mentre il pc si accendeva. Prese tutti i documenti che trovò, li fotografò e rimise il tutto così come l’aveva trovato. Riuscì a passare senza problemi la protezione del sistema, gli era stata data in precedenza la password, salvò tutti i files che riuscì a trovare su una USB, spense l'apparecchio e le luci e si diresse fuori dal monolocale dopo aver controllato se erano stati lasciati messaggi nella segreteria telefonica dell’obbiettivo, ma non trovò niente.
Fuori pioveva che Dio la mandava. Gin si accese una sigaretta appena uscito dalla palazzina, il cappello calato sugli occhi. Entrò nella sua Porsche, dove Vodka lo stava aspettando.
< Trovato niente, aniki?> chiese il più basso quando il biondo si sedette al posto di guida.
< Niente. Ha già tagliato la corda. Notizie da Vermouth?>
Vodka scosse la testa.
< Non si è ancora fatta sentire. Che facciamo, aniki?>
Gin si prese una pausa per godersi un poco la sigaretta prima di mettere in moto.
< Torniamo alla base. Non abbiamo più nulla da fare qui.>

Era certa che fuori piovesse, il rumore dei tuoni si sentiva fin dal laboratorio. Aveva una gran voglia di prendersi una pausa e salire ai piani superiori, a prendere una boccata d’aria e guardare la tempesta scatenarsi. Il suo laboratorio era al piano “- 3” e non c’erano finestre, il cambio d’aria avveniva solo grazie a dei condotti di areazione che a dire il vero non funzionavano neanche benissimo. Shiho chiuse gli occhi per qualche secondo: erano ore che lavorava e non aveva fatto alcun passo avanti, o almeno così le sembrava. Si sedette passandosi una mano sul volto, si stropicciò gli occhi, stanca, e gettò un’occhiata all’orologio. Era l’una di notte. Si disse che per quel giorno poteva bastare, sua sorella probabilmente l’aspettava a casa, in ansia per il suo ritardo.
Sorrise a quel pensiero, ma durò ben poco.
“Forse invece Akemi è con Dai. Forse non dovrei tornare già a casa.”
Quell’alternativa le passò la mente come uno dei fulmini che si stavano scatenando fuori; da qualche tempo sua sorella Akemi frequentava quel Rye, o Dai, o come diamine si faceva chiamare. Quel tipo aveva un atteggiamento che non convinceva Shiho, non si fidava di lui, era un qualcosa di istintivo. A pelle quell’uomo non le piaceva, nonostante sua sorella continuasse a dirle che era una brava persona, che era dolce con lei.
Forse era solo gelosia. Shiho ci pensò su: forse semplicemente non poteva accettare che sua sorella, dalla quale era stata separata a lungo, non si occupasse più completamente di lei ora che aveva un ragazzo.
Sorrise amaramente. No, non poteva essere così, in fin dei conti lei si era abituata a stare da sola, non poteva soffrire perché si sentiva abbandonata. E questo era tutto.
Si alzò, appese il camice all’attaccapanni in anticamera e, presa la borsa e la giacca, si allontanò da quell’area dell’edificio. Raggiunse l’ascensore più vicino e premette il pulsante di chiamata. Mentre aspettava si guardò attorno: non c’era nessuno a quell’ora alla base e l’unica luce era quella del pulsante di chiamata che lampeggiava. La ragazza si strinse a sé, un po’ intimorita. La luce dell’ascensore le ferì gli occhi improvvisamente. Entrò e salì fino al piano terra.
Un tuono così forte da scuotere le vetrate accolse il suo ingresso al piano terra. Shiho si fermò a guardare attraverso le finestre, pioveva decisamente forte. Non aveva la macchina e l’ombrello l’aveva accidentalmente lasciato a casa; sospirò un po’ scocciata, dandosi dell’idiota.
A dire il vero il suo progetto era quello di tornare a casa per cena assieme a sua sorella, progetto sfumato in poco tempo dato che Akemi era uscita con Rye.
Shiho si morse il labbro inferiore, avvicinandosi al vetro: sarebbe rimasta là all’infinito, a guardare la pioggia, ma era stanca.
Il rumore improvviso della porta laterale che veniva spalancata rudemente la fece trasalire e i passi che rimbombarono ritmicamente echeggiando tra le pareti non l’aiutarono a rilassarsi: girò la testa e si ritrovò a fissare lo sguardo freddo di Gin, a pochi metri da lei.
Ecco un’altra persona di cui lei non si fidava per niente. Strinse le labbra senza pronunciare alcun saluto, non voleva scendere in confidenze, a costo di sembrare scortese.
Gin la fissò senza dire nulla per qualche secondo e Sherry ebbe l’odiosa sensazione di essere studiata e controllata pezzo per pezzo: trattenne il suo nervosismo, nonostante la voglia di voltargli le spalle e andarsene il più in fretta possibile si facesse sempre più forte.
< Sherry…> sussurrò l’uomo senza staccarle gli occhi di dosso.
Sembrava che stesse soppesando le parole, la mente occupata febbrilmente a macchinare qualcosa.
< Gin.> fece la ragazza in tono molto più sbrigativo, che in un qualche modo tradiva il suo disagio.
< Che ci fai ancora qui a quest’ora?>
Shiho si morse il labbro, quel tono di comando non le piaceva per niente. Lo guardò freddamente e per un istante sembrò che l’aria attorno a loro si gelasse per davvero.
< Ho appena finito il mio turno.>
Cercava di dare meno informazioni possibili, di essere più riservata che poteva. Si chiese dove diamine fosse Vodka, dato che quei due giravano quasi sempre assieme.
Gin mise una mano dentro il cappotto e per un folle istante la ragazza pensò che avrebbe estratto la pistola per puntargliela contro; in realtà estrasse solo l’accendino e un pacchetto di sigarette.
Se ne accese una ignorando bellamente il cartello di divieto appeso al muro giusto dietro di lui. Sherry non cercò certo di farglielo notare, sapevano perfettamente entrambi che l’impianto anti-incendio non funzionava da tempo.
L’unica luce oltre alla sigaretta che si consumava lentamente era quella dei lampi che illuminava attraverso i vetri le due figure, i volti pallidi che si squadravano con freddezza. Su di loro era sceso un silenzio teso, senza che nessuno di loro se ne rendesse effettivamente conto o ne fosse imbarazzato.
Sherry si chiese che senso avesse quel momento, perché rimanessero là entrambi a fissarsi in maniera quasi ostile – bé, se non ostile di certo non amichevole. Sarebbe stato molto più sensato salutarsi, girare i tacchi e andarsene ognuno per la propria strada: non avevano nulla da spartire, nulla per cui avrebbero dovuto discutere.
< Non è saggio girovagare da soli per la città a quest’ora… - dichiarò Gin con voce roca – Soprattutto per una ragazza giovane. Potrebbe capitare qualcosa di brutto.>
Un lampo illuminò improvvisamente il suo viso e Shiho avrebbe giurato di aver visto quello che assomigliava terribilmente ad un ghigno; strinse i pugni senza farsi notare e stava già per rispondere malamente quando Vodka fece capolino da dietro Gin, i suoi passi coperti da un fragoroso tuono.
Stava per dire qualcosa, ma alla vista di Sherry tacque e si tirò un po’ in disparte, convinto di aver interrotto un momento estremamente importante, ma ormai il suo arrivo aveva spezzato qualcosa nell’atmosfera. Gin sbuffò e diede le spalle alla ragazza, intimando al compagno di seguirlo.
La scienziata osservò i due allontanarsi e per qualche secondo rimase con la mente completamente bloccata, senza riuscire a formulare neanche un accenno di pensiero.
Ci volle un altro tuono per farla tornare in pieno possesso delle sue facoltà intellettive; si riscosse, notando solo in quel momento che stava stringendo così forte la borsa da rovinarne il materiale.
Senza pensarci due volte uscì dall’edificio sotto la pioggia scrosciante. Camminò il più in fretta possibile senza pensare, senza guardarsi attorno, percorrendo la strada del ritorno in automatico. Continuavano a balenarle le sequenze di quello sgradevole incontro, si ripetevano all’infinito, ogni singolo sguardo, ogni parola: rientrò a casa con il batticuore, bagnata fradicia e senza sapere esattamente come fosse riuscita ad arrivare incolume.
Si appoggiò con la schiena alla porta e lasciò scivolare a terra la borsa, le gocce di pioggia scivolavano piano sul suo volto, i capelli erano pesanti.
Respirò a fondo. Il non sapere perché fosse così agitata non faceva che aumentare la sua agitazione sempre di più. Recuperò un po’ di lucidità, almeno quel che le bastava per accorgersi che, a dispetto della luce accesa nel salotto dove si trovava, non c’era nessun’altro in casa oltre a lei.
Notò il pulsante rosso della segreteria telefonica che lampeggiava, era un messaggio di Akemi, diceva che era fuori con Dai e che avrebbe dormito da lui quella notte.
Per un istante Sherry si sentì tradita: in quel momento più che mai sentiva il bisogno di avere sua sorella accanto.
Recuperò la borsa, si spogliò e si fece una doccia calma per calmare i nervi.
Dopo dieci minuti era sotto le coperte, raggomitolata su un lato. Si sentiva meglio, ma era ancora un po’ scossa. Era un attacco di panico come non ne aveva avuti da tempo e, per lei che era una persona molto razionale, era quasi una vergogna ammetterlo, quando si era trovata davanti Gin non se n’era accorta, ma appena rimasta da sola era stata travolta da un’ondata di paura. Di cosa, non ne era certa neanche lei.
Forse aveva avuto paura delle sue parole, forse del suo sguardo o forse ancora di qualcos’altro ancora… il tono di Gin comunque non le era piaciuto. Si chiese cosa sarebbe potuto accadere se non fosse arrivato Vodka.
Ora che ci pensava, quella era la prima volta che si ritrovava da sola faccia a faccia con l’uomo. Bocciò senza entusiasmo l’esperienza, non l’avrebbe di certo ripetuta volentieri: già il suo “collega” non le aveva fatto una buona impressione quelle poche volte che era venuto a visitarla in laboratorio assieme a Vodka e Vermouth, quella sera aveva riconfermato il suo giudizio. Non era una persona di cui poteva fidarsi, era esattamente lo stesso pensiero che le aveva passato la mente quando aveva conosciuto Rye.
Chiuse gli occhi, sentendosi incredibilmente al sicuro. Il giorno dopo quanto successo la sera prima le sarebbe sembrato solo un incubo lontano, di questo ne era certa.

Vodka era certo di averla combinata grossa, Gin era di pessimo umore. Quella che aveva in bocca in quel momento era la quinta sigaretta che fumava in meno di un quarto d’ora, segno evidente che qualcosa gli era andato di traverso.
< A-aniki…>
Il suo tentativo di approccio andò letteralmente in fumo quando Gin lo trafisse con lo sguardo; si cucì la bocca e voltò la testa, evitando di guardare l’altro. Il biondo era tremendamente seccato, era stata l’ennesima giornata inutile, tempo letteralmente buttato al vento. E Vodka gli aveva rovinato l’unico divertimento che gli poteva rimanere.
Ripensò alla ragazzina e il suo sguardo si scurì; il compagno, nel vederlo così concentrato, si ritirò un poco in disparte. Quegli occhi gli facevano paura.

Shiho dormì fino a metà mattina, un po’ per la stanchezza vera e propria, un po’ per lo stress accumulato la notte prima. Sua sorella non era ancora rientrata. La ragazza sbuffò al pensiero di un’altra noiosa giornata come tutte le altre, di certo non poteva dire che la sua vita fosse divertente o entusiasmante.
Lavorare per un’organizzazione criminale non era così affascinante o pieno di suspance come molti potevano pensare o almeno per lei significava solo dover fare ore ed ore rinchiusa in laboratorio, china sul suo esperimento, senza avere turni fissi, giorni liberi o cose del genere. A diciassette anni Shiho si ritrovava a passare la sua giornata al chiuso, senza avere un minimo di relazioni umane. E probabilmente quello faceva la differenza tra lei e gli altri.
Ci aveva pensato più volte, osservando i giovani della sua età; il fatto che la sua routine quotidiana si dividesse quasi esclusivamente in ore dedicate al sonno e alla casa e ore dedicate alla ricerca non le lasciava alcuno spazio per relazionarsi con i suoi coetanei. Era anche vero che l’idea di sedersi ad un tavolo a chiacchierare con una banda di diciassettenni in piena crisi ormonale e con interessi completamente diversi dai suoi non la entusiasmava minimamente. Lei era cresciuta in mezzo a vecchi e a fiale, lontano dalle grida dei suoi coetanei. Non era mai stata a scuola durante la sua permanenza in America, aveva studiato da privatista, aveva vissuto sempre isolata dagli altri. E quella presumibilmente era la ragione per cui Shiho faceva schifo nel rapportarsi con qualsivoglia essere umano.
Si recò al laboratorio subito dopo pranzo, nel primo pomeriggio, e non tornò a casa prima di notte inoltrata; al momento di prendere l’ascensore per salire al piano terra si chiese per un istante se avrebbe incontrato nuovamente Gin quella notte. L’idea non la metteva in agitazione, ma di certo non le faceva piacere.
Tuttavia non incontrò nessuno dell’organizzazione mentre usciva. Camminò in fretta, guardandosi attorno per evitare i vicoli più bui e stare sempre vicina ai lampioni. Tornata a casa, trovò Akemi ad aspettarla.
< Shiho!>
Sherry sbatté le palpebre un paio di volte mentre sua sorella l’abbracciava in maniera decisamente esagerata. Ricambiò piano l’abbraccio e si scostò da lei per osservarle il viso: era l’immagine stessa della preoccupazione.
< Che succede?> mormorò la più piccola, confusa.
Akemi deglutì e scosse la testa, quasi ad allontanare dei cattivi pensieri.
< Siediti.> le ingiunse con voce rotta e Shiho si accorse con stupore che era molto vicina ad una crisi di pianto.
Si sedette al tavolo della cucina, guardandola con aria interrogativa: sua sorella la stava mettendo in agitazione.
La maggiore si mosse un poco per la cucina, a scatti, tamburellando le dita sul piano cucina, guardando fuori dalla finestra come per paura che qualcuno le spiasse, fino a che non si decise e prese anche lei posto accanto alla più giovane.
Si schiarì la voce.
< Perché hai fatto così tardi? Dov’eri?>
Shiho assottigliò gli occhi guardandola male, trovava stupida quella domanda. Dove voleva che fosse? Spendeva tutta la sua giornata a lavorare, lavorare e ancora lavorare: era ovvio perché avesse tardato.
< Avevo del lavoro extra da sbrigare. Si può sapere che ti prende?!> replicò stizzita.
< Di solito non fai così tardi…>
< Di solito non devo tornare a casa a piedi.> rimbeccò scocciata.
Akemi la guardò attonita, arrossendo un poco; capiva che era una critica non poi tanto velata sul fatto che lei non era passata a prenderla alla solita ora.
< Sarei venuta questa sera, ma…> mormorò la più grande, abbassando lo sguardo come per scusarsi.
< Ma hai preferito restare con Dai, giusto?>
La voce di Sherry era roca, il tono rabbioso. Si sentì subito in colpa per aver accusato così spudoratamente sua sorella, ma ne sentiva il bisogno. Le cose che pensava voleva dirgliele in faccia.
< No.>
Si guardarono dritte negli occhi: Akemi era palesemente ferita dalle sue parole e Shiho sentì i sensi di colpa aumentare.
< Cos’è successo?> chiese in maniera più conciliante.
L’altra si morse il labbro in risposta.
< Ho incontrato Gin.>
Shiho si sentì gelare.
< E..?>
< Mi ha detto qualcosa su di te… Ho avuto paura, Shiho, temevo che ti avesse fatto qualcosa. Sono venuta al laboratorio per cercarti, ma tu eri già uscita…>
Calò il silenzio mentre Akemi cercava di riprendere il fiato e il controllo; sua sorella la guardò tristemente.
Si preoccupava così tanto per lei, senza sapere che in realtà Gin non poteva farle niente… Akemi non aveva ancora capito quanto fosse importante Shiho per l’Organizzazione. Tra le due la più in pericolo era proprio lei.
Sherry si alzò e abbracciò sua sorella, nel tentativo di calmarla.
La più grande alzò gli occhi su di lei.
< Cos’è successo con Gin?>
L’altra si chiese se valesse la pena di raccontarle ogni singolo particolare, tutto ciò che aveva provato, salvo poi constatare che non c’era poi molto da dire e che non serviva allarmarla ancora di più.
< L’ho incrociato ieri notte mentre uscivo dal laboratorio. Tutto qua.>
< Sicura?>
Sherry annuì e Akemi sembrò rilassarsi un poco.
Sorrise amaramente.
< Sono stata una stupida… mi sono preoccupata da morire, Shiho. Ne ho parlato a Dai e lui mi ha detto che non era nulla, che Gin non avrebbe potuto farti niente… però tu non lo conosci e neanche Dai lo conosce così bene. Devi starne lontana, Shiho, più che puoi. Promettimelo.>
Promise, in fondo non le costava nulla mantenere le distanze da un uomo che la metteva a disagio.
Si scusò con sua sorella per quanto aveva detto prima su lei e il suo ragazzo, anche se in fondo in fondo non credeva di aver mancato di tanto il bersaglio: Dai le stava rubando sua sorella, quei pochi attimi che riuscivano a passare insieme.
Era frustrante. Si erano viste raramente durante il suo soggiorno in America e anche ora che era tornata in Giappone non riusciva a stare con lei quanto avrebbe voluto.

Il pomeriggio successivo, mentre era intenta a lavorare come al solito nel suo squallido laboratorio le giunse un messaggio di Akemi, che la invitava a uscire con lei quella sera. Non era esplicito, ma Shiho intuì che ci sarebbe stato anche Dai. Era una sorta di tentativo di riparare a quei due giorni durante i quali praticamente non si erano mai viste e, chissà, poteva essere anche una buona occasione per uscire dal guscio e distrarsi un po’.
Finì di lavorare verso le dieci, Rye e Akemi l’aspettavano in macchina ad un isolato di distanza.
Shiho si sentiva di ottimo umore, nonostante sapesse che le sarebbe toccato sopportare le smancerie di quei due per tutta la serata, ma almeno sarebbe stata con sua sorella. Uscì in fretta dall’ascensore e quasi le mancò il fiato quando rischiò di scontrarsi con un’altra persona ferma dietro l’angolo. Si bloccò appena in tempo chiudendo gli occhi d’istinto, ma il colpo che si aspettava non ci fu. Aprì gli occhi e si trovò a fissare un cappotto nero. Ebbe un tuffo al cuore.
Alzò lo sguardo e si trovò a pochi centimetri di distanza il volto pallido e spettrale di Gin.
Guardò subito di lato, evitando di fissarlo. Aveva promesso neanche ventiquattrore prima e già rischiava di venir meno alla sua parola.
< Scusa.> bofonchiò cercando di superarlo, ma l’uomo le si parò davanti, ghignando.
< Già finito il tuo turno, Sherry?> chiese ironico, ignorando deliberatamente i tentativi di lei di chiudere subito il loro incontro.
< Esatto. Perdonami, ma sono di fretta…> rispose a voce bassa la ragazza, nascondendo più che poteva il suo fastidio.
Cercò di prenderlo alla sprovvista e sgusciare lateralmente, ma la mano di lui si serrò attorno al suo polso.
Shiho non trovò la forza per divincolarsi, sapeva che non ci sarebbe riuscita e non voleva fare la figura dell’animale in trappola. Non con lui, almeno.
< Ho incrociato tua sorella, ieri sera.> cominciò lui casualmente, come se fossero seduti al bar a parlare del più e del meno.
< Ah, davvero?> gli fece eco la ragazza, fingendo stupore.
< Le ho detto del nostro recente incontro.> continuò ghignando.
< Perché, c’era qualcosa da dire a riguardo?>
< A parte i tuoi pericolosi orari, no.>
< So cavarmela da sola.> tagliò corto Shiho, chiedendosi perché diamine un killer come lui dovesse interessarsi agli orari di una povera scienziata, salvo restando che Gin non era del tutto normale, o almeno, così dicevano le voci che circolavano sul suo conto all’interno dell’Organizzazione.
E a giudicare dal suo sguardo quelle voci non avevano tutti i torti.
Il modo in cui la stava guardando in quel momento la fece rabbrividire, la stretta al suo polso si faceva sempre più ferrea.
Shiho si rese conto che stava tardando troppo.
< Lasciami, Gin.>
La voce le uscì abbastanza ferma, o almeno così le sembrò, ma l’uomo, dal canto suo, non fece una piega. Si fissarono per qualche secondo, poi lentamente il biondo la lasciò andare.
Sherry lo superò senza dire una parola e lui non si voltò.
Quando salì in macchina Akemi la guardò preoccupata, ma non disse nulla riguardo il suo ritardo e la ragazza si guardò bene dall’accennare all’incontro: l’ultima cosa che voleva era un’altra scenata come quella della sera prima.
Andarono in un locale fuori città, un posto in cui a quanto pareva sua sorella e Dai andavano spesso. Sherry non l’aveva neanche mai sentito nominare, ma non le dispiacque, era piccolo, confortevole e suonavano della buona musica in una saletta a parte dove alcuni ragazzi ballavano.
Si sedettero tutti e tre al banco e cominciarono a parlare. Shiho evitò di ordinare alcolici, era ancora minorenne e sua sorella non le avrebbe mai permesso di bere, a parte il fatto che neanche lei aveva molta voglia di farlo.
Il suo buonumore si era dileguato a causa del suo scontro con Gin, lasciandola in preda a pensieri cupi: non aveva paura né si sentiva minacciata da lui, ma era piena di dubbi.
Dopo un po’ Akemi cercò di trascinarla a ballare, ma lei si rifiutò fermamente e riuscì a convincerla a divertirsi un poco con Dai. Lei preferiva restare al banco a bere con calma la sua coca cola.
Un po’ titubante, probabilmente sentendosi in colpa, sua sorella andò in saletta a ballare con Rye. Shiho non poté trattenere un sorriso mentre li osservava allontanarsi, lui che faceva un poco lo scontroso e lei che lo guardava dolcemente: era cotta, cotta, assolutamente cotta. Sherry si rallegrò un poco, in quel momento non si sentiva affatto gelosa. Era contenta per sua sorella e basta.
< Ciao.>
Il saluto la colse di sorpresa. Trasalì e si voltò di scatto, trovandosi a fissare il volto di un ragazzo che aveva più o meno la sua età. Le sorrideva.
< Ciao.> rispose automaticamente, sbattendo un poco le palpebre.
Il sorriso del ragazzo si allargò.
Non aveva dei tratti molto orientali, il viso era abbastanza allungato, i capelli neri gli ricadevano scompigliati sugli occhi grigi leggermente a mandorla e la carnagione era scura. Nel suo insieme aveva dei tratti gradevoli, sebbene non fosse bellissimo.
< Mi chiamo Seiji.> si presentò. La pronuncia era perfetta, non certo quella di uno straniero.
< Kaori.> rispose lei d’istinto tendendo la mano.
Il ragazzo la guardò con aria interrogativa mentre lei arrossiva. Era cresciuta in America e certi gap culturali si facevano sentire prepotentemente. Stava per ritirare la mano quando Seiji gliela strinse, sorridendo.
< Hai vissuto all’estero, vero?> chiese gentilmente.
< In America.>
< Davvero? Mia madre è americana, del New Jersey.>
Shiho sorrise un poco.
< Sì, si vede. Hai dei tratti occidentali.>
< Anche tu, a dire il vero.>
< Mia madre è inglese.> Le vennero i sudori freddi, stava per dire “era”.
Seiji si voltò verso il barman senza accorgersi di nulla e ordinò una birra.
< Posso offrirti qualcosa, Kaori?> chiese gentilmente. Sembrava che sorridere ed essere gentile non gli costasse nulla, anzi.
Sherry non aveva molta voglia di bere, ma per farlo contento ordinò un gingerino.
< Come mai hai vissuto in America? Per studio?>
< I miei genitori si sono trasferiti là quando avevo sei anni ed io sono andata con loro.> mentì la ragazza.
Bevvero assieme e continuarono a conversare per un bel po’. Stranamente Shiho non si sentiva in imbarazzo a chiacchierare con un perfetto sconosciuto e, a parte dover omettere alcune informazioni e modificarne altre sul suo passato, le veniva anche abbastanza facile. Seiji faceva tutto il possibile per metterla a suo agio e lei gliene era grata.
Non si accorse neanche che Akemi e Dai erano tornati fino a quando non si sedettero accanto a lei sfiorandole la spalla; fecero le adeguate presentazioni – nessuno dei due batté ciglio quando il ragazzo si rivolse a lei chiamandola con il suo falso nome – e tornarono a parlare.
Shiho gettò un’occhiata all’orologio appeso alla parete: mezzanotte era passata da un bel pezzo.
< Meglio avviarci. – commentò Dai mentre seguiva lo sguardo della ragazza – C’è qualcuno che ha fatto le ore piccole in questi ultimi giorni, bisognerà che recuperi.>
Sherry lo fulminò con lo sguardo, non le piaceva che la trattasse come una bambina.
Se Seiji aveva attaccato bottone con lei solo per portarsela a letto, idea che aveva sfiorato la mente della ragazza, ma che era stata rapidamente bocciata man mano che parlavano, non lo diede a vedere.
Si salutarono caldamente, scambiandosi i numeri di telefono nella speranza di potersi incontrare nuovamente.
Le sere seguenti si incontrarono non sempre, ma spesso; uscivano in centro, chiacchieravano, lui le raccontava come tirava avanti, facendo lavoretti saltuari, vivendo un po’ alla giornata. Lei si costruiva man mano un passato articolato, ma normale, il passato che avrebbe voluto avere.
Akemi approvava il fatto che Shiho si trovasse con Seiji, conosceva il ragazzo di vista, era un abituale di quel locale, e sapeva che era una brava persona. E in cuor suo sentiva che sua sorella aveva bisogno proprio di quello.
Shiho era felice. Seiji le piaceva come ragazzo ed era una ventata di aria fresca, di novità. Sentiva che ogni volta che stava con lui una parte di lei diventava come più umana. Ogni pomeriggio, mentre lavorava, aspettava di ricevere un suo messaggio che le dicesse su che ora potevano trovarsi e dove. Tutto il resto migliorava con il suo umore, si dedicava alla sua ricerca con più spinta, usciva da quel sudicio laboratorio soddisfatta, riusciva a schivare facilmente brutti incontri con Gin o con gli altri membri dell’Organizzazione che ogni tanto le capitava di incrociare.
E infine, dopo qualche settimana, venne il giorno in cui Seiji la invitò ufficialmente fuori: non un incontro tra amici, una vera e propria uscita. Che non poteva che portare ad una sola cosa.
Quel pomeriggio Vermouth, Gin e Vodka le fecero visita nel suo laboratorio.
< A che punto siamo, Sherry cara?>
La voce melliflua di Vermouth risuonò tra le pareti, Shiho la guardò da sopra la spalla e tornò a lavorare, senza rispondere. Aveva un po’ paura di quella donna. L’aveva incontrata di rado quando ancora era in America, ma sentiva che era una serpe. Inoltre era la preferita del Capo e dunque Sherry sapeva che era meglio non dire nulla che potesse sembrare una lamentela o un atto di ribellione. Tipo che avrebbe fatto molti più progressi se le avessero dato strumenti e strutture migliori e non quello schifo che le toccava utilizzare.
< Non mi sembra che tu abbia fatto molti progressi…> la voce della donna riprese a parlare e Shiho poteva giurare che i tre in quel momento stessero ghignando.
< Sono a buon punto, ma mi serve ancora tempo.> dichiarò glaciale senza alzare gli occhi dal suo lavoro.
< Quanto tempo?>
< Qualche mese.>
La donna sbuffò stizzita.
< Il Boss è impaziente, Sherry. Ti conviene fare più in fretta che puoi. Lui non concede proroghe.>
Non rispose, sentiva i suoi tacchi sul pavimento mentre Vermouth andava su e giù per la stanza.
< In fin dei conti – disse mentre guardava con leggero disgusto il condotto di areazione che cadeva letteralmente a pezzi – mi è giunta voce che ultimamente finisci di lavorare molto presto. Non credo che il Boss sarebbe contento di saperlo: non devi avere altre occupazioni all’infuori del tuo lavoro, Sherry.>
Alla ragazza sembrò che il suo cuore smettesse di battere; voltò lentamente la testa fino ad incrociare lo sguardo gelido della donna.
Sapeva.
Ma chi..?
Spostò gli occhi su Gin e ne ebbe la certezza: lui. L’aveva seguita, l’aveva spiata.
L’aveva vista con Seiji.
L’uomo ricambiò lo sguardo, impassibile. Sherry si sentiva oltraggiata e ferita più che mai: quel bastardo si era permesso di ficcare il naso in quel minimo accenno di vita privata che lei stava riuscendo a costruirsi. E non solo, ne aveva informato anche il suo degno compare e quella donna schifosa.
Avrebbe voluto urlare, gridargli insulti ed improperi di ogni tipo, uscire sbattendo la porta e non vederli mai più. E magari anche tirare un calcio negli stinchi a Gin, ma non fece nulla di tutto ciò.
< Farò del mio meglio.> rispose semplicemente tornando a fissare Vermouth.

Si chiese se quella sera sarebbe dovuta andare o se era meglio annullare tutto: non voleva mettere in pericolo Seiji, aveva paura, ma non riusciva neanche a dirgli di no, non quella sera. Si morse il labbro inferiore in preda al nervosismo, erano già le nove e trenta.
Andare, non andare? Si passò una mano tra i capelli. Il cellulare squillò improvvisamente facendola sobbalzare.
Rispose a mezza voce.
< Pronto?>
< Kaori? Sono Seiji.>
< C-ciao…>
< Senti, io ho avuto un contrattempo… è un problema se ritardiamo il nostro incontro di una mezz’ora?>
< No, nessun problema. Anch’io ho più lavoro del previsto.>
< Ok, ci vediamo dopo allora…>
Shiho poteva sentire un po’ di ansia nella sua voce, ma non riuscì a capire che era dovuto al fatto che avrebbe voluto parlarle in maniera più confidenziale. Ma era ancora presto.
< Stai bene, Seiji?>
Aveva paura, paura che gli facessero qualcosa.
< Sì… perché?>
< Niente… solo un brutto presentimento.> mormorò lei.
< Tranquilla, Kaori. Sto bene. A dopo!>
< Ciao.>
Riattaccò e sorrise, le aveva fatto bene sentire la sua voce. E così poteva restare a lavorare più del solito, sperando di depistare Gin e gli altri.
L’ora successiva passò in fretta e quando uscì dall’edificio non incrociò nessuno. Si guardò attorno preoccupata, ma né persone né macchine o altro che potessero essere ricollegate all’Organizzazione.
Salì in macchina con Seiji e da quel momento tutte le sue paure scomparvero dalla sua mente. Non si era mai divertita così tanto, forse in opposizione alla pressione subita quel pomeriggio, ma ora si sentiva sollevata, libera.
Stettero assieme fino a notte fonda senza accorgersi del tempo che passava. Shiho accettò di essere accompagnata fino a casa, in fin dei conti era pericoloso aggirarsi da soli a quell'ora.
Seiji fermò la macchina giusto davanti all'ingresso, ma rimasero là assieme ancora un po', a parlare; al momento di salutarsi si baciarono.
Sherry avvampò, era la prima volta che baciava qualcuno e quel ragazzo era così dolce, così gentile con lei che non poteva fare a meno di volergli bene e ricambiare i suoi sentimenti.
Lo lasciò a malincuore, salì le scale in fretta fino al suo pianerottolo, al buio.
Akemi era fuori, sicuramente con Dai.
Prima di addormentarsi Sherry ricevette un messaggio della buonanotte da Seiji: non era nulla di particolare, ma le scaldò l’animo come non mai. Lo salvò e scivolò nel sonno senza pensare a nulla.
L’indomani la ragazza si recò al lavoro come sempre. Non aveva ricevuto altri messaggi da Seiji, ma non si aspettava neanche che questo accadesse, non era abituata ad essere al centro dell’attenzione di qualcuno ed essere sommersa da una valanga di sms non le avrebbe fatto esattamente piacere.
A metà pomeriggio dovette salire ai piani superiori per archiviare una serie di dati accumulati negli ultimi tempi: non le capitava spesso di abbandonare il suo piano di giorno, il Capo le aveva fatto intendere che meno si faceva vedere in giro meglio era.
Shiho prese l’ascensore per salire al penultimo piano, con un po’ di fortuna nessuno l’avrebbe notata, gli impiegati a quell’ora erano ancora assorbiti dalle loro occupazioni e nessuno si doveva spostare da un piano all’altro, dato che tutti i livelli erano stati affittati a compagnie diverse che non erano collegate tra loro.
Nonostante ciò al piano terra le porte si aprirono lasciando spazio all’ultima persona che Sherry avrebbe voluto incontrare in quel momento: Gin.
Le ci volle un incredibile dose di autocontrollo per non appiattirsi contro la parete e pregare che un fulmine la facesse sparire – o ancora meglio che riducesse in cenere il biondo. L’uomo non fece una piega quando la vide, si limitò ad entrare e mettersi accanto a lei, la schiena contro il muro.
Non si guardarono, non si parlarono, non diedero segno di essersi notati. Sherry cercò di non pensare al fatto che quello schifoso bastardo le era accanto e si concentrò sul giornale radio che il piccolo altoparlante stava trasmettendo: parlavano di uno dei soliti omicidi commessi in periferia.
La giovane età della vittima attirò la sua attenzione e prestò ascolto.
“Il ragazzo, di appena 19 anni, è stato trovato a pochi metri dalla sua vettura, nella periferia Est di Tokio, freddato con due colpi al petto e uno alla testa. La vittima è stata identificata da poco, sembra corrispondere a Seiji Shiratori; i genitori ne avevano denunciato la scomparsa questa mattina dopo che il ragazzo non si è presentato a casa per la notte e non rispondeva al cellulare. La polizia sta indagando, ma sembra indirizzata verso la strada del regolamento di conti…>
Shiho congelò.
La sua mente smise di ascoltare quando sentì quel nome. Ebbe un vuoto totale e sbarrò gli occhi.
La sua testa cominciò a girare e si dovette sostenere alla parete per non crollare.
Lentamente si voltò e incrociò lo sguardo freddo ed impassibile di Gin.
In quel momento ebbe la conferma a tutti i suoi sospetti, si sentì mancare e scosse la testa leggermente incredula.
< Tu…>
Era un sussurro roco, spezzato, le parole le morivano in gola mentre il suo corpo cominciava a tremare.
Gin continuava a guardarla negli occhi senza sorridere, senza negare.
< Eri stata avvisata, Sherry.> commentò spietato, ma nel suo tono non c’era nulla del suo solito sarcasmo.
Non seppe esattamente cosa cercò di fare, ma la mano si mosse più in fretta della sua mente, il cervello non riuscì a bloccarla. Ma Gin sì.
Il tentativo della ragazza di schiaffeggiare l’uomo finì in quel modo, con la stretta dolorosa del biondo attorno al suo polso ancora a mezz’aria.
Si guardarono: sembrava arrabbiato, sembrava molto arrabbiato, ma Sherry scoprì che sinceramente non le importava.
Un attimo dopo si ritrovò schiacciata contro la parete dell’ascensore dal suo corpo e s’irrigidì.
< Non ci provare, Sherry. Non pensarci nemmeno.>
Graffiante, basso, roco, quel tono le fece venire i brividi, poteva sentire il respiro lento e caldo dell’uomo sul suo orecchio, l’odore del fumo le riempiva i polmoni, i suoi capelli biondi le solleticavano la guancia. Non si era mai trovata così vicina a lui, ma tutto quello che percepiva in quel momento era rabbia, fastidio: davanti a lei stava una delle tante persone che rendevano la sua vita un inferno, che la controllavano, che l’avevano obbligata a studiare all’estero, lontano da Akemi, che la costringevano a lavorare ogni singolo giorno a quel dannato esperimento, che le impedivano di vivere. Le avevano tolto Seiji.
Quel pensiero le passò la mente con una potenza inaudita, cancellando la rabbia e la paura, lasciando solo un dolore lancinante.
Si lasciò andare abbandonando la propria rigidità, appoggiò la fronte sulla spalla di Gin che ancora la teneva inchiodata al muro.
< Ti odio.> bisbigliò, la voce le tremava.
In quel preciso istante l’ascensore si fermò e prima che le porte si aprissero del tutto il killer si separò da lei senza commentare. Uscirono entrambi e andarono in direzioni opposte.
Quella notte Shiho non riuscì a dormire: rilesse fino allo sfinimento l’ultimo messaggio che Seiji le aveva inviato, ma non osò alzarsi per farsi una tisana o qualcosa che le stendesse i nervi. Akemi, saputa la notizia, era rincasata subito, probabilmente per controllare che sua sorella non facesse idiozie. Non voleva avere un faccia a faccia con lei, voleva solo sperare che un qualcosa, qualsiasi cosa, facesse sparire quella merda dalla sua vita una volta per tutte.

*

Gin riattaccò la chiamata con uno sguardo lugubre stampato in faccia, attirando l’attenzione di Vodka.
< Che succede, Aniki?>
Il biondo non rispose, limitandosi a guardare fuori dal finestrino: la missione che gli avevano appena affidato era solo per lui e, ne era certo, sarebbe stato un gran casino. Non tanto per Cointreau, quello era abbastanza facile.
Il problema era Sherry.
Si accese una sigaretta con aria decisamente scontenta, quella ragazzina era una seccatura.
L’aveva controllata in quegli ultimi mesi senza farsi vedere da lei – non voleva altre scenate come quella in ascensore risalente a diverso tempo prima – per ordine del Boss, che temeva potesse allontanarsi dall’Organizzazione. Per Gin quell’ipotesi era altamente improbabile, sua sorella era stata mandata in missione all’estero e non sarebbe tornata ancora per un bel po’ e quindi Sherry si trovava senza alcun appoggio, nessun contatto. Non avrebbe potuto neanche pensare di abbandonare l’Organizzazione.
< Dal tuo improvviso malumore suppongo che il caso riguardi Sherry, giusto Gin?>
Vodka sobbalzò mentre la voce femminile lacerava il silenzio. Il biondo gettò un’occhiata da oltre la propria spalla a Vermouth, seduta sul sedile posteriore.
< Ne eri già informata?>
< Ha dato la nostra piccola missione anche a noi. – replicò la donna riferendosi al Boss – Ma ti ha lasciato la parte più divertente. In fin dei conti è un peccato vedere come vi siate evitati in questi ultimi sette mesi. E poi si sentirà sola, ora che la sua sorellina è in viaggio, avrà bisogno di qualcuno che la consoli…>
< Non dire idiozie.> la interruppe secco Gin.
Mise in moto e gettò la sigaretta fuori dal finestrino. Si prospettava una pessima nottata.

Quando uscì dall’edificio una leggera brezza le scompigliò i capelli, riscuotendola dal suo stato di torpore: si sentiva molto stanca quel giorno, per questo aveva finito un po’ prima quella sera.
Era un periodo in cui lavorava continuamente, dormendo decisamente poco rispetto a quanto avrebbe dovuto. Ormai l’esperimento sull’APTX4869 era quasi concluso e Sherry voleva fare il più in fretta possibile, il Capo aveva davvero finito la pazienza.
E poi, in fin dei conti, non aveva altra occupazione che il lavoro.
Quel pensiero la fece sorridere amaramente. Era cambiata, da quel giorno di sette mesi prima era cambiata. Non le importava più di quello che l’Organizzazione faceva, non biasimava i suoi colleghi, lei non era meglio di loro, lo sapeva, ma non le importava. L’unica cosa che contava nella vita era appunto vivere, o meglio, sopravvivere, e questo significava fare tutto quello che il Boss le diceva di fare e sperare di essergli così utile da non essere eliminata.
Si guardò attorno. Nonostante fosse molto tardi c’era diversa gente per strada, giovani ubriachi intenti a godersi le prime giornate di giugno sperperando il loro denaro in alcol, droga e donne. Evitando di farsi vedere scivolò rasente ai muri, come al solito, in fretta, diretta verso casa.
O almeno, quella era la sua intenzione, prima di ritrovarsi davanti, appena svoltato l’angolo, due omaccioni corpulenti che non avevano affatto l’aria di volerla lasciar andare. Si girò di scatto per tornare indietro, ma un’altra figura le si parò davanti.
Non c’erano più vie di fuga.

< E’ troppo tardi ormai.>
Gin alzò un sopracciglio con aria interrogativa, l’uomo ai suoi piedi che tossiva sangue e cercava di articolare qualche frase sensata.
< In questo momento i nostri uomini sono già all’opera.> bofonchiò ancora Cointreau, cercando di alzarsi, la un calcio dritto alla bocca dello stomaco lo riportò velocemente a terra.
< Anche i miei. – rispose il biondo con un ghigno – E ti assicuro, Cointreau, che sono molto più efficienti dei tuoi.>
L’uomo a terra non rispose e Gin estrasse la pistola.
< E’ stato stupido da parte tua tradire così l’Organizzazione. Ma non preoccuparti: non rifarai mai più uno sbaglio simile.> ghignò.
Lo sparo echeggiò con forza.
Gin si allontanò dal cadavere del traditore e salì in macchina, ora doveva trovare Sherry e in fretta anche. Cointreau aveva informato un piccolo gruppo di malavitosi del posto dell’esperimento che la ragazza stava portando avanti: le avrebbero teso un agguato sulla via del ritorno, l’avrebbero rapita e l’avrebbero usata per riprodurre l’APTX4869 per loro.
Un piano decisamente avventato e suicida, solo uno stupido come quel traditore poteva architettarlo, ma intanto lui avrebbe dovuto raggiungere la ragazzina e salvarla. Vermouth e Vodka si stavano occupando del resto della banda proprio in quel momento.
Sperò solo che Sherry non fosse uscita prima del solito dal laboratorio.

Era certa che non si trattasse di una rapina, la borsa non l’avevano neanche sfiorata e non la stavano neanche minacciando, semplicemente la stavano bloccando lì, pronte a saltarle addosso. Shiho pensò al peggio e pregò che quel poco di autodifesa che sapeva bastasse. Si pentì di non essersi mai procurata un’arma da quando faceva parte dell’Organizzazione e nella borsa non aveva nulla che potesse servirle.
< Fa la brava, piccola. Tu ora verrai con noi.>
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla, ma prima che la stretta potesse farsi concreta se la scrollò di dosso e cercò di sfondare la barriera dei due uomini senza riuscirci. L’afferrarono per le braccia per sollevarla di peso.
Si divincolò scalciando e colpì qualcosa di duro; uno degli uomini gemette prima di colpirla al volto.
< Dannata puttanella!>
Shiho sentì di avere del sangue in bocca e lo inghiottì mentre i due uomini che la tenevano le legavano le mani dietro la schiena. Cercò di colpirli a calci, ma era del tutto inutile, cercò di urlare, ma una mano enorme le tappò la bocca con forza. Gli uomini cominciarono a parlottare tra loro, ignorando i suoi vani sforzi di liberarsi.
< Su, portiamola alla macc-…>
La frase di uno dei suoi aggressori venne spezzata da un colpo di pistola e uno dei due che la tenevano sollevata da terra cadde.
Sherry istintivamente diede una gran testata all’indietro, sentì un dolore enorme alla testa, chiuse gli occhi e vide le stelle mentre da dietro di lei si elevava un grido di dolore. La ragazza cadde per terra con un gemito. Aprì gli occhi e vide uno dei due uomini puntarle contro una pistola, si lanciò lateralmente proprio nel momento in cui premette il grilletto. Sentì un dolore fortissimo, una bruciatura al fianco.
Ci fu un tonfo e l’uomo che le aveva sparato cadde a terra, morto.
L’ultimo rimasto alzò la pistola verso l’angolo da dove proveniva il fuoco nemico. La ragazza non ci pensò due volte e si gettò in avanti verso la sua mano, serrò i denti sul suo polso e strinse più forte che poteva.
Ci furono diversi colpi, grida, poi lei si ritrovò a terra accanto all’uomo, ormai privo di vita. Lasciò andare il polso, ansimando.
In quel momento avvertì il dolore più lancinante che avesse mai provato. Gemette rocamente senza aprire gli occhi: sentiva male ovunque, la testa le pulsava, in bocca aveva il suo sangue mischiato a quello dell’aggressore e il fianco stava letteralmente andando a fuoco.
Dei passi echeggiarono lungo la strada e si fermarono accanto a lei. Sentì qualcuno slegarle le mani e cercò di mettersi in piedi, ma non riusciva a raccogliere le forze.
Sentì delle mani fredde sfiorarle un braccio e sollevare piano un lembo della sua maglietta per esaminare il fianco ferito; rabbrividì senza voltare la testa per vedere chi fosse l’inaspettato salvatore.
Per il momento le bastava sapere di essere viva e non troppo malridotta.
< Ti conviene alzarti. Molto presto arriverà la polizia e ti assicuro che è meglio che non ti trovino qui.>
Gelò nel riconoscere quella voce ed imprecò mentalmente: tra tutti proprio lui doveva capitare.
< Non è così facile.> ribatté lei sarcastica cercando di non aggiungere che farsi aggredire, picchiare e sparare in un vicolo non era una cosa che le capitava tutti i giorni.
Provò di nuovo ad alzarsi e ci riuscì con l’aiuto di Gin, ma il problema era restare in piedi, il fianco bruciava da impazzire e la testa le girava dal dolore. Sentì il corpo dell’uomo vicino al suo, mentre la sosteneva e la faceva avanzare verso la macchina. Si voltò a guardarlo.
Era da quello spiacevole episodio in ascensore che non vedeva il suo viso da così vicino, era una sensazione strana, nonostante non si vedessero da mesi il suo volto era proprio come lo ricordava.
Arrivarono alla sua Porsche e Sherry sedette accanto a lui, stringendo i denti quando dovette chinarsi per entrare nell’auto; si vide riflessa nel finestrino e pensò che sembrava proprio un cadavere. Il sangue che aveva sentito in bocca era in parte colato lungo il mento ed una delle due guance era arrossata per il ceffone ricevuto. Gettò uno sguardo sulla parte colpita dal proiettile, ma vide solo una chiazza scura di sangue sulla maglietta.
Restò a fissare la propria immagine mentre Gin metteva in moto. Non chiese dove erano diretti né cercò il suo sguardo, era certa che se avesse provato a fare qualsivoglia cosa avrebbe finito per vomitare da qualche parte e questo era ben lontano dai suoi progetti del giorno.
Poco le importava che fosse stato il biondo a salvarla, l’uomo che le aveva dato l’ultima spinta per farla cadere nel suo baratro di solitudine e di cinismo, in quel momento le bastava essere ancora viva.
Gin pensò a lungo a cosa fare: lasciarla andare a casa era fuori questione, potevano esserci ancora dei membri minori di quel gruppo in giro, non era detto che Vodka e Vermouth fossero riusciti ad eliminarli tutti in un solo colpo. Inoltre quella ferita al fianco andava medicata, nonostante fosse solo una ferita superficiale. Era un lavoro facile, ma andava fatto con cura e Sherry da sola poteva avere problemi a disinfettare il tutto per bene.
Sospirò, giungendo all’unica conclusione possibile, se ne sarebbe occupato lui.
Guidò per una ventina di minuti, mischiandosi nel traffico notturno e controllando costantemente lo specchietto retrovisore: non avrebbero dovuto esserci complicazioni, ma preferiva accertarsi che nessuno li seguisse.
Finalmente giunsero nella palazzina dove abitava; era in un quartiere di periferia, accanto a tanti altri edifici tutti identici. Lasciò la macchina nel parcheggio sotterraneo, dove attirava meno l’attenzione.
Aiutò Sherry a scendere dalla macchina, sorreggendola per non farla cadere. Si vedeva che non era abituata al dolore fisico, ma quella fragilità non lo commuoveva, anzi.
Se fosse stato d’umore migliore si sarebbe divertito a punzecchiarla, conoscendo il suo orgoglio, peccato che in quel momento non ne avesse proprio voglia.
Controllò attentamente che dal fianco della ragazza non gocciolasse sangue, sarebbe stato alquanto difficile spiegare ai vicini perché ci fosse una scia rossa che portava dalla sua auto alla porta del suo alloggio, ma per fortuna la ferita sembrava aver già smesso di sanguinare. La pallottola non era penetrata nella carne, l’aveva solo colpita di striscio.
Salirono con l’ascensore fino all’appartamento. Quando Shiho mise piede in quel posto fu sorpresa da un ordine impeccabile accompagnato da un arredamento spartano e freddo. Sembrava un luogo usato di rado, probabilmente Gin vi si recava solo per dormire quando non era in missione, il che era un vero peccato, dato che era spazioso, soprattutto se era utilizzato da una sola persona.
Avanzò nel soggiorno guardandosi attorno con curiosità: non era mai stata nell’appartamento di un altro dei membri dell’Organizzazione e le fece strano trovarlo così… anonimo.
Gin, che era sparito dietro una porta per qualche istante, tornò portando con sé il kit medico.
< Togliti la maglia.>
Sherry lo trafisse con lo sguardo: sapeva che non era essenziale, poteva medicarla semplicemente tenendo sollevato il lembo della maglietta.
< Se vuoi non avere complicazioni in futuro, ti conviene farlo.> ribadì il biondo aprendo il kit e tirando fuori quanto gli serviva.
< Ma che scrupoloso…> commentò lei spogliandosi. “E che stronzo” aggiunse mentalmente, ma preferì non esternare il suo pensiero.
Si sentì arrossire mentre si sedeva su una sedia, Gin accanto a lei che disinfettava la ferita.
< Chi erano quegli uomini?> domandò la ragazza. Sperava che trovare un qualsiasi argomento di conversazione distogliesse sia lei che l’uomo dal fatto che era praticamente in reggiseno davanti a lui, cosa che le pesava moltissimo, considerando che era il primo a vederla così.
< Membri di un’organizzazione criminale di infimo livello. L’unico motivo per cui sono riusciti ad arrivare a te è che avevano una spia tra di noi.>
< Chi?>
< Coitreau.>
< Che fine ha fatto?>
< Già sistemato.>
Shiho apprese la notizia con sollievo e questo la stupì, qualche tempo prima l’idea di un omicidio le avrebbe provocato un disgusto profondo, non tanto nei confronti dell’assassino, ma dell’atto di per sé.
< Tu?>
< Sì.>
< Non mi dire che ti hanno incaricato di proteggermi fino a nuovo ordine.> borbottò alzando gli occhi al cielo.
< Ti controllavo da mesi, Sherry. Avevo il compito di eliminare chiunque ti ostacolasse con il tuo lavoro.>
La ragazza lo guardò freddamente: l’allusione a Seiji era palese.
Gin sostenne lo sguardo.
< Bé – commentò lei gettando un’occhiata al proprio fianco – non mi pare che tu abbia svolto egregiamente il tuo lavoro.>
< Se tu avessi rispettato i tuoi orari tutto questo non sarebbe successo.> replicò lui caustico, disinfettando con un po’ troppa forza la ferita.
Shiho si morse il labbro per il dolore.
Non guardò l’uomo in faccia, ma era certa che in quel momento stesse sorridendo. Applicò le bende senza parlare, i suoi movimenti erano precisi e rapidi, le sue mani erano così gelide che ogni volta che le sfioravano la pelle Sherry non poteva fare a meno di rabbrividire.
< Dovresti vestirti di più.> borbottò senza pensarci due volte.
Gin capì a cosa si riferiva e ghignò.
< Detto da te, che sei mezza nuda.> ribatté divertito, vedendo la ragazza arrossire di botto.
La scienziata lo guardò male facendo una smorfia e senza alcuna ragione diede con le dita un colpetto alla falda del cappello che l’uomo ancora indossava, facendolo cadere silenziosamente.
Per un attimo si chiese se lui l’avrebbe presa male, ma poi si consolò dicendosi che, se davvero il suo compito era quello di proteggerla, non avrebbe potuto ferirla più di tanto.
Il killer recuperò il cappello da terra e si alzò piano. Sherry lo guardò incuriosita, era la prima volta che lo vedeva a capo scoperto e le dava una strana sensazione.
Si alzò anche lei e sorrise appena mentre si specchiava in quegli occhi verdi così freddi, gelidi… non le faceva paura, sapeva che non poteva farle del male. Vederlo troneggiare davanti a lei, sentirsi sovrastata da quell’uomo così imponente, così alto, così estraneo eppure non fuori posto, tutto questo non l’agitava. Le sembrava che ogni cosa fosse dove doveva.
< Grazie.>
Era sincera. Gin non lo diede a vedere, ma sentì qualcosa che crollava dentro di lui.
< Aspetta a ringraziarmi.> mormorò roco.
Lei non sapeva cosa poteva farle, non sapeva cosa avrebbe voluto farle ed era meglio che non lo venisse proprio a sapere. Si tratteneva solo perché aveva ordini precisi, non perché gli facesse pietà, non perché provasse un qualcosa di profondo per lei che gli impedisse di farle tutto. L’unica cosa che sentiva era quel desiderio di averla solo per lui, lontano dagli altri, lontano da tutto e tutti.
Solo lei per lui e basta.
Sentì una mano tirargli piano la manica ed aprì gli occhi, trovandosi davanti Sherry che lo fissava preoccupata.
< Tutto ok?>
Distolse lo sguardo cercando di riprendere il controllo di sé.
< Vieni.> rispose dandole le spalle e uscendo dal soggiorno.
Sherry congelò per un momento quando capì che la camera dov’erano entrati era la stanza da letto di Gin. Era un luogo piccolo, scuro, ma più caldo degli altri, con un bel letto ad una piazza e mezzo e un armadio che occupava tutta una parete.
< Dormirai qui questa notte.>
< E tu?>
< Sul divano.>
Da quell’armadio Gin tirò fuori una vecchia maglia che ormai gli era piccola e la diede alla ragazza da usare come pigiama, poi la lasciò sola andando a fumarsi una sigaretta in salotto, ne sentiva il bisogno impellente.
Si tolse il cappotto e se l’accese abbandonandosi sulla poltrona: doveva distendere i propri nervi, tornare in sé. L’altra opzione era piombare nella propria camera e fare qualcosa di cui si sarebbe pentito amaramente in futuro: decisamente sconsigliabile.
Sentì i passi leggeri di Sherry sul parquet e girò lentamente la testa. Sorrise, la maglia era decisamente troppo grande, le copriva le gambe fino a poco sopra il ginocchio e nelle mezze maniche praticamente ci navigava.
Sotto sembrava non portare nulla, ma in fin dei conti quella t-shirt copriva tutto il copribile.
Lei arrossì un poco incontrando il suo sguardo, tentennando sullo stipite della porta.
< Buonanotte.> mormorò prima di tornare in camera.
L’uomo sospirò, sdraiandosi sul divano, aveva l’impressione che quella notte avrebbe avuto difficoltà ad addormentarsi.

Shiho restò in casa sua per qualche giorno, per sicurezza, Gin ne aveva parlato con il Boss, che si era detto favorevole. Le notti trascorse sul divano gli sembravano sempre più lunghe, sempre più fastidiose e sapeva che non era per la posizione scomoda. Quando la ragazza tornò alla propria casa e riprese il lavoro, l’uomo prese l’abitudine di scortarla lungo il tragitto d’andata e di ritorno.
Lei non se ne lamentò, ogni giorno sembrava abituarsi sempre di più ad avere Gin accanto, tanto che giunse al punto di sorridere all’idea che lui l’aspettasse ogni sera, accanto all’ascensore al pian terreno.
Probabilmente perché per la prima volta dopo mesi non si ritrovava completamente isolata, ma in un qualche modo ci teneva al suo rapporto col biondo. Se pensava alla propria situazione incolpava la solitudine, che le faceva sembrare meraviglioso anche solo sapere di avere vicino qualcuno che fosse legato a lei, qualcuno che, pur non provando nulla per lei, le fosse accanto.
Ogni volta che ci rifletteva si dava dell’idiota.
La serata del suo diciottesimo compleanno la passò con Gin, in un locale, a bere. Non ricevette auguri da parte sua, ma a dire il vero non se li aspettava nemmeno, era già un gran regalo per lei poter stare in compagnia di qualcuno per un’intera serata.
Shiho si sentiva regolarmente via mail anche con Akemi, ma evitò tuttavia di raccontarle di lei e del killer, così come non aprì il bocca sul fatto che, qualche giorno dopo il suo compleanno, aveva baciato Gin.
Poteva solo immaginare la reazione di sua sorella e di certo non voleva complicazioni di quel tipo, in fin dei conti di per sé la relazione che aveva con quell’uomo era abbastanza complicata, come dire, instabile: nessuno dei due era esattamente capace di esternare le proprie emozioni e la storia tra loro era decisamente ambigua.
Ma a Sherry non importava: le piaceva stare con lui, condividere quel letto troppo piccolo che li costringeva ad abbracciarsi per non cadere, alzarsi al mattino e trovarlo già sveglio, in cucina, a fumarsi una sigaretta, amava i suoi silenzi, gli sguardi che le lanciava, quel dannato ghigno sulla sua faccia.
Bastava che sua sorella non lo venisse a sapere.
Poi, finalmente, arrivò il giorno in cui concluse il suo esperimento. Shiho si ritrovò a fissare il topolino bianco che, rimpicciolito, squittiva muovendosi tra i cadaveri dei suoi compagni e sollevò un sopracciglio. Quello non se lo aspettava.
Scosse la testa: era l’unico caso in cui l’Apotoxina non aveva dato l’effetto sperato. Certo, era un risultato curioso, che avrebbe voluto studiare a fondo, ma di certo non significava che l’esperimento era fallito.
Un margine di errore, in fin dei conti, c’era sempre.
Senza pensarci due volte prese il cellulare e chiamò Gin, la cui voce risuonò bassa e roca al telefono.
< Dimmi.>
< Ho concluso l’esperimento.> disse semplicemente, la voce che tradiva leggermente il suo entusiasmo.
Ci fu un attimo di silenzio e la ragazza era certa che l’altro stesse sorridendo.
< Arrivo.>
Shiho non gli parlò del rimpicciolimento del topo, neanche quando lui entrò nel laboratorio e le fece alcune domande prima di riferire del suo successo al Boss, gli disse solo che l’APTX4869 non era ancora stato sperimentato sugli esseri umani. Gin sembrò comunque soddisfatto.
Dopo un attimo di pausa Sherry gli diede alcune pillole. Sapeva che potevano essergli utili e non vedeva perché non farlo, in fin dei conti erano state create per usarle.
Conoscendo l’uomo, non avrebbe dovuto aspettare molto per capire se il veleno funzionava oppure no.
Neanche una settimana più tardi, infatti, ricevette la notizia che il frutto del suo lavoro era stato testato su tre persone, di diversa età e sesso e anche in situazioni differenti: di due di loro si era ritrovato il corpo ed era certo che fossero morte, ma mancava la terza all’appello, un ragazzino di diciassette anni, il famoso detective liceale Shinichi Kudo.
Shiho fu di nuovo sopraffatta dal lavoro: il Capo le aveva richiesto di apportare alcune piccole modifiche al veleno e aveva già in serbo per lei un altro incarico non appena avesse finito con quello; inoltre dovette fare dei sopralluoghi nella casa di Kudo per decretarne o meno la morte.
Quando rifletté su quanto poteva essere successo al ragazzo le tornò il mente il topino bianco rimpicciolito e sorrise, era la spiegazione più plausibile. Avrebbe dovuto avvertire Gin o il Boss, ma preferì tenere la bocca chiusa, aveva intenzione di studiare quel fenomeno e per farlo non doveva farsi mettere sotto pressione dai suoi superiori.
La ciliegina sulla torta in mezzo a quel continuo e frenetico ritmo di vita che Shiho doveva fronteggiare fu il ritorno di sua sorella dalla missione che le avevano affidato e il suo inevitabile scontro con Gin.
Ricordava ancora la faccia di Akemi quando l’aveva vista chiacchierare amabilmente con lui: era letteralmente sbiancata e senza dire una parola se n’era andata, i tacchi che pestavano sul pavimento con rabbia.
Quella sera Sherry non era tornata a casa.
Il giorno dopo, tuttavia, sua sorella venne a trovarla in laboratorio.
La più giovane sussultò quando l’altra bussò piano alla porta, ma quando si voltò e la lasciò entrare i suoi occhi erano freddi ed impassibili. Akemi tuttavia sorrise.
< Voglio solo parlare, Shiho.> le disse conciliante, rispondendo all’occhiata diffidente che la piccola le lanciò.
< Sei preoccupata, lo so.> commentò l’altra incrociando le braccia.
< Come potresti darmi torto?>
Non rispose: non voleva dilungarsi in frasi stupide del tipo “non lo conosci”, “è una persona migliore di quanto tu creda” e via dicendo, anche perché erano tutte fondamentalmente false. Non stavano parlando di un santo, ma di uno dei membri più importanti di un’organizzazione criminale, farlo passare per un angioletto era quanto di più assurdo si potesse pensare.
Cosa doveva dirle? Che almeno lui c’era sempre stato? Che era l’unico sempre presente al suo fianco? Che non le importava che fosse un pazzo assassino?
< Non lo so. So solo che ora come ora sto bene.>
Era la risposta più sincera che poteva darle, ma sapeva che non era abbastanza.
Per quanto Akemi fosse esplicitamente contro la loro relazione lasciò momentaneamente perdere e non tornarono più sull’argomento.

Tremava leggermente, ma si fece coraggio: ne sarebbe uscita, ne sarebbero uscite entrambe. Doveva allontanare Shiho da quell’uomo, dovevano scappare e in fretta anche. Sarebbero andate da Dai – o Shuichi, per essere esatti – e grazie a lui sarebbero entrate nel programma di protezione testimoni, per farsi proteggere a dovere. Pregò che tutto andasse bene.
Akemi aspettò in piedi, da sola, le mani scosse da continui tremiti e nel cuore quell’unica speranza.
“Lo faccio soprattutto per te, Shiho. – pensò sorridendo triste – Ti meriti una vita migliore di questa, una vita normale.”

Poteva sentire lo sparo echeggiargli ancora nelle orecchie. Gettò un’occhiata impassibile a quel corpo steso a terra, Vodka che ne constatava il decesso: era stata così ingenua, così stupida. Così patetica.
Si accese una sigaretta mentre si dirigeva verso la macchina, seguito dal compagno.
Quella stronzetta voleva portargli via Sherry.
Il solo pensiero gli deformò il viso in una smorfia di disgusto, solo una persona molto ingenua avrebbe potuto davvero credere di riuscirci.
La ragazza era e doveva rimanere sua. Lo pensava ogni volta che la guardava, ogni volta che si permetteva di sfiorarle il viso, ogni volta che ascoltava attentamente il suo respiro farsi più veloce, affannato,frenetico. E sapeva di non poter fare a meno di quella pelle candida che veniva coperta con un lenzuolo mentre le guance arrossivano un poco o del suo sguardo freddo che veniva improvvisamente abbandonato, lasciando intravedere la sua paura, il suo attaccamento alla vita… tutto quello non poteva che essere suo. Ed era bene che se ne rendesse conto anche lei.

Qualche giorno prima Shiho era venuta a conoscenza della fuga di Rye, del fatto che si era rivelato essere un membro dell’FBI. Non ne aveva parlato con Akemi, ma quelle poche volte che si erano viste sua sorella le era parsa diversa, più pensierosa, meno solare del solito, il che era decisamente comprensibile.
Aveva attribuito il tutto al tradimento di Dai e non ci aveva più pensato.
Quando invece venne a sapere che ciò che la impensieriva era il suo progetto di fuga era troppo tardi.
Quando scoprì che Akemi era morta non c’era più nulla da fare.
E quando si trovò davanti a Gin non arretrò di un passo.
< Perché?>
Lui rimase per un attimo in silenzio.
< Ordini dall’alto.> rispose piatto, accendendosi una sigaretta.
< Non m’importa. Voglio sapere perché.>
Non ci fu modo di distoglierla da quel punto. Gin non provò a toccarla, se l’avesse fatto probabilmente l’avrebbe uccisa: odiava che quella ragazzina continuasse a pensare a sua sorella, odiava il fatto che non pensasse a lui.
Le cose precipitarono: Shiho si rifiutò di proseguire gli esperimenti e il biondo dovette informarne il Boss.
La destinarono alla camera a gas.
Voleva essere lui a farlo, Sherry lo capì guardandolo negli occhi mentre troneggiava su di lei, che era in ginocchio, ammanettata per non farla scappare.
Vodka era già uscito percependo l’aria che tirava e loro due restarono soli, a squadrarsi.
Voleva essere lui ad ucciderla, ne era certa, e lei, d’altronde, non aveva via di fuga.
Gin ghignò nel vedere quegli occhi riempirsi di paura, lo esaltavano, gli facevano scorrere a mille l’adrenalina. Pensò a quando lei avrebbe abbassato lo sguardo, disperata e sconfitta, e il suo sorriso crudele si allargò.
< A domani, Sherry.> mormorò uscendo, gli occhi che brillavano di una luce sinistra.

Di una cosa era certa, non gli avrebbe lasciato quella soddisfazione.
Shiho si sentiva stanca, le ginocchia le dolevano, la mano ammanettata credeva le si dovesse staccare da un momento all’altro, ma nonostante tutto sorrise: sarebbe rimasto come un idiota a fissare il suo corpo esanime e non avrebbe potuto farci niente.
A quel pensiero le veniva da ridere, specie se si immaginava il volto incredulo ed arrabbiato di Gin, quasi le dispiaceva di non poter assistere a quella scena, perché ne sarebbe valsa la pena, ne era sicura.
Estrasse dalla tasca la pillola di APTX4869 che era riuscita a nascondere senza che qualcuno se ne accorgesse e la fissò: sarebbe stato doloroso, lo sapeva, ricordava il modo in cui le cavie si contorcevano spasmodicamente, squittendo come non mai.
Sapeva che avrebbe dovuto soffrire, ma era meglio della camera a gas, era meglio che farsi uccidere da lui. Si fece coraggio. Ripensò a Seiji, per un istante, ai suoi genitori, ad Akemi. Non credeva che li avrebbe rivisti “dall’altra parte”, considerando che per lei non c’era nessuna “altra parte”, ma l’idea di condividere questo momento con loro non le sembrava un’idea così malvagia: poi chissà, forse qualche inferno o qualche paradiso esisteva sul serio.
Si portò la pillola alla bocca e inghiottì, sicura.
Aveva vinto comunque, nella sua testa lei aveva vinto.
Le bastava questo.
   
 
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