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Autore: l_s    08/12/2010    2 recensioni
«Da dove vi viene, dicevate, questa tristezza strana,
che sale come il mare sulla roccia nera e nuda?»
— Quando il nostro cuore ha fatto una volta la sua vendemmia
vivere è un male.

Un cinico, perduto, maledetto alcolizzato viene accolto da lei, calda come una stella e come la speranza. Ma "non è amore, è solo calore"...
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: questa storia ha partecipato al contest "La pioggia e Baudelaire" indetto da Ribrib20, classificandosi quarta. Il suo filo conduttore è, dunque, la poesia "Semper eadem", tratta da "I fiori del male".


L'angolo bianco

 
«O pioggia, dolce amante dei cuori solitari, delle anime che desolate si struggono sulle vie! Concedi a noi, miserrimi esseri di dannazione e assenzio, di vederci rivelati in te, Grigia Signora della Tristezza! Piangi sui nostri capelli, sulle nostre mani, sulle bocche, lava i nostri corpi e i nostri spiriti malati, sacra e misericordiosa compagna!» invocò Briac, rivolto al cielo che gli rigava il volto.
«È solo pioggia acida, carica di sporcizia ed inquinamento; non ti lava mica, sai?» replicai.
Provavo un fastidio all'altezza dello stomaco, quando faceva così.
Lui, come al solito, ignorò il mio commento.
«Ci doveva essere questa stessa pioggia la notte in cui André è morto.» Si voltò a guardarmi. «Questa stessa pioggia, dolce complice carica d'angoscia. Ahi noi, noi che la conosciamo, noi che le siamo amici, allievi!» Ormai urlava, girava su se stesso con gesti goffi e teatrali, e beveva sorsate di Vodka da una bottiglia che miracolosamente si reggeva nella sua mano. «Noi che siamo i diversi, i condannati all'esclusione da questo mondo meschino! Ma sapete cosa vi dico? È meglio così! Meglio essere peggiori che come voi!»
«Come ami i cliché, mio caro Briac!»
Ma non mi ascoltava. Beveva e borbottava. Per fortuna, era quasi ubriaco. Ci voleva un po' a fargli oltrepassare la soglia della lucidità, ma stava andando avanti -il liquido scendeva lungo la sua gola- e si stava avvicinando.
La pioggia mi scorreva addosso, si era fatta più insistente.
Lentamente, mi distesi supino sull'asfalto. I miei capelli inerti mi facevano da corona di spine secche, pareva che l'acqua pietosa volesse innaffiarle, inzupparle, martoriarle fino a fonderle con l'asfalto. Allargai le gambe, aprii le braccia, e poi le dita, con cura, perché si bagnassero per bene. Oh, sì.
La pioggia mi scrosciava sui palmi, sullo stomaco vuoto cui aderiva spastica la camicia bianca, quasi una seconda pelle grinzosa, una pelle da morto, su cui cascate grigiastre continuavano ad inveire. Non riuscivo più a scorgere la figura goffa di Briac, tant'era fitta la pioggia, non riuscivo più a distinguere nulla: vedevo solo pioggia, solo pioggia udivo, odore di pioggia, pioggia nel naso, nella bocca, negli occhi, sulla pelle, pelle che si scioglieva, diveniva acido, una macchia scura sull'asfalto, ed evaporava in pioggia, furente, altra pioggia, altre cascate, altro freddo, tanto freddo, tanto freddo.
 Portata da lontano, mi giunse agli orecchi la voce di Briac. Chiusi gli occhi. Cantava.
Una melodia insistente e malinconica, che pareva muovere i suoi passi lacrimosi da un altro mondo, al di sopra delle nuvole grigie e gravide i cui bambini ci prendevano oggi a randellate. Quella melodia era la colonna sonora di tutti i viaggi, di tutte le giornate trascorse a bere e a colare, permeata da quella voce calda e roca...
Perdonavo tutto, a Briac, quando era ubriaco e cantava: mi bastava sentire quella voce per dimenticare tutto; il suo snobismo, la finzione, le maschere, il conformismo estremo nei suoi gesti...
Patetico? Certo, ma Briac era così: amava guardarsi, amava credere di essere bello, affascinante, amava credere di essere qualcun altro. E il fascino di coloro che sono in sintonia con la Morte l'aveva sedotto e convinto.
Era stato amato; era stato odiato. Ma ora che tutti sapevano del suicidio di André, il pietismo aveva trionfato, e tutti erano lì a carezzarlo, e tutte le ragazze ad adularlo.
E lui sarebbe guarito. Per lui, il taedium vitae era un malore momentaneo, non una malattia cronica, come per noialtri.
Non udivo più la voce di Briac. Tanto meglio. Se n'era andato, oppure era spirato sull'asfalto.
Mi accucciai su un fianco. Volevo dimenticare tutto: me, Briac, André. La vita, la morte, i come, i perché, i forse.
Sentivo di nuovo solo la pioggia. E l'enorme vuoto che mi dilagava dentro.

 Mani. Mani calde che mi toccavano le spalle, mi scuotevano, parole vaghe echeggiavano in lontananza. Sole, da qualche parte a metà. Io odiavo il sole, mi piagava la pelle, mi bruciava gli occhi, mi faceva paura. Io amavo il sole. Vieni, disse, vieni con me. Sì, risposi, ed ero un sussurro, una parola vuota e vaga che nessuno pronunciava da troppo tempo.
Cammini?, chiese, Cammini? Ma io non sapevo, non... mi lasciai guidare, seguii, seguii, io...così tanto caldo.


E di nuovo mani.
Mani esotiche, sensuali, che mi spogliavano, che mi toccavano, mi tastavano il petto, mi rapivano, e il mio ultimo brandello di razionalità teso verso di loro, il mio corpo teso verso di loro. La pelle morta faticosamente si staccò da me, si portò via la ragione, la...mani sul cavallo dei pantaloni, a sbottonarli, tirare giù la cerniera; mani a scorrermi lungo le gambe, mani forti e delicate... E poi pelle, distese di pelle bollente a distendersi sul mio petto, braccia calde ad avvolgermi, a mordermi la schiena fredda, frizionarmi le ossa.
Tremavo. E i suoi seni mi scaldavano la pelle, le sue gambe si intrecciavano alle mie. Mi stava offrendo il suo calore, mi invitava a prenderlo, e io lo presi, mossi le braccia e me la strinsi addosso, contro di me, contro di me, contro di me...

«Come ti senti? Ti serve qualcosa?»
Riemersi da quel sonno strano, dalle lenzuola fiorite del letto dove mi aveva depositato.
«Fée verte.» mormorai. Mi sentivo lucido, i deliri di quella notte si erano evidentemente spenti. Mi sentivo sobrio.
Mi tirai su a sedere. Il mio corpo era avvolto in un bizzarro vestito da donna, largo e colorato.
«Cosa?»
Sollevai finalmente lo sguardo a fissarla. Aveva degli occhi enormi e verdi, da cerbiatto. Pareva chiedersi cosa io fossi.
«Fée verte,» ripetei, «assenzio, ho bisogno di assenzio.»
Ispezionai velocemente l'arredamento della stanza: armadio moderno, scrivania, e mensole decisamente ordinate. No, una così non aveva assenzio.
«Perché?» chiese infatti, stupefatta.
Cercai con lo sguardo i miei pantaloni. Li vidi, sul pavimento, poco distanti da me.
«Sono troppo sobrio.» Mi sporsi e frugai nelle tasche. Sbuffai deluso, quando trovai quella ch'era stata la mia ultima sigaretta, e che ora non era che un fradicio ammasso schiacciato di elementi misteriosi.
«Evidentemente era destino.» fece quella, sorridente.
La ignorai. Mi stava cogliendo un'angoscia cupa e stridente, quella che non sopporto. La coscienza percorreva il limite della mia pelle, graffiandola e incrinandola. Non smettevo di pensare ai fili aggrovigliati, alla morte, ad André.
«Qualunque cosa...qualunque alcolico va bene.» ero sordo alle mie stesse parole, il panico prendeva piede nella mia testa.
Mi guardava stranita, decisa. Compresi ch'era una di quelle crocerossine che vogliono riabilitarti a tutti i costi, se ti trovano sbandato. La fissai neutro.
«Non credo proprio che dovresti bere» disse infatti, preoccupata «Non stai bene, e...»
Mi alzai dal letto e mi sfilai il vestito, gettandolo da un lato.
La ragazza rimase a fissarmi ostinatamente, malgrado fossi completamente nudo. Raccolsi i pantaloni da terra e feci per infilarmeli, ancora fradici.
«Forse mio nonno ha lasciato qualcosa.» cedette infine la crocerossina.

Parlava. Con voce allegra. Parlava, parlava, parlava.
Forse per sopperire all'imbarazzo causatole dall'enorme quantità di alcool che andavo ingerendo. Forse per stabilire un contatto con me. Quel liquido tiepido mi correva la gola con foga e, sebbene non fosse abbastanza denso per i miei desideri, mi riempiva leggermente.
E lei parlava. Chiusi gli occhi e la sua voce greve divenne un suono, un ondoso andamento dello spazio, che mi avvolgeva e mi avviluppava, e mi coccolava puerile. Il mondo, visto dalla prospettiva dell'alcool, aveva un altra, tenue apparenza.
Uno stop. Salutare nella musica cantilenante, e i miei occhi incontrarono la sua figura morbida dalla prospettiva pavimentale.
Freddo, e così tanto caldo.
Così tanto caldo che il mio bizzarro vestito scivolò via, lo guardai e aveva colori brillanti, dal rosso al giallo al verde; lo avvicinai al naso: odor di primavera. Ignoto, inebriante effluvio; afferrai un lembo della sua gonna, cercai il medesimo sentore. Inciampò e fu su di me, morbida e calda; quasi coccolavo una stella, con le mie mani, la mia bocca affamata di calore. Tentavo di sorbirlo dalle sue labbra, dalla sua pelle, dalla sua anima. Ed era estatico il modo in cui ella, Jeanne, mi proteggeva, e io...io mi confusi, e la mia gola bruciava di lei. I suoi occhi si spalancavano, enormi nel piacere, sospirava, sospiravo, mugugnavo e le strascicai il vero tra le labbra come un mantra: Laissez, laissez mon coeur s'enivrer d'un mensonge, plonger dans vos beaux yeux comme dans un beau songe et sommeiller longtemps à l'ombre de vos cils!1

«Come ti chiami?» avea la voce seria, scura.
Non risposi.
«Come ti chiami?» ripeté, e avea la voce cupa.
«Non ha importanza».
«Sì, che ce l'ha.»
Il mio silenzio la infastidiva.
Pensai a Briac, chissà che fine aveva fatto. Chissà s'era morto, in quei tre giorni, se aveva fatto la fine di André. Che stronzata. Sapevo benissimo che non era come lui, non era mai stato vero come André.
«Ma perché sei sempre così?» la voce si alzava, s'inquietava.
Non risposi.
«Da dove ti viene questa depressione, cosa diavolo t'è accaduto?» era preoccupata, voleva scuotermi.
La guardai. Aveva le iridi verde scuro, calde, dilatate.
«Da dove vi viene -dicevate- questa tristezza strana, che sale come il mare sulla roccia nera e nuda?2» citai.
Continuò a fissarmi immobile, le labbra serrate, in attesa.
«È da quando è morto André, che sono così.» mormorai infine.
Lo sguardo le si opacizzò, l'espressione si distese: «Quanto tempo fa?»
«Tre anni.»
Pausa.
«Ci tenevi molto?»
Non risposi. Smisi di guardarla e mi distesi sul divano, voltandomi su un fianco.

 «Corri, mio amore, corri con me!» e mi allacciò la mano, scappando per la casa.
La sua mano calda riluceva nel mio buio. Pensai solo a trattenerla, a tenermela vicino. Vagavamo tra stanze vuote e indeterminate, lei era un luccichio di denti, era il calore, la purezza, mi annientava. La sua luce puerile, la speranza vana dei suoi occhi.
Mi fermai, mi guardò, mi vide, e fu triste la sua espressione.
Io ero solo ghiaccio. Pavimento e ghiaccio tra le sue braccia cullanti.
«Jeanne,» dissi, e mi sentivo tremare «vivere è un male: è un segreto a tutti noto.3»
«Non dev'esserlo per forza. E io non mi chiamo Jeanne.» era dolce, mi carezzava il viso «Tesoro, cosa ti ha reso tanto inerte? C'è ancora vita dopo la morte di André.»
Fissai i suoi occhi teneri, candidi, amorevoli.
«André era la vita.»
Il suo sguardo fu triste, lentamente si abbassò, lacrimando al suolo.
La guardai, immobile.

La vita è proseguita, come un'abitudine di solerte ingerenza, tra noi e, malgrado tutto, fino ad ora, lei è stata per me l'angolo bianco, l'attesa, una breve sospensione da me stesso, benché io non gliel'abbia mai mostrato. Non abbiamo nulla in comune, così ho creduto. Forse sono stato solo abbagliato dalla sua luminosità, o davvero non abbiamo niente in comune. A parte il sesso. Io non sono riuscito a staccarmi da lei: così bella, così forte, calda e positiva, con quella capacità di autoconservazione e quella bocca rossa e morbida, mi appariva come puro impulso alla vita, come ciò che io agognavo più di tutto, che m'è sempre stato alieno ed estraneo. Quando ero tra le sue braccia bollenti, quando il mio sangue fremeva per il suo calore, allora la sentivo completamente, la sua essenza mi apparteneva, la comprendevo e mi sentivo compreso, e tutto era storto, sì, ma giusto, e io pensavo sempre che se fossi morto allora -se la vita in un sospiro graffiato m'avesse abbandonato- allora io -solo allora- avrei volato. Perché, è vero, il mondo è male, e lo sanno tutti, anche se molti lo negano -che è precisamente il motivo per cui non riesco ad avere a che fare con lei da sobrio- e l'amore è una favoletta per bambini stolti. Ma ciò che nutro per lei non è amore, è calore, e forse è amore carnale, del tipo considerato più basso, forse l'unico che io possa provare. Sentivo di fare all'amore con una santa, con un'anima benedetta, e chi potrebbe rinunciare a fare all'amore con Dio?
Eppure tutto questo era la mia impressione di allora: per come stanno i fatti, ora che vago, lo dico: forse avevo torto. Forse la sua forza, come nelle stelle, la sua forza di restare intatta, di resistere alla gravità non è poi così solida, come credetti allora. O, semplicemente, non è l'incarnazione di Dio, Jeanne, no, o non avrebbe potuto amarmi Jeanne, la mia Jeanne...

Mi ha mostrato la biblioteca della vecchia casa, e mi ci sono rifugiato. Ho letto per giorni, senza mai affamarmi, e i miei pochi sogni erano consumati al solo scopo di averla con me, in quella maniera psico-fisica.
«Cosa leggi?» l'ho sentito ch'era inquieta, ma non ho alzato lo sguardo dal mio Baudelaire.
«Taci, ignorante, anima perennemente in estasi, bocca dal riso infantile! Assai più che la Vita, ci tiene la Morte con i suoi legami sottili!4»ho letto, quasi con rabbia.
«Che diavolo, Pierre!» ha urlato, con la voce instabile, «Perché diavolo sei così? Che cosa ti ha preso? Che diamine hai? Reagisci, porca miseria!» urlava sempre di più, le mani nei capelli, quasi a strapparli, aveva un'espressione folle, il fiatone, la voce isterica le si arrochiva nella fatica della gola, «Quello sguardo inerte non risolverà nulla, non ti aggiusterà la tua fottuta vita, e lamentarti non ti fa più figo, ti fa solo più morto! Morto! Morto! Che cazzo vuoi da me! Ti ho dato tutto quello che potevo, ti ho sopportato e abbracciato e amato e amato e amato -cos'hai da lagnarti ancora, idiota?!Non sono André, non lo sarò mai, mai, MAI, ma, diavolo, ti ho preso, ti ho curato, io...dimmi chi era, chi cazzo era questo André, che cazzo ti ha fatto!»
«André...» ho sussurrato, «non esiste, non è una persona. È solo...una fase.»
 Lo stupore, l'orrore nei suoi occhi han volto in lacrime una parte della rabbia.
Un braccio le è caduto dai capelli, morto, verso il basso; l'altra mano ha afferrato spasmodicamente la guancia.
Non ha detto nulla, e io ho continuato:
«André è un simbolo... Ti ricordi: "Di dove viene" dicevi "questa strana tristezza che sale come il mare sulla roccia nera e nuda?" - Quando il nostro cuore ha fatto la sua vendemmia, vivere è un male.5 André è il simbolo della mia vendemmia...»
Il suo sguardo si è fatto vuoto, poi, vitreo: mi ha spaventato.
Mi è sembrata per la prima volta morta, lì, in mezzo alla stanza.
Ho temuto che sarebbe caduta, che si sarebbe accartocciata sul pavimento.
Ma non lo ha fatto. Si è limitata a stare in piedi, ferma e rigida, come di rigor mortis.
Le sono passato accanto e sono uscito dalla stanza.
 

Vago in giro per la casa enorme, guardandola per la prima volta in tutto questo tempo, e dal salone giungo in una stanzina sconosciuta. Tasto il muro, trovo l'interruttore. E trovo quello che cerco.
Un fucile da caccia, elegantemente sistemato. Qualcuno l'ha caricato.
Sono così tanto stanco, da così tanto tempo.
Me lo punto addosso per bene, proprio sotto la mandibola.
Ascolto. Anche oggi piove, finta consolazione, somma beffa.
Ma non importa. L'oggi è la mia data di scadenza.
Chissà se funzionerà.
Sono così stanco. Non piango nemmeno.
Chiudo gli occhi, e penso alla morte come ad una carezza.
Ma non è lei che fredda afferra le mie dita, e mi conduce ad abbassare il fucile. Jeanne mi sorride, come sempre. Jeanne mi sorride, ma il suo sorriso è stanco, gli occhi sono cerchiati.
Avvicino il mio volto al suo, e lei mi bacia le labbra, e le sue sono umide.
Poi, si stacca da me.
È bella e sensuale, come la conosco.
Avvolge con le sue labbra la canna del fucile, e preme il grilletto.

Il mio cervello si è fermato col suo respiro.
Ora solo istinto.
Sostengo lei che cade, per la prima volta.
Sostengo lei che cade.

È tutto bagnato il pavimento del mondo.
Pioggia beffarda anche fuori del mondo.
Capelli attaccati al pavimento del mondo.

Non sapevo di essere un buco nero.
Il suo volto contratto.
Non volevo divorarlo.
 

Le braccia si slegano. C'è un angolo bianco.
Peso bagnato sul petto. Il soffitto ha un angolo bianco.
Solo un angolo è bianco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

1 : “Lasciate, lasciate il mio cuore inebriarsi d'una menzogna, immergersi nei vostri begli occhi come in un bel sogno e a lungo sonnecchiare all'ombra delle vostre ciglia!” (da “Semper eadem”)

2,3,4,5: citazioni da “Semper eadem”

   
 
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