C'era
una volta un avventuriero.
Egli, dopo molte vicissitudini, finalmente, riuscì a trovare
la
grotta e vi entrò. Vi era un silenzio quasi sacro, quel tipo
di
silenzio che aleggia nelle cattedrali i giorni di festa. Ma quella
non era una cattedrale, o, meglio, non lo era più:
probabilmente lo
era centinaia di anni prima, o per lo meno il suo corrispettivo
presso i popoli ancestrali che abitavano quella regione. Ma poi, come
su ogni cosa, vi si era avventato il tempo.
Si
addentrò nel buio, e,
lentamente, man mano che i suoi occhi si abituavano
all'oscurità (ci
si abitua sempre all'oscurità. E' stranamente straziante il
pensiero
che lentamente ci si abitua anche a quella più profonda e
spaventosa) riuscì a distinguere quell'ambiente spartano ed
ancestrale: era una sorta di nicchia alta poco meno di due metri
(doveva stare leggermente incurvato per non toccare con i capelli il
soffitto ricoperto di muschio verdognolo ed umido), di circa tre
metri di raggio. Al centro di quel semicerchio imperfetto si trovava
un altare ( “L'Altare!” esultò
l'avventuriero dentro di sé).
Gli si avvicinò e con somma gioia la vide: la Lampada. Il
suo Santo
Graal. Il motivo per cui aveva vagato per tutta la sua vita. La sua
ricerca. La sua stella polare era poggiata, quasi con noncuranza, su
quell'altare di pietra scarnificato. Riuscì a stento a
trattenere
urla di giubilo. Ma non riuscì ad impedirsi di prenderla con
veemenza. Era fredda al tatto, puzzolente di secoli morti
all'olfatto. Ma mai nessuna puzza gli fu più gradita di
quella. La
strofinò, gli occhi, ormai, bagnati dalle lacrime.
Ma
niente accadde.
Niente
luce magica.
Niente
scintille.
Niente.
Il suo
cuore si riempì di
delusione, di estremo, profondo, straziante dolore. Aveva
attraversato paludi e foreste, era stato pugnalato e picchiato, aveva
pianto ed invocato Dio per raggiungerla, per poterla stringere a
sé.
Quella lampada era stata causa e forza della sua ricerca. Ma in fondo
non fu sorpreso che non accadde nulla: quella era là
realtà. Quella
non era una favola che cominciava con “c'era una
volta”. Quella
era...
<<
TU MI HAI CERCATO. TU MI
HAI RISVEGLIATO >>
Dal
nulla.
Una voce
dal nulla.
O,
meglio, era come se quella voce
fosse immanente alle pareti della grotta. Quella voce era la grotta
stessa. Si sentì immensamente piccolo di fronte alla potenza
incontenibile di quella voce, che sembrava non appartenere ad alcun
corpo, bensì all'universo stesso.
<<
E ALLORA PERCHE' SEI
COSI' SCOVOLTO DI VEDERMI E DI UDIRMI? >>
L'avventuriero
si rese conto di
avere gli occhi sgranati e la bocca spalancata. Era un'immagine quasi
comica, sembrava il personaggio di un fumetto...
<<
N-no... n-non s-sono
so-so-sorpreso... >> balbettò.
<<
HAI SUPERATO DRAGHI E
MOSTRI, HAI VERSATO LACRIME E SANGUE PER GIUNGERE A ME. NON TI SEI
FERMATO ALLE DOLCI LUCI DEI RAGGI BETA O ALLE PORTE DORATE DI
TRAFALGORE. TU HAI CONTINUATO, HAI AVUTO FEDE IN ME, NELLA MIA
ESISTENZA. E MI HAI RAGGIUNTO, FINALMENTE. LA TUA FEDE E' STATA
UDITA. QUINDI DIMMI: QUALE E' IL TUO DESIDERIO? >>
Quel
momento. Aveva continuato nel
suo cammino o supplizio per giungere, finalmente, ad udire quella
domanda. La domanda.
<<
La felicità. Vorrei
essere felice. >> disse guardando nel
“volto” la grotta,
con un filo d'oro orgoglioso nella matassa della sua voce.
<<
NIENTE DI PIU' FACILE. TU
POTRAI ESSERE FELICE. MA DEVI DECIDERE: CONSACRARE PARTE DI TE, DEL
TUO SPIRITO ALLA FELICITA', O VICE VERSA, CONSACRARE LA FELICITA'
AUTENTICA PER UNA TUA ESSENZA PURA. E' UNA DECISIONE MANICHEA. O
TESTA O CROCE. DUE FACCIE DELLA MONETA DELLA VITA. >>
<<
P-perché? Perché?
Perché?! >>
Lacrime
solcavano il suo volto
sconvolto, il suo spirito sanguinante.
<<
NON VI E' UN PERCHE'.
PERCHE' SEI NATO TU E NON UN INDIVIDUO DIFFERENTE? IL CASO. LA VITA.
LA NECESSARIETA'. E' COSI' E NON POTREBBE ESSERE IN MODO DIFFERNTE
POICHE' COSI' E' ORA. NON DEVI COMPRENDERE. LA TUA FELICITA' ESCLUDE
LA TUA PERSONALITA'. AL TUO IO PIU' PURO E' PRECLUSA LA FELICITA'.
SCEGLI COSA CONSACRARE. >>
Il
silenzio calò.
Doveva
scegliere. Non se ne
sarebbe andato senza prima aver scelto. Non importava quanto dolorosa
e innaturale sarebbe stata la scelta. Certe volte non si può
non
scegliere.
Ma cosa
scegliere?
Se
stesso? La felicità?
Divenire
un essere monco ma felice
o rimanere se stesso, completamente, puramente se stesso, ed essere
destinato ad un'eternità d'infelicità?
Cosa
doveva rinnegare? Cosa doveva
abbracciare?
Non ci
riusciva... non poteva...
Rinnegare
la felicità? Ora che
era così vicina? Ora che, finalmente, poteva quasi toccarla.
Mai –
mai – era stata così vicina. E solo Dio sapeva
quanto avrebbe
voluto abbandonarsi ad essa, completamente e silenziosamente perdersi
in essa.
Eppure...
Eppure
il prezzo era altro,
dannatamente alto!
Troppo
alto?
Abramo
che sacrifica Isacco, solo
che questa volta non vi era alcun Dio: Dio era affogato nel suo
stesso vomito alcolico.
Se
stesso...
Come
poteva immolare le parti più
profonde di sé? Le uniche che gli erano state accanto nella
solitudine più profonda. Amici ed amori sbocciavano ed
appassivano,
ed ogni volta era come pugnalate al cuore, ogni volta era come morire
sapendo di dover rinascere per poi spirare di nuovo. Ma egli era
sempre stato con se stesso. Sempre. Che senso poteva avere essere
felici se lui non era più? Se avesse abbandonato anche se
stesso? Un
altro sarebbe stato felice. Non lui.
Ma
anche una vita di dolore che senso poteva avere? Sapere di svegliarsi
ogni mattina aspettando nuove lacrime e nuovo dolore, in un completo,
infinito, immutabile status
quo di
dolore e di bestemmie. Che senso aveva vivere in un cosmo
d'infelicità? Non sarebbe nemmeno stato vivere... sarebbe
stato
un'eterna attesa di un dolore immancabile e onnipresente.
Felicità...
Se
stesso...
Doveva
essere felice...
Ed ora
poteva esaudire il suo
desiderio di felicità...
Eppure...
Il suo
animo era in subbuglio,
dominato da tremori e profonde lotte che lo scuotevano fin negli
antri più ancestrali ed oscuri.
Se
stesso...
Felicità...
Finalmente,
piangendo per ciò che
avrebbe perduto, decise cosa consacrare.
E mentre
parlava si rese conto che
non avrebbe potuto fare una scelta diversa, non dopo tutto
ciò che
era successo.
E la
grotta fu invasa dalla luce.