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Autore: Eirween    10/12/2010    2 recensioni
Juliet e Dylan, che vivono per Lydia.
Forse i loro look stravaganti. Forse il loro modo di vivere, magari troppo libertino e sopra le righe. Forse non sono persone del genere che si desiderano per la propria figlia. Dopo tutto, cosa potevano saperne loro, che erano due tipacci di strada? La libertà ce l'avevano nelle vene, alle regole si ribellavano.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Blue Jeans Serenade

Boots.

Sembrava il set di un qualche scadente telefilm americano. Di quelli in cui all'improvviso qualcuno viene a bussare alla porta per annunciare qualcosa di sconvolgente, tipo che il tuo uomo se la fa con tua madre o che qualcuno ti sta cercando per farti a pezzi. Ma non era un telefilm ovviamente, nessuno avrebbe annunciato un bel niente. Era solo la stanza di Juliet, nel suo consueto e totale disastro. Letto disfatto, vestiti un po' ovunque, libri sparsi a terra, cd ammucchiati sulla scrivania, Dylan sprofondato nel puff. Già, sembrava quasi esserne diventato parte integrante. Teneva la chitarra poggiata sulla pancia e strimpellava le corde a caso producendo una melodia insopportabile. Lei invece ciondolava sulla sedia della scrivania, come fosse la regista di quel pomeriggio amorfo. Mancavano solo le balle di fieno a rotolare nel centro della stanza e non sarebbe mancato più niente. In realtà era nervosa. Frustrata.
«Dee, cazzo, falla finita!» sbottò infatti. Lui smise all'istante di pizzicare le corde, si tirò su assumendo una posizione più umana.
«Che c'è, che ho fatto?» domandò in tono piatto.
«Mi dai sui nervi, okay? Fa qualcosa, aiutami a trovare una soluzione!» non voleva alzare la voce, ma è questo che fece.
«Io?! Che posso fare io?! Se non può uscire con te, figuriamoci con me!» le urlò lui di rimando.
Avevano un problema in comune: l'astinenza da Lydia. Una cosa terribile, peggio di una malattia. Lydia era la ragazza di Dylan, la migliore amica di Juliet. Come se ci fosse bisogno di specificarlo poi. Certe cose le sanno tutti, sono talmente naturali, vere, quelle 'certe cose' che possono essere così e basta, senza alternative.
Comunque, i genitori l'avevano messa agli arresti domiciliari. Motivo? Ancora ignoto, almeno a loro due. Avevano un po' paura di centrarci qualcosa però. Forse i loro look stravaganti. Forse il loro modo di vivere, magari troppo libertino e sopra le righe. Forse non sono persone del genere che si desiderano per la propria figlia. Dopo tutto, cosa potevano saperne loro, che erano due tipacci di strada? La libertà ce l'avevano nelle vene, alle regole si ribellavano. Quella strana situazione, era nuova per loro. Ecco perché non sapevano cosa fare. Se metter su una guerra ed escogitare piani di fuga, o starsene buoni e tranquilli fino a nuovo ordine.
Con lei avevano parlato solo la sera prima per telefono. Li aveva pregati di stare ai patti per un po' e quindi di non venirla a cercare. Aspettare che fosse lei a telefonare. In effetti, si sentivano due appestati al bando.
«Stiamo calmi. Non serve a niente che ci mettiamo a litigare io e te, non adesso» disse Juliet passeggiando per la stanza. Dylan la seguiva con lo sguardo, senza che gli venisse in mente niente di sensato. Immaginava di farla scendere al portone, farla salire in sella alla sua belva e andare via, lontano, lontano da tutto e tutti. Solo loro due e la strada, loro due, la strada e la libertà. Ma questo, certo non sarebbe servito a farsi ben volere dalla sua famiglia. Anzi.
Juliet si era fermata davanti allo specchio, guardava il suo riflesso. Dylan si alzò e andò a mettersi al suo fianco, incrociando i suoi occhi nel vetro. Le mise un braccio intorno alle spalle, ed insieme sospirarono.
«Guardaci un po'...» disse lei con un tono sconsolato. «Eccoli, vent'anni buttati al vento.»
«Ventiquattro per me» sottolineò Dylan.
«Beh, sì, quel che è» ribatté brusca lei.
«Ehi, cioè, volevo dire... non devi dire così» il tono della voce di Dylan era stranamente dolce. Quello delle occasioni speciali. Quello che con Juliet non usava proprio mai, perché la loro amicizia era tutta botte, prese in giro ed insulti. Lei inarcò un sopracciglio. «Ah no?!»
«No. Perché dovresti?»
«Ci pensi mai tu ad essere... normale? Come tutti gli altri intendo. Guardami Dee. Sono una ragazza con i capelli rossi, corti e spettinati, occhialoni old school, che non ha mai usato una gonna o un paio di tacchi. Solo questi jeans strappati e 'sto paio di anfibi da anni. Non mi presento bene.»
Dylan era stupito dal velo di lacrime che le vedeva negli occhi. Lei non piangeva mai, e soprattutto tra loro non c'erano mai momenti del genere.
«Guarda me allora. Vado in giro con la barba non fatta, jeans e t-shirt trasandate, vogliamo parlare delle scarpe? Un giorno di questi resterò senza suola. E l'orecchino, non sembra passare inosservato.»
«Perché, i tatuaggi sì?» gli disse lei tirando su col naso.
«Ah, giusto. I tatuaggi.»
Incrociarono di nuovo i loro sguardi nello specchio, e rimasero a guardarsi in silenzio.
«Sai, credo che la nostra Lydia ci voglia bene proprio perché siamo così io e te, non trovi?»
Il labbro di Juliet s'increspò in un sorriso.
«Dee. Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto.»
«Cazzo mi frega di Maometto e della sua montagna, io vado dalla mia bionda!» disse afferrando la giacca e correndo verso le scale. Juliet si chiese ancora una volta se ci faceva o ci era davvero, ma non riuscì a fare a meno di ridere mentre s'infilava la giacca anche lei e lo seguiva verso la porta.

Quel che combinarono poi, può dirvelo anche tutta la gente del posto.
Per le strade si sentiva dell'allegria tremendamente Punk, quasi che Johnny Ramone ed i suoi fossero resuscitati e se ne andassero in giro a crear scompiglio.

Invece erano solo Juliet e Dylan, jeans e giacche di pelle, anfibi e Converse. Bicchieri di caffè amaro tra le mani gelate nonostante i guanti senza dita.
S'erano portati qualche candela, chissà perché poi. Forse per dare una parvenza di romanticismo a quella specie di trasandata serenata.
Il pezzo forte era lo stereo. Erano passati al Noise e avevano corrotto Chris con una ciambella al cioccolato appena sfornata per avere in prestito quel vecchio stereo portatile a cui teneva tanto. Tipo che se gli fosse successo qualcosa, li avrebbe violentemente investiti con la macchina alla prima occasione.

Play.

“ Hey little girl, I wanna be your boyfriend! ”
«Ma no brutto egocentrico, questa poi è solo da parte tua! Manda avanti!»
«Ah giusto, scusa.»

“ We're a happy family, we're a happy family! ”

Istantanea 2010-12-10 16-44-54

Cantavano, quei due pazzi.
Stonavano apposta, che tanto loro stonati lo erano nella vita, figuriamoci su una canzone.
Stonavano in tutto, eppure si divertivano da pazzi.
Stonavano per richiamare l'attenzione, quell'attenzione che mai avevano ricevuto.
Stavolta, richiamavano l'attenzione di Lydia, l'unica che gliene aveva sempre data.
Lei che aveva sconvolto le vite di entrambi, dandogli un senso.
Lei che per loro era tutto, lei che senza il mondo non valeva nulla.
We're a happy family, we're a happy family!
Continuavano a cantare e ridere.
Continuavano a ballare come due idioti, Dylan con lo stereo in spalla.
Continuavano a far casino, nonostante la gente che li guardava peggio del solito.
Avrebbero anche potuto denunciarli per disturbo alla quiete pubblica.
Continuavano a crear scompiglio per lei.
Lei che per loro era tutto.
Lei che s'affacciò al balcone e sorrise, sorrise in quel modo in cui sapeva sorridere solo lei.
E fischi e schiamazzi, quel concerto era solo per lei.
Lei che sorrise, e la notte s'illuminò come fosse giorno.

©

E' per te ogni cosa che c'è.

  
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