L’Avana, Cuba, 1977
27 Agosto
Isabella si sciolse dall’abbraccio
di Javier, e teneramente gli sorrise. “Ti scriverò, lo prometto. E per le
vacanze di primavera forse riuscirò a tornare. Sicuramente passerò qui l’estate.
Ti voglio bene, papà.” Era la prima
volta che lo chiamava così.
Ricardo salutò Lucy e Katie, poi si
allontanò di poco con Isabella, iniziando a salutarla a modo proprio. Javier
rivolse allora la sua attenzione alle sorelle Miller. Salutò Lucy con un
profondo abbraccio, augurandole tanta fortuna. A Katie riservò un abbraccio più
intenso e un caloroso bacio. “Tornerai presto, me lo hai promesso” sussurrò, a
pochi centimetri dalle sue labbra.
“Tornerò presto.”
“E non andrai più via.”
“Ci proverò.”
Enrique non era all’aeroporto. Lui e
Lucy si erano salutati la sera prima, alla Rosa Negra, entrambi allergici agli
addii strappalacrime dell’ultimo minuto. E poi Enrique sarebbe dovuto uscire in
barca per pescare, quel mattino. Improvvisamente, la donna provò una fitta al
cuore, vedendo sorella e nipote impegnate a salutare gli uomini che le amavano,
mentre l’uomo che lei amava – e che
in un paio di occasioni le aveva dato a intendere di essere interessato – stava
pescando degli stupidi pesci in uno stupido oceano.
“Dobbiamo andare” disse, piuttosto
brusca, costringendo le due parenti a focalizzare l’attenzione su di lei.
Katie e Isabella la precedettero sulla
scaletta. Lucy le stava raggiungendo, quando una voce a lei familiare – troppo familiare, troppo amata – pronunciò il suo nome. “Lucy! Lucy Miller!”
Lucy si voltò. Enrique era lì. Ma non
poteva essere Enrique. Enrique doveva essere in mare. Iniziò a riflettere.
Enrique aveva lasciato perdere il suo lavoro per correre da lei. Enrique stava
chiamando a gran voce il suo nome. Enrique, quell’uomo alto con gli occhi più
dolci che avesse mai visto, stava chiamando lei.
Si voltò verso Katie, che si era bloccata a metà nell’udire le grida dell’uomo,
e scosse la testa. “Scusa, Katie.”
“Scusa? Non capisco…”
“Scusa, non posso partire con voi.”
Percorse a ritroso i tre scalini che
si era concessa e corse incontro a Enrique, gettandosi tra le sue braccia. Si sentiva
come una di quelle stupide eroine dei film, bellissime e buonissime, che si
gettavano con slancio tra le braccia del loro amato. Si sentiva bene, al
sicuro, protetta dal corpo dell’unico uomo che avesse mai amato.
“E che cosa dirò a mamma e papà?” le
chiese Katie, ancora ferma a metà della scaletta.
Lucy staccò il volto dal petto di
Enrique, guardò l’uomo e si voltò verso la sorella. “Dille che sto lavorando al
suo nipotino!”
Katie scoppiò a ridere, rivolse un
ultimo sguardo a Javier e spinse Isabella, piuttosto riluttante, sull’aereo che
le avrebbe portate a New York.
No, quello della notte prima non
sarebbe stato l’ultimo ballo.