Angels.
La
vita non è sempre facile. Con me è stata anche
abbastanza crudele. Capita di
sentirsi soli, ma poi qualcuno ti salva.
Credo
l’inizio della mia storia sia Ottobre. Non sono mai attenta
allo scorrere dei
giorni e dei mesi, mi fanno sentire limitata. Mi piace pensare che il
mio tempo
sia infinito.
Ero
molto giovane quando persi i genitori. Scomparsi in un incidente
d’auto: e il
pirata della strada se l’è cavata con un niente.
E
quel
niente neppure me li ha restituiti.
Ero
giovane e innocente, inesperta. Quindicenne, amavo la musica, come la
amo ora.
Il
mio
sogno era quello di poter andare un giorno ad un concerto dei Tokio
Hotel.
Se
ci
ripenso ora, riesco a sentire ancora la passione che provavo per le
loro
canzoni, e la sento bruciare forte ora, quando ho il coraggio di
riascoltarli.
Essendo
minorenne, andai a casa di mia zia: non aveva né tempo,
né voglia di occuparsi
di me. Io non l’avevo mai conosciuta, era la sorella di mia
madre, ma loro non
erano mai andate d’accordo. Tutto quello che facevo era
andare a scuola,
tornare a casa e rintanarmi nella mia camera. Amici non ne avevo: ero
troppo diversa.
Troppo
matura, troppo anticonformista, troppo senza peli sulla lingua. Troppo
per un piccolo
paesino di qualche migliaio di anime.
Arriva
il momento che quello che hai non ti basta, perché
è poco. Perché nessuno si
merita di non avere una persona accanto. Io la mia fonte
d’affetto l’avevo
persa, il calore che ricevevo dalla musica finiva con le note di una
canzone. Nessun
abbraccio.
Una
sera stetti sveglia fino a tardi. Uscii fuori di nascosto. Avevo voglia
di
andarmene. Non tanto in senso fisico, quanto figurato. Voglia di farla
finita. Nella
mia mente scorrevano le immagini di sogni mai avverati, di promesse mai
mantenute, di calore umano strappato. Rivedevo mia madre sempre attenta
ad
ascoltarmi, mio padre che credeva in me. Il mondo senza di loro non
aveva senso,
perché nessuno mi capiva più.
Nessuno
mi consolava più.
Continuai
a camminare lungo il marciapiede bagnato dalla pioggia recente,
ascoltando By Your Side.
Quello
che mi mancava: qualcuno che mi stesse vicino. Gli unici erano loro, il
mio
rifugio, il mio posto segreto e il mio sogno più
irraggiungibile. Il mio niente
e il mio tutto. Lasciai la canzone a metà.
Gli
spacciatori si fanno vedere più spesso di notte e io ne
avevo notato uno. Ero
una ragazza matura, ma tutti fanno degli sbagli. Io in quel momento non
ci
vedevo nulla di sbagliato. Avevo dei soldi da parte, e ne usai un
gruzzolo per
comprarmi la droga. Niente di leggero: non volevo diventare dipendente,
io
volevo morire e basta. E nel modo più indolore possibile e
che mi concedesse
una felicità che altrimenti non potevo provare. Stavo
già soffrendo abbastanza,
dilaniata dalle mie ferite profonde.
Da
quella sera cominciai il mio lento declino: non era stato come lo avevo
immaginato.
Nella
mia mente sarebbe finito tutto con la prima dose, ma le cose presero
una piega
diversa.
Ci
fu
una seconda, una terza, una quarta volta. E mia zia fingeva di non
vedere, di
non sapere. A scuola non andava più bene: ma lei mi copriva
con gli insegnanti,
come se le mie occhiaie non fossero abbastanza evidenti.
Penso
che fosse troppo debole per fare qualcosa. O troppo disinteressata, chi
lo sa.
Ad
ogni modo, successe anche un’ altra cosa in questo periodo.
Una cosa che mi
sconvolse, una cosa per cui piango solo adesso.
Accesi
Qualcuno
aveva messo fine ai Tokio Hotel. Qualcuno aveva colpito Bill e lo aveva
fatto
in mille pezzi. Uno, due, sette colpi. E li avrei volentieri presi io
al suo
posto. Tutti.
Come
se il mondo non fosse già abbastanza contento di essersi
portato via tutte le
mie gioie, si era preso persino l’ultima, l’unica
per cui poteva valere la pena
vivere, se la mia fosse stata vita.
Fu
allora che lo vidi. Un volto come il mio, forse più
sconvolto, per il più
recente dolore. Ma era uguale al mio. Intenso, straziante, distruttivo.
Come
separare un fratello da un altro?
Come
portare via i genitori ad una ragazza sola al mondo?
Non
una lacrima, non un urlo. Nulla. Il silenzio più carico di
rumore che io abbia
mai portato avanti. E allora decisi potevo servire ancora a qualcosa.
Tom
non era certamente solo. Aveva i suoi amici, i suoi compagni di band.
Sua
madre.
Ma
solo chi ha provato il dolore di una perdita prematura, è in
grado di leggere
il volto di chi ha subito una perdita uguale. La disperazione totale e
sconfinata dei suoi occhi.
Il
suo
dolore muto come il mio. Solo io volevo e potevo aiutarlo insieme.
A
casa
di mia zia non avevo lasciato neppure un biglietto. Non ero poi tanto
distante
da Berlino: presi la mia carta di identità e
l’ultima parte di denaro
rimastami, insieme a qualcosa per il viaggio. La mia strana idea era
quella di
parlargli. Ma avevo rifiutato di pensare a quanto sarebbe stato
impossibile
farlo.
Quando
arriva nella capitale, la trovai in subbuglio. Fan riunite, in lacrime,
quotidiani che riportavano tutti lo stesso titolo, la polizia davanti
all’albergo
dove alloggiavano in quel momento i ragazzi. Quello sarebbe stato il
tour in
cui io avrei avuto l’occasione di vederli dal vivo.
Passare
inosservati era impossibile.
Come
avrei fatto a raggiungere Tom? Sapevo che avrebbe fatto qualche
sciocchezza,
come l’avevo fatta io, anche la notte precedente. La mia
dipendenza aumentava,
e avevo finito il denaro e la droga.
L’albergo
si affacciava su due strade e sul suo lato destro c’era un
vicoletto, con una
piccola rampa di scale e l’uscita di sicurezza. Mi infilai
nella stradina,
salii le scale e trovai che la porta era miracolosamente aperta.
Non
credo nelle coincidenze, e adesso capisco che quello era un chiaro
segno del
destino.
Entrai.
Non avevo idea di quale fosse la camera di Tom. Cominciai ad avanzare
nel
corridoio: il mio aspetto non era certo quello di una star, ma finsi
sicurezza,
nel caso fosse passato qualcuno di là. Sentii sbattere
violentemente una porta
dietro di me: era quella dell’uscita di sicurezza, ed ora
sapevo chi l’aveva
lasciata aperta.
Il
destino mi aveva portato Tom proprio dove avrei voluto che fosse. Per
un attimo
restai a fissarlo e lui fece altrettanto. “
Tom…”- pronunciai il suo nome.
“
Non
sono in vena di autografi”- disse, freddo come il ghiaccio.
“
Non
è per questo che sono qui”- affermai, sicura ma
dolce.
“
Cosa
vuoi? Denaro? Fare una foto a Tom Kaulitz dopo la morte di suo
fratello, per
far vedere al mondo che faccia ha? Vuoi che ti rilasci un’
intervista?”- mi
gridò
contro.
Indietreggiai, sotto il peso della sua rabbia cieca, la mia stessa
rabbia, che
io mi tenevo tutta d’entro. E soffocavo con la droga.
“
Vorrei parlarti”- riuscii a sussurrare, spaventata dai suoi
occhi lucidi e
fiammeggianti.
“
Grazie, ma non ho tempo”- mi voltò le
spalle, ma io lo raggiunsi e gli afferrai la maglia.
“Non
hai tempo perché vuoi morire anche tu?”-
Si
bloccò
di
colpo.
“
Perché
mi dici tutto questo? Chi sei?”- domandò. La
sua voce tremava.
“
Sono
una ragazza sola al mondo come te, che ha bisogno d’aiuto
come te, e che vuole
aiutarti”
“
Dici
di aver bisogno d’aiuto e sostieni di voler aiutare
me?”- mi squadrò
sarcastico.
“
Io
ho bisogno d’aiuto, ma nessuno me lo ha mai dato. Vorrei che
tu accettassi il
mio, perché tu hai degli amici, delle persone che ti
vogliono bene. Hai dei
genitori…”-
Non
riuscii
a proseguire.
“
E tu
non li hai?”- chiese. Il suo tono non aveva più
nulla di astioso o sarcastico.
“
Un
pirata della strada me li ha portati via”- risposi, con un
filo di voce, a
testa bassa.
Potevo
sentire che mi osservava in silenzio. Non volevo che mi compatisse.
“
Vieni”- disse.
Mi
ritrovai a seguirlo per il pianerottolo, finchè non
raggiunse la sua stanza e
mi fece entrare.
Volle
sentire la mia storia ed io non omisi nulla. Stavo parlando con una
delle
persone che mi erano state più vicine in quel periodo, senza
saperlo.
“
Volevi loro molto bene, non è così?”-
chiese. Annuii.
“
E
volevi bene...volevi bene a…Bill?”-
Improvvisamente
il groppo che mi era salito in gola fu più difficile da
ingoiare. Annuii di
nuovo e ricacciai faticosamente le lacrime.
“
Era
l’unico che mi capiva senza neppure conoscermi”.
A
quel
punto Tom pianse. Pianse a lungo, tirando fuori tutto il dolore che
aveva
accumulato in quei due giorni e mi abbracciò come
se fossimo stati amici di vecchia data. E poi la crisi
d’astinenza si fece
viva. Svenni.
Tom
non mi lasciò
mai
tornare a casa, se tale si poteva
definire. Mi aiutò
a
disintossicarmi,
a rendere più lieve il mio dolore, ad essere la persona che
sono oggi.
Fondamentalmente
felice.
Una
cosa ancora accadde e continua ad accadere, lo stesso giorno
dell’anno.
Vedo
Bill. Non sono pazza. Lui mi viene a trovare, e viene a trovare suo
fratello ed
i suoi amici, che però
non
possono vederlo.
“
Perché
loro non possono vederti?”
“
Perché
loro hanno avuto o hanno ancora il loro “angelo”
accanto a loro. Adesso è
arrivato il momento che anche tu ne abbia uno, perché i tuoi
li hai persi
troppo presto”
Fine.
Angolo
dell’autrice: sì, lo so è triste, ma
spero che lasci qualcosa in chi la legge. L’idea
mi era venuta già da un po’, ma
l’ispirazione e il tempo per scriverla ce l’ho
avuto solo adesso xD
Ringrazio
in anticipo chi la leggerà, perché è
Alla
prossima,
DarkSun