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Autore: Kobato    09/12/2010    5 recensioni
Sesshomaru, grande e potente demone che salva Rin, una piccola ed indifesa umana, la alleva e la porta con sè, proteggendola sempre...
E se, questa volta, fosse l'esatto opposto?
...
Rin è una giovane donna, già in età da marito, che vive con la sua famiglia, quella da cui è stata adottata, tempo prima.
Strettamente legata al fratello maggiore, alle sue amiche e alla serenità che vige nel suo villaggio, la ragazza sembra passare le sue giornate tranquillamente, finchè... In procinto della festa celebrativa per il buon raccolto annuo, viene mandata dalla madre a lavare dei panni vicino il fiume - lo stesso in cui era stata trovata dal padre adottivo - priva di sensi e della sua memoria.
Ed è proprio lì che Rin lo incontra... un giovanissimo youkai, dall'aspetto di un ragazzino, dai capelli d'argento e gli ombri d'ambra.
Sesshomaru.
Da qui, cominciò tutto...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Rin, Sesshoumaru
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sì, me ne rendo perfettamente conto che sto portando avanti troppi progetti.
Eh sì, lo so che alcuni mi ciuncheranno le mani per aver preferito pubblicare questo, piuttosto che il prossimo capitolo di lovelove only for you, ma... Semplicemente non ho saputo resistere!!!
Insomma... Mi è venuta questa ispirazione e ho incominciato a mandar giù un sacco di roba! E prima che me ne rendessi conto... Avevo già scritto venti pagine XD
Spero solamente che questa ff possa essere di vostro gusto! ^-^
Fatemelo sapere!! Grazie in anticipo dell'attenzione che le dedicherete!
Arigatou gozaimasu!!!


************************************
Un raggio di sole era entrato di soppiatto attraverso la porta scorrevole, dato che la sua piccola stanza era priva di una finestra, tanto da raggiungerla nel futon, proprio sugli occhi.
Infastidita, si lagnò di quella improvvisa luce così irritante e si girò dall’altra parte, per poter proseguire il suo sonno, apparentemente indisturbato.
“Rin!” la chiamò, però, una voce femminile, facendole perdere anche l’ultima speranza di poter riposare ancora per qualche minuto.
“Sì, arrivo subito!”  rispose con tono ancora assonnato, nonostante la frase lasciasse intendere una certa prontezza e celerità da parte sua.
Di fatti, non riuscì a trattenere uno sbadiglio.
Non le ci volle molto per lavarsi e successivamente indossare il suo solito kimono, gli zori e legarsi i capelli in un’alta coda di cavallo, in modo da trovarsi più agevolata nei movimenti e, di conseguenze, nelle faccende di casa.
La ragazza aprì la porta scorrevole e dopo essersela richiusa alle spalle, s’incamminò verso la sala da pranzo, da dov’era provenuta la voce che l’aveva cercata.
Rin entrò nella stanza, scostando la porta scorrevole, con una lentezza quasi esasperante. Era ancora assonnata e sapeva che, dando sull’esterno, la sala ove era solita mangiare con la famiglia, era molto luminosa e che ciò non avrebbe giovato per niente alla sua povera vista.
Si coprì gli occhi con la mano, dando sollievo alla sua vista per poco, finché, iniziando ad abituarsi a quella luce, non la scostò del tutto e la fece ricadere sul fianco.
Sorrise. “Ohayo, oka-san”
Una donna di mezz’età, vestita con un kimono modesto e dal viso pallido, si voltò verso di lei, sorridendole.
Era incredibile come i capelli corvini, raccolti sotto un panno, per non farli sporcare ulteriormente, risaltassero ai suoi occhi, su quel sorriso così candido.
Aveva uno sguardo dolce, la donna, e nonostante sul suo volto si leggesse stanchezza e anche un po’ di malaria, continuava a mostrarle, ostinatamente, quel sorriso così sincero.
“Buongiorno, Rin” le rispose con un filo di voce. “Mi spiace aver disturbato il tuo sonno, ma quest’oggi abbiamo davvero un gran da fare”.
Lei scosse la testa, avvicinandosi alla madre, e ricambiando il suo sorriso, per rassicurarla. “Non devi preoccupartene. Anzi, hai fatto bene. Ieri sera ho tardato ad andare a letto, dato che Chizuru non voleva saperne di prender sonno”.
La donna sospirò, mentre le consegnò tra le mani due scodelle di riso. “Quella bambina… Sta diventando sempre più difficile da gestire.”
Prese le scodelle in mano e, successivamente le posò sul tavolino basso, proprio sotto le hashi, evidentemente state disposte prima dalla madre. “Sta crescendo, oka-san. Non ci si può far nulla”.
“Gomen, Rin-chan! La nostra Chizuru ti da problemi?” squilla una voce, che proviene dall’ esterno su cui si affaccia la sala da pranzo.
Rin scorse la figura di quell’uomo non troppo alto, un po’ robusto e dal viso tutto sommato gentile, nonostante i suoi lineamenti un po’ grossolani e marcati. Gli anni si facevano sentire anche sul corpo e sul volto di quell’uomo.
“Otou-san… Ma no, che dici? Non è assolutamente un fastidio per me. Anzi, stare in compagnia della mia sorellina, mi fa divertire moltissimo.” . Gli sorrise, mentre l’uomo lasciava l’ascia con cui – si vedeva – aveva tagliato la legna fino a poco prima, e si avviava verso il tavolo imbandito.
“Anata… Forse dovresti andare a chiamare i ragazzi. La colazione è pronta” insistette la moglie, rivolgendosi al marito, con aria affabile.
“Non serve. Stanno arrivando” la rassicurò l’uomo, mettendosi seduto sul suo cuscino, per terra. “Kami-sama! Ce n’è di lavoro da fare, eh!”
“E’ per questo che devi fare una pausa. Se non mangi qualcosa, di mattina presto, tra qualche ora crollerai”. La donna sembrava preoccupata per la salute del marito ed anche la ragazza lo era, solo che prima di poter aprir bocca, Rin udì dei passi veloci farsi sempre più vicini. E se aveva imparato qualcosa stando lì da tanto tempo, si trattava di…
“Oayo gozaimashu*!” strillò una vocina acuta, pronunciando anche in maniera errata, ma poco importava.
L’unica che poteva sbagliare una frase così semplice era…
“Chizuru!” la rimproverò la madre, con tono di ripresa, senza però alzare molto la voce. “E’ ancora mattina presta. Non urlare così forte. Che modi sono questi, eh?”
“Chizuru, dovresti ascoltare tua madre. Lo sai che non devi disobbedirle, giusto?” commentò l’uomo con tono più pacato.
“Ah! Oayo, okka-san*! Oayo, oto-san*!” esclamò la bimba, andando loro incontro ed abbracciando prima la madre, poi il padre con tanto affetto.
“Oh, attenta! Non scuotermi troppo o mi farai rovesciare le ciotole di riso dei tuoi fratelli.” . La donna la rimproverò una seconda volta, ma alla fine, ristabilitasi in piedi le rivolse un sorriso caloroso. “Ohayo anche a te, Chizuru” .
Anche lei sorrise, tutta contenta, per poi rivolgere la sua attenzione unicamente a Rin. “Oh! Rin-onee-san, oayo!” cinguettò, allegra, abbracciandole le gambe con fare possessivo.
“Ohayo, Chizuru” le rispose, piegandosi sulle ginocchia e carezzandole i capelli corti, corvini come quelli della madre.
Le dimostrazioni di affetto di quella bambina erano ogni giorno così: ma anche se lo ripeteva quotidianamente, non stancava mai nessuno, data la sua dolcezza, mista a monelleria.
Aveva poco meno di tre anni, ma era paragonabile ad una vera e propria tempesta in casa.
“Ah! Tsukareta!” esordì una voce vivace, sulla soglia della porta scorrevole che da sull’esterno.
La voce proveniva da un ragazzo giovane, circa l’età di Rin, alto poco più di lei, con i capelli castani e gli occhi dello stesso colore dei capelli.
Il ragazzo si stava massaggiando le spalle, come per rinvigorirle dal lavoro svolto appresso al padre.
“Mi ci vorranno come minimo otto ciotole di riso per mantenere un ritmo del genere tutta la giornata!” si lagnò il giovane, togliendosi gli zori – e lasciandoli fuori di casa – per poi entrare nella sala da pranzo ed apprestarsi a sedersi al tavolo.
“Oayo, Keisuke-onii-chan!” lo salutò, prontamente, Chizuru, senza, però, staccarsi dall’abbraccio rassicurante della sorella.
“Ohayo, Chizu-chan!” rispose allegramente il fratello, dandole una carezza sulla testa e poi rivolgendosi a Rin. “Non ti lascia neanche stavolta, eh? Spero ti faccia lavorare! Oggi è un giorno importante”
“Se non si stacca lei, la stacco io. Non temere, non mi sottraggo dal lavoro, io!”
“Che vorresti dire con ciò? Che io mi sottraggo al lavoro? Ma se sto a tagliar legna con nostro padre dall’alba!”
La sorella non trattenne un risolino, per poi rivolgersi a lui con aria solidale. “Sì, sì, hai ragione. Stavo solo scherzando, baka. Ecco a te, il tuo riso” esordì, piazzandogli davanti una scodella ben riempita di riso bianco. Una quantità che, in effetti, sfamerebbe ben due persone.
“Ah, tu sì che mi capisci, Rin-chan!”
In procinto di mangiare, anche la bimba si staccò da lei e i famigliari si sedettero attorno al piccolo tavolino quadrato, per fare colazione.
Sorrise, Rin, pensandoci.
Nonostante potesse sembrare realmente, agli occhi di tutti, che fosse parte di quella famiglia così affiatata e che la trattavano con tale gentilezza e amore, che solo dei veri parenti potrebbero dare alla figlia… Rin non apparteneva a quella gente.
Rin non faceva parte realmente di quella stupenda famiglia.
Ed anche se questo era il più grande desiderio della ragazza, ciò non poteva essere esaudito, né realizzato.
Lo stato delle cose non sarebbe cambiato.
Aveva circa dieci anni quando fu trovata dall’uomo che successivamente diventò suo padre.
Quest’ultimo la rinvenì vicino il letto del fiume, priva di sensi e con ferite sparse per tutto il corpo, specialmente dietro la nuca.
Quando tornò al suo villaggio con la bambina, la moglie ne dedusse che, per il quantitativo di sangue che stava perdendo, doveva aver battuto violentemente la testa da qualche parte.
Cosa che si dimostrò vera, dato che, quando prese nuovamente coscienza, Rin non ricordava assolutamente niente del suo passato.
Niente di niente. Il buio più totale.
Era cresciuta come componente di quella calda famigliola, ma, pur non sapendo niente della sua vita precedente all’incontro coi suoi cari, la ragazza sapeva bene che quella non era la sua realtà.
Più volte, crescendo, si era chiesta in realtà da dove fosse venuta e perché nessuno l’era venuta a cercare.
Prima di essere ritrovata dal suo attuale padre, sul letto del fiume… Non c’era qualcuno che badava a lei? E se c’era, perché quel qualcuno non era andato a cercarla? Che fosse stata abbandonata, perché non voluta?
Erano tutte domande che si poneva di continuo e che ancora, talvolta, le capitava di porsi.
Erano state tante le notti in cui aveva pianto, pensando che, in realtà, quel quadro familiare di cui lei andava tanto fiera e orgogliosa, non era anche il suo. Che lei non c’era, in quel bellissimo quadro.
Aveva sempre pensato che era soltanto un abbozzo improvvisato, tinto sulla tela di quella famiglia, già esistente da tempo.
C’era sempre stata, però, una persone che più di tutti, l’aveva aiutata.
Sì, più della madre, del padre, di Keisuke, o di Chizuru.
Lui…
“A proposito, ma dov’è Ryo?” chiese ad un tratto, la donna, rivolgendosi al figlio più giovane.
“Mh?” . Keisuke la guardò con aria perplessa, intento a masticare il suo boccone di riso. “Mmm… Era dietro di me. Penso stia arrivando”
“Sono qui, oka-san” esordì una voce profonda e tranquilla.
Rin si voltò lentamente verso la sua sinistra per poi incontrare il suo sguardo, azzurro come il cielo e profondo come l’oceano.
Non importava quante volte lo guardasse, e da quanto tempo lo conoscesse: Ryo era stupendo. Aveva quel fisico scolpito, quei capelli corvini lunghissimi e setosi, quei lineamenti del volto così gentili, eppure assolutamente non femminei, e quegli occhi azzurri che, di giapponese, non avevano davvero niente.
Rin si era sempre chiesta come potesse avere degli occhi così belli e soprattutto da chi potesse averli presi, ma né la madre, né il padre si spiegavano questo fatto. Che si trattasse di ereditarietà? Eppure provenivano da una generazione di puri giapponesi.
Beh, non che importasse. Rin adorava gli occhi del suo amato fratello maggiore.
Già. Colui che le era stato tanto vicino durante gli anni difficili della sua, se possibile chiamarla così, pubertà-infantile.
Ryo aveva solo due anni in più di Rin, eppure le era sembrato così maturo, al paragone con lei o anche con Keisuke (che aveva la sua stessa età).
Ryo l’aveva fatta ambientare subito in famiglia, facendo smettere il piccolo e pestifero Keisuke di farle degli scherzi poco piacevoli.
Ryo l’aveva fatta accettare dagli altri bambini, convincendola ad avvicinarsi a loro e a divertirsi con loro.
Ryo l’aveva tenuta stretta a sé, nelle notti in cui non faceva altro che piangere per la sua situazione e i suoi ricordi non rinvenuti.
Ryo l’aveva pettinata e curata tutti i giorni per dimostrarle che era una bambina bellissima.
Ryo l’aveva difesa dalle altre ragazzine del villaggio che la prendevano in giro perché non aveva genitori.
Ryo, in quegli anni così difficili, era stato tutto per lei.
“Oh, caro. Avanti, entra. La ciotola del riso si raffredderà, se non fai in fretta”  lo incitò la madre, a sedersi a tavola col resto della famiglia.
“Gomen, oka-san. Keisuke mi ha lasciato indietro a finire il lavoro. Volevo finire di tagliare la legna. D’altro canto, abbiamo cose più importanti di cui occuparci oggi, che restare tutto il giorno a badare  a quei tronchi” spiegò il bel giovane, con aria tranquilla, nonostante continuasse a lanciare occhiatacce al fratello minore, per poi andare a posare un bacio sulla fronte all’anziana donna, che gli tese la scodella di riso.
“Arigatou, oka-san”
“Su, su, non preoccuparti. Adesso vai a mangiare” .
Lui le sorrise e si diresse verso il suo posto, che era proprio accanto a quello di Rin. Lo era sempre stato, da quando era arrivata in quella casa.
Perché la piccola si era rifiutata, sin dall’inizio, di stare accanto a qualcuno se non al suo caro fratellone. E, col passare del tempo, nessuno dei componenti della famiglia pensò di cambiare nuovamente postazioni.
Rin abbassò la testa, per non incrociare il suo sguardo, mentre lui, lentamente, si sedeva vicino a lei e la guardò con aria dolce.
In qualche modo la ragazza sentì su di lei il suo sguardo e, si rivolse a lui, quasi timidamente. “Gokurosama deshita*, nii-sama” esordì, diventando rossa sulle gote.
Ryo le sorrise caldamente e si avvicinò per dare anche a lei un bacio, ma sulla guancia.
“Grazie anche a te, Rin”
“D-d-douitashimashite*!” rispose prontamente la giovane che, se possibile, diventò ancora più rossa e impacciata.
Stava iniziando a balbettare, cosa che accadeva ogni qualvolta che il suo nii-sama assumeva questi atteggiamenti dolci con lei.
Il fatto era che nonostante Rin ci fosse abituata sin da piccola, crescendo e stando a contatto con le altre ragazze del villaggio, la sua visione delle cose cambiò.
In primo luogo, venne a sapere che quasi tutte le ragazze del villaggio avrebbero desiderato suo fratello come sposo. In secondo luogo, quando Ryo le baciò la fronte (che era il suo modo di salutarla, quando stava per andarsene) davanti tutte le sue amiche, mentre andava a prendere un po’ d’acqua al fiume, il gruppetto di fanciulle iniziò a ciarlare e parlottare tra loro.
Rin venne a sapere, specialmente dalla sua migliore amica, Chitose, che era davvero insolito per un fratello essere così affettuoso nei confronti di una sorella e che quel gesto si potesse facilmente fraintendere.
E, nonostante, si ripetesse continuamente che quella era solo un’idea che si erano fatte loro, perché non vi era alcuna possibilità che il fratello adottivo provasse qualcosa per lei, arrossiva ogni volta che il giovane si avvicinava a lei, o anche solo la guardava.
Era influenzabile. Decisamente influenzabile.
“Ad ogni modo,” . Il suo pensiero fu interrotto dalle parole della madre. “avrete da lavorare tutto il giorno, non è vero?”
Il marito annuì. “Precisamente fino l’orario di apertura della cerimonia”
“Cota ti fetteggia*?” chiese la bimba, dopo aver mandato giù un boccone di riso.
“Rendiamo grazie al nostro Kami-sama, per il buon raccolto dell’ultimo anno, Chizuru” le spiegò Rin, togliendole un chicco di riso, che le era rimasto appiccicato vicino le labbra.
“Il tempo di sistemare le ultime impalcature e la legna per il falò e sarà tutto pronto” chiarì Ryo, sorridendo all’intera famiglia.
“Io sono esausto! Ho tagliato tanta di quella legna che se prendo ancora in mano un’ascia, mi accascerò per terra!” si lagnò Keisuke, poggiando sul tavolino l’ennesima scodella di riso vuota. “Ancora una!”
“Mi spiace, Kei-chan, ma è finito tutto”
“Cosa? Ma, oka-san! Io ho bisogno di energie!”
“Ma se ti sei mangiato tutto tu, figlio ingrato! Sei quello che ha mangiato più di tutti noi altri cinque messi assieme!”
“Sono in fase di crescita, io!”
“Dato che sei in fase di crescita, che ne dici se vai a rifornirci di altro riso? Siamo rimasti senza scorte” . La donna sospirò. “Keisuke consuma in un giorno più di quanto consumeremmo noi cinque in una settimana”.
“Devo fare anche questo, ora? Perché non ci va Rin?!”
“Perché Rin è impegnata. Deve badare a Chizuru e fare altre commissioni”
“Ma… anche io sono…”
“Inoltre, tua sorella è una donna. Non vorrai mica far portare dei carichi pesanti ad una ragazza, spero!” lo rimproverò il padre, dandogli un buffetto dietro la testa.
“Ah! Ho capito, ho capito! Siete sempre dalla parte sua! Sarei dovuto nascere femmina. Avrei fatto una bella vita!
Specialmente tu, Chizu-chan! Non fai niente dalla mattina alla sera, se non sgranocchiare pannocchie e parlare, sbagliando tutte le parole – come se non bastasse – !”
La bambina, contrariata da quell’accusa, si alzò in piedi e le si gonfiarono le guance paffute, in segno di rabbia. “Chizuu è una bava bimba! Lei aiuta sempe okka-san e Rin-nee-chan!” .
Tutti i famigliari non trattennero una risata, mentre il capofamiglia si rimetteva a fatica in piedi. “Bene, ragazzi. Basta perdere tempo. E’ ora di tornare a lavoro” .
“Ehh? Di già?” riprese a lagnarsi il giovane. “Ma… Non ho ancora finito di mangiare”
“Oh sì, che hai finito”
“Ma, otou-san…”
“Sbrigati, prima che ti faccia restare digiuno per un mese!”
E, scattante, Keisuke smise di frignare come un bambino, si mise in piedi e seguì il padre, che aveva salutato la moglie e le figlie, intento a tornare al suo lavoro e a raggiungere il centro del villaggio.
Nel frattempo, Ryo aveva finito la sua colazione in silenzio, aveva posato le hashi sul tavolo e aveva iniziato a sparecchiare la tavola.
“Vi do una mano” disse con fare affabile, prendendo dalle mani di Rin alcune delle scodelle.
“Oh, non c’è bisogno, nii-sama! Possiamo cavarcela da sole!” .
“Ha ragione Rin, Ryo. Qui ci pensiamo noi. Vai di corsa ad aiutare tuo padre, prima che tuo fratello vada di matto” gli suggerì la madre.
Il ragazzo poggiò le scodelle dove di solito le si disponeva per lavarle e si rivolse ad entrambe. “Bene. Sarà meglio che vada, allora” disse, incamminandosi verso l’uscita della casa.
Rin si girò verso la madre, chiedendole di scusarla solo un attimo, per poi seguire il fratello sin fuori dalla casa, rimanendo sulla soglia della porta.
“Ganbatte kudasai*, nii-sama!” gli augurò, rossa in volta e piena di ammirazione per il fratello maturo, laborioso e gentile.
“Anata mo*, Rin” le rispose, carezzandole la testa, quasi fosse ancora una bambina. Quasi fosse Chizuru. A pensarci bene, faceva proprio così, anche con Chizuru.
“Nii-sama… su… Non sono più una bambina, ormai” si lagnò, anche se, effettivamente, le sue carezze non le dispiacevano. Anzi, la mettevano di buon umore.
“Potrà anche essere così. Ma tu sei tuttora e sarai sempre la mia tenera e amata sorellina” .
Le sue parole furono chiare e distinte.
In quel momento Rin si sentì estremamente felice e arrossì come non mai, cercando di nascondere le guance diventate porpora con le sue piccole mani.
Il fratello le sorrise e, salutandola con la mano, le diede le spalle. “Ittekimasu”
“Itterashai!” rispose lei, agitando la mano con vigore.
Rimase a guardarlo, mentre si allontanava, finché la sua figura non fu più visibile, dal punto in cui si trovava lei.
Il mio nii-sama… pensò la giovane. E’ sempre così buono! Sono davvero fortunata a far parte della sua stessa famiglia!
“Rin-onee-san! Okka-san ti vuole!” borbottò Chizuru, comparendole alle spalle, prendendola per mano e conducendola così, all’interno della casa, dove avrebbe svolto le sue manzioni quotidiane.
No… Sono fortunata a far parte di questa famiglia!

Dato l’impegno di tutti gli abitanti del villaggio nell’allestimento dei preparativi per la cerimonia del buon raccolto annuale, quel giorno si sarebbe saltato il pranzo, per permettere agli uomini di finire i loro lavori di preparazione, e alle donne di cucinare il necessario per festeggiare e il cibo con cui rendere onore al Kami protettore di quelle terre.
Era oramai tardo pomeriggio. Il sole era tramontato e gli unici compiti che rimasero da svolgere a Rin, in quella giornata così pesante, era quello di andare a lavare alcuni panni, al fiume.
Mentre si stava dirigendo col cesto delle robe da lavare, verso la strada che portava al fiume, incontrò Chitose, Megumi e Yui.
Anche loro erano state mandate dalle rispettive madri a lavare i panni restanti, per il giorno che sarebbe venuto.
E così le quattro giovani si diressero, assieme, a fare il “bucato”.
“Wah! Non vedo l’ora che inizi la festa!” aveva trillato, felice, Megumi. “Indosserò un kimono bellissimo. Lo comprerò giù in paese. Il mercante di stoffe del villaggio non è ben assortito” .
“Scendi addirittura in paese?” chiese, stupefatta, Yui.
“Mi sembra logico”
“Veramente non è logico per niente. Scendere sin giù al paese, per comprare un kimono… Per una semplice cerimonia di buon raccolto annuo, poi!” commentò Chitose.
“Perché no? Non ci vedo niente di male…” esordì, ingenuamente, Rin.
Tutte e tre le ragazze la guardarono storto.
“Rin… Non hai capito niente, vero?” le chiese, istintivamente, Yui.
“Eh?”
Chitose sospirò. “Dovevamo immaginarlo, su”
“Immaginare cosa…?” . Rin era disorientata.
“Avanti… Lo hanno capito tutte che Megumi vuole farsi notare da tuo fratello!”
“Non c’è bisogno di essere così palese, Chi-chan!” la riprese la ragazza. “E poi… Non è solo per quello… Infondo avevo bisogno di un nuovo kimono un po’ più elegante”
“Nii-sama? Ti compri un nuovo kimono per nii-sama?”
“E’ semplice, no? Vuole fare colpo su di lui!” canticchiò Yui con sguardo malizioso. “Anche se non ci riuscirebbe neanche se si comprasse l’intero negozio di kimono”
“Ah no?! E tu ci riusciresti?!”
“Megu-chan, avanti! Lo sappiamo entrambe che non riusciremmo a combinare niente con Ryo-san. Lui è cotto di sua sorella.”
Rin sobbalzò. “Cosa?!” .
“Avanti, Rin-chan, perché nasconderlo?” , insistette Chitose, che non rischiava di rimanere delusa dall’argomento, dato che lei era già fidanzata. Precisamente in procinto di sposarsi.
“A…Ancora con questa storia! Vi ho già detto che vi sbagliate! Non c’è niente tra me e nii-sama…”
“Dicono tutte così…”
“Ah! Che invidia! Quasi quasi mi faccio adottare dalla tua famiglia!” . Megumi aveva un tono insolente e sfacciato.
“A chi non piacerebbe essere la sorella di Ryo-san? Chiunque ragazza nel villaggio pagherebbe oro, se ne possedesse a sufficienza, per vivere sotto lo stesso tetto di tuo fratello”
“Yui, come ti ho già detto, non è come pensate voi. E, comunque, mi rendo perfettamente conto che nii-sama, essendo gentile e buono con tutti, è agognato da tutte le ragazze del villaggio”
“Ahhh! Io non ho tempo da perdere! Devo scendere giù in paese!” si lamentò, con aria furibonda, Megumi. “Ragazze, io vi precedo. Voi fate pure con comodo!”
“Aspetta, Megumi. Vengo con te. A questo punto, devo assolutamente scendere in paese con te! Voglio vedere il colore del kimono che sceglierai” . Yui, inseguì così, l’amica che aveva già iniziato a correre verso il fiume.
Sicuramente si sarebbero sbrigate prima di Rin e Chitose, se quest’ultime avessero continuato a mantenere quel passo così lento.
“Seriamente… Non ti fa pensare neanche un po’ questa faccenda?” chiese, ad un certo punto, Chitose, dopo attimi di silenzio imbarazzante.
Camminavano ancora con passo lento.
“Quale faccenda?” . Rin sembrava disorientata.
“Tuo fratello ha superato l’età adatta a prendere moglie già da tre anni, eppure non ha annunciato neanche un fidanzamento, in tutto quest’arco di tempo!”
Rin rimase in silenzio, abbassando il capo.
“E poi non si tratta di un ragazzo qualunque. Fosse stato un caso del genere, poteva anche darsi che non avesse trovato una ragazza che lo volesse, però…” . Aspettò un po’ a parlare, per prendere fiato. “Però si tratta di Ryo-san! Ryo-san, capisci?! Persino le donne sposate ci fanno su dei pensierini… E un uomo così desiderato, non riuscirebbe a trovare anche solo una fidanzata?”
“Beh, può darsi, semplicemente, che non abbia trovato quella giusta!”
“Ma per favore!” sbuffò la ragazza. “Quella giusta l’ha trovata da un pezzo! Solo che lei non si accorge dei suoi sentimenti!”
“Ah, davvero? E chi è?” . Rin stava per fare l’ennesima figura. Solo che, pensandoci un po’ più a fondo, le si rivolse con aria stupefatta. “Non starai parlando di me, spero!”
L’amica sospirò. “Lenta come al solito…” .
Rin assunse un’aria infastidita. “Chitose, perché non te lo ficchi in quella testa bacata? E’ impossibile che sia come dite tu e le ragazze! Se nii-sama non ha ancora trovato una ragazza adatta a lui, ciò non sta a significare necessariamente che sia a causa mia”
“Non hai mai notato la sua gentilezza nei tuoi confronti?”
“Come non notarla?” . Rise, pensando alla scena di quella mattina. “Ma è gentile con tutti. Non solo con me”
“Questo è palese. Ma con te ha un non so che di ancora più affettuoso”
“Beh, sono sua sorella, no? Anche se non siamo legati da vincoli di sangue, siamo cresciuti come se fossimo sempre stati parte della stessa famiglia”
“Possibile che non capisci?!” . Chitose sembrava davvero averlo preso a cuore, quell’argomento. “Povero Ryo-san… Amare una ragazza così insensibile!”
“Ma… Chitose! Che cosa vuoi dir…?”
“Ahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!” .
Il commento di Rin fu interrotto da due grida di donne, provenienti proprio dal sentiero che stavano percorrendo, portante al fiume.
“Aiuto!!”
“Vi prego, salvateci!!”
Quando le grida raggiunsero le orecchie delle giovani, le due istintivamente si scambiarono uno sguardo misto tra preoccupazione e intesa.
“Queste voci sono di…” esordì Chitose.
“Megumi e Yui!” concluse Rin, per poi mollare la presa sul cestino dei panni sporchi e correre, insieme all’amica, in direzione delle urla.
“Che cosa sarà successo?” chiese l’amica.
“Non lo so, ma… Non m’ispira niente di buon…” . Ma non riuscì neanche a finire la frase, che videro arrivare dalla loro direzione le due amiche.
Le ragazze correvano a gambe levate proprio verso di loro con aria terrorizzata e, - si riusciva a notarlo anche da lontano – tremanti.
“Megumi! Yui!” esclamarono Rin e Chitose, all’unisono.
Le giovani si rifugiarono con una velocità impressionante ognuna tra le braccia dell’altra amica.
“E’… è spaventoso!!” esclamò, tra le lacrime, Megumi, tra le braccia di Rin.
“Già! E’ mostruoso!” quasi urlò Yui, che si abbracciava forte a Chitose. “Dobbiamo andarcene! Alla svelta!”
“Sì! Andiamocene prima che ci raggiunga!”
“Ma… di che cosa state parlando?”
“Chitose, non c’è tempo! Dobbiamo fuggire!” . Yui, presa dal panico, l’aveva presa per la mano e la stava forzando a seguirla. “Forza!”
“Su, Rin! Andiamo!” la incitò Megumi, imitando i gesti della compagna.
Ma Rin non aveva alcuna intenzione di andarsene, se le amiche non si fossero decise a parlare, una buona volta! “As… Aspettate! Si può sapere di che state parlando? Perché vi comportate così?!” .
“Al fiume c’è… c’è… Un mostro!”
“Già! Megumi ed io, lo abbiamo visto con i nostri occhi!”
“Un mostro?” . La ragazza non riusciva a capire.
“Sì, Rin, un mostro! Uno youkai… Un demone!”
“Un demone?!” esclamò, facendosi prendere anch’essa dal panico, Chitose. “Come ci è arrivato un demone qui?!”
“Non ne ho idea! Ma se non scappiamo, ci ucciderà di sicuro!”
“Aspettate, ragazze! Magari avete solo avuto un’allucinazione! Essendosi fatto buio, può succedere che…”
“No, Rin! Non è così! Quello era veramente un demone!”
“Ed era ricoperto tutto di sangue! Sicuramente ci ucciderà se non ce ne andiamo subito di qui!”
“Un demone… tutto ricoperto di sangue?” . Chitose stava iniziando ad avere seriamente paura. Di solito era sempre la più calma e coraggiosa del gruppo, ma… quando si parlava di demoni, o creature pericolose, diventava la più vile. “Do… Dobbiamo fuggire! Immediatamente!”
“Ma… Chitose… Aspetta!”
“No, Rin! Io me ne vado!” esclamò la ragazza iniziando a correre nella parte opposta al sentiero verso cui si stavano incamminando inizialmente. “Sono troppo giovane per morire! E non intendo certo andare all’altro mondo prima di essermi sposata!” .
Fu seguita a ruota dalle altre due.
“Ma… Aspettate, ragazze!”
“Rin, sbrigati! Vieni!” la chiamò Megumi.
“Se non fai in fretta il demone ti ucciderà!” insistette Yui.
Era incredibile come avessero la sfrontataggine di dire cose del genere quando già di loro stavano scappando a gambe levate.
Avrebbero potuto anche aspettarla, no?
Sono state così veloci che già non le vedo più… E poi hanno il coraggio di criticare me, ogni volta!
Rin non poté fare a meno di pensarci, mentre si voltava lentamente verso il fondo del sentiero dal quale le sue amiche stavano scappando, tanto terrorizzate.
Un demone, eh? Non ci credo… Come potrebbe un demone venire sin qui? Scalare tutte quelle montagne per giungere in un villaggio che non possiede altre ricchezze se non il suo grano e il frutto del lavoro nei campi dei contadini?
E’ impossibile che dei demoni abbiano interesse a fare tutta quella strada soltanto per saccheggiare un povero villaggio come il nostro!
Pensando a questo, Rin si fece coraggio e proseguì per quella strada tortuosa.
La strada vero il fiume dov’era stata trovata anche lei, dal padre, priva di coscienza e della sua memoria.
Forse avranno visto un lupo, o un cucciolo di orso… ed essendo anche piuttosto buio, si saranno spaventate! D’altronde Megumi e Yui sono delle fifone. E mi meraviglio di Chitose!
Sapevo che aveva una paura matta dei demoni, però… Non mi aspettavo che si mettesse in fuga soltanto perché le era stato riferito – e non era detto che fosse vero – che ce n’era uno vicino il fiume!
Rin avanzò pian piano all’interno del bosco, in cui il sentiero si prolungava.
La ragazza era abituata a percorrere quella strada anche al buio, ragion per cui non era spaventata dai versi inquietanti dei gufi, o dai rumori che qualche piccolo animale (ad esempio una lepre o una talpa) poteva produrre spostandosi di siepe in siepe.
Probabilmente Megumi e Yui si erano fatte influenzare anche da quell’atmosfera di apparente paura.
Ciò avrebbe suscitato terrore in quasi tutte le ragazze del villaggio, ma non in Rin!
Anzi, era esattamente il contrario.
Quasi si divertiva a dimostrare che lei non aveva timore di queste piccolezze.
Il suo cammino, difatti, procedeva senza intoppi ed era quasi arrivata alle sponde del fiume senza incontrare nemmeno l’ombra di un cucciolo di cane!
Ahhhh! Lo sapevo! continuò a ripetersi. Lo sapevo che si erano immaginate tutto! Sono veramente delle sciocche a farsi impressionare così da questa semplice atmosfera!
E io mi sento ancora  più sciocca di loro ad aver anche solo pensato che potessero dire il vero!

La giovane non trattenne un sospiro, mentre proseguiva a passo lento. Ma quale demone ricoperto di sangue? Qui non c’è neanche l’ombra di una zanzara! Certo che hanno una gran bella immaginazione, eh?
Oh! E se si fossero inventate tutto per non lavare i panni e squagliarsela subito giù in paese?
Oh, ma vedi tu che razza di…
Non riuscì, però, a finire di formulare il proprio pensiero che… si fermò, immobilizzata.
Le mancò sicuramente un battito, o anche più di uno.
Anche se cercò di fare del suo meglio per muoversi, proprio non ci riuscì.
Era come se l’avessero incatenata ad una pietra gigantesca, o, peggio, ad uno scoglio… e le onde del mare le facessero mancare il fiato e l’ossigeno.
Era proprio così che si sentiva, di fronte a quella visione.
Non… Non è possibile…
Fu tutto ciò che riuscì a pensare in quel momento.



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E ora qui riporterò alcune delle note in giapponese e incomprensibili XD
So che ho scritto molte cose in giapponese, ma onestamente mi piace troppo! >.<
Mi farò perdonare con queste "chiarificazioni":

*Oayo gozaimashu : qui viene usato un linguaggio infantile. La forma corretta sarebbe "ohhayo gozaimasu". In poche parole è come se Chizuru dicesse: "Buoggiorno a tuti!"
* Oayo, okka-san e oayo oto-san: anche qui si usa il lunguaggio infantile. La forma corretta sarebbe ohayo, oka-san e ohayo otou-san. In breve sarebbe come se dicesse: "Buggiorno, mama e buggiorno pappà!"
*Tsukareta: "Sono esausto" oppure "Che fatica!" . Ma è più corretta la prima forma.
*“Gokurosama deshita: è una forma di accoglienza e di gratificazione nei confronti della persona che ha appena finito di svolgere un lavoro. Si tradurrebbe un pò come: "Grazie per tutto il lavoro che hai fatto". Più che al lavoro, si riferisce alla fatica compiuta dalla persona per fare quel determinato lavoro. 
*douitashimashite: senza girarci troppo attorno, corrisponde al nostro semplicissimo "prego".
*Cota ti fetteggia: questo è italiano infantile XD Ma in previsione che qualcuno potesse anche non capirlo, quello che vorrebbe dire Chizuru è "Cosa si festeggia?".
*Ganbatte kudasai: è una forma di incoraggiamento. Sta a significare "Fai del tuo meglio, per favore!"
*“Anata mo: si traduce con "anche tu".


  
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