Non ho nulla da
dire se non che questa è una piccola one-shot uscita
dal nulla. Indecisa – come sempre – a pubblicarla in una sezione per la quale
non ho mai scritto nulla, ho optato per fare questo piccolo passo sperando con
tutto il cuore che voi apprezziate.
I commenti – belli
e brutti - sono sempre graditi. Buona lettura. (:
Dedicata alla mia splendida Fiery, senza la quale probabilmente non saprei
nemmeno da che parte girarmi. :3
- Invisible
Vedova Nera
Tu. Tu non sai nulla di me. Non sai chi sono, o come mi
chiamo. Come non sai il motivo per il quale mi trovo in questo dannato posto,
in mezzo al nulla. Non lo sai e forse puoi reputarti fortunato.
Era metà Dicembre e
le piccole luci natalizie che solitamente illuminavano le vie affollate di New
York non facevano parte dell’atmosfera di quel vicolo. L’aria fredda – che
filtrava dal finestrino - pungeva contro i miei occhi che inevitabilmente
finirono per lacrimare. Strinsi le mani un po’ più saldamente sul volante, così
forte da aver paura che le nocche mi lacerassero la pelle.
Quell’attesa mi
stava innervosendo.
Parcheggiai dove mi
era stato indicato – uno spiazzale desolato all’uscita del vicolo che fino a
poco prima stavo percorrendo. Era poco illuminato: due lampioni e mezzo,
contando la lampadina del terzo che lampeggiava ad intermittenza.
Scesi dall’auto
lasciando le chiavi attaccate al cruscotto, in caso ne avessi avuto bisogno per
un eventuale emergenza. Lasciai i
fari accesi - di modo che ci fosse più luce - e mi appoggiai sul cofano. Sfilai
una sigaretta dal pacchetto che avevo nella borsa e la accesi. Ispirai il fumo
caldo e rimasi in attesa.
«Sei arrivata.» Una
voce maschile, un po’ roca ma estremamente sexy mi fece voltare verso un angolo
buio dello spiazzale. Era una voce inconfondibile, unica, che avrei potuto
distinguere tra mille altre.
«Mi amor.» Smielai. Ero fottutamente
brava a recitare. Una delle poche doti che amavo di me stessa. Se non avessi
scoperto quel lato così oscuro della
mia vita, probabilmente ora starei recitando in qualche musical a Broadway. O
almeno, così piace pensare a me.
«Fatti vedere un
po’.» Ammiccai, appoggiando i gomiti contro il cofano. L’abitino rosso che indossavo
mi strinse sulla schiena.
Ma proprio stasera
doveva succedere tutto ‘sto casino?
«Sei bellissima.»
Si inumidì le labbra, mentre si avvicinava verso di me. I suoi capelli biondi,
arruffati, si mossero al vento così che il suo profumo arrivò dritto alle mie
narici, scendendo giù per la gola. Gli feci l’occhiolino, invitandolo ad
avvicinarsi ancora un po’ di più.
Tu, felice spettatore, sei capitato nel momento sbagliato.
Si avvicinò a me,
puntando il suo sguardo smeraldino sui miei occhi azzurri. La sua mano calda
lisciò la pelle fredda del mio collo. «Dimmi cosa sei.» Sospirò il furbetto,
mentre posava il suo sguardo sulle mie labbra rosse. Diedi un’altra boccata
alla sigaretta che ormai era già stata consumata più della metà. Gli sbuffai il
fumo in faccia lentamente, ed ammiccai ancora mentre lo facevo.
Sapevo che mi aveva
visto usare i miei poteri, proprio qualche sera prima. Quei poteri che mi
definivano una… strega? Sì, in effetti potevo considerarmi tale, ma ero più che
altro un’ammazza vampiri.
Esatto, hai sentito bene. I vampiri esistono. E sì, io li
uccido.
Sorrisi, piegando
un angolo della bocca. «Ha importanza?» Gli sussurrai, mordicchiandogli
l’orecchio, facendolo gemere di dolore e piacere.
Avrei dovuto
ucciderlo la sera stessa in cui mi aveva visto eliminare quel vampiro, alla
festa di Shelly Clarckson – una delle ventunenni più ricche del quartiere che
quella settimana controllavo. Aveva dato una festa, ed ero sicura che ci
sarebbe stata una sudicia sanguisuga ad aspettarmi. Si chiamava Koblin: alto,
sguardo tenebroso, capelli neri mossi, muscoloso. Peccato che fosse un vampiro,
ed io… odio i vampiri.
«Ti ho visto quella
sera, alla festa della Clarckson.» Sussurrò, tornando a guardarmi. «Eri assieme
ad un uomo. Gli hai conficcato un paletto nel cuore e lui… si è trasformato in
cenere.» Proseguì; la voce gli tremava, ma forse era per il freddo, o il modo
in cui lo tenevo stretto a me.
«Come ti chiami?»
Domandai, schietta, lanciando la sigaretta ormai consumata a terra. Lui mi
fissò, ma non rispose. «Come ti chiami, ho chiesto.»
Fece un passo
indietro, come se stesse ipotizzando una via di fuga. «Andrew.» Esalò poi,
notando che avevo incrociato le braccia al petto.
Probabilmente
supponeva avessi una pistola nella borsa, con la quale avrei potuto ucciderlo.
Sbagliato! Solo un paletto di legno e una bottiglia d’acqua santa.
Sì, l’acqua santa funziona davvero con i vampiri. Li fa
letteralmente andare in fiamme. Uno spettacolo a dir poco, da brividi.
Lo fissai. Era
davvero attraente, per i miei soliti standard. Biondo, alto, occhi verdi. Avrà
avuto sì e no la mia età o forse era qualche anno più piccolo. Ventitre,
ventiquattro anni? Infondo io ne avevo solo venticinque.
Mi morsicai le
labbra e lui sembrò apprezzare il fatto che indugiassi sui muscoli che si
intravedevano sotto il cappotto nero che indossava.
«Bene, Andrew. Sai
mantenere un segreto?» Iniziai,
scostandomi i capelli neri e lisci da una spalla. Passai le dita sul
pellicciotto nero che indossavo e lo colpii con il mio sguardo azzurro. «Hai
mai sentito parlare della “Vedova Nera”?» Gli domandai. «E non sto parlando del
ragno.» Lo precedetti, vedendo che già alzava un sopracciglio confuso.
«C’entra per caso
qualcosa con te?» Domandò.
Annuii, senza
rendermi conto che probabilmente dopo avergli detto chi fossi, avrei dovuto
ucciderlo. Poco male, era un po’ però che non avevo una discussione con un
ragazzo così carino. «Tu, credi nei vampiri?»
Scoppiò a ridere,
«Tu sei un vampiro?»
Mi irritava il
fatto che alle mie domande mi rispondesse con altrettante domande, ma non ci
feci caso e proseguii. «E se ti dicessi che io li ammazzo i vampiri?» Mormorai,
avvicinandomi a lui, «Che fiuto il loro sangue contaminato grazie ad una sorte
di dono che ho? Che posso captare dove sono e avere la forza di ucciderli con
un solo paletto di legno?» La mia voce sembrava sussurrare quelle cose con tono
misterioso e suadente.
«Ti crederei.»
Rispose lui, facendomi impallidire.
Cosa?!
Mi bloccai, a qualche
centimetro di distanza da lui. Sorrise ed io alzai un sopracciglio confusa. «Mi
credi?» Domandai.
Il biondo annuì
ancora una volta, «Sai… anche io ho un segreto.»
Mi superò e si andò a sedere sul cofano della mia macchina. «Posso?» Chiese,
indicando il pacchetto di sigarette che si intravedeva dalla borsa al suo
fianco.
Annuii e lui ne
prese una e se la accese. Dopo la seconda boccata non potevo più aspettare. «Quale
segreto?» Domandai spazientita, appoggiando le mani sui fianchi.
«I vampiri.» Mormorò,
sbuffando altro fumo dalle labbra. «Loro, quei…»
«… bastardi.
Continua.» Lo incalzai.
Lui sorrise –
probabilmente sorpreso dal fatto che dicessi parolacce. «Loro hanno ucciso mia
sorella.» Sputò quella frase come se fosse stato sangue amaro. Lessi rabbia
nera nei suoi occhi.
«Mi dispiace.»
Mormorai, non sapendo che altro dire.
«E’ stato tre anni
fa. Da allora ho smesso di credere che fossero tutte leggende metropolitane.»
Spiegò, facendo cadere la cenere per terra. «Ho studiato sui libri, su internet.
E ho cercato qualcuno che sapesse come ucciderli, ma niente. Non ho trovato
nessuno per tre fottutissimi anni!» Alzò un poco la voce ma non mi spaventai.
Capivo benissimo
cosa voleva dire perdere qualcuno per mano di quelle sanguisughe. Io dopotutto
avevo perso la mia migliore amica più di quattro anni fa. Si chiamava Juliet.
Un attimo prima tornavamo a casa dopo una festa in discoteca e un attimo dopo
mi ero trovata sola, priva di forze, con la mia amica accasciata a terra priva
di vita.
Ogni tanto mi
domando perché il destino abbia voluto che io avessi questo specie di gene che
rende il mio sangue nocivo per i vampiri. Quella sera sarei potuta morire. E
invece… e invece.
«E’ per questo che
mi hai telefonato?» Gli chiesi, interrompendo i miei pensieri. «Ma soprattutto,
chi ti ha dato il mio numero?»
Lui sorrise,
«Dopotutto sei una studentessa, no? Roxanne
Stone.» Ridacchiò ed io impallidii.
Nessuno - mai -
avrebbe dovuto associare la mia identità a quel che ero. Ero fottuta. Lo dovevo
uccidere all’istante, o avrebbe compromesso tutto.
«So che stai
pensando di uccidermi, ma ti assicuro che non sono una minaccia.» Chiarì,
alzandosi di nuovo in piedi. «Ti sto offrendo un lavoro.»
Mi accigliai, «Un
lavoro?»
«Voglio che trovi i
vampiri che hanno ucciso mia sorella e che tu li faccia fuori.» Spiegò. «Ti
offro il mio aiuto. Farò degli identikit, se ti serviranno. Avrai un ricompenso
in denaro.»
Allettante come
proposta, peccato che la mia testa continuasse a dire “Uccidilo, uccidilo,
uccidilo.”
«E se io non
accettassi?» Domandai.
Alzò le spalle,
«Cos’hai da perdere? Uccidere i vampiri è il tuo lavoro. E se non sbaglio da
quanto ho scoperto mentre ti osservavo, nessuno ti retribuisce.»
«Osservavi?» Lo
bloccai.
«E’ per questo che
mi trovavo alla festa di quella ragazzina sabato sera! Sapevo che saresti
andata anche tu, volevo verificare che le mie idee sul tuo conto fossero
azzeccate.» Puntualizzò, «E dopo aver visto come finiva in cenere quel vampiro,
ho deciso che avrei chiesto il tuo aiuto.»
«Non saprei, non ho
mai lavorato per qualcuno.» Sbuffai, morsicandomi l’unghia dell’indice laccata
di rosso.
«Vedila così: hai
l’occasione di eliminare dei vampiri. Ti posso fornire la descrizione di come
sono fatti, soldi per comprare qualsiasi cosa ti serva per trovarli ed
ucciderli. E una ricompensa finale a lavoro compiuto.» Dettò tutto questo
elencando ogni cosa sulle dita.
Mi morsicai le
labbra, osservandolo. «E se non riuscissi subito? So di riuscirci – ma se ci
volesse del tempo?»
«Aspetterò. L’ho
già fatto per tre anni, dopotutto.»
«Mi dispiace per
tua sorella.» Appoggiai una mano sulla sua spalla. «Se ti consola, nel giro di
qualche settimana, al massimo un mese, a quei bastardi farò friggere il culo.»
Ghignai, suggerendo così che accettavo la sua proposta.
«E’ un sì, dunque?»
Domandò.
«Sì. Ma ci dovremmo
mettere d’accordo meglio, per il pagamento. E per il tuo aiuto.» Inclinai la testa di lato e passai un dito sulle sue
labbra. «Forse puoi servirmi anche per altro.»
«Sarà un piacere.»
Ammiccò.
«Comunque sono
Roxy, non Roxanne.» Sottolineai, lasciandolo andare.
«Okay, Roxy. Vediamoci domani, alle otto per
fare colazione.» Disse poi, facendomi l’occhiolino mentre si allontanava.
«Ehi, hai
dimenticato che sono una studentessa.» Ironizzai, dirigendomi verso la
macchina. «Domani a mezzo giorno, da Herris. Beviamo una birra e poi parliamo.»
Annuì ed io mi infilai i macchina.
Accessi il
riscaldamento e misi in moto, intravedendo il biondo scomparire nel buio del
piazzale.
Fantastico. Avevo
trovato un lavoro; e un ragazzo con cui avrei collaborato e mi avrebbe pagato
proficuamente. I soldi non bastano mai e forse avrei potuto chiedere una cifra
abbastanza alta per pagarmi gli studi. O forse potevo farmi ripagare
portandomelo a letto. In ogni caso avrei avuto a che fare con lui e con la sua
famiglia, quindi avevo bisogno di informazioni.
Mi segnai
mentalmente di cercare notizie su di lui, mentre svoltavo per tornare a casa.
Nel mio piccolo appartamento – la casa che custodiva tutti i miei segreti.
Quella faccenda
segnava un nuovo inizio per me, e la fine per altri vampiri.
Dopotutto, sono o non sono la Vedova Nera?