A Luisa, perchè senza di te non ci sarebbe neanche una riga su questa pagina e perchè se questa cosa ha dei genitori, tu sei di sicuro almeno il papà.
A Jup, per la pazienza, per il suo “tenero sollecitarmi” alla pubblicazione e per tutto il resto...
A Val perchè mi sopporta nelle chiacchierate notturne, quando il peggio di me esce prepotente e ancora continua a lanciarmi corde lunghissime. E perchè siamo fiQue. Oh.
<3
Hogwarts. 6 Maggio 1998.
Uno
strano silenzio regnava sulla Sala Grande. Era la stessa sala che
aveva visto per anni generazioni di ragazzini crescere e diventare
adulti imparando la magia; la stessa sala che li aveva sentiti
bisbigliare intimoriti al primo anno prima della cerimonia dello
Smistamento e che li aveva sentiti cianciare allegri per le vittorie
delle partite di Quidditch o per la Coppa delle Case, che li aveva
guardati ansiosi e trepidanti, la mattina prima dei MAGO.
Quella
stanza che adesso guardava quei giovani, quasi dei bambini, seduti in
silenzio su sedie spoglie, accanto alle loro famiglie o a quel che ne
restava, stretti nella sola consolazione che poteva restare loro:
l'amore per chi era rimasto, il sollievo per chi era sopravvissuto.
Ogni mattone della scuola sembrava stillare lo stesso dolore delle persone che vi avevano dimorato, l'angoscia della perdita, della fine di vite innocenti, dello stravolgimento del Mondo in cui avevano sempre vissuto. Drappi neri pendevano dal soffitto della Sala, illuminata dalla tenue luce del sole di maggio e in quel momento, alzando la testa verso quello che era sempre stato l'incanto più d'effetto, si vedeva soltanto l'azzurro di un beffardo cielo estivo percorso da qualche nuvola, come a sottolineare quanto la natura fosse poco toccata dalle vicissitudini dei maghi. Quel cielo, però, non era proiettato per magia sul soffitto intatto, come era sempre avvenuto. Era semplicemente il cielo. E lo si guardava attraverso lo squarcio profondo che attraversava tutta la lunghezza della Sala. Sembrava una ferita. Ed era sotto questa ferita, dentro una Hogwarts in ginocchio, ma comunque vincitrice, che la comunità magica piangeva i suoi caduti.
Minerva Mc Grannitt sedeva tra i suoi studenti, con lo sguardo verso quello che per anni era stato il leggio da cui Silente aveva salutato il nuovo anno scolastico, sapendo che era giunto per lei il momento di alzarsi per raggiungere quel posto e per rendere omaggio a tutte le vite che erano state spese per quella vittoria tanto agognata. Aveva indossato l'abito verde che portava il primo giorno di scuola di Harry, Ron, Hermione e di tutti gli studenti del loro anno, e l'espressione migliore che era riuscita ad assumere, nonostante le difficoltà. Aveva scelto quel colore per due motivi: avrebbe simboleggiato la Speranza, che era stata donata loro grazie a quella vittoria ma era anche il colore della casa di Serpeverde e per questo avrebbe simboleggiato l'unione, il perdono, la capacità di passare oltre le difficoltà, per ritrovare lo spirito della Hogwarts nascente. Si era avvicinata alla postazione del Preside, quella che di diritto le spettava, a passi lenti ma decisi, aveva preso un grande respiro e aveva alzato gli occhi sulla Sala gremita. Una sola piccola occhiata al Ragazzo Sopravvissuto, poi aveva iniziato a parlare.
“Avremo
il tempo per gioire di questa vittoria, avremo il tempo per
comprendere quanto preziosa sia per la nostra libertà. Ora,
in
quest'istante, la cosa da fare, ciò di cui tutti noi abbiamo
bisogno, è salutare coloro che hanno dato per tutto questo,
dei cui
frutti noi godremo in futuro, ciò che di più
prezioso potessero
donare. Non possiamo fare altro che essere grati a loro, alle loro
famiglie e ai loro cari per questo dono, perchè grazie a
questo,
potremo ancora dichiararci Maghi liberi.
Non
tesserò le lodi di ognuno né li
descriverò come persone speciali
nei loro pregi e nelle loro imprese. Erano per me, come per voi,
amici, fratelli, compagni, amori. E meritano di essere ricordati da
noi per come erano, senza creare immagini idealizzate. Li
abbiamo vissuti nella loro quotidianità, nei loro difetti e
nelle
loro insicurezze, ed è così, che resteranno nei
nostri cuori.
Quello
che vi chiedo, ora, è di pensare alle persone che abbiamo
perso in
questa battaglia e di ricordarle per quello che vi hanno donato, per
grande o piccolo che fosse. Ricordare i loro sorrisi o i loro
consigli, i loro abbracci o le loro ramanzine, i loro baci o le
pacche sulla spalla. Luna
Lovegood leggerà per noi i loro nomi, perchè non
siano mai
dimenticati, perchè nessuno di loro possa essere lasciato
solo.
Vieni Luna.”
Da
una sedia, in un angolo della Sala, la piccola figura di Luna si era
alzata rapidamente e si era diretta sicura verso la Docente di
Trasfigurazione. Indossava un abitino di un arancione pallido, che
scendeva fino alle ginocchia, lasciandole scoperte, a mostrare le
escoriazioni e lividi sulle sue gambe magre; le spalle erano coperte
da un golfino bianco di filo a piccolo punto, chiuso sul petto da un
solo piccolo bottone. Non aveva collane, ma indossava i suoi
orecchini a ravanello, con che ondeggiavano al ritmo dei suoi passi.
La
professoressa McGranitt le aveva ceduto il posto, posandole con
dolcezza una mano sul braccio, per guidarla davanti alla lista che
avrebbe letto di lì a poco. Luna aveva sorriso e con la sua
vocina
da bimba, che però sembrava aver perso un poco quel tono
svagato che
l'aveva sempre contraddistinta, aveva iniziato a scorrere quella
lista di ricordi.
- Severus Piton, Serpeverde. -
Harry
Potter, seduto in prima fila, stringendo la mano di Ginny, aveva
chiuso gli occhi, ascoltando quel nome. Un macigno nel petto, a
ricordargli quante volte aveva accusato il professor Piton, quanti
sospetti e quante colpe gli aveva attribuito. Ricordava il turbamento
e la paura, davanti al lampo verde uscito dalla sua bacchetta diretto
al petto di Silente sulla Torre di Astronomia.
Gli
occhi neri di Severus, alla fine, mentre gli donava i suoi ricordi,
mentre gli chiedeva di guardarlo negli occhi, mentre se ne andava
bisbigliando il nome di sua madre.
Minerva
Mc Granitt aveva ricordato lo sgomento provato davanti al corpo senza
vita dell'amico Albus, il dolore che l'aveva spezzata, la rabbia
contro l'uomo che aveva ingannato anche il mago più saggio
che
avesse mai conosciuto. Aveva pensato all'uomo che aveva conosciuto e
accanto al quale aveva combattuto nell'Ordine e a quanto il suo
inganno fosse, in realtà, ben riuscito. Quell'uomo aveva
davvero
giocato tutti, lei compresa, ma la proporzione di quelle bugie e
specialmente la loro origine le avrebbero sempre lasciato un amaro
rammarico: quello di non aver capito prima quanto realmente fosse un
uomo di valore.
- Remus Lupin, Grifondoro. -
Neville Paciock aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani, posate sulle ginocchia, poi sull'orlo della gonna di sua nonna Augusta. Per quanto potesse sembrare assurdo, aveva sorriso, riascoltando dentro di sé la risata del Professor Lupin davanti al molliccio che aveva assunto l'aspetto di Piton con il cappello a corvo della nonna. Era stato il primo vero professore di Difesa contro le Arti Oscure, aveva tenuto le loro prime vere lezioni e, per la prima volta, gli aveva donato quella briciola di fiducia in sé stesso che credeva non avrebbe mai trovato.
- Nymphadora Tonks, Tassorosso. -
Hermione Granger si era trovata davanti il viso di Tonks a Grimmauld Place, pensando con tenerezza ai giochi che faceva con loro cambiando la forma del suo naso, al colore improbabile dei suoi capelli e alla sua goffaggine sempre fuori luogo che veniva compensata dalla sua allegria e dal suo coraggio. Con gli occhi chiusi aveva rivisto il momento in cui lei e Remus avevano annunciato l'arrivo del piccolo Teddy con tutta l'emozione e quel poco di paura che ogni futuro genitore prova almeno per un momento. Aveva spostato gli occhi su suo figlio, che ora era sdraiato pacificamente in braccio ad Andromeda e con un minuscolo dito si torturava una ciocca di capelli blu cobalto che gli ricadevano sulla fronte.
- Colin Canon, Grifondoro. -
Un bimbetto con una macchina fotografica più grande di lui, la sua ossessione di fotografare Harry Potter in ogni momento, i suoi appostamenti improbabili dietro ogni angolo potesse nascondere uno scatto degno della sua attenzione; questi erano i ricordi che si erano presentati alla mente di Harry, che non aveva potuto far altro che aprire gli occhi e guardare di nuovo quei capelli biondi nascosti dietro il flash, quando si era ripreso dopo la caduta per colpa dei Dissennatori. E, ancora, lo spavento e il dispiacere di vederlo pietrificato sul letto in infermeria, dopo la liberazione del Basilisco dalla Camera dei Segreti. Era sempre stato un ragazzino coraggioso, a modo suo, il piccolo Colin.
- Fred Weasley, Grifondoro.-
Molly
Weasley era rimasta aggrappata al braccio di Percy per tutta la
lettura, aveva guardato i suoi figli a uno a uno, mentre scorrevano i
nomi sulla lista. Quando era arrivato il nome di Fred aveva ricordato
il suo sorriso irriverente a undici anni, accanto a quello di George,
quando appena scesi dall'Hogwarts Express avevano terrorizzato Ronald
con i racconti surreali dello Smistamento. Ricordava
quanto si divertissero ad invertirsi, il loro darsi forza e sostegno
l'un l'altro. Aveva rivisto i
suoi occhi
brillanti di eccitazione per il loro negozio appena aperto a Diagon
Alley, per il successo dei loro scherzi. Aveva osservato di nuovo il
panico
di Fred dopo aver saputo che George era stato ferito. Infine, aveva
spostato lo sguardo su George,
stretto
nell'ultimo maglione che aveva fatto per il suo gemello e, ancora una
volta, li aveva visti entrambi. Aveva stretto la mano di suo marito
fino a farsi sbiancare le nocche, mentre versava altre lacrime sulle
innumerevoli che erano già sgorgate copiose dalla notte di
quattro
giorni prima.
Ginny
Weasley aveva ricordato il suo primo giro su una scopa, quando aveva
sei anni, seduta davanti a Fred, che aveva finto di farla cadere una
decina di volte, facendola strillare a più riprese, mentre
George se
la rideva a crepapelle volando subito dietro di loro.
George
Weasley non aveva pensato a niente. Non aveva un ricordo per suo
fratello, non aveva un'immagine da richiamare; per lui non era come
gli altri, lui non aveva perso solo un fratello, se n'era andata
metà
di se stesso e nulla di quello che avrebbe ricordato sarebbe potuto
essere anche solo vicino a ciò che Fred era realmente per
lui.
Nessuno avrebbe capito quello che stava provando fino in fondo. Per
lui, d'ora in avanti, tutto sarebbe sempre stato vissuto a
metà.
Ronald
Weasley era immobile sulla sua sedia, con lo sguardo fisso sulla mano
di Hermione che gli stringeva la gamba, in una carezza che voleva
essere di conforto. Riusciva solo a sentire la voce di Fred l'ultimo
giorno che aveva trascorso a Hogwarts, mentre diceva a George:
“Credo
che abbiamo raggiunto l'età per interrompere la nostra
carriera
accademica”. Lo sentiva ridere di gusto e rivedeva la sua
schiena
allontanarsi sulla scopa. L'aveva invidiato, allora, avrebbe voluto
essere come lui, se non al suo posto. E ora, non c'era più
nessuno
da invidiare o da ammirare.
Per
molti minuti, era proseguita quella lettura e ad ogni nome, in tutte
le menti presenti nella sala era comparso un volto, un ricordo, un
aneddoto. Qualcuno aveva versato una lacrima, qualcun altro si era
appoggiato alla spalla della persona al suo fianco, cercando
lì la
forza che sembrava mancare.
Circa
cinquanta persone avevano perso la vita in quella battaglia ed ognuna
aveva una storia, una famiglia, ciascuna aveva lasciato
qualcuno che avrebbe sentito la sua mancanza. Infine, un ultimo nome
era stato pronunciato dalla voce di Luna, un nome riecheggiato in
silenzio tra le menti dei presenti nella sala:
- Vincent Tiger, Serpeverde. -
Erano stati secondi interminabili, quelli che avevano accompagnato Luna al suo posto. Secondi che sembravano racchiudere troppe parole, troppi rumori, troppi tormento. In questi attimi, Augusta Paciock aveva raggiunto il leggio, alzando la testa dalle sue mani per guardare negli occhi suo nipote con un sospiro di orgoglio e sollievo.
“Mi
hanno chiesto di dire qualcosa, oggi. Ho pensato molto a cosa fosse
giusto dire per commemorare questa battaglia e queste persone che vi
hanno perso la vita. Ma quello che ora mi sento di dirvi è
un po'
diverso. Ricordate ognuno di loro, mantenete vivo l'amore che provate
e il loro ricordo perchè potranno esservi, così,
un poco più
vicini. Ma non dimenticate mai che questa Guerra non è stata
la
Battaglia di Hogwarts; questa battaglia è stata l'esplosione
di una
malattia lenta e infida, che si è insinuata per anni nella
Comunità
Magica, silenziosa e crudele, portando via vite e sogni, speranze e
famiglie. La vittoria di oggi è una vittoria su anni di
paura, ma
soprattutto è una vittoria per mio figlio Frank e mia nuora
Alice, è
una vittoria per il mio Neville, per me e per il giovane Harry
Potter. Quella di oggi è la vittoria di tutti quelli che in
questo
stillicidio hanno perso qualcosa di importante, qualcosa che spettava
loro di diritto.
Quello
che vorrei ricordaste, quindi, è che questo giorno
soprattutto per
OGNI vittima di Voldemort e delle sue follie, per ogni persona che
sia morta per mezzo della sua bacchetta o per mano dei suoi gregari.
Per tutti coloro i quali, a causa sua, hanno subito una mutilazione,
che fosse del corpo o dell'anima.”
******
Ginevra
Weasley camminava nei corridoi della scuola da sola. Dopo la
cerimonia aveva salutato la sua famiglia e aveva detto loro che
preferiva restare lì ancora per qualche giorno; aveva
bisogno di
immergersi in quelle mura, di fingere per un po' che tutto fosse
normale, che a breve ci sarebbero stati gli esami, poi le vacanze e
che niente era cambiato.
Stava
girando da ore per quelle stanze e per quei passaggi che ormai
conosceva a memoria, che avrebbe potuto percorrere ad occhi chiusi.
Non riusciva a tornare in Sala Comune, non riusciva nemmeno concepire
l'idea di restare ferma in una stanza, seduta a non fare niente.
Di
dormire poi non voleva nemmeno sentirne parlare. Camminare senza meta
le era sembrata la sola soluzione plausibile. Non che ci avesse
lungamente pensato, prima di mettersi in marcia, solo che mentre lo
faceva per ritornare dal giardino in cui aveva salutato tutti, si era
resa conto che ogni cosa le sembrava più sopportabile,
mentre
metteva un piede davanti all'altro.
E
proprio così, mettendo un piede davanti all'altro, si era
ritrovata
davanti alla Palude Portatile lasciata in onore dell'impresa dei suoi
fratelli di un anno prima.
Quello che però aveva trovato accanto a quel modesto monumento ai gemelli l'aveva sorpresa non poco. Suo fratello George era seduto sul ciglio della palude, con in mano una bottiglia di Firewishky mezza vuota ed ancora indosso il maglione di Fred. Fissava la superficie dell'acqua fangosa, con le gambe raccolte al petto ed un braccio a cingerle entrambe e di tanto in tanto portava la bottiglia alla bocca, prendendone un lungo sorso, per tornare immediatamente a fissare la palude.
- George, cosa fai qui? Non eri andato alla Tana con mamma e papà?-
Suo fratello aveva sollevato lo sguardo e l'aveva osservata con disattenzione, come se in realtà non la vedesse, poi aveva l'aveva fissata, come per riconoscerla solo in quel momento e si era aperto in un mesto sorriso.
-
Hey Gin. Non mi sono mai smaterializzato. Appena tu ti sei
incamminata verso la scuola io sono venuto qui, passando per un'altra
strada. Brindavo a Fred, sai... Vuoi unirti a noi? - le aveva chiesto
alzando in modo significativo la bottiglia verso di lei, guardandola
con gli occhi lucidi per le lacrime e per l'alcol.
-
Certo che voglio.- aveva affermato Ginny, mentre gli si sedeva
accanto e gli prendeva dalle mani il Firewishkey per berne una
generosa sorsata.
Nessuno
dei due aveva detto una parola in più. Erano rimasti
lì seduti, a
guardare la Palude insieme; Ginny ricordando di nuovo ogni sorriso e
ogni gesto di suo fratello, ogni minuto passato insieme, ogni scherzo
subito e ogni diabolica marachella progettata, George semplicemente
ascoltando il silenzio; quello che era rimasto dentro di lui nel
momento in cui la risata di Fred era morta sulle sue labbra. Non
sarebbe più stata la stessa cosa, nemmeno lui sarebbe
più stato la
stessa persona.
Poi,
ad un certo momento, il solo motivo che avrebbe potuto smuovere i due
fratelli dal loro torpore, si era concretizzato: la bottiglia era
vuota. George l'aveva agitata davanti al naso di Ginny, poi si era
alzato e le aveva allungato la mano, per aiutarla ad alzarsi. Si
erano incamminati insieme verso la Torre di Griforndoro senza bisogno
di dirsi dove erano diretti. Barcollando e sostenendosi l'un l'altro,
affrontando non poche difficoltà davanti alle numerose rampe
di
scale che conducevano al dormitorio, erano giunti all'ingresso della
Torre. Una Signora Grassa con un braccio al collo ed una grossa
medicazione sulla tempia li aveva fatti entrare immediatamente, quasi
senza che Ginny le sussurrasse la parola d'ordine.
Appena
varcata la soglia della Sala Comune Ginny aveva avuto la sensazione
di essere osservata; le era bastato spostare lo sguardo dai suoi
piedi, che aveva faticato tanto a portare fin oltre quel pertugio,
per vedere la sagoma del Salvatore del Mondo Magico che la guardava
di sbieco dalla poltrona davanti al camino. Ma era durato solo per un
secondo, il secondo che precedeva la rovinosa caduta di George dietro
di lei, che l'aveva travolta, trascinandola con sé sul
pavimento.
- Scusami sorellina, sono inciampato.- aveva detto biascicando, mentre strisciava verso il tappeto cercando di rialzarsi.
Harry si era alzato senza proferire verbo, aveva aiutato George a rimettersi in piedi e poi era andato da lei, che era ancora sdraiata sul pavimento, indecisa se ridere per l'assurdità della caduta, vomitare per la nausea che le era salita dopo il ruzzolone o piangere ogni lacrima che le era rimasta per suo fratello. Le aveva spostato i capelli da davanti al viso e poi l'aveva presa in braccio, facendole poggiare la testa sulla sua spalla. Da quella posizione Ginny aveva guardato George sedersi scompostamente su uno dei divani e guardare le fiamme del camino con un'espressione distratta, persa, assente. Harry le aveva baciato la fronte e poi si era avventurato su per le scale del dormitorio maschile, fino alla sua stanza. Non c'era nessuno quella notte. Neville era tornato a casa con la nonna, così come tutti gli altri, tranne Ron che era disperso chissà dove, probabilmente con Hermione. L'aveva adagiata sul letto con dolcezza e le aveva staccato le mani dalla sua camicia, dove lei le aveva serrate con forza.
- Non vado da nessuna parte Gin, tranquilla. Avanti, sdraiati.-
Continuava
a sentire la testa girare, lo stomaco ribellarsi alla sua brillante
idea di consolarsi con la bottiglia e un vuoto terribile dentro il
petto. Harry era lì con lei, questa volta, anche se la sua
vista non
le rimandava un'immagine che si sarebbe potuta definire propriamente
nitida; era seduto sul bordo del letto e la guardava con
un'espressione impotente.
Avrebbe
tanto voluto fare qualcosa per lei, per lenire quel dolore, per farla
sentire meno vuota; non riusciva a capire la sua scelta di ubriacarsi
a quel modo, non comprendeva come avesse potuto preferire quello al
conforto, seppur irrisorio, che lui le avrebbe potuto offrire con le
sue parole, con il suo affetto. Ma non doveva capire, né
giudicare.
Si era sforzato di pensare a questo, mentre la vedeva sollevarsi sui
gomiti verso di lui.
Ginny
guardava negli occhi l'Eroe del Mondo magico, vedendo soltanto quel
verde che per tutto quell'anno scolastico l'aveva tormentata, di
notte nei sogni e di giorno nei ricordi. Guardava negli occhi di
Harry e vedeva finalmente l'amore che lui provava per lei, libero
dalla paura di Voldemort, libero dai troppi vincoli che lui stesso si
era imposto prima della vittoria, paventando lo
spauracchio
della Guerra, i timori per la sua sicurezza. Ancora prima di
rendersene conto in modo cosciente Ginevra aveva scelto come provare
a superare quella notte, come tentare di restare a galla. Aveva
afferrato il colletto della camicia di Harry con una mano, mentre con
l'altra si sosteneva per restare seduta sul letto senza ondeggiare
pericolosamente, e l'aveva tirato verso di sé. Non appena le
loro
labbra si erano incontrate aveva sentito qualcosa sciogliersi e il
dolore diventare liquido nel petto. Non se ne sarebbe andato, questo
era certo, ma in quella forma forse sarebbe stato più
sopportabile.
Harry era rimasto rigido davanti a quell'assalto completamente
inaspettato, ma quando Ginny si era lasciata cadere sul materasso,
trascinandolo con sé, aveva capito che niente importava
più. Si era
fatto trasportare da lei, dalle sue mani che gli slacciavano
febbrilmente ogni bottone della camicia, dalle sue labbra che
assaggiavano ogni centimetro del suo torace.
L'aveva
sognata a lungo, durante l'inverno alla ricerca degli Horcrux,
l'aveva immaginata con sé in ogni momento, ma mai avrebbe
pensato
che sarebbe stato così, con tutta questa rabbia e questo
dolore, che
si sarebbero ritrovati. Aveva lasciato che ogni sentimento provato,
che ogni scheggia di sofferenza e di rancore fluissero, attraverso di
loro, fuori dai loro corpi. Il profumo di Ginny, la sensazione della
sua pelle sotto le dita, gli avrebbero permesso di ricominciare da
capo.
Ginny
aveva assaporato di nuovo l'odore di Harry, il suo sapore, il calore
delle sue mani; aveva lasciato che la passione per lui si facesse
spazio nella sua mente, schiacciando in un angolo, per qualche
momento, tutto il resto. Non ci era riuscita, ma l'angoscia che
provava aveva trovato sfogo in quell'unione, il dolore per ogni
perdita aveva trovato un flebile conforto nel sentirlo con
sé,
finalmente, dopo tanti mesi. E quando l'aveva sentito spingersi in
lei, con quel desiderio per tanto tempo rimasto insoddisfatto, aveva
lasciato andare le lacrime.
*****
Hermione
stava cercando Ron da più di mezz'ora ormai. Dopo la
funzione in
Sala Grande erano andati con Ginny a salutare tutta la famiglia nel
giardino della scuola, li avevano guardati per qualche momento mentre
si allontanavano a piedi verso Hogsmeade per potersi smaterializzare
e poi si erano avviati insieme verso le porte del grande castello.
Erano
passati davanti al grande spiazzo che a settembre, al ritorno a
scuola degli studenti, avrebbe ospitato il Memoriale per le vittime
di Voldemort. Avevano deciso di sistemarlo sulla collina, in modo che
potesse dominare tutta la scuola dall'alto e che tutti coloro i quali
sarebbero entrati l'avrebbero visto lassù, con tutti i nomi
e con
tutti i ricordi che racchiudeva.
Ron
non aveva parlato molto durante tutto il pomeriggio, lo aveva fatto
solo per esporre qualche informazione assolutamente necessaria oppure
per avvertirla di qualcosa.
“Mione, stai attenta al gradino.”
“Mione, vado un attimo in bagno. Aspettami.”
“Mione facciamo una passeggiata sul Lago.”
“Mione, ho fame, scendiamo in Sala Grande per cena.”
Durante
tutte quelle ore aveva tenuto stretta la sua mano freddissima nella
sua, bollente, e l'aveva trascinata di qua e di là in ogni
cosa
sentisse la necessità di fare e lei l'aveva seguito,
assecondando
ogni suo desiderio.
Ora
erano seduti in Sala Grande, per cena appunto, ed Hermione guardava
Ron mangiare ogni oggetto commestibile fosse presente su quella
tavola; si chiedeva, molto malignamente, pensò tra
sé, se sarebbe
stato capace di mangiare anche uno Schiopodo Sparacoda, se inondato
di salsa e presentato in un piatto. La risposta che si diede era che,
si, probabilmente l'avrebbe fatto.
Si
riprese mentalmente per quel pensiero cattivo e sorrise al suo
ragazzo, che le restituì un sorriso stentato, nascosto
dietro ad un
bicchiere di succo di zucca. Il suo ragazzo. Ancora non riusciva bene
a capacitarsi di quanto stava succedendo.
Amava Ron? Certamente.
Aveva sperato per tanto tempo che si accorgesse di lei, che riuscissero a stare insieme.
Era felice? No.
Ma
anche questo era perfettamente normale. Si erano scambiati quel bacio
fugace, in un momento che era il meno appropriato possibile
all'esternazione di un sentimento di quel genere, dopodichè
la
tragedia della morte di Fred e di tutti gli altri si era abbattuta
sulle loro teste.
Non
aveva avuto neanche il tempo di essere felice, perchè il
dolore
aveva immediatamente preso il posto di qualunque esaltazione o
manifestazione di gioia avesse tentato di affacciarsi ai loro cuori.
Dalla
fine della battaglia in poi era stata accanto a Ron in ogni momento,
perchè aveva percepito il suo bisogno di sentirla con
sé, ma
l'unico gesto che lui aveva continuato a fare, nei suoi confronti,
che si discostasse un poco dall'amicizia, era quel suo costante
tenerle la mano, in ogni momento.
L'aveva
lasciata soltanto ora, mentre erano seduti al tavolo ed aveva
comunque preteso che lei gli stesse seduta accanto, non di fronte,
per poterla sentire vicino.
Ron
si era rifugiato in Hermione perchè era la sola persona che
riusciva
a sopportare di avere di fianco senza crollare; lei gli dava quella
sensazione di sicurezza, di pace, che aveva trovato soltanto tra le
braccia di sua madre, quando da piccolo veniva tormentato dai
dispetti dei gemelli.
I gemelli. Fred.
Si era alzato di scatto dal tavolo, trascinando con sé parte della panca e facendo sussultare Hermione per lo spavento. Si era precipitato fuori dalla Sala Grande, lontano dalla vista di tutte quelle persone che sentiva di conoscere appena, lontano da tutti quegli occhi giudicatori, e poi su per le scale. Si era fermato su un pianerottolo e seduto su uno dei davanzali delle grandi finestre gotiche della scuola. Finalmente, lì, lontano da ogni sguardo, si era lasciato andare al pianto che aveva trattenuto per quattro giorni.
Hermione
l'aveva raggiunto in pochissimi minuti, giusto il tempo di capire che
strada avesse preso e di seguirlo su per le scale. L'aveva trovato
accovacciato nella nicchia della finestra, con la testa appoggiata
sulle ginocchia e le spalle scosse dai singhiozzi. Sembrava un
bambino cresciuto troppo e troppo in fretta, racchiuso in quel
piccolo spazio.
Si
era avvicinata a lui e gli aveva circondato le spalle con un braccio,
per poi posargli un bacio leggero sulla testa.
- Ron...- gli aveva sussurrato - Hey, guardami. Non devi nasconderti. -
Aveva soltanto mugugnato qualche sillaba, scuotendo la testa senza alzarla dalle ginocchia.
- Non nasconderti da me almeno, dai. -
Gli
aveva preso il viso tra le mani, poggiando i palmi sulle guance umide
di lacrime e l'aveva sollevato verso il suo. Ron aveva subito fuggito
il suo sguardo, come se si vergognasse di quella manifestazione di
dolore.
Lei
gli aveva asciugato una lacrima con il pollice e poi si era sporta un
poco verso di lui, poggiando le labbra sulle sue in un bacio dolce,
tenero, che voleva essere una manifestazione di affetto sincero, di
comprensione, di vicinanza. Si era allontanata quasi subito, per
prendergli poi la mano e tirarlo giù da quella finestrella.
- Vieni con me.-
L'aveva
portato nel corridoio che conduceva all'aula di Divinazione, quello
più lontano dal trambusto prodotto dalle persone che erano
rimaste
nella scuola; aveva frugato per qualche minuto nelle tasche dei jeans
e vi aveva trovato quello che stava cercando.
Mai
qualcuno avrebbe scommesso sulla presenza di un simile oggetto nelle
tasche del Prefetto Granger, eppure, ne aveva estratto uno dei Fuochi
d'Artificio dei Tiri Vispi Weasley e l'aveva acceso, sotto lo sguardo
esterrefatto del suo ragazzo.
Lampi
e spirali rossi e oro si erano librati sopra le loro teste per
qualche minuto e mentre li guardava, Hermione aveva stretto la mano
di Ron, che l'aveva attirata contro il suo petto per abbracciarla.
Solo allora, in quel momento, si rese conto di quanto il dolore per
la morte di Fred fosse anche un suo diritto, quanto anche lei
l'avesse amato e quanto anche lei, pur non essendo una Weasley, ne
avrebbe sentito la mancanza.
Quando
i bagliori dei Fuochi si erano dissolti, si era girata verso Ron e
quando lui aveva visto le lacrime sul suo viso aveva scosso la testa,
gliele aveva asciugate con una mano e l'aveva baciata con foga, quasi
goffamente, stringendola a sé con quelle braccia grandi, che
ancora
stava imparando a comandare. Lei si era divincolata dalla presa poco
dopo e si era incamminata verso la propria camera. Ron l'aveva
seguita, caracollandole dietro per afferrarle di nuovo quella mano,
come durante tutto il giorno.
Una
volta in camera, Hermione si era nascosta dietro l'anta dell'armadio
per togliersi gli abiti che aveva tenuto per tutto il giorno, per
indossare un paio di pantaloncini blu e una semplice maglietta, molto
abbondante. Ne aveva lanciata una uguale a Ron e l'aveva raggiunto
sul letto.
Si
era seduta sul materasso, con le gambe allungate in avanti e la
schiena poggiata alla testiera e aveva fatto cenno al suo ragazzo di
raggiungerla. Lui si era rannicchiato accanto alle sue gambe e le
aveva poggiato la testa in grembo, mentre le accarezzava le gambe con
una mano.
Ron
aveva sentito subito la consueta sensazione di pace, quella che
provava quando Hermione gli restava accanto e aveva chiuso gli occhi,
cercando di congelare quel momento.
Si
erano addormentati così, con le mani di Hermione tra i
capelli di
Ron e con il pensiero che forse, un giorno, sarebbero stati anche
felici, insieme, senza quel retrogusto di malinconia che aveva
permeato ogni momento, da quel loro primo bacio.
Benvenuti nei meandri della mia mente malata. Il titolo è CHIARAMENTE un omaggio ai Muse (tanto tanto amore per loro) e una sorta di "ispirazione" per quello che accadrà nella storia. Si, non si capisce, lo so, ma sono malefica. :)
Ringrazio ognuno di voi per essere arrivato fino qua, è già una grande cosa e ringrazio quei lettori fedeli che non mi abbandonano mai (si si dico proprio a voi)... xD
Questa storia parte canon che più canon non si può, almeno per me, ma se siete amanti delle cose fatte come vuole mamma Row diffidate di me, sono quanto di peggio potrebbe capitarvi, a discapito di quanto possa sembrare. Questo è solo l'inizio e la storia ha intenzione di discostarsi parecchio.
Non
ho moltissimo da dire per introdurre alla faccenda. Come avrete capito
e immaginato
si piazza subito dopo la sconfitta di Voldemort e non terrà
conto
nella maniera più assoluta dell'epilogo, che per me
è assolutamente
irrilevante, anzi oserei dire inesistente.
Aspettatevi
parecchie testoline bionde e parecchio Slytherin Pride, tengo sempre
per il lato Oscuro e ne vado molto fiera, che ci vogliamo fare... xD
Per questa volta vi lascio brevemente, ricordandovi solo che se volete addentrarvi ancora di più nella mia folle psiche, potete venire a trovarmi su Facebook. Sono QUI. xD