ALLA
SERA.
Era fermo davanti alla finestra e guardava fuori;
sul prato verde
stavano due poltrone in vimini, una davanti all'altra, separate solo da
un
tavolino di legno scuro e, poco più in là, l'erba
lasciava spazio alle grosse
pietre che precedevano lo strapiombo. Sentiva il rumore del mare -il
suono
perentorio delle onde che sbattevano monotone contro gli scogli scuri-
illuminato solo da una fetta di sole, che assomigliava tanto ad una
scorza di
arancia in equilibrio su un qualche tipo di cocktail.
Cocktail.
Un odioso flashback si impossessò della
sua mente, portandolo in
territori oscuri e abbandonati nei quali non sarebbe mai voluto
tornare,
travolgente come un tornado.
Magicamente era tornato indietro nel tempo,
magicamente non era più solo
davanti a quella finestra. C'era anche lei, alta, magra, con i capelli
crespi e
gli occhi color nocciola, la bocca tesa in un sorriso spensierato. La
sua
Hermione, sempre bella, sempre perfetta.
<< Guarda, non è il
panorama più bello che tu abbia mai visto?
>> aveva detto, guardando prima lui e poi il paesaggio
fuori dalla
finestra.
Lui aveva bofonchiato un "sì"
abbandonandosi con un tonfo sul
divano nell'angolo.
<< Ronald, non essere indisponente!
E' stupendo! Dài, alzati e
vieni a vedere. >> gli aveva detto, facendogli un cenno
con la mano
minuta. Lui aveva sorriso di rimando, ma non aveva mosso un muscolo.
<< Sei più bella te, ci
scommetto. >> aveva risposto,
guardandola di sottecchi. Un banalissimo complimento, niente di troppo
forbito
o creativo o romantico, quasi zoppicante, detto con il tono di un
adolescente
alle prese con le prime cotte studentesche. Ma forse a lei andava bene
così.
<< Questo mi pare ovvio!
>> aveva esclamato allegramente
Hermione, sedendoglisi accanto e lasciandosi avvolgere dal suo
abbraccio.
<< E' un bellissimo panorama.
>> aveva detto poi e, vedendo
che lui non accennava a rispondere, aveva proseguito
<<è perfetto per...
tutto. Potrei piantare dei fiori, viole del pensiero, margherite,
qualche
tulipano... e noi potremmo sederci fuori la sera e prendere un
tè. Insieme, da
soli, con il rumore delle onde del mare come sottofondo.
>>
<< E prendere un tè?
>> aveva obbiettato semplicemente Ron,
con aria divertita.
<< Sì, tè.
Perchè? >>
<< Il tè è da
vecchi. Meglio una burrobirra. O firewiskey.
>>
<< Ma la burrobirra rovinerebbe
l'atmosfera! E il firewiskey non
mi piace. >> aveva ribattuto nuovamente Hermione
storcendo il naso.
<< Uhm. Hai ragione. Quindi?
>>
<< Cosa ne dici di un cocktail? Sai,
Bloody Mary, Cosmopolitan,
Manatthan, cose così. >> aveva proposto, colta
da un'illuminazione
improvvisa.
<< Cocktail? >> aveva
chiesto Ron, disorientato.
<< Sono bevande che mischiano vari
tipi di alcool, frutta, e
altro. Con nomi strani. >> aveva poi aggiunto sorridendo.
<< Carino. Almeno non è da
vecchi. >> aveva detto, ridendo,
per poi baciarla languidamente.
Aveva tanta voglia di un cocktail, in quel momento.
Uno di quelli rosa
chiaro, densi, che odorano di fragola e frutti esotici, uno di quelli
che
Hermione gli preparava sempre, mentre lui l'aiutava prendendo gli
ingredienti e
mettendo nel bicchiere l'ombrellino decorativo. Ora non sapeva
più quali
ingredienti e quali dosi occorressero, quanto tempo fosse necessario
per
prepararne uno... ed era sicuro al cento per cento che in casa non ci
fosse neanche
più uno di quei graziosi ombrellini decorativi.
Ron sospirò, senza però
distogliere lo sguardo dal tramonto che si stava
consumando piano piano davanti ai suoi occhi.
L'ennesima sera trascorsa in quel modo, solo,
davanti alla finestra, ad
aspettare qualcosa che interrompesse quell'assurda monotonia che lo
stava
distruggendo giorno dopo giorno.
Inclinò il volto appoggiandolo alla
parete e vide il suo riflesso
sull'anta della finestra.
Era proprio vecchio. I capelli, un tempo rossi, ora
erano di un marroncino-rossastro
ed erano brizzolati di bianco. La pelle, pallida, era piena di
lentiggini, come
sempre; ma mentre un tempo quelle efelidi erano il suo segno distintivo
e
ispiravano una singolare simpatia, adesso davano l'idea di essere i
postumi di
una qualche malattia sconosciuta che lo aveva avvicinato
pericolosamente alla
morte. Come anche gli occhi, verdi smeraldo, un tempo accesi e vispi,
ora
spenti e vacui.
Hermione diceva sempre che i suoi occhi erano
bellissimi. Diceva anche
che le sue lentiggini erano tenerissime, che le sue mani non erano
troppo
grandi e che la sua voce non era poi così tanto stridula.
Hermione diceva
sempre un sacco di cose belle su di lui, ma Ron pensava di non
meritarsele
tutte. Non se le era mai meritate le sue attenzioni, le premure, le
domande
scontate e a volte un po' fastidiose che lei gli poneva in
continuazione.
<< Allora, ti piace? >>
Quella frase irruppe nei suoi pensieri come un
temporale ad agosto: inaspettato,
veloce, caotico. La sua mente divenne un turbinio di sentimenti ed
emozioni, e
la sua prima reazione fu quella di chiudere gli occhi, come se la scena
che
stava rivivendo non fosse nella sua testa, ma davanti a lui, vera e
palpabile.
<< Allora, ti piace? >>
Hermione era davanti a lui, le mani
unite come in segno di preghiera.
Ron si era gustato quel momento per intero. Aveva
valutato bene i gesti
che avrebbe fatto, l'aria che avrebbe assunto, il tono con cui avrebbe
parlato.
Era rimasto qualche attimo in silenzio, fissando con sguardo serio il
liquido
rosa dentro al bicchiere, tastando con il pollice e l'indice
l'ombrellino di
carta giallo.
Poi aveva parlato.
<< Con cosa hai detto che
è fatto? >> aveva chiesto con
l'aria di uno che se ne intende.
<< Vodka alla fragola, succo
tropicale e martini. Non ti piace. >> aveva detto lei con
rammarico.
A quel punto Ron aveva riso sotto i baffi, poi
aveva scrollato le
spalle.
<< Sai, Hermione... >>
aveva cominciato, ma lei lo aveva
interrotto.
<< Non ti piace. Lo sapevo. Cosa
c'è che non va? Troppa vodka?
Oppure troppo martini? Oppure è il succo... la ricetta che
ho trovato diceva di
metterne solo un bicchiere, mentre io ne ho messo uno e mezzo. Sai,
forse è
stata un'idea sbagliata quella di passare la sera qua fuori, bevendo
cocktail,
forse è meglio se passiamo al firewiskey, come avevi
proposto tu. Dopotutto,
non sappiamo nemmeno prepararli, i cocktail, e rischiamo di fare
esplodere la
casa. Oddio, e se ho sbagliato qualcosa ed ora tu muori avvelenato? Oh,
Ron,
dobbiamo chiamare qualcuno, potrebbe già essere troppo tardi
e... >>
Ron era scoppiato a ridere da un bel pezzo, ma
Hermione era troppo presa
dalla sua filippica catastrofica per rendersene conto. Quando poi aveva
detto
che molto probabilmente Ron sarebbe morto di lì a due ore,
lui per poco non era
caduto in terra dalle risate.
<< Ronald, non ridere. Non sto
scherzando, potresti morire!
>> aveva esclamato, assumendo il tono che Ron definiva
"Da pazza
isterica in preda ad una crisi di nervi".
<< Hermione... il cocktail
è perfetto. Le dosi sono perfette, il
sapore è squisito. Posso averne un altro bicchiere?
>> aveva chiesto con
aria innocente.
Lei si era lasciata cadere sulla panchina, basita,
poi aveva alzato di
scatto la testa e aveva chiesto, gli occhi ridotti a due fessure:
<< L' hai fatto apposta, vero?
>>
<< Fare cosa? >> Il
tono era meravigliato, ma vi si leggeva
una nota di divertimento.
<< Lo sai cosa. >>
aveva risposto lei, secca.
<< Non capisco proprio di cosa tu
stia parlando... comunque posso
averne un altro bicchiere? Per favore? >>
<< Okay. >> aveva
annuito e si era alzata, guardandolo con
circospezione. Lui sapeva che lei sapeva che lui l'aveva presa in giro,
eppure
nessuno aveva detto niente. Eppure entrambi sapevano che Ron aveva
vinto.
Quella
era stata la prima sera
che avevano trascorso insieme in giardino, bevendo cocktails e
raccontandosi la
loro giornata. Era stata la prima di tante serate semplici e piacevoli
all'insegna delle coccole, dove gli unici suoni presenti nell'aria
erano quelli
del mare e delle loro voci. Hermione aveva sistemato le poltrone in
modo che
dessero sul mare, sul tramonto, e mentre Ron le raccontava la sua
giornata, le
barzellette sentite in ufficio e le novità sul lavoro, lei
gli si stringeva al
petto e lo ascoltava in silenzio, intervenendo ogni tanto con qualche
risata o
mormorii condiscendenti. A
Ron mancavano
quei momenti, quei baci leggeri eppure così intensi che lei
gli scoccava ad un
certo punto della serata interrompendo le sue filippiche monotone e
noiose, riuscendo a
portarlo in un altro
mondo -il suo mondo- e facendogli balenare in mente un solo pensiero,
forte e
indelebile. Voglio fare l'amore con lei.
Gli mancavano le carezze e il sapore di cocktail
rosa -così lo
chiamavano entrambi- sulla pelle la mattina appena sveglio. Gli
mancavano i
tramonti in compagnia e i litigi. I litigi gli mancavano tantissimo.
Perchè poi
era stupendo fare la pace con lei, con la sua Hermione testarda,
orgogliosa,
nevrotica, eppure sempre così fantastica. C'erano stati dei
litigi orribili,
ovviamente; volte in cui non si erano parlati per più di una
settimana e lui
era dovuto andare a stare da Harry e Ginny. Volte in cui il suo essere
tenero,
dolce e sempre un po' impacciato -come lo definiva Hermione- non era
bastato a
salvargli la pelle.
E poi c'era stata la sera più bella
della sua vita, quella in cui lei
gli aveva detto di essere incinta, e poi...
<< Ron, non fare il cretino, ridammi
il
mio Rosa! >>
A quel ricordo, il suo volto si rilassò
un attimo e le sue labbra si
incresparono in un sorriso. Oh, un altro flashback. Intenso e
improvviso come
gli altri, dolce e amaro al tempo stesso. Odiava ricordare. Ma sapeva
che non
avrebbe potuto stare senza.
<< Ron, rivoglio il mio
Rosa. Subito.>> Hermione era
sdegnata e, Ron ne era sicuro, se lui non l'avesse assecondata, molto
probabilmente sarebbe morto di lì a qualche secondo.
<< Herm, non puoi, non te lo ricordi?
>> aveva chiesto lui,
ridendo sotto i baffi e tenendo in mano il bicchiere della moglie.
<< Chi se ne frega. Quello
è mio e tu non lo berrai. >>
aveva detto lei di rimando, sfidandolo con lo sguardo. Ora Ron ne era
certo,
sarebbe morto di autocombustione da un momento all'altro.
<< Seriamente Herm, lo faccio per te.
Il dottore ha detto che non
devi bere alcolici.>> aveva insistito Ron
tranquillamente. Tutti e due
sapevano che Ron aveva ragione, ma non per questo Hermione si sarebbe
arresa.
<< Il dottore ha detto un sacco di
cose trascurabili. Non
morirò per qualche drink in più. >>
<< Ti comporti come un'alcolista, lo
sai?>> aveva chiesto
Ron, ridacchiando.
<< Oh, vaffanculo Ronald. Vuoi
gustarti da solo il tuo bel
cocktail? Eccoti accontentato.>> aveva detto allora lei,
arrendendosi, e
senza tuttavia rinunciare alla sua melodrammatica uscita di scena.
Ron era rimasto qualche minuto incerto sul da
farsi, poi con un sospiro
si era alzato ed era rientrato in casa senza neanche aver bevuto un
sorso del
suo Rosa. Una parte di lui temeva che non avrebbe trovato Hermione e
che lei lo
avesse abbandonato solo per quella piccola scaramuccia. Una parte di
lui aveva
sempre paura che Hermione un giorno lo avrebbe abbandonato, lasciandolo
da solo
in quella casa troppo grande con l'unico conforto degli ombrellini
decorativi.
Ron aveva aperto la porta di camera, poi si era
diretto in bagno. Lei
stava là, ferma davanti allo specchio con la spazzola in
mano.
<< Herm, dài, io
scherzavo. >> le aveva detto avvicinandosi.
<< Hai già finito il tuo
Rosa? >> lo aveva ignorato lei
senza tuttavia guardarlo.
<< Non l'ho neanche cominciato.
>> aveva ammesso lui
sospirando.
<< Ah. >>
<< Hermione, stavo solo scherzando.
Torniamo fuori, dài. >>
<< Ma hai detto tu che non posso bere
alcolici. Quindi sarà meglio
che tu vada da solo, no? >>
<< Non puoi essere veramente
arrabbiata. >> aveva detto a
quel punto Ron, andandole in contro.
<< Sì che lo sono, Ronald.
>> era sbottata lei, girandosi e
dandogli le spalle.
<< Ma io scherzavo. >>
aveva detto, accarezzandole i capelli
con una mano.
<< La sera è il nostro
momento. Quello in cui ci sediamo fuori,
guardiamo il mare e beviamo Rosa. Perchè il tè
è da vecchi, la burrobirra
rovinerebbe l'atmosfera e il firewiskey non mi piace. Senza il Rosa,
non ha
senso tutto il resto. >> aveva detto Hermione con la voce
rotta.
<< Certo che ha senso. E poi potremmo
cambiare e prendere il tè
finchè non nascerà il bambino... >>
aveva suggerito abbracciandola da
dietro.
Lei aveva scosso la testa.
<< Non voglio cambiare. A me piace
tutto così com'è. E poi...
magari all'inizio prenderemo il tè, ma poi ti
verrà a noia, tu vorrai bere un
cocktail e lo dovrai fare di nascosto per non farti vedere da me... e
poi
inviterai qua i tuoi colleghi, per non bere da solo. Mentre io
resterò sola a
letto con il mio tè. >>
Ron stava ridendo.
<< Hermione, a me non interessa il
Rosa. A me interessi tu.
>> le aveva detto semplicemente, abbracciandola.
<< Non mi importa
se non puoi bere alcol, se dovrò rinunciare al Rosa e se tra
qualche mese
assomiglierai ad una mongolfiera... io ti amo. E voglio passare le mie
serate
con te. >>
Hermione era stata qualche attimo in silenzio,
lasciando che Ron le
accarezzasse i capelli, le braccia, il ventre leggermente rigonfio. Poi
aveva
parlato.
<< Assomiglierò ad una
mongolfiera e a te non importerà? >>
aveva chiesto con aria scettica.
<< Non mi importerà. E poi
sarà solo per qualche mese, penso di
poter resistere.>> aveva risposto Ron baciandola
teneramente.
<< Ron... >> aveva
mormorato lei.
<< Sì? >>
<< Preferisci il tè verde
o quello aromatizzato? >>
Ron aveva riso spensieratamente, poi l'aveva
attirata a sè per baciarla
con più foga, mentre lei cominciava a sganciargli i bottoni
della camicia. Ad
un certo punto lui l'aveva presa in braccio -rischiando quasi di
sbattere la
testa contro la mensola sopra il lavandino- ed erano andati in camera,
e Ron
era così felice che nelle pause tra i baci riusciva solo a
sorridere. Hermione
indossava un vestito blu lungo fino alle ginocchia, e Ron, nel
tentativo di
spogliarla, quasi non ne aveva rotto la cerniera. Ogni due secondi si
dava
mentalmente dell'imbranato, ma Hermione non pareva notare il suo
imbarazzo -o
forse lo notava eccome, ma a lei andava bene così- ed era
presa dalla cerniera
dei pantaloni.
Per lui ricordare era come assistere ad una parata
il giorno di
carnevale. C'era lui, al bordo della strada, e c'erano gli altri che lo
guardavano, sorridevano e gli dicevano di godersi tutto quello a cui
avrebbero
assistito di lì a poco. E poi c'erano i coriandoli. Piccoli
e fini frammenti di
carta, leggeri, che non avevano una propria meta ma si accontentavano
di
seguire il vento, il suo soffio gentile ma deciso. I coriandoli erano
quelli
che lui chiamava "i segnali": quegli odori, sapori, luoghi e frasi
che precedevano i flashback e che innescavano in lui un vorticare di
pensieri
ed emozioni veloce ma intenso
quanto
bastava a lasciarlo senza fiato.
Una volta finita la pioggia di coriandoli,
arrivavano i carri. Grandi
carri addobbati a festa con striscioni di tutti i colori. Ce n'erano di
tutti i
tipi: carri lunghi, larghi, alti, semplici, a tema, con sopra statue di
cartapesta o persone
vere che si
muovevano a ritmo di musica; carri trainati da animali o da un motore,
preceduti da una parata o semplicemente da un annuncio fatto al
megafono.
E ogni carro era per lui un ricordo vivido, unico e
insostituibile. Un
ricordo che arrivava cigolando, che si fermava davanti a lui e occupava
la sua
mente, e che Ron non riusciva ad evitare neanche chiudendo gli occhi.
Il
ricordo stava lì, si consumava lentamente nella sua testa
come se fosse stato
reale e, alla fine, se ne andava via così come era arrivato,
sferragliando e
lasciandogli in bocca un retrogusto amaro. E la certezza che prima o
poi ci
sarebbero stati altri coriandoli e altri carri che non avrebbe voluto
vedere.
Ron era perennemente ai lati di una strada,
guardava gli altri
divertirsi, parlare, vivere. Lui esisteva -non viveva, questo no-, e
spesso
aveva il forte presentimento che fosse ancora al mondo solo per poter
ricordare, per poter assistere continuamente ad una parata che aveva
già
vissuto e che voleva solo lasciarsi alle spalle. Ron era diventato
inconsciamente spettatore della propria vita, e quei ricordi che lo
facevano
sorridere mentre gli attraversavano la mente, erano gli stessi che lo
lasciavano
spossato ogni volta che se ne andavano.
Ron attraversò con passo malfermo il
salotto e andò in cucina. Aveva
ancora tanta voglia di un cocktail, ma l'unica cosa presente nella
dispensa era
del tè. Aromatizzato. Era incredibile quante cose fossero
cambiate da quando la
sua Hermione se n'era andata. Era incredibile quanto fosse diventato
vecchio e
triste e monotono. Se Hermione fosse stata lì, lo avrebbe
sicuramente
rimproverato. Anzi, se Hermione fosse stata lì, tutto quello
non sarebbe mai
successo; lei sarebbe riuscita a farlo sentire per sempre giovane e
allegro. E
avrebbero continuato ad essere felici insieme.
<< Ronald, non chiamerò
mia figlia
Brulee.>>
<< Perchè? E' un nome
originale, unico e... buono. >> aveva
spiegato Ron con occhi sognanti.
<< Ronald, te lo ripeto un'altra
volta: non chiamerò mia figlia
con il nome di un dolce. >>
<< Guarda che
<< Ma non per questo devo dare il suo
nome a mia figlia.
>>
<< Non è solo tua
figlia. >>
<< Come vuoi. Non darò mai
quel nome a nostra figlia.
>> aveva ribattuto lei, incrociando le braccia sul petto.
<< Brulee Weasley. Suona bene.
>> aveva osservato Ron.
<< Non puoi essere
serio.>> Hermione era scettica. <<
Sai almeno cosa vuol dire "brulee" in francesce? >> aveva
poi
chiesto, con quell'insopportabile tono da so-tutto-io.
<< Oh, chissene importa di cosa vuol
dire in francese. >>
aveva ribattuto Ron.
<< Vuol dire "bruciata". Vuoi davvero
chiamare nostra
figlia Bruciata? >> aveva chiesto lei ignorandolo e
alzando la voce di
due ottave.
Ron era rimasto qualche attimo in silenzio, poi
aveva scosso la testa.
Hermione era parsa alquanto sollevata, e si era seduta sulla poltrona
in vimini
accanto a lui. Era sera, una di quelle sere uggiose in cui non sai se
la
mattina dopo ti risveglierai con il tintinnio della pioggia nelle
orecchie o
con un timido solicino che ti illumina il volto. Una di quelle serate
in cui il
sole traspare attraverso una nebbiolina umida e getta sfumature rosa
tutto
intorno. Hermione stava per portare a termine l'ottavo mese di
gravidanza, ed
assomigliava veramente ad una mongolfiera. Una mongolfiera splendida, a
detta
di Ron.
<< Allora forza, suggeriscilo tu un
nome.>> aveva mugugnato
Ron.
<< Ne ho già suggeriti
più di venti, ricordi? E nessuno di loro ti
piace. >> era sbottata, alzandosi in piedi.
<< Herm, calmati. Il dottore ha detto
che devi stare tranquilla, e
non mi sembra che tu lo sia, al momento. >>
<< Lo sarei, se tu ti decidessi a
scegliere un nome per nostra
figlia che non sia quello di un dolce.>> aveva ribattuto
lei ,
appoggiandosi una mano sul ventre gonfio.
<< Va bene, non chiameremo nostra
figlia Brulee. O Caramel. Ma
neanche Phoebe, Astral, Karma o Daydream. Ma dove li hai trovati questi
nomi?
>>
<< Li ho letti nel libro dei nomi che
mi ha regalato la mamma. C'è
scritto che sono originali e che nel periodo Hippie erano molto di moda
anche
in America. >>
<< L'unico che mi piace è
Demetria. Demetria Weasley. Demi
Weasley. >>
<< Suona bene, ma non possiamo
chiamarla Demetria. >>
<< Guarda che è uno dei
nomi che hai proposto tu! >> si era
difeso subito Ron.
<< Lo so.>> aveva
ribattuto Hermione. << E' che anche
mia cugina sta per avere una bambina, e la chiamerà
Demetria. Non possono
esserci due Demetria nella stessa famiglia.>>
<< Quindi siamo punto e a capo.
>> aveva constatato Ron.
Erano rimasti qualche attimo in silenzio, seduti
l'una di fronte
all'altro guardandosi negli occhi. Hermione aveva freddo, Ron lo poteva
vedere
dal modo spasmodico in cui stringeva le braccia sotto il seno. Ma non
l'avrebbe
mai ammesso e non sarebbe mai voluta tornare in casa. Non quando c'era
una
discussione in sospeso e un tramonto così bello davanti ai
loro occhi.
<< Voglio un nome che piaccia a tutti
e due. Un nome semplice ma
elegante, non troppo originale. Qualcosa che ci faccia sorridere quando
ci
pensiamo. Un nome con una storia, non deciso a tavolino.
>>
<< Quindi lasciamo perdere e
aspettiamo un segno del destino o
simili? >> aveva chiesto Ron, sorridendole e
accarezzandole i capelli.
Lei aveva chiuso gli occhi.
<< Penso proprio di sì.
>> lei gli aveva sorriso a sua volta
accettando la mano che lui le porgeva. << Ron, hai
lasciato tutto il tuo
tè. >> aveva osservato poi.
<< Uhm... sì. Non ne ho
voglia. >> le aveva spiegato lui
mentre rientravano in casa.
<< Io ho voglia di preparare un Rosa.
Ti va? >>
<< Herm, ne abbiamo già
parlato. Solo tè, ricordi? >>
<< Lo so, lo so. Ma non ho intenzione
di berlo, solo di
prepararlo. Sai, mi manca l'odore di fragola e martini in cucina. Lo
adoravo.
Io preparo e tu bevi, okay? >> aveva proposto,
cingendogli il collo con
le braccia.
<< Uhm. Okay, ma ti do una mano...
Così non ti stanchi troppo.
>>
<< Come vuoi. >> aveva
scosso le spalle, sorridendogli. Ron
si preoccupava per lei. Lo faceva con frasi e gesti semplici, quasi
banali,
sempre accompagnati da una leggera nota di imbarazzo. In modo unico e
maldestro.
Erano andati in cucina, dove Hermione stava
armeggiando con dei
bicchieri e uno shaker.
Con la magia aveva chiamato a sè una
bottiglia di vodka alla fragola,
una di Martini e una caraffa di succo, e li aveva posizionati uno
accanto
all'altro sul tavolo. Ron la stava guardando affascinato.
<< Ginny e Harry ci hanno invitato a
cena da loro, venerdì sera.
>>
<< Ah, fantastico. E' da un po' che
non vedo Harry. Sta bene?
>>
<< Oh, sì, molto; va pazzo
per Jim. >>
<< Tutti vanno
pazzi per Jim. >> aveva detto ironica
lei, mentre versava un po' di Martini in un
bicchiere di vodka.
<< Vuoi una mano? >>
<< Sì grazie. Potresti
mescolare il tutto? >>
<< Certo. >> aveva
acconsentito Ron, cercando di non far cadere nessuno dei tre bicchieri
che
Hermione gli stava passando. << E poi ho parlato con
Ginny. Ha detto che
sei... preoccupata. >>
Hermione era arrossita violentemente.
<< Non sono preoccupata. Solo un po'
in ansia. E' diverso.
>> aveva specificato lei.
<< Non dovresti esserlo.
>>
<< Ma lo sono. >>
Hermione si sforzava di sorridere -con
scarsi risultati-.
<< Ci sono io. Per... per qualsiasi
cosa. Anche la più stupida, la
più banale. >>
<< Lo so Ron. E' solo un po' di
ansia, va tutto... oh, Ron, cosa
hai fatto? >> a Ron era scivolato di mano lo shaker che
era caduto
insieme a due bicchieri, ed Hermione stava ridendo.
<< Miseriaccia! Attenta Herm, non
muoverti di lì, risolvo tutto
io. Dov'è la bacchetta? >> Hermione avrebbe
tanto voluto dirgli "Chi
è adesso quello ansioso?" ma non lo aveva fatto. Si era
limitata a
guardarlo, ridendo.
<< E' laggiù, sul div...
Ahia! >>
<< Herm, tutto bene? >>
se avesse continuato così, molto
probabilmente non sarebbe arrivato vivo al giorno dopo.
<< Sì, mi sono solo
tagliata. >>
Ron
aveva raggiunto la bacchetta
sul divano e aveva fatto evanescere i bicchieri rotti con una breve
formula,
poi si era diretto verso Hermione che si stava guardando la mano con
aria
critica.
<< C'è tanto sangue?
>> aveva chiesto in uno slancio di
coraggio.
<< Tantissimo. Anzi, penso che
dovrò farmi amputare la mano.
>> aveva risposto seria Hermione, ma Ron aveva intravisto
nei suoi occhi
una scintilla di divertimento.
<< Ah-Ah, molto simpatica.
Dài, fai vedere. >> le si era
avvicinato e aveva puntato la bacchetta sul graffio, facendolo
rimarginare
quasi del tutto.
<< Domani mattina sarà
come nuova. Merito mio ovviamente.>>
le aveva fatto l'occhiolino, stile "John Travolta".
<< Certo, merito tuo se mi sono
tagliata e se abbiamo due
bicchieri in meno. >> aveva ribattuto Hermione baciandolo
languidamente.
<< Bhè, almeno il Rosa
è salvo. Sarà buono? >>
<< Oh bhè, lo spero per
te. Sei tu che lo devi bere. >>
Ron aveva raccolto lo shaker da terra, lo aveva
aperto e aveva versato
in un bicchiere nuovo il cocktail rosa e un po' troppo denso che aveva
preparato. Poi aveva avvicinato il bicchiere alle labbra assaporando quel delizioso
odore di fragola e
frutti tropicali. Infine vi aveva poggiato le labbra e aveva cominciato
a bere.
E quel sapore di alcol e frutta, buono, dolce e unico, gli era proprio
mancato.
Sentiva gli occhi di Hermione addosso, vedeva le sue labbra tese mentre
osservava il liquido rosa scivolare velocemente dal bicchiere nella
bocca di
Ron.
<< Buono. Mancava l'ombrellino.
>> aveva concluso lui,
appoggiando il bicchiere ormai vuoto sul tavolo.
Hermione aveva sospirato. Avrebbe voluto berne un
po' anche lei, Ron lo
sapeva.
<< Vuoi assaggiare? >>
le aveva proposto allora.
<< Lo sai che non posso. E ormai
l'hai finito tutto tu. >>
aveva risposto lei seccamente.
<< No, non è vero. E un
po' per uno non fa male a nessuno.
>>
Così dicendo l'aveva attirata a se e
l'aveva baciata. Lei aveva
dischiuso le labbra quasi subito, permettendo alle loro lingue di
sfiorarsi,
incontrarsi e sfidarsi in giravolte. Ron aveva premuto la propria
lingua contro
il palato di Hermione, poi le aveva mordicchiato un labbro ed era
passato a
baciarle ogni singolo punto del viso.
Aveva sentito la pelle di Hermione incresparsi in
un sorriso sotto il
suo tocco veloce e delicato, poi le aveva messo una mano sul ventre e
una tra i
capelli, e si era fermato a guardare il suo volto arrossato, gli occhi
scuri
senza trucco e le labbra gonfie. La trovava stupenda.
<< Allora, com'era questo
Rosa?>> le aveva chiesto.
<< Buonissimo. Per essere stato fatto
in dieci minuti e poi essere
caduto per terra. >> aveva sorriso mentre Ron le stampava
un bacio sul
collo.
<< Chiamiamola Rose.
Rosa, come il nostro coktail. >>
aveva detto Ron ad un certo punto, abbracciandola. Hermione non aveva
detto
niente per qualche minuto, ma Ron poteva quasi sentire lo sferragliare
delle
rotelle nel suo cervello che valutava attentamente la proposta.
<< Rose. E'
perfetto. Mi piace. E' un nome con una storia.
>> aveva commentato alla fine, senza però
staccarsi dall'abbraccio di
Ron.
<< E che Rose sia. >>
<< Molto meglio di Brulee.
>>
<< O di Daydream.
>> aveva ribattuto lui, divertito.
Hermione era rimasta in silenzio e per qualche
attimo Ron si era chiesto
se per caso quel suo ultimo commento l'avesse offesa. Insomma, era
risaputo che
Hermione era piuttosto suscettibile.
<< Tutto bene Herm? >>
<< Sì, certo. Stavo solo
pensando... >>
<< Uhm? >>
<< Perchè non è
venuta a me quell'idea? Insomma, avrei
dovuto pensarci io! >> aveva
esclamato.
Ron aveva riso, per poi aggiungere:
<< Grazie della stima, Herm.
>>
<< Lo sai che non intendevo quello.
Hai avuto un'idea stupenda, e
Rose è un nome bellissimo. >>
Rose era un nome bellissimo. Il Rosa era un
cocktail bellissimo. Quel
momento era bellissimo.
Ricordava ancora con precisione la nascita di Rose,
pochi giorni dopo
che avevano deciso come chiamarla; Hermione lo aveva chiamato in
ufficio e gli
aveva chiesto di tornare a casa prima perchè forse "c'era
qualche problema",
e dopo neanche due ore era nata sua figlia. La sua Rosie.
Poi era stata
la volta di Hugo, e i figli li avevano spossati a tal punto che certe
volte si
erano addormentati prima che facesse sera. Poi c'era stata Hogwarts, e
loro
avevano ripreso lentamente la loro splendida routine, le loro sere a
base di
cocktail e tramonti. La sera era diventata di nuovo il loro momento,
sempre
troppo corta eppure così intensa.
E poi, così fulminea come era entrata
nella sua vita, Hermione ne era
uscita. O forse no, forse lei gli aveva lanciato dei segnali prima di
andarsene
e lui non li aveva colti, forse ciò che era successo era
stata solo l'ultima
scena di uno spettacolo che ormai andava avanti da tempo. Non ricordava
il
momento esatto in cui le cose erano cambiate e, quando ci pensava,
davanti a sè
vedeva solo spezzoni di vita che si susseguivano a casaccio. Sapeva
solo che
all'improvviso la loro strada aveva preso una direzione diversa, in
discesa,
tra rocce e rovi che diventavano sempre più grandi e
pericolosi. E poi Hermione
aveva deviato, lasciandolo solo e ansante in quel deserto desolato.
L'ultimo anno in cui Rose frequentò
Hogwarts, Hermione era rimasta di
nuovo incinta. Quando lo avevano scoperto, entrambi erano impazziti di
gioia;
Ron avrebbe voluto dirlo a tutto il mondo, Hermione anche, ma preferiva
aspettare qualche settimana e verificare che fosse tutto apposto.
Avevano di
nuovo cominciato a fantasticare su tutine, pigiamini, lettini e
biberon, e Ron
si era sentito come un bambino che stava per salire sulla sua giostra
preferita
dopo essere stato a lungo in punizione. Hermione era radiosa.
Quando avevano appreso dal ginecologo che Hermione
era incinta di due
mesi e che stava andando tutto bene, per festeggiare avevano deciso di
fare un
picnic e una lunga
passeggiata lungo la
costa. Quello stesso pomeriggio Hermione aveva perso il bambino.
Il dottore aveva detto che erano cose che capitano,
che non era colpa di
nessuno, che molto probabilmente era stato un bene, visto che Hermione
non era
più una ragazzina.
Ron aveva pianto un po' in macchina, Hermione
invece era rimasta seduta
in silenzio ad ascoltare un vecchio pezzo di Fred Astaire. Non avevano
parlato,
semplicemente lui aveva allungato una mano fino a prendere la sua
-così leggera
e tremante- per poi stringerla delicatamente. Avrebbe potuto fare di
meglio, oh
se avrebbe potuto, ma non ci era riuscito. E in quel momento aveva
sperato
ardentemente che quel suo gesto banale
e
troppo poco intimo bastasse.
Ron ricordava quella sera come il momento peggiore
della sua vita.
<< Hey, che ci fai ancora in camera?
>>
<< Leggo.>> aveva
risposto lei stancamente.
<< Ma è sera, è
il tramonto.>> aveva detto lui con ovvietà.
<< Sì, lo
so.>>
<< E allora perchè stai
leggendo?>>
<< Perchè ho voglia di
leggere.>> questa volta era stata
secca.
<< Herm... non ti va di venire in
giardino con me a bere qualcosa,
come facciamo sempre?>>
<< No, non mi va. Non sono
dell'umore.>> aveva detto lei a
quel punto, come ad esortarlo ad andarsene.
<< Forse dovremmo
parlare.>> aveva esordito allora Ron con
voce incerta.
<< Di cosa?>> aveva
chiesto lei con noncuranza, ma Ron
poteva vedere distintamente il labbro inferiore tremarle e gli occhi
luccicare
nella penombra.
<< Lo sai. Di... quello che
è successo.>> incredibile come
riuscisse ad essere impacciato e insicuro proprio nei momenti in cui
avrebbe
dovuto prendere in mano la situazione e sistemare le cose.
<< Non voglio. >> aveva
detto lei semplicemente, per poi
abbandonarsi ad un pianto liberatorio.
Ron inizialmente era rimasto indeciso su cosa fare
-se lasciarla sola ed
evitare che il suo orgoglio andasse in frantumi o se fregarsene di
tutto e
correre ad abbracciarla- ma, non appena aveva mosso un passo verso di
lei,
Hermione si era alzata in piedi ed era corsa in bagno sbattendo la
porta.
<< Hermione.>> aveva
sussurrato Ron davanti alla porta scura
<< Ti prego, fammi entrare.>>
Lei non gli aveva risposto. Semplicemente aveva
continuato a piangere le
sue lacrime tutta la sera, tutta la notte e tutta la giornata
successiva, sorda
alle parole del marito che, quel giorno, pianse ben due volte.
Ogni volta che Ron pensava a quella fatidica sera
-quella in cui lei gli
aveva spezzato il cuore- le lacrime gli salivano automaticamente agli
occhi,
rompevano gli argini e scendevano sulla sua pelle -sulle sue rughe-
come una
pioggia che dopo anni e anni di siccità bagna un terreno
arido e ormai sterile.
Si era imposto molto tempo prima di non pensare
più a quella scena, ma
Ron ormai lo sapeva: i suoi propositi andavano in frantumi se decideva
di
lasciar andare a briglia sciolta i pensieri.
Ricordava ancora vividamente com'erano passati
lenti e dolorosi i giorni
successivi alla notizia della perdita di loro figlio. Hermione era
uscita dal
bagno invecchiata di dieci anni, la pelle secca, gli occhi rossi e le
labbra
gonfie. Aveva barcollato fino alla cucina e Ron, non appena l'aveva
vista, era
corso ad abbracciarla, baciandole ogni centimetro di pelle scoperta e
assaporando sulle sue labbra il sapore salato delle lacrime.
L'aveva tenuta stretta tra le sue braccia tutto il
giorno e tutta la
notte, e avevano parlato. Lui le aveva detto del suo lavoro, di quanto
la
amasse, di come stavano Harry e Ginny, di Rose che aveva ricevuto un
sacco di
complimenti per la sua media scolastica, di come le cose sarebbero
migliorate
di lì a poco, di quanto la amasse, dei proverbi seccanti ma
veritieri come
"Quando si chiude una porta si apre un portone", di quanto la amasse
eccetera eccetera. Lei era stata prevalentemente ad ascoltarlo,
interrompendo i
suoi monologhi ogni tanto con qualche bacio leggero e sorridendo ai
suoi goffi
tentativi di tirarle su il morale, aveva pianto, si era lasciata
consolare,
aveva pianto ancora, aveva detto che le dispiaceva -per poi, cosa, Ron
non lo
aveva mai capito fino in fondo- e poi si era addormentata.
E quella fu l'ultima sera in cui Ron vide la sua
Hermione.
Dopo quella giornata, le cose non erano migliorate.
Hermione non aveva
ripreso a sorridere, non era tornata a lavoro, non aveva preso in mano
la sua
vita e, soprattutto, non aveva ricominciato a preparare il Rosa.
All'inizio Ron aveva pensato che con il tempo le
cose si sarebbero
sistemate, che Hermione si sarebbe resa conto di essersi lasciata
andare un po'
troppo e si sarebbe tirata su da sola, come aveva sempre fatto. Non fu
così. Le
cose non migliorarono, i ragazzi se ne andarono di casa e Hermione
continuò ad
allontanarsi da lui. La mattina rimaneva sempre a letto fino a tardi,
non
cucinava più, non parlava, era sempre immusonita, rifiutava
le attenzioni che
gli amici e il marito le rivolgevano, ignorava i tentativi di
quest'ultimo di
fare conversazione la sera e, molto spesso, si coricava prima che lui
tornasse
da lavoro.
Ron era convinto che Hermione sapesse che tutto
ciò lo distruggeva ma
che continuasse a comportarsi in quel modo per puro sadismo; era una
cosa
orribile da pensare, ma in un angolino del suo cuore Ron sapeva che era
così,
che quando lo vedeva seduto in giardino con l'unica compagnia del
firewiskey,
triste e amareggiato, Hermione gioiva e si sentiva un po' meno sola nella sua
disperazione.
Tutti si erano accorti del cambiamento di sua
moglie, eppure nessuno
riusciva a fare niente. Ginny, Harry, Neville, Luna, gli amici di un
tempo,
venivano trattati da Hermione come completi estranei, e reagiva alle
loro
preoccupazioni con stizza, come se pensasse che non erano in grado di
capire la
sua rabbia e la sua malinconia. Si rifiutava di vedere dei dottori,
sostenendo
che andava tutto bene e che era solo un periodaccio, che tutto si
sarebbe
risolto in fretta, ci voleva solo tempo.
Ron non avrebbe saputo dire quando fu il momento
preciso in cui smise di
sperare che le cose si sarebbero aggiustate; forse fu in una delle
tante sere
in cui aveva aperto la porta di casa e aveva realizzato che Hermione
era andata
a letto senza aspettarlo. O forse, forse fu proprio quando la vide
sdraiata
esanime sul pavimento del bagno, il volto completamente coperto dai
capelli
bruni, in una posizione innaturale. Oppure fu davanti alla sua bara,
tre giorni
dopo, in uno dei tanti cimiteri alla periferia di Londra, circondato
dagli
amici di una vita eppure così solo. Forse però,
la speranza non l'aveva mai
persa. Non aveva mai smesso di sperare che prima o poi il tempo avrebbe
veramente sistemato le cose, che si sarebbe svegliato da quell'incubo
orrendo
in cui le cose continuavano a sfuggire al suo controllo, e si sarebbe
trovato
accanto un'Hermione raggiante appena sveglia che gli chiedeva come
avesse
dormito.
Certe volte avrebbe voluto sistemare tutto
così come aveva fatto
Hermione: un paio di pillole in più e via. Una soluzione
codarda, che mai
pensava una Grifondoro come Hermione avrebbe adottato. Hermione era
stata una
codarda, e non si vergognava di pensarlo; aveva preferito scappare,
distruggendo
non solo la sua vita, ma anche quella delle decine di persone che la
amavano e
che un tempo non avrebbe mai permesso soffrissero. Non solo non aveva
pensato a
lui, suo marito, ma aveva abbandonato anche i figli, gli amici, i
genitori. Era
stata egoista, ecco cosa, aveva messo la sua felicità
davanti a quella degli
altri, e fino a qualche mese prima non lo avrebbe mai fatto. Negli
ultimi tempi
non aveva avuto più niente della bella ragazza orgogliosa e
testarda di cui si
era innamorato, quella ragazza che aveva la soluzione ad ogni problema,
che non
si scoraggiava mai e che lo sorprendeva sempre con quel suo modo di
fare da
so-tutto-io che lui trovava irritante e adorabile al tempo stesso.
Ron aveva provato ad aiutarla, e tutti continuavano
a dirgli che aveva
fatto il massimo ma che sfortunatamente il massimo non era bastato. No,
lui non
aveva fatto un bel niente, si era lasciato sfuggire di mano la
situazione e
aveva lasciato che Hermione andasse alla deriva, ecco cos'aveva fatto.
Aveva
provato a parlarle, a farle capire quanto immenso fosse l'amore che
provava per
lei, ma non era mai riuscito a imporsi e, lentamente, l'aveva persa.
Aveva
continuato a pensare che un giorno Hermione sarebbe venuta da lui, in
lacrime,
dicendogli che adesso aveva capito tutto, che le dispiaceva e che era
pronta a
ricominciare da dove si erano interrotti, e cioè da quando
si sedevano in
giardino la sera a sorseggiare Rosa.
Non era successo niente di tutto ciò, e
Ron sapeva che in parte era
colpa sua. Una grande parte era colpa sua. Perchè Hermione
non aveva mai
chiesto aiuto a nessuno in vita sua, ma proprio quando ne aveva avuto
bisogno,
lui non era stato in grado di salvarla, non era stato in grado di
essere per
lei quello che lei era stata tutta la vita per lui.
Ron ricacciò indietro le lacrime
pensando che, se era troppo vecchio per
gli ombrellini decorativi, allora era troppo vecchio anche per piangere
la sua
defunta moglie. Andò verso la credenza e prese una tazza
-quella che Rose gli
aveva regalato quando era alle elementari, con su scritto "Miglior
papà
del mondo"- e riempì d'acqua il bollitore. Chiamò
a sè le bustine del tè,
accese il fuoco e vi mise sopra il bollitore. Controllò
l'ora e con un po' di
sollievo si rese conto che erano le 7.00 e che tra qualche minuto
avrebbe
ricevuto una chiamata da Hugo e Rose che, tutte le sere, gli
telefonavano per
sapere se era ancora vivo. Dio solo sapeva perchè non
usavano un qualsiasi
stupido incantesimo.