Percorse in fretta quelle
vie di Londra che pensava d’aver ormai dimenticato, e che invece ricordava alla
perfezione, in ogni singolo dettaglio e angolo. Le percorse, febbrilmente,
mentre si sistemava i vestiti da maga, stringendo il mantello sul petto.
Aveva scordato la sensazione della stoffa del mantello che s’agita al vento, il
tocco di una bacchetta fra le dita e la certezza che con un colpo di essa,
qualsiasi cosa è possibile. Non sapeva neanche se fosse ancora in grado di
usarla, ma ora non importava.
Non importava più.
Doveva correre. Doveva andare al ministero.
Il cuore le pulsava nelle
tempie, le mani erano fredde e la pelle era percorsa da brividi di paura. Per
troppo tempo, troppo, si era nascosta.
- Bellatrix…- mormorò fra se e se, avanzando ancora il passo, mentre il
ministero si avvicinava, ormai distante di soli pochi isolati. Gli occhi si
erano velati di un dolore ormai dimenticato. Un affetto perduto, la cui
mancanza aveva relegato ad un angolo del suo cuore, che ora era prepotentemente
tornato ad occupare totalmente.
E un rammarico. Non poterla odiare.
Odiare Narcissa era stato facile. Lei, il suo Malfoy, la sua fredda mente
calcolatrice e la sua vanità.
Ma Bellatrix. Bellatrix.
La sorella maggiore. Crudele, maligna e completamente pazza.
Quanto dolore le aveva arrecato vederla impazzire, torturata da un amore senza
senso?
Perché loro erano simili. Perché per amore avevano scelto. E lei aveva scelto
sbagliato.
Per amore aveva scelto l’odio.
Andromeda, per amore, aveva scelto il rifiuto e la fuga.
Esiliate per amore: le sorelle maggiori
Black.
Avevano giocato tutto.
E avevano perso.
- E’ tardi – disse una voce alle sue spalle, nascosta nell’ombra.
- Ti troveranno, se stai qui. -
- Non mi troveranno. – rispose l’altra, con lo stesso tono infantile.
Andromeda Black in Tonks socchiuse gli occhi e strinse la missiva fra le dita,
mordendosi il labbro inferiore. Non si girò verso la donna. Non ne aveva
bisogno.
- E’ tanto tempo che non ci vediamo. -
- Che vuol dire che è tardi? -
La donna le fece cenno di avvicinarsi, ma Andromeda non ubbidì, rimanendo ferma
dov’era.
- E’ tardi -
- Mi hai scritto che…-
- …Presto li avresti persi. E’ tardi. – ripeté, e le fece di nuovo lo stesso
cenno – Vieni, sorella cara, è troppo tempo che non ti abbraccio. -
- No. – mormorò la sorella minore, chinando la testa. Un dolore sordo le riempì
il petto, e una lacrima, solitaria, le rigò il volto – No. -
- Vieni – ripeté Bellatrix per la terza volta, con un tono più autoritario. Ma
Andromeda, con suo grande disappunto, non ubbidì neanche questa volta. Ci fu un
lungo silenzio, lontano, si sentivano dei rumori, agitazione. Il ministero.
Fu come se dell’acqua fredda gli si riversasse nel cuore. E ogni sensazione
spari, lasciando un incolmabile vuoto.
- Lo hai ucciso. – disse all’improvviso
Andromeda, guardandola con profondo dolore, ma senza odio – Hai ucciso Sirius. -
- Si – disse divertita la maggiore, scoppiando a ridere freddamente – L’ho
fatto. L’ho ucciso. Ma non ho ucciso la piccola Ninfa, tranquilla. Anche se
avrei voluto. -
- Perché…- non disse altro, la voce era soffocata in un singhiozzo, rabbia si
percepiva in quell’unica parola, sconforto. Infine fu Bellatrix ad avvicinarsi
a lei, con passo lento e calcolato.
- Perché tu mi hai abbandonato, sorellina. Perché lei, figlia di sangue impuro,
è la prova del tuo abbandono. Sirius, ti ha portata via da me! Ti aveva portato
dalla sua parte! Ti ha aiutato a fuggire di casa! Doveva morire! Perché nessuno di loro ha mai capito, Andromeda!
Nessuno! – la voce aveva preso una piega rabbiosa, intinta dai forti toni della
follia – Nessuno aveva capito, che tu sei mia!
Solo mia, solo la mia sorellina! Ma tu… - e qui divenne innaturale, tesa,
nervosa e implacabile – Tu te ne sei andata! -
Disperazione. La voce di Bellatrix, che non aveva mostrato sconforto nemmeno ad
Akzaban ora urlava di disperazione.
- Non ti avrei seguito ugualmente. Lo sai. -
- Perché non mi vuoi bene, Andromeda? –.
La voce era tornata infantile, distorta, inquietante.
- Te ne voglio – rispose lei,
asciutta, mentre le braccia magre di Bellatrix le stringevano le spalle,
avvicinandola a se. Guardò gli avambracci, osservando con sofferenza il marchio
nero che le segnava la pelle e l’anima. Guardò l’innaturale magrezza. La pelle
pallida.
- Perché te ne sei andata? -
- Perché altrimenti non avrei potuto sfuggirti. – disse, onestamente, mentre il
profumo, che anni di prigionia di Akzaban non le aveva tolto, della sorella le
invadeva il cuore, riportandola a ricordi d’infanzia che non voleva rivedere. E
seppe che era vero. Non poteva sfuggirle.
Non poteva sfuggire al legame di sangue che le vincolava. All’affetto totale e
al fascino che la sorella maggiore le aveva sempre indotto.
Si chiese se era così che Voldemort l’aveva sedotta.
- Non sono più una bambina, Bellatrix. – disse piano, mentre gli occhi le si
offuscavano – Sono una donna. -
- Sei mia sorella. – disse in risposta – Ho bisogno di te, mi lascerai di nuovo
da sola? -
- Mi chiedi di abbandonare quelli che io amo. Non posso. – si scostò – Tu hai
ucciso Sirius, e hai provato ad uccidere mia figlia, Bella. -
- Ucciderò tutti quelli che ami, se solo poi fossi solo per me! – ringhiò la
sorella, stringendole il polso.
- Tu hai preso la tua scelta – e si liberò dalla presa, stringendo il suo di
polso e costringendola a voltare il braccio – E questo segno ne è la prova. E’
la tua scelta, non la mia. -
- Tu sei mia sorella! – piagnucolò, guardandola.
- Lo sono. E lo sarò sempre. – rispose piano – Ma tu uccidi le persone che amo,
Bellatrix. Non darmi altro motivo per odiarti, io ho sempre solo chiesto il tuo
affetto. -
- Se verrai con me, non li sfiorerò più.- provò, ansiosa.
- Bellatrix. L’hai detto tu. E’ tardi. -
- Non mi ami nemmeno un po’? – riprovò lei, e gli occhi mostravano tutta la
pazzia che pervadeva la sua mente, il suo cuore e la sua anima.
- Ti amo profondamente – rispose, pazientemente – Ma non posso perdonarti. Ti
amo, ma vorrei che tu fossi morta al posto di Sirius, Bellatrix. -
Bellatrix le passò una mano ad accarezzarle il viso, socchiuse le iridi,
costringendola a guardarla, girandole il capo con due dita – Dovrò ucciderti,
per averti? Farti baciare da un dissennatore, per poterti abbracciare e
portarti via? Perché non capisci che questa è l’unica via? -
Andromeda Tonks si scostò, fece un passo indietro e lasciò che un’altra lacrima
le attraversasse le gote, le guance e morisse nell’angolo della bocca,
sollevato in un doloroso e amaro sorriso.
- Questa è la tua vita. Te l’ho detto, Bella. E’ troppo tardi. Se tu non amassi
lui, se fossi rimasta la ragazzina di dieci anni che bambina adoravo, saremmo
state felici. Ma tu hai voluto odiare, e tutto è morto nell’odio. E’ tardi
Bellatrix, e ogni momento ha fine qui. Quando ti vedrò, la prossima volta,
potrei tentare di ucciderti. E non lo farò perché ti odio. Lo farò perché ti
amo. -
Bellatrix fece un passo verso l’oscurità, con aria ferita.
- Mi costringi. La prossima volta vedrò le tue spalle e alzerò la lama,
Andromeda, l’affonderò nella tua pelle. Ti ucciderò, perché tu non sia di
nessun altro. -
E sparì.
Andromeda Tonks guardò in direzione del Ministero, era vicino. Nessuno aveva
visto. Nessuno aveva guardato. Una ragazza dai capelli rosa veniva portata
fuori, in braccio ad un uomo che lei conosceva. Si smaterializzarono, sotto i
suoi occhi.
San Mungo, si disse, e
sospirò dolorosamente. Guardando dove Bellatrix era scomparsa.
- E’ tardi anche per quello. -
Troppo tardi.
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