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Autore: 23jo    12/12/2010    11 recensioni
Prima fanfiction in assoluto. Non sempre Beckett e Castle vanno d'accordo. Spero che questa storia possa piacervi. Vorrei ringraziare tutti quelli che leggeranno e avranno il tempo di lasciare un commento, anche piccolo. Fatemi sapere cosa ne pensate.
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Un grazie particolare va a Berenike che mi ha convinto a pubblicare questa storia e ha sopportato con pazienza e disponibilità ogni mia preoccupazione.  Non mi resta che augurarvi una buona lettura.



“COSA TI E’ SALTATO IN MENTE?” Beckett stava urlando nella sala caffè;
“non ho resistito, è stato così eccitante” Castle con il suo solito sorriso sornione aveva alzato le braccia e le spalle in segno di innocenza;
“No, non lo è stato per niente” puntualizzò con fare deciso la detective;
“Noto una punta di preoccupazione…” l’uomo avanzò di un passo verso la donna “ti preoccupi per me, Beckett?” rimase immobile, con un’espressione maliziosa stampata in faccia.
Attendeva la risposta secca, ma tutto ciò che poté ascoltare fu un silenzio scomodo e quanto mai inconsueto. Lei sospirò silenziosamente e guardandolo negli occhi rispose senza esitazioni
“no, Castle…” il tono era basso, quasi deluso, rassegnato, ma allo stesso tempo rabbioso, freddo.
Lo scrittore rimase interdetto; il suo volto perse ogni malizia e palesò il disagio che aveva provato a sentirla; non si aspettava certo una tale reazione. Più volte si era ritrovato a doversi scusare per la sua disobbedienza, ma, ormai, credeva che si fosse abituata al suo modo di agire. Forse si sbagliava. Nel frattempo, Beckett gli aveva rivolto le spalle ed era uscita dalla sala. Lui la seguì con un lieve ritardo
“Beckett?” aveva detto;
Lei non si voltò nemmeno, anzi girò l’angolo senza degnarlo di uno sguardo.
“che ho detto?” richiedeva in tono decrescente aprendo le braccia in segno di impotenza;
“ehi amico, cos’hai combinato stavolta?” esordì Esposito appena uscito dall’ufficio di Montgomery. Ryan, accanto a lui, intervenne “forse c’entra con l’essersi ritrovato in mezzo ad una sparatoria quando ti era stato chiesto esplicitamente di starne fuori…” i due si stavano godendo l’ennesima discussione tra Beckett e Castle.
“mi stavo scusando per non averla ascoltata e poi…” fu interrotto dal più basso dei due detective
“tu che ti scusi?? Ah questa si che è una novità” disse divertito; non era proprio dell’umore per la bassa ironia dei suoi due amici, ma stette comunque al gioco.
“ok, non erano proprio scuse, erano più…” le sue mani avevano cominciato a muoversi facendogli acquisire la posa tipica di chi cerca un sinonimo adatto “…giustificazioni…” era soddisfatto della soluzione che aveva trovato.
I due annuirono. Poi Ryan dandogli una pacca sulla spalla interruppe il silenzio
“non ti preoccupare le passerà, come al solito”
“sì amico” gli fece eco Esposito “tra poco avrà già dimenticato tutto, tornerà a trattarti bene”
i due si guardarono seri, per poi mettersi a ridere improvvisamente
“Beckett che lo tratta bene, questa è bella” “Già”
dissero i due allontanandosi tra mille risate
“Già, divertente…” disse tra se e se lo scrittore.



“Sapevo che ti avrei trovata qui” esordì Castle avanzando timidamente. Gli era sempre piaciuto quell’odore tipico delle palestre, quell’atmosfera speciale di abbandono e tranquillità ( non c’era nessuno, infatti, oltre a Kate). Lei non gli rispose. Il silenzio era interrotto solo dal rumore sordo del sacco da boxe a contatto con i guantoni di Beckett.
“ti devo delle scuse, non lo rifarò mai più” il suo tono era sicuro e sinceramente dispiaciuto, ma lei ancora una volta non si girò. Continuò imperterrita a sfogare la sua rabbia; anzi, più Castle parlava, più i colpi aumentavano di intensità.
“sei arrabbiata?” disse incerto dopo pochi secondi di silenzio che parvero durare un’eternità.
Per una frazione di secondo Kate si girò dalla sua parte, poi ricominciò a torturare il sacco. Aspettò che l’ultimo colpo di Beckett andasse a fondo e iniziò a parlare
“io…” fu interrotto bruscamente dalla donna
“sta zitto, Castle” aveva smesso di tirare pugni al sacco e ora aveva le braccia lungo i fianchi “vattene, non è a me che devi fare le tue scuse” ancora una volta le sue parole fecero tremare lo scrittore. Freddezza, distacco, rabbia; Castle non potè fare a meno di chiedersi come fosse possibile essere contemporaneamente distaccati e arrabbiati; non ebbe tempo di darsi una risposta che Beckett gli rivolse un altro sguardo: faceva paura; lo stomaco gli si contorse. Incerto sul da farsi, deglutì e chiese spiegazioni. Anche lui era inerme; le braccia abbandonate alla gravità, statico, immobile come una statua.
“VA VIA!” la sua forte voce rimbombò per tutta la palestra, rompendo definitivamente quell’atmosfera di stasi che lo scrittore aveva percepito all’entrata. Castle sobbalzò sorpreso. Era spaventato. Nella sua testa si faceva strada un’opprimente timore: l’aveva persa.
“Beckett..” deglutì ancora “non so bene cos’ abbia fatto, ma voglio rimediare”
“Purtroppo non puoi” rispose dura lei
“di qualunque cosa si tratti ti assicuro che..” fu interrotto nuovamente
“COSA CASTLE? COSA MI VORRESTI ASSICURARE? CHE LA PROSSIMA VOLTA NON LO FARAI PIU’? CHE SARAI PIU’ PRUDENTE? CHE NON MI FARAI PIU’ ARRABBIARE?? Possibile che per te si riduca tutto a questo?” il silenzio tornò per poco “Non si può sempre rimediare, Castle; ci sono cose che semplicemente restano così, per sempre…non ti puoi comportare come un’idiota, sei un figlio, un padre, un amico…cosa credi che farebbe Alexis se ti dovesse succedere qualcosa? E Martha? Ed io?” ancora silenzio, lei distolse lo sguardo per andare a fissare un punto indefinito nel muro. Lui, impietrito, la guardava, gli occhi le divennero lucidi, ma il tono della voce fu solo leggermente scosso “con quale coraggio andrei a dir loro che non ho saputo proteggerti” Ancora silenzio. Il respiro di lei, leggermente affaticato, compensava la totale mancanza di vita dello scrittore; se non fosse stato per il fatto di essere in piedi probabilmente sarebbe stato possibile dichiararlo morto. Gli occhi di Beckett tornarono a posarsi sui suoi “non puoi pensare sempre e solo a te stesso…le tue azioni ,che tu lo voglia o no, hanno delle conseguenze.” Stavolta fu lo sguardo dello scrittore ad abbassarsi.
“Io…” la voce uscì troppo bassa; tossì “io…non ci avevo pensato”
“È questo il problema, Castle, tu non pensi mai…ora va a casa, torna dalla tua famiglia; torna da alexis…” il tono si fece decisamente più dolce per quanto la durezza delle parole non ne venne sminuita.
“no” rispose lui, quasi stesse parlando da solo
“no?” gli fece eco Beckett con tono sorpreso, visibilmente disorientata
“No, non è vero che non penso a quello che faccio. Ci penso, eccome se ci penso! So di essere imprudente qualche volta, ma rifletto sempre su quello che faccio!” un solo eterno secondo trattenne lo sguardo dell’uno su quello dell’altro. Quanta passione, quanta rabbia, quanta tensione.
“Allora dovresti stare più attento alle decisioni che prendi” ribatté la detective a bassa voce, a denti stretti
“Cosa avrei dovuto fare?” alzò un braccio in cerca di una risposta “Stare lì, seduto in macchina, al sicuro, ment…” un’altra voce lo sovrastò
“SI CASTLE, questo è quello che avresti dovuto fare”
“E tu?”
“Ed io cosa?” era riuscita ancora a disorientarla…attese che lui desse una risposta ai suoi dubbi
“Mentre io sono al sicuro tu non lo sei…hai mai pensato a quello che provo io? Vi vedo scomparire con le armi in mano, senza sapere quello che succede; aspetto, cercando di non pensarvi…” esitò un’attimo “…di non pensarti da sola con quei delinquenti,…da sola, senza alcuna difesa”
“Castle…” Beckett fece per intervenire
“No, fammi finire: in quell’auto la mia immaginazione fa da padrona…sono uno scrittore di successo per questo, per la mia fantasia, ma ti assicuro che ogni volta che mi lasci fuori dall’azione maledico me stesso per le immagini che si creano nella mia mente…”
“Castle, io so che è difficile: ignorare ciò che succede, non essere presente nel momento in cui una persona…” esitò “…cara possa avere bisogno di aiuto, ma tu hai troppo da perdere per giocare a fare l’eroe….sei un padre…e ogni volta che sei con me in una situazione di pericolo non riesco a non pensare ad Alexis…” i suoi occhi ricominciarono ad inumidirsi “io l’ho vissuto, ho vissuto la morte di mia madre e non augurerei un lutto del genere nemmeno al più spietato criminale…” le lacrime ormai scendevano liberamente. Era un pianto silenzioso di fronte al quale Castle si sentiva impotente. “hai una figlia straordinaria…non si merita di soffrire.” Il silenzio era tornato a regnare nella stanza vuota.
Ora sapeva di quale colpa si fosse macchiato; imprudenza? Arroganza? Presunzione? Egoismo? Non si sentiva colpevole di nessuna di queste, ma di certo si sentiva in colpa. Si destò dai suoi pensieri.
“Alexis sa quanto le voglio bene, sa che non la lascerò mai, anche se mi dovesse succedere qualcosa” di nuovo Beckett alzò la voce
“CREDI CHE QUESTO BASTI? CREDI CHE IO NON SAPPIA QUANTO BENE MI ABBIA VOLUTO MIA MADRE? CREDI CHE QUESTO MI FACCIA STARE MEGLIO??? …NO, non funziona così! Quando si perde qualcuno è per sempre; potrà prendersi in giro ogni minuto della sua vita, pensandoti vicino, ma prima o poi, quando Alexis avrà bisogno di te…quando avrà bisogno di parlare con te, di abbracciarti, tu non ci sarai…e NIENTE… niente potrà mai colmare quel vuoto.” Il pianto oramai aveva preso il sopravvento. Caste, che fino ad allora era rimasto immobile, avanzò verso di lei. Le prese dolcemente il braccio e rimase stupito da quanto fragile gli potesse sembrare in quel momento; sentiva forte il bisogno di abbracciarla, di sentire quel calore che scorreva attraverso le dita poggiate sulla sua pelle; la strinse a se come non aveva mai fatto; lui l’amava ne era certo.
Mentre il suo volto continuava a singhiozzare nell’incavo della sua spalla, il tempo passava, e Castle non si stancava di abbracciarla, né lei accennava a staccarsi. Tutte la paure, i risentimenti, i brutti ricordi lentamente svanirono e rimasero così, dolcemente aggrappati l’uno nelle braccia dell’altro, per molto tempo.


  
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