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Autore: Egle    17/12/2010    20 recensioni
“Domani è il mio compleanno” disse inaspettatamente Merlin. Si costrinse a continuare a strofinare il cuoio con la spazzola, avvertendo lo sguardo di Arthur su di sé. Non sapeva perché l’avesse detto. Non che ci pensasse o che gli importasse.
“Domani… è il giorno dopo il solstizio d’inverno” gli fece notare Arthur, andando a sedersi vicino a lui.
“Sono sempre stato contento di…sai, essere nato il giorno dopo il solstizio d’inverno…”
Si sentiva stupido a dire quelle cose, non sapeva nemmeno da dove provenissero. Insomma non è che fosse un giorno importante o altro. E lui si sentiva un idiota ad ammettere che aveva riflettuto a lungo sul suo compleanno e che in qualche modo.. beh per lui non era un giorno come un altro.
"Perchè?"
“Mi piace essere nato il giorno dopo la notte più lunga dell’anno perché… beh perché la notte più lunga è ormai… andata, no? Quindi le cose da quel momento in avanti non possono che migliorare”
[Dedicata a GiulyB per il suo compleanno! Tanti Auguriii!]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tanti auguri di buon compleanno, sweety

Spero che tutti i tuoi sogni si avverino.

 

A little gift from a bored prince

 

Strofinava la pelle lavorata con meticolosità, cercando di eliminare anche la più piccola traccia di fango dallo stivale. Arthur era già abbastanza nervoso, non voleva offrirgli innocentemente altri motivi per sfogare su di lui il suo stato d’animo.

Sollevò per un istante gli occhi dalla spazzola all’ennesimo sbuffo spazientito dell’erede al trono. Nevicava dalla sera precedente, ma Arthur sarebbe stato abbastanza pazzo per avventurarsi nei boschi anche in mezzo alla bufera, se solo le scorte di selvaggina non fossero già state ampiamente rifornite. Le guardie sorvegliavano diligentemente le mura del castello, la piazza d’armi dove solitamente si allenavano i cavalieri era resa inagibile da uno spesso strato di ghiaccio e neve. Perfino le solite risse nella locanda sembravano essere state anestetizzate dal maltempo, il che significava che il principe non aveva niente da fare.

E, come direbbe il più saggio dei saggi, un principe inoperoso è un principe fastidioso.
Merlin lo guardò misurare la stanza ad ampie falcate, torturandosi il labbro inferiore con le dita. Se non avesse smesso di andare da una finestra all’altra, controllando se miracolosamente aveva smesso di nevicare, avrebbe creato un solco nel pavimento di pietra.

“Potreste… leggere un libro” buttò lì il giovane mago, guadagnandosi un’occhiataccia del tutto meritata. “O forse no” borbottò, espirando profondamente.

Arthur a volte sembrava un grosso cane irrequieto, che aveva bisogno di campi in cui correre e sfogarsi per poi acciambellarsi satollo accanto al fuoco, dopo una cena particolarmente succulenta. Merlin adorava quando succedeva. Arthur pareva così mansueto e incredibilmente gentile.

“Non ho voglia di leggere uno stupido libro”

Sì, l’aveva intuito. Niente libro. I libri erano banditi. Sciò sciò libri cattivi.

Si umettò le labbra, cercando di ignorare l’ennesimo sbuffo. Posò lo stivale a terra e prese il suo compagno, esaminandolo con occhio critico.

Arthur aveva quest’innata capacità di sporcare sistematicamente tutto ciò che aveva addosso. A volte sospettava che lo facesse solo per poter cambiarsi tutti i giorni. Era così assurdamente vanitoso, probabilmente più della maggior parte delle dame di corte.

“Potreste…” disse Merlin, cercando qualcosa che lo acquietasse “esercitarvi un po’ con la spada”

“Mi sono già esercitato con la spada”

Sì e Merlin aveva un’artistica costellazione di lividi e i cocci di un vaso che si era sacrificato per la causa a dimostrarlo. Passò le setole ruvide della spazzola sullo stivale, maledicendo una macchia particolarmente ostinata. Magari avrebbe potuto proporgli di aiutarlo con le sue faccende. C’erano gli stivali da pulire, la camera da rassettare, le erbe da sminuzzare e poi far bollire per preparare dei decotti, le stalle da pulire… ecco, le stalle non erano una cattiva idea. Per lo meno aveva il vago sentore che Arthur non l’avrebbe picchiato per averglielo proposto.

“Perché non andate a strigliare il vostro cavallo?” disse, guardando il suo profilo riempire la finestra. “Sono sicuro che…”

Era sicuro che il cavallo avesse più pazienza di lui nel sopportarlo. Senza contare che Arthur era sempre amorevole e gentile con il suo stallone da guerra. Stava lì ore e ore a spupazzarlo.

“L’ho già fatto questa mattina”

“Giusto” sospirò Merlin rassegnato.

Arthur aveva spazzolato il suo cavallo, sussurrandogli parole a dir poco svenevoli, mentre lui era impegnato nella ben più nobile attività di spalare il letame. Si concentrò nuovamente sullo stivale, quando Arthur si abbandonò sulla sedia con un lamento, passandosi le mani sulla faccia.

“Mi annoio” disse con voce lagnosa.

Merlin arricciò un po’ le labbra, continuando a sfregare il cuoio. Lo sapeva che si stava annoiando, visto che continuava a ronzargli intorno, ripetendoglielo a intermittenza.

Un Arthur annoiato era molto peggio di un Arthur triste, furioso o in pericolo. Un Arthur annoiato era una bestiaccia molesta, che seguitava a lamentarsi, mettendo su il broncio, e che rifiutava sistematicamente qualsiasi tipo di passatempo che Merlin riusciva a pensare.

Lamento. Passatempo. Rifiuto. Lamento. Passatempo. Rifiuto.. e così via.

E non solo si lamentava, ma le rimostranze e le rispostacce aumentavano proporzionalmente alla noia di Arthur. Più il tempo passava, più lui si annoiava. Più lui si annoiava e più gli rendeva la vita impossibile.

“Vi preparo un bagno caldo?”

I bagni caldi gli piacevano. Stava ore lì a mollo, pretendendo che lui continuasse ad aggiungere acqua bollente, che gli strofinasse la schiena, gli lavasse i capelli come la più amorevole e devota delle balie.

“No”

Okay, niente bagno caldo. Roteò gli occhi all’ennesimo sospirone e poi al rumore dei piedi della sedia che strisciavano sul pavimento. Continuò a guardare lo stivale, percependo Arthur riprendere a camminare avanti e indietro per la stanza.

Doveva fare qualcosa. Per la sua sanità mentale doveva assolutamente distrarre Arthur in qualche modo.

“Perché non andate da Gwen?” propose colto da un’illuminazione.
Toglierselo dai piedi. Ecco la soluzione. Come aveva potuto non pensarci prim…

“No”

Merlin sollevò lo sguardo, puntando gli occhi sulla sua schiena e dischiudendo le labbra oltraggiato. Perché non poteva andare da Gwen? Perché non poteva tormentare un po’ lei?
Perché Arthur lo tallonava senza sosta quando era di quell’umore, sperando che lui avesse la soluzione per fargli passare la noia?

Merlin si umettò le labbra, tornando al lavoro, mentre Arthur estraeva un pugnale dal fodero e ne verificava l’affilatura. Sapeva che comunque quell’attività non l’avrebbe impegnato più di una manciata di secondi. Un minuto se era particolarmente fortunato.

“Domani è il mio compleanno” disse inaspettatamente. Si costrinse a continuare a strofinare il cuoio con la spazzola, avvertendo lo sguardo di Arthur su di sé.
Non sapeva perché l’avesse detto. Non che ci pensasse o che gli importasse.

Quando era piccolo lui e sua madre organizzavano sempre qualcosa di speciale. Invitavano qualche vicino, mangiavano tutti insieme, stretti accanto al fuoco. Niente di particolarmente sfarzoso o memorabile come le feste che venivano date al castello…

La tradizione non si era interrotta quando era giunto a Camelot, solo che il numero di partecipanti alla sua festa di compleanno si era ridotto a due: lui e Gaius.

“Domani… è il giorno dopo il solstizio d’inverno” gli fece notare Arthur, andando a sedersi vicino a lui. Merlin annuì. Per lo meno aveva smesso di sbuffare.

“Sono sempre stato contento di…” mormorò, mordendosi l’interno di una guancia.

“Cosa?”

“Sai, essere nato il giorno dopo il solstizio d’inverno…”

Si sentiva stupido a dire quelle cose, non sapeva nemmeno da dove provenissero. Insomma non è che fosse un giorno importante o altro. E lui si sentiva un idiota ad ammettere che aveva riflettuto a lungo sul suo compleanno e che in qualche modo.. beh per lui non era un giorno come un altro.

“Perché?” chiese Arthur.

Gli era seduto così vicino che le loro spalle si sfioravano. Merlin riusciva a percepire con facilità il calore della sua pelle attraverso la casacca.

Scrollò le spalle, continuando a mordicchiarsi il labbro inferiore.

“Merlin” lo incalzò il principe, ficcandogli un dito infernale tra le costole e facendolo sobbalzare.

Gli rivolse la sua peggior occhiata indignata, che risultò essere totalmente inefficace, prima di riportare la sua attenzione allo stivale.

“Il solstizio d’inverno è il giorno più corto dell’anno. La notte sembra…” mormorò, sentendo le sue guance bruciare leggermente. Si aspettava che Arthur lo falciasse con una delle sue pessime battute da un secondo all’altro.

“Interminabile” finì per lui la frase l’erede al trono. Il tono della sua voce era privo di divertimento o di scherno.
Merlin annuì, scoccandogli un’occhiata veloce. Rimase in silenzio per qualche istante, combattendo l’impulso di spostarsi un po’. Non amava avere Arthur così vicino. Era ingombrante. E fastidioso.

“Mi piace essere nato il giorno dopo la notte più lunga dell’anno perché… beh perché la notte più lunga è ormai… andata, no? Quindi le cose da quel momento in avanti non possono che migliorare” disse tutto d’un fiato. Riprese a strofinare lo stivale, fingendosi molto impegnato. “E’ una stupidaggine”

Arthur fece un cenno affermativo con il capo. “Lo è” confermò, appoggiando le braccia sulle ginocchia. Merlin storse le labbra in una smorfia, riprendendo il suo lavoro. Se aveva le mani impegnate non poteva cedere all’impulso di spaccare qualcosa sulla testaccia di Arthur.

“Quindi…” disse l’erede al trono. Il suo sguardo era ancora puntato su di lui, così intenso da sembrar voler memorizzare ogni più piccolo dettaglio del suo viso.

“Quindi cosa?” replicò il giovane mago quando Arthur non completò la frase.

“Che cosa vuoi come regalo?”

Merlin scosse la testa, tornando a guardarlo. Regalo? Perché Arthur avrebbe mai dovuto fargli un regalo? E poi che regalo era se veniva annunciato con ampio anticipo? L’effetto sorpresa era del tutto rovinato.

“Non hai esattamente un ottimo gusto in fatto di regali” ribatté, ricordando l’orrido pugnale che il principe aveva avuto intenzione di rifilare a sua sorella per il suo compleanno. “Ahi” mugugnò, quando Arthur lo colpì sulla spalla con la sua solita grazia ed eleganza. Si massaggiò la parte lesa tutto offeso, raggrumando le labbra in una smorfia.

“Allora?” lo incalzò Arthur, per nulla sedato. “Che cosa vuoi per il tuo compleanno?”

Merlin assottigliò un po’ lo sguardo, prima di umettarsi le labbra. Forse Arthur era animato davvero dalle migliori intenzioni, forse voleva davvero fargli un regalo che potesse apprezzare. “Una giornata di riposo” disse. Gaius gli aveva regalato un nuovo libro di magia alcune settimane prima, l’aveva recuperato da un mercante di passaggio, suo amico di vecchia data. Non vedeva l’ora di avere un po’ di tempo per leggerlo, tempo che si era dissolto visto che Arthur lo privava della sua appagante compagnia solo quando si coricava misericordiosamente nel letto pronto a dormire. Era come avere una zecca, che non voleva saperne di staccarsi.

“No, domani andiamo a caccia” replicò l’erede al trono, senza nemmeno prendere in considerazione di andarci senza di lui. Aveva frotte di guardie e cavalieri che smaniavano dalla voglia di accompagnarlo per dirgli quanto era bravo, quanto era abile, quanto fosse incredibile la sua mira… perché doveva sempre portarsi lui dietro, che inciampava in continuazione e faceva scappare via le prede con i suoi goffi tentativi di non spezzarsi l’osso del collo giù da una scarpata?

“Dei vestiti nuovi” azzardò, venendo subito premiato da una sonora risata da parte di Arthur. Perché rideva? Erano ben tre serie che indossava sempre i soliti stracci! Per l’amor di Dio, che cosa c’era di tanto divertente se desiderava rinnovare un po’ il suo patetico guardaroba?
”Cosa sei? Una ragazza?”
Disse quello che si cambiava una volta al giorno.

“Un…” mormorò Merlin a corto di idee.

“Un pugnale?”

Eccolo lì che cercava di propinargli il pugnale. Ormai era diventato il regalo riciclato per eccellenza. Sospettava che l’avrebbe ritirato fuori anche per il compleanno di Uther…

“Non voglio un pugnale come regalo di compleanno” sbottò un po’ acuto.

“E’ un regalo utile! Ti regalerei un bel pugnale, ben bilanciato. E con un fodero di cuoio abbastanza spesso da essere sicuro che non te lo conficcherai inavvertitamente in una gamba quando lo avrai assicurato alla cintura”

“Non voglio un pugnale” ripeté Merlin con decisione. Sostenne l’espressione vagamente offesa di Arthur sollevando un po’ il mento. Se pensava che avrebbe ceduto…

“Allora che ne dici un mantello? Potrei regalarti un mantello con i colori di Camelot”
”Un mantello è un indumento” gli fece presente.

Com’è che se proponeva lui di regalargli degli abiti veniva tacciato di essere una femmina, mentre se lo suggeriva Arthur improvvisamente i vestiti diventavano un dono molto virile e mascolino?

“Allora una balestra”

Seriamente? Possibile che Arthur lo conoscesse così poco? Credeva davvero che smaniasse per avere una balestra? Gli bastavano quelle in legno di tasso che facevano parte della sterminata collezione di Arthur e che doveva lucidare ogni tre giorni, tante grazie.

“Dei nuovi ferri per il tuo cavallo?”
”Dovrebbe essere un regalo per me, non per il mio cavallo” gli fece presente.

“Una ramazza nuova? Di saggina morbida morbida…”

“Sei stai cercando di essere spiritoso, ti comunico che non lo sei”

“Allora cos…”
”Un bacio?” disse Merlin improvvisamente. Si bloccò, sbattendo le palpebre un paio di volte. Doveva esserci qualcosa di profondamente sbagliato in lui quel giorno. O forse tutte quelle ore in cattività, chiuso in una stanza insieme ad Arthur avevano infine procurato dei danni irreparabili alla sua mente. Si inumidì nervosamente le labbra, guardando l’erede al trono.

Non era ben sicuro di quando avesse smesso di respirare.

“D-da me?” balbettò il principe con un tono di voce sospettosamente strano.

“Da te cosa?” ribattè Merlin, sperando che Nimueh facesse irruzione nella stanza e lo polverizzasse. Non sarebbe stata una cosa insolita, giusto? Era plausibile che la strega tornasse nel mondo dei morti per vendicarsi di lui.

“Quello che hai detto prima”

Merlin si morse il labbro inferiore. Che cosa aveva detto prima?
Niente, non aveva detto niente. Lui era rimasto ai ferri nuovi per il suo ronzino.

A ben pensarci erano un bel regalo. Utile. Il suo cavallo ne sarebbe stato molto contento.

“Il bacio, Merlin! Mi hai chiesto di baciarti!” sbottò Arthur, le sue guance erano di un rosso preoccupante.

“No, tecnicamente io non ho det-…” disse prima che le sue parole fossero soffocate dalla bocca di Arthur premuta sulla sua.

Prima che le sue funzioni cerebrali fossero attivate nuovamente, si ritrovò a muovere le labbra sotto quelle di Arthur, immergendo le dita tra i suoi capelli.

Lasciò che le braccia del principe lo avvolgessero e che la sua lingua depredasse la sua bocca in un bacio umido e caldo. Dio, usava meglio la lingua di quanto usasse la spada.

Soffocò un gemito contro le labbra di Arthur, stringendosi maggiormente contro di lui. Quando il principe si scostò per riprende fiato, Merlin si accorse di avere la testa che vorticava in preda alle vertigini. Era piuttosto sicuro che se solo fosse stato in piedi, sarebbe stramazzato al suo.

“Mi sono ricordato di dover…” bofonchiò Arthur, alzandosi come se il pavimento fosse improvvisamente diventato rovente.

“… strigliare il cavallo” gli venne in soccorso Merlin, umettandosi le labbra e accorgendosi che conservavano ancora il sapore di quelle del principe. Maledetto vizio di inumidirle continuamente. Avrebbe dovuto smettere di farlo. Era davvero una pessima, pessima abitudine.

“Il cavallo. Esattamente. Il cavallo. Devo andare” disse in fretta il principe, raggiungendo la porta a passi malfermi.

Merlin osservò la sua schiena, mordendosi agitato l’interno della guancia.

“Arthur” lo richiamò, quando ormai aveva già la mano posata sulla maniglia. “Il mio compleanno è domani. Questo non… è valido come regalo. Non si danno i regali in anticipo, è auspicio di cattiva sorte”

Arthur sorrise appena di quel suo sorriso che gli faceva sempre aggrovigliare lo stomaco.

“Allora ti darò il tuo regalo domani” disse prima di uscire, lasciandolo lì con un’espressione felicemente ebete impressa sulla faccia.

 

 

 

 

 

   
 
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