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Autore: Heartshape    13/12/2010    1 recensioni
I suoi piedi sfiorano il terreno lastricato, sembrano intessere l'eco sottile di speranze lontane. E' quasi il tramonto. La Sposa avanza leggiadra, l'intera piazza si colma dell'odore inebriante dei fiori d'arancio.
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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  Circondata dal bianco, la Sposa cammina, sorride, gode per un attimo di quella sensazione, sentirsi ammantata di una purezza virginea che rende anche il dolore leggero, impalpabile, dissipandolo fra dolci pieghe di raso, nastri d’organza e ricami di pizzo. I suoi piedi si posano a terra leggiadri, accarezzano il vento, impercettibili orme che presto verranno cancellate dai passi più netti e pesanti di qualche turista distratto. La piazza ne è piena, babilonia di persone e colori in tumulto, voci leggiadre, sgraziate, allegre, seriose, intrecciate in una sinfonia che si rinnova in ognuno di quei giorni in apparenza così uguali.
Alla Sposa è sempre piaciuto ascoltare conversazioni in lingue diverse dalla sua. Quando comprendi cosa una persona stia dicendo, essa sembra perdere per te tutto il suo fascino; non la ascolti mai veramente, non fino in fondo. Ma, nel momento in cui non comprendi le parole, allora, a volte, ti fermi incantato, assapori suoni che sembrano racchiudere qualcosa di segreto, una promessa di delicata bellezza che ristagna anche nelle conversazioni più banali.

La Sposa si allontana a malincuore sotto il porticato, cammina leggiadra e sorride, scostando il vestito, scoprendo ogni tanto qualche centimetro di pelle in più che fa voltare molti passanti; si lascia guardare con divertito distacco, celando forse un velo di malizia. La Sposa è abituata a farsi osservare, anche se non sempre è una sposa. Nel suo specchio custodisce mille volti di donna; sorride divertita, click, la sua espressione immortalata dal fotografo che le piace meno, quello che puzza troppo di fumo, le ricorda suo padre. Le ricorda il suo appartamento a Londra, il periodo della vita in cui aveva trovato divertente quella che ben presto è diventata la sua routine quotidiana. Quel periodo in cui aveva pensato di potersi riscattare dalla sua maledizione. La Sposa odia essere bella, perché a nessuno è mai importato delle difficoltà della sua vita, perché ha sempre dovuto faticare il doppio rispetto a molti altri per dimostrare di essere intelligente, perché alcune volte è stata esibita come trofeo dagli uomini, altre volte per questa stessa paura ha allontanato persone di cui ancora sente la mancanza. Si volta verso un altro obiettivo, si piega un po’ verso il fotografo, lo guarda con espressione languida.
Click.
Osserva nuovamente la piazza, poi sembra tornare sui suoi passi, si volta nuovamente verso la troupe, l’espressione innocente, lo sguardo distante. Osserva il canale di fronte a sé, la piccola barca con sopra quel buffo italiano che tenta di apostrofare i passanti a gran voce per sbancare il lunario un giorno ancora. Sogna di salire su quella barca con l’uomo che ama e che adesso è lontano, magari un giorno si abbracceranno come quei due giovani ragazzi dagli occhi a mandorla. Spera che, se mai quel giorno arriverà, potrà avere la stessa espressione sognante e carica di aspettative dipinta negli occhi di lei, poi scoppia a ridere.
Click.
Pensieri simili non le si addicono, ma ha una giustificazione valida: si trova a Venezia, la città più romantica del mondo. Secolari sensazioni di tutti gli amanti del mondo aleggiano in città, forse qualcuno si è impadronito anche dei suoi sentimenti, almeno per un po’.  La Sposa non crede più nell’amore, non crede neanche nel romanticismo, men che meno nel matrimonio. Che buffo, pensa, accarezzando il vestito, guardandolo con aria protettiva, quasi materna. Che buffo che sia proprio io ad indossarlo. Forse nei matrimoni una parte positiva, dopotutto, c’è: la cerimonia. Sorride di nuovo, candida, al fotografo che odia. Il suo volto non tradisce minimamente i pensieri che le si agitano in testa. Quegli occhi verdi che sono stati la fortuna di tante campagne pubblicitarie sono la migliore serranda che abbia sul cuore e sull’anima.
La luce cala in fretta e il servizio finisce. La Sposa è stanca, ha studiato tutto il giorno, sta per laurearsi. Non che nessuno dei suoi compagni di viaggio ne sia al corrente; quando l’hanno vista ritirarsi nella sua stanza fin dalla mattina devono aver pensato che fosse una modella come tante, snob e altezzosa. Il modo migliore per cominciare la giornata, insomma, a pane e stereotipi.
La modella si siede in uno dei numerosi pub che costeggiano la piazza, osserva emozionata la luce del tramonto sulla statua dei leoni, quasi si commuove alla musica della piccola orchestrina che suona proprio di fronte a lei. Poi, d’improvviso, si accorge di non essere più sola. Il più giovane dei fotografi è seduto accanto a lei. Sorseggia del vino, la guarda, sorride, volge gli occhi all’orchestra. –Le tue foto sono perfette, ma non sembri a tuo agio in questo vestito- le dice, semplicemente. Lei lo guarda esterrefatta. Lui fa spallucce. –Ho visto i tuoi libri, oggi. Medicina, è una strada che avrei sempre desiderato tentare anche io. Ma l’amore per lei – e sfiora lievemente la Canon che porta ancora appesa al collo – me l’ha impedito.  Lei si stringe nelle spalline di raso, improvvisamente a disagio. Lui si alza, la prende per mano. – Come ti chiami? Lei non risponde. Guarda le loro mani intrecciate e lo fissa allibita. –Balla- le dice lui, semplicemente, tirandola in mezzo alla piazza.
Non so fare, pensa lei, ma, quasi a contraddirla, i suoi piedi si muovono perfettamente a ritmo di musica. La Sposa non ama particolarmente i balli di coppia, ma questo ragazzo gentile si limita a posarle le mani sulla schiena. Le canzoni, da lente che erano, divengono sempre più ritmate, finchè la Sposa non si ritrova a volteggiare, saltare, ridere, le gote arrossate, un piccolo capannello di persone intorno che osservano lei e il suo cavaliere, una moltitudine di occhiate invidiose, visi sorridenti, espressioni sognanti.
Quando si siede di nuovo, la Sposa sta ridendo, i capelli in disordine, un nuovo lampo di luce negli occhi. La Sposa si è divertita.
Click.
Il ragazzo scatta un’altra foto, questa volta con una vecchia Polaroid a sviluppo rapido che ha tirato repentinamente fuori dal borsone. Prende il piccolo rettangolo di carta, lo scuote lievemente per farlo asciugare, glielo porge. –Guardati. Lei ubbidisce e, per la prima volta dopo tanto tempo, si ritrova. Alza lo sguardo. –Juliet- gli dice, dopo un attimo di esitazione. Lui scoppia a ridere. Le bacia la mano, e, in risposta alla sua espressione confusa, mormora semplicemente: -Io John. Il mio secondo nome è Romeo. Poi si allontana, lentamente, a piedi, la tenue luce del crepuscolo che gli sfiora le spalle come la carezza di un amante distratto.

La Sposa guarda nuovamente la foto e sorride;  quella città deve essere magica davvero, perché forse lei è riuscita a trovare il suo ruolo.
Lontano dallo specchio.

  
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