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Autore: TigerEyes    18/12/2010    34 recensioni
Akane cambia dal giorno alla notte, assumendo movenze feline e diventando inaspettatamente... audace! Sarà forse a causa dello spirito di una gatta sacra? E Ranma come reagirà? Tutti infatti sappiamo quanto adora i gatti...
IX e ULTIMO CAPITOLO ON LINE con una fanart di Kelou!
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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BUON NATALE! Come vi avevo promesso, ecco il mio regalo di Natale per voi: l’ultima, agognata puntata della Gatta Morta! Spero vi divertiate a leggerla, così come io mi sono divertita a scriverla, perdonandomi di aver impiegato tanto tempo per portare a termine questa ff e augurandomi che il finale sia di vostro gradimento: ho cercato di rispettare il più possibile lo spirito del manga, quindi spero di non aver toppato, in particolare, proprio la parte finale, ma voi non fatevi scrupoli a dirmi qualsiasi cosa vi faccia storcere il naso. ^_-
A proposito, nel ringraziare ancora una volta tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo (akane_stars, akyoko_86, apple92, bluemary, Breed, deny, Kuno, Laila, lunablu24, maryku, Moira, Rik, Robbykiss, simo87, Tharamil e Violet_chan), nonché il betafratellone Rik per l’inestimabile aiuto che mi ha (sempre) dato e la musa ispiratrice Laila per avermi suggerito la trama di questa ff, vi avviso che risponderò una a una a tutte le recensioni che saranno lasciate a questo capitolo direttamente qui su EFP, grazie alla nuova funzione Rispondi abbinata a ogni recensione! ^__^
All’interno del cap troverete una nuova, deliziosa fanart di Kelou, cui dedico questo capitolo per ringraziarla dei bellissimi disegni che ha realizzato appositamente per La Gatta Morta (e che io ho inserito nei vari capitoli). Grazie di tutto cuore! *______*
Grazie infine a tutti coloro che nel corso degli anni mi hanno sostenuto commentando, inserendo la ff nelle preferite e/o nelle seguite, spronandomi a continuare anche quando non ne avevo più voglia. Grazie davvero, ragazzi, siete stati fondamentali per la stesura della Gatta, più di quanto immaginiate, non vi sarò mai grata abbastanza. ç____ç


ATTENZIONE! Il messaggio che segue mi è stato lasciato dalla webmistress Erika fra le recensioni di NRSU, ma è rivolto a tutti i lettori:
Vorrei chiedere a tutti, d'ora in poi, di limitarsi a modificare una recensione precedente se vi siete solo dimenticati di dire qualcosa. Non è necessario inserire un nuovo commento. Viene falsato il numero delle recensioni, così come il punteggio del programma recensioni.
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E ora, buona lettura! *_*





IX parte

TANTO VA LA GATTA AL LARDO…
CHE CI LASCIA IL CODINATO





“Ambulatorio del dottor Tofu Ono, buongiorno, come posso aiutarla?”
“Buongiorno, dottore, sono Kasumi, come sta oggi?”
La faccia mortalmente seria e concentrata del buon medico mutò istantaneamente in quella di un beota che ha raggiunto la pace dei sensi seduto su un gabinetto: tutto attorno a lui assunse di colpo un’inconsueta tonalità rosa pastello, con fiorellini svolazzanti in mezzo a putti non meno svolazzanti che strimpellavano mielose melodie da arpe dorate.
Roba da tiro a segno, insomma.
“Oh Ka… oh Ka… oh Ka…”
“Cavolo? Cavolfiore? Carota?”
“Kasumi! Che gioia sentirla! Cosa p-posso f-fare p-per lei?”, chiese il dottore levitando a un metro buono da terra. Betty lo fissava nient’affatto sorpresa.
“Mi spiace disturbarla, ma sarebbe così gentile da riportarmi oggi stesso i contenitori per gli alimenti che ho lasciato da lei? Sono così impegnata qui a casa che non ho tempo di passare alla clinica, spero non sia un problema…”
“Ma-ma cosa dice? Nessun disturbo, nessun problema, si figuri, anzi! Glieli porto seduta stante!”
“Oh, non so come ringraziarla! L’aspetto, allora!”
“Oh, sì, sì, corro subito da lei!”
“Ahi!”
“Che succede? Si è fatta male?”, chiese preoccupato Tofu.
“Ehm… no, no, ecco, mi sono ricordata una cosa: potrebbe cortesemente portarmi anche il collarino di Anubi? Ranma dice che preferirebbe tenerlo lui per ogni evenienza…”
“Oh, sì, sì, ma certo, giusto, giustissimo, ha perfettamente ragione, lo prendo immediatamente, ahahahahaha!”
“Grazie, dottore, lei è un vero tesoro, a presto!”
Il dottore non attese nemmeno il clic per svenire: si schiantò all’istante sul duro pavimento, cornetta in mano, sorriso a quarantotto denti e lenti incrinate per la troppa emozione. Betty si astenne dal commentare.

“Brava, Kasumi, ottimo lavoro!”, sogghignò Bastet mentre la sorella maggiore riagganciava la cornetta e si massaggiava il fianco, là dove la dea le aveva rifilato una pizzicata.
“Oh, Akane, non è bello dire le bugie, perché mi hai costretta a farlo?”, chiese lei candida voltandosi a guardarla.
“Ma per il mio bene, Kasumi cara, su non fare quel faccino imbronciato e va ad aspettare il tuo bel dottorino all’ingresso, sai cosa devi fare, no?”
“Sì, certo, devo accoglierlo in casa e mantenerlo nello stato di rin… rinci… qual è la parola che hai usato?”
“Rincitrullimento”, rispose Bastet con un sospiro.
“Grazie, però non ho ancora capito come…”
“Cheee?! Credevo fosse chiaro! Non devi far altro che portarlo in camera tua con una scusa!”
“E poi?”
Bastet posò le mani sulle anche, incredula.
“Come sarebbe a dire ‘e poi’? E poi alzi la gonna!”
“Oh cielo e perché?”, chiese allarmata Kasumi portandosi le manine alle labbra. La dea sbuffò.
“Per fargli perdere tanto di quel sangue dal naso da farlo schiattare per emorragia, mi pare ovvio!”
“Oh poverino, ma io non voglio che muoia!”
“E io non voglio che mi rompa le uova nel paniere! Senti, se proprio tieni a lui e non vuoi che crepi di epistassi, allora dovrai…”, Bastet si morse le labbra per non ridere, “…fargli una respirazione bocca a bocca!”.
“Oh… e questo lo salverà?”, chiese speranzosa Kasumi portandosi le manine ad abbracciare le guance arrossate.
Bastet le diede una pacca sulla spalla e sfoderò un sorriso sornione.
“Di più, sorella: lo resusciterà!”, rispose annuendo vigorosamente.
“Oh bene, allora vado ad aspettarlo!”, disse Kasumi allontanandosi.
“Ecco brava, vai, vai pure… e divertitevi!”, sghignazzò Bastet rimasta sola.
“Che stai tramando, maledetta? Vuoi fare il vuoto intorno a Ranma, è così? Smettila di ingannare la mia famiglia spacciandoti per me!”
Bastet si guardò intorno sbigottita e disorientata, per poi rendersi conto che era stata lei stessa a parlare, o meglio, Akane. Incredibile: quella piccola, patetica umana riusciva a contrastare i suoi poteri di obnubilamento!
“Senti, senti! Parli proprio tu che fai credere a tutti che di Ranma non t’importa nulla, quando invece lo ami alla follia…”, la stuzzicò la dea sperando di confonderla e indebolirla.
“Que-questo non c’entra nulla, non cambiare discorso! Se Ranma ha detto di aver trovato il modo di toglierti di mezzo, allora per te è finita, qualsiasi cosa tu abbia in mente sarà inutile!”
Bastet digrignò le zanne.
“Inutile è ogni tuo tentativo di contrastarmi! Lo ammetto, ragazza, la tua volontà è forte, sei davvero tenace, ma allo scadere dei sei giorni soccomberai comunque e Ranma sarà mio!”
“Ma lui odia i gatti, come pensi di piegarlo al tuo volere? Non ti rendi conto che non potrà mai amarti? Lui…”
“…ama te? Lo so perfettamente, è proprio su questo che puntavo! Ma visto che non ha voluto cedere al mio ricatto di avere al tempo stesso una dea e la ragazza che ama – sì, gli ho proposto di essere mio in cambio della tua salvezza – non mi rimane che schiavizzarlo!”
“Lui… lui… mi ama ?”.
Perfetto, era sul punto di cedere, solo un’altra spintarella.
“Ma certo, sciocchina che non sei altro! E dal momento che di me non vi libererete mai, non importa cosa il tuo fidanzato abbia escogitato, ti conviene aiutarmi a convincerlo ad arrendersi. Se lo farai, permetterò alla tua anima di restare in questo corpo, anziché annientarla, pensaci: potrai amare Ranma senza rimetterci l’orgoglio di ammetterlo davanti a tutti. Di più, potrai amarlo liberamente insieme a me, perché tutti penseranno che sarò solo io a farlo! Convincilo, Akane, o lo ridurrò a uno schiavo senza la minima volontà!”
Bastet avvertì la rabbia del suo ospite umano divampare dalle stesse viscere attorcigliate.
“Mai. Mi hai sentito? MAI! Non farò mai una cosa simile! Ranma ti batterà e mi salverà anche questa volta!”.
“Illusa! Finora ho solo scherzato con voi, ma adesso farò sul serio: appena si avvicinerà a questa casa, sarà spacciato! Decidi Akane: vuoi condividere Ranma con me, oppure vuoi sparire nell’esatto momento in cui io lo ridurrò a mio schiavo per l’eternità?”
“Tu non ridurrai nessuno a un bel niente, Ranma è MIO, dannata gatta! E mi salverà!”
“Questo lo vedremo, cocciuta di una mocciosa! Ti annienterò seduta stante!”, gridò Bastet stringendo i pugni e serrando gli occhi, quasi rannicchiata su se stessa. “Ggggggnnnnnnn!”.
“Guarda che il bagno è alla fine del corridoio, devi solo girare l’angolo…”
La dea spalancò gli occhi e senza osare muoversi volse lentamente lo sguardo verso una Nabiki che la fissava sgranocchiando patatine.
“Sarà uno spasso spifferare in giro che la grande Bastet parla da sola girando su se stessa come una trottola e poi tenta di fare i suoi bisognini davanti alla cucina. A meno che, ovviamente, non abbia qualcosa da offrire per il mio silenzio…”
La dea riacquistò immediatamente la posizione eretta, mandando a fuoco le guance e fumando rabbia dalle orecchie.
“Maledetta, sei insaziabile! Cos’altro vuoi?”
“Uhmmmm, vediamo…”, disse Nabiki poggiando sul mobiletto del telefono il pacchetto di patatine. Afferrò una rivista e iniziò a sfogliarla. “Il sarcofago d’oro massiccio di Tuthy? Quello più interno, non provare a rifilarmi uno di quelli esterni di legno che sono solo rivestiti d’oro.”
“Ti sei documentata, eh? E va bene!”, disse Bastet schioccando le dita.
Dal nulla cosmico si materializzò una gigantesca cassa funeraria antropomorfa che andò a schiantarsi sul pavimento del corridoio e lo sfondò conficcandosi nel terreno sottostante. Nabiki lo osservò dall’alto con un sopracciglio inarcato e si infilò un’altra patatina in bocca.
“Non potevi mantenerlo sospeso nell’aria e depositarlo, che so, in palestra o…”
“L’hai voluto? Adesso ti arrangi!”, sbraitò la dea allontanandosi. “E guai a te se osi dire in giro quel che hai visto!”
“Ok, ok… tu però salutami Akane!”
“Meowwwarrggh! Non ci penso nemmeno!”, miagolò Bastet svoltando un angolo con la testa incassata nelle spalle per la frustrazione. “Concentrazione, concentrazione!”, si disse portandosi le mani alle tempie per massaggiarsele. “Dunque, fra poco Tofu e Anubi saranno sistemati per benino, a chi altri Ranma potrebbe rivolgersi quando tornerà? Tsé, e a chi se non ai suoi nemici storici? E siccome questa è l’ultima puntata, come da copione si faranno vivi uno dopo l’altro, non devo far altro che aspettarli qui… toh, ecco che ne arriva uno”, sorrise aguzzando il finissimo udito. “Andiamo ad accoglierlo, Shampoo?”
“Prrrrau…”, rispose la cinesina strusciandosi contro una gamba di Bastet. La dea prese in braccio la gattina rosa e con un sorriso malefico stampato in faccia si avviò verso il giardino di casa Tendo.



“Povero me, oh povero me!”, miagolò sconsolata una candida palla di pelo extra ma proprio tanto extralarge, curva sotto il peso della propria disperazione, le orecchie flosce al pari delle vibrisse. Si trascinava stancamente verso l’agognato rifugio, dove avrebbe affogato la propria, inconsolabile delusione nel latte parzialmente scremato.
Varcò l’ingresso del recinto del tempio, aspettandosi che i suoi fedeli gatti ninja lo accogliessero come sempre sull’attenti facendogli rapporto, ma un refolo di vento spazzò il cortile deserto: persino loro lo snobbavano! Sempre più affranto, Mao Mao Ling si avviò strascicando le zampe verso il proprio santuario, quando davanti all’entrata si bloccò sbigottito: nientemeno che l’umano di nome Ryoga stava correndo in cerchio con i suoi guardiani attaccati alla schiena e urlava come un maiale scannato! Ma che importanza aveva se quel povero sfigato aveva invaso il recinto sacro in sua assenza, dopo che in Cina aveva rischiato prima di essere fatto allo spiedo, poi di essere esorcizzato da orde di monaci affamati e infine di diventare la mascotte vivente dei Giochi Olimpici? Avesse almeno trovato moglie…
“Povero me, oh povero me!”, ripeté il gattone varcando la soglia del tempio. Toh, qualcuno stava pregando davanti all’altare delle offerte, come aveva fatto a entrare? Un momento… a lui sembrava di conoscere quel codino…
L’umano, ginocchia a terra, ondeggiava da un lato all’altro, tirava su col naso e sembrava recitare una strana litania, quasi un lamento funebre. Che fosse impazzito? Si avvicinò finché la propria ombra non lo offuscò, ma la schiena fu allora percorsa da un brivido così gelido che Mao Mao Ling ci ripensò e decise di filarsela. Fu in quel momento che l’umano parve ridestarsi e lentamente si voltò.
Oh, per tutti i gatti randagi! Ma quello era… era? Sì, era… Ranma! Aveva la faccia gonfia e rossa come un pallone da basket, le palpebre e le labbra così tumide che sembravano essere state punte da un esercito di vespe, il naso che colava copioso, ma che gli era successo? E che ci faceva lì? Di colpo il mostro spalancò gli occhi e prese a fissarlo fra l’incredulità e l’adorazione, una cosa disgustosa!
“Mao… fei… fei tuuuu!”, sputò la cosa con le pupille ora grandi come uova all’occhio di bue e sbrilluccicose per la felicità come astri nascenti. La creatura balzò in piedi, spalancò le braccia e gli corse incontro. “Che felifità, fatti abbraffareeeee!”.
Farsi abbracciare? Da Ranma Saotome?!
“Aaaaarrrrrgghhhhh! Non ti avvicinare, mostroooo!”, urlò impazzito Mao Mao Ling con i peli talmente ritti che sembrava aver preso la scossa, mentre scappava a zampe levate spargendo lacrime disperate.
“Dofe fai? Pecché scaffi? Vojo solo paflare, fermafiiii!”, ebbe pure il coraggio di chiedergli l’essere demoniaco con le fattezze del codinato.
“Fossi mattoooo!”, gridò il gattone lanciandosi fuori dall’ingresso, le zampe anteriori tese non si sa perché verso il cielo e un turbine di polvere dietro di sé. E proprio mentre guadagnava l’uscita del tempio per gettarsi nei vicoli cittadini, udì alle sue spalle Ryoga che sopraggiungeva inseguito da suoi guardiani miagolanti, indi una sorta di scontro frontale e infine il medesimo Ryoga che, volando alto sopra le loro teste insieme a diverse palle di pelo, urlava: “Ranma ti uccideròòòòòòòòòòòò!”, mentre il suddetto non sembrava nemmeno essersi accorto che qualcuno gli fosse venuto addosso, perché continuava a gridare dietro di lui: “Fermafiiiiii! Defo parlarfiiiiiiii!”.
Nemmeno per tutte le sogliole del Giappone! Aspetta e spera, dannato Saotome!


“Eccolo che arriva, sei pronta mia cara?”, chiese Bastet seduta in veranda davanti al laghetto del giardino.
“Mau…”, rispose la gattina accoccolandosi meglio fra le braccia della dea, che in risposta le grattò il mento.
“Shampoo, dove seiiii?”, urlò Mousse facendo la sua apparizione in cima al muro di casa Tendo. “Rispondi, Shampooooo!”, urlò ancora con le mani a coppa ai lati della bocca.
“Ci mancava quell’orbo di un papero…”, commentò Nabiki sbucando dal salotto e sgranocchiando crackers di riso.
“Shampooooo!”, gridò felice Mousse abbarbicandosi alla vita di Nabiki come una pianta infestante. “Ti ho trovata, finalmente!”
Nabiki addentò un altro craker.
“Se non vuoi che la vera Shampoo sappia che hai abbracciato un’altra, ti conviene darmi 1000¥”.
Mousse restò per un istante impietrito. Ma il tempo di sistemarsi meglio gli occhiali sul naso che aveva già guadagnato la distanza di sicurezza con un balzo all’indietro.
“Tendo Nabiki, non ho tempo da perdere con te! Se sai dov’è Shampoo, dimmelo subito!”.
“Ma certo: 1000¥”, disse Nabiki tendendo una mano. Le vecchie abitudini erano dure a morire.
“Non te ne darò nemmeno uno, dimmi subito dov’è la mia Shampoo!”
“Ci tieni tanto ad averla, Mousse?”, chiese Bastet alzandosi in piedi.
“Mi sembra ovvio… ehm… Akane!”, rispose il cinese dopo aver risistemato gli occhiali sul viso. Da quando in qua la fidanzata di quell’idiota di Saotome faceva domande tanto ovvie?
“Bene, sappi allora che se farai ciò che ti dirò, Shampoo sarà tua. Ma se ti rifiuterai di obbedirmi, resterà una gatta per il resto della vita”.
“Che stai farneticando, Tendo Akane?!”.
“Tu vuoi sposare Shampoo e far ritorno in Cina, non è così? Io posso esaudire il tuo desiderio, far sì che si innamori di te, ma dovrai aiutarmi a sottomettere Ranma. Allora, ci stai?”
Le spesse lenti di Mousse scintillarono al sole rivelando gli acuti occhi smeraldini che c’erano dietro in perfetto stile anime, sì da mostrare l’acume che si celava dietro la facciata da finto tonto.
“Chi sei veramente?”.
Bastet sorrise mostrando i canini pronunciati.
“Colei che realizzerà i tuoi sogni, se mi aiuterai…”
Bene, non si è ancora accorto che Shampoo è fra le braccia della dea, pensò Nabiki. Forse riesco ad alleggerirlo di…
“Ecco la tua Shampoo, come pegno della mia promessa…”, lo incoraggiò Bastet porgendogli la gattina, che subito si acciambellò fra le braccia del cinese in un tripudio di fusa.
“Sha… Sha… Shampoo…”, mormorò basito Mousse con la vista annebbiata dalle lacrime. L’unico contatto che aveva mai avuto con l’amata sotto forma di gatta era stato con le sue unghie…
Nabiki accartocciò di colpo il pacchetto di crakers facendoli volare sbriciolati nell’aria, ma non smise di masticare furiosamente.
“…prendi la decisione giusta, Mousse, e la prossima volta che Shampoo si strofinerà contro di te, lo farà da donna, anziché da gatta”, insinuò Bastet con un sorriso mellifluo. “Allora, cosa mi rispondi?”


“Fermati, ho detto, tanto ti prendoooo!”, urlò Ranma di nuovo tirato a lucido contro un gigantesco sonaglio dorato che galleggiava magicamente nell’aria. “Fermatiiiii! Devo parlarti, è importanteeee!”.
Inconcepibile.
Lui che inseguiva un gatto. Cose dell’altro mondo.
A raccontarlo nessuno ci avrebbe creduto. Nemmeno lui.
Per tutti i kami! Era riuscito a pensare la parola ‘gatto’ senza che il cervello s’inceppasse!
“Ma ti vuoi fermare?! Ti ho trovato moglie, mi sentiiiii?!”
Niente, il sonaglio continuava imperterrito la sua fuga facendo gridare di spavento i passanti, non restava che fermarlo con le cattive.
Ranma afferrò un grosso pescegatto dalla bancarella del vecchio pescatore del capitolo precedente (sì, ovvio che riciccia fuori a cavolo di cane, è una ff, mica ceci!) e ignorando la reazione allergica del proprio corpo nonché lo starnuto incipiente, lo tirò contro il sonaglio volante. Si udì allora un sonoro bonk! mentre un effluvio pestilenziale si spandeva per l’aere. Il sonaglio frenò di colpo e si fermò ad annusare l’aria con un grosso punto interrogativo librato sopra di lui.
Ignorando gli strilli del vecchietto che calava sulla sua testa un pescespada intero, Ranma si avvicinò quatto quatto a Mao Mao Ling mentre si grattava furiosamente la mano che aveva toccato il pesce baffuto e tratteneva il respiro per non starnutire: la bestiaccia pelosa non era ancora fuoriuscita dal suo rifugio tondeggiante, ma volteggiava sul cadavere del pescegatto: il punto interrogativo era appena mutato in uno esclamativo…
“Preso!”, gridò gettandosi a corpo morto sul sonaglio e afferrandolo con braccia e gambe. Il campanello gigante iniziò a rimbalzare sul selciato per staccarselo di dosso e Ranma urtò con la schiena pali della luce, cabine del telefono e muri di recinzione.
“Fermati, maledetto idiota, ti ho trovato moglieeee!”.
Finalmente lo spirito si arrestò e Ranma poté scivolare a terra, più incriccato della volta in cui Akane gli aveva piegato il collo di novanta gradi.
Del fumo fuoriuscì allora dal sonaglio e un gatto gigantesco si materializzò dal nulla, afferrando il codinato per il bavero della casacca.
“Parli sul serio? Bada, se ti stai prendendo gioco di me, io…”
“Uaaaaaaaaaaaaaa! Allontanati subito da meeeeeee!”, gridò un Ranma isterico sparando fiumi di lacrime nell’aria.
Il gattone, sempre più perplesso, lo mollò all’istante neanche tenesse fra le zampe un sacco di rape e tornò nel proprio sonaglio.
“Allora? Vuoi spiegarmi?”, lo incitò dal proprio nascondiglio fluttuante.
Per tutto il tempo che gli occorse a illustrare la situazione, Ranma non cessò un attimo di grattarsi ovunque le sue mani riuscissero ad arrivare.


Quando suonarono alla porta, Bastet ordinò a Kasumi di andare ad aprire e la seguì.
Sulla soglia, un Tofu miracolosamente in possesso delle proprie facoltà mentali ci mise meno di 0,3 secondi a far saltare le connessioni neurali e a fissare Kasumi dagli occhiali traslucidi balbettando fesserie senza senso su un sonaglio volante che gli aveva tagliato la strada inseguito da un tizio vestito come Ranma: era talmente gonfio e rosso in viso che solo dalla casacca aveva dedotto che fosse lui, per questo aveva fatto tardi e bla bla bla, che giornata radiosa, vero? Ha visto che grazioso pensierino mi ha lasciato un piccione su una spalla, Kasumi? E ci ridevano pure sopra…
“Grazie dottore per avermi riportato i contenitori, perché non entra in casa, così le pulisco il kimono?”
“Oh gra… oh gra… oh gra… oh gra… oh gra…”
Peggio di un disco rotto. Bastet rifilò una gomitata alla maggiore delle Tendo.
“Oh… ehm… per caso ha portato anche il collarino di Anubi con sé?”
“…con séééé…”
“Dottoreeee?!”, strepitò Bastet battendo le mani.
“Oh sì, sì, sì, eccolo qua…”, rispose Tofu tirandolo fuori dalla scollatura della veste. “Ecco, tieni Akane”, disse all’appendiabiti.
“Questo lo prendo io!”, intervenne Bastet afferrando il monile.
“…endo io…”
“Andiamo bene… Sorella cara, perché ora non accompagni il dottore al piano di sopra, finché svolazza ancora a un metro da terra totalmente inebetito da te? Sono sicura che pulirai meglio il suo kimono in camera tua…”
“…tua…”
“Ma di sopra non c’è nemmeno il bagno…”
“Tu inizia a spogliarlo e vedrai che la soluzione la trovi…”
“…ovi…”
“E va bene… vuole seguirmi, dottore? Adesso togliamo quella macchiolina…”
“…ina…”
E dateci dentro, mi raccomando! Uhuhuhuhuhuhuh!
Fatto. Il dottorino era sistemato alla grande. Ora, finalmente…
Bastet sgattaiolò in salone, dove un Genma più cilindrico di una botte si stava rimpinzando col cibo che non finiva mai, mentre il padre di Akane ronfava col giornale in mano. E qui, con le mani ben piazzate sui fianchi e lo sguardo perso nell’infinito, esplose in una risata degna di una faina uscita di senno.
“Uahuahuahuhauahuahuahuahuah! Ti tengo in pugno, sacco di pulci! Finalmente sei in mio potereeee!”, gongolò afferrando il collarino di Anubi con tutt’e due le mani e portandoselo a pochi centimetri dal naso. Assunse all’istante il faccino di un gatto puccioso e birichino ed esercitò una lieve pressione…
Crack!
“Muahuahuahuhauahuahuahuahuah! Ora nessuno potrà più evocarti, brutto mangiapiattole, ho vinto, ho vinto, ho vinto!”, strillò zampettando per la stanza con le due metà del collarino in ogni mano.
“Mio profumato fiore del mattino!”
Baset quasi si strozzò con la sua stessa saliva per la sorpresa.
“Mio abbagliante raggio di sole! Mia scintillante goccia di rugiada, dove sei? Il Tuono Blu è qui per salvarti dalle sudice grinfie di quel dannato Saotome! Giammai oserà più avvicinarsi a te, dopo aver assaggiato la furia devastatrice del mio…”
“Per tutti i coccodrilli del Nilo, cos’è questo baccano?!”, strepitò Bastet uscendo in giardino.
“Mia dolce margheritina di campo!”, cinguettò Tatewaki spalancando le braccia e correndole incontro. Un provvidenziale piede della dea affondato in profondità nella sua faccia ne arrestò la corsa. Ma non l’impeto.
Tatewaki si riprese battendo la velocità della luce: abbracciò stretta l’amata con l’impronta del piede ben calcata sul viso e promise solennemente che col suo bokken avrebbe tagliuzzato Ranma in fettine più sottili del sashimi. Il problema è che impiegò tanti di quei giri di parole che Bastet perse il filo del discorso.
“Togliti di dosso, idiota!”, strillò infine la dea affondandogli nella faccia ormai implosa anche un pugno.
“Oh, Tendo Akane…”, farfugliò Kuno, “la tua dolcezza non cesserà mai di incantarmi, la tua timidezza di stupirmi!”
“Nemmeno a me la tua imbecillaggine!”, berciò lei.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahahahahahahahahahaahahahah!”
L’acuta risata fece suonare gli allarmi antifurto di diverse abitazioni dei dintorni e irritò l’udito sopraffino di Bastet, che dovette tapparsi le orecchie finché alla Rosa Nera non mancò il fiato per continuare a ridere come la pazza isterica qual era.
“Incredibile, esiste qualcuno con una risata più sguaiata della mia… E tu che vuoi?!”
Kodachi, dall’alto del muro di recinzione di casa Tendo, le puntò contro uno dei suoi nastri, che ricadde penzoloni nel giardino insieme a una miriade di petali neri.
“Sono venuta per te, Tendo Akane!”
“Ma non mi dire…”
“Non so cosa tu abbia fatto al mio adorato Ranma, ma questa volta hai passato ogni limite! Ti punirò come meriti!”
Bastet si grattò dietro un orecchio.
“Sì, beh, mi piacerebbe giocare con te, ma adesso ho da fare… Kunoooo?”
“Sì, mio radioso e candido giglio dai petali vellutati?”
“Toglimi dai piedi tua sorella”, ordinò Bastet piegandolo con una sola occhiata al suo volere.
“Ciò che tu comandi, mia adorata!”, esultò il Tuono Blu brandendo il suo bokken. “Spiacente per te, sorella, ma infine è giunta la tua ora!”, declamò passandosi una mano nella folta chioma. “Mai più seminerai la tua follia come Ecate semina le stelle nel manto notturno, mai più ti frapporrai tra me e la luce dei miei occhi, mai più…”
“Vuoi darti una mossa, deficiente?!”, gli urlò contro una Bastet che Kodachi, ignorando i deliri del fratello, aveva frattanto avvolto nei suoi nastri come un salame saltando da un muro all’altro del giardino.
“Subito, mia adorata!”, si affrettò a rispondere Tatewaki rinsavendo quel tanto da tagliare i nastri col bokken.
“Dannata gatta morta, ero quasi riuscita a eludere mio fratello!”, gridò la Rosa Nera facendo ruotare nell’aria i monconi dei suoi nastri, così da seppellire Bastet e Kuno sotto una montagna di petali neri che un esercito di domestici non faceva che buttare per aria, mentre un ventilatore gigante li direzionava. “Me la pagherai, sappilo!”, continuò Kodachi fuggendo via. “Tornerò e ti strapperò Ranma una volta per tutte! Aaaaaaaaaaaaaaaahahahahahaahahahahah!”, insisteva saltellando da un tetto all’altro inseguita dal fratello, che teneva il bokken ben alto sopra la testa.
“Fermati, Kodachi! Devo portarti in manicomio!”
Bastet li osservò sparire all’orizzonte sputando i petali neri finiti in bocca.
“In manicomio dovreste finirci entrambi… sput! E dovrebbero buttare via la chiave… sput! Dannati personaggi secondari, non fanno altro che interrompere la trama!”. La dea si scrollò di dosso la montagna di petali che la copriva fino al collo. “Ehi, voi, là dietro! Spegnete quell’affare, ormai se n’è andata! Uff… e adesso, in base al copione, andiamo ad accogliere l’ultimo arrivato… Shampoooo? Dove sei teso…?”
La gattina se ne stava a fare le fusa accoccolata in braccio a Mousse, seduto in veranda e impegnato in un fitto soliloquio: dietro i fondi di bottiglia delle lenti, osservava il cielo fantasticando sul loro ritorno in Cina, su un matrimonio da favola, sui venti figli che avrebbero avuto. Mmmmm… era il caso di liberare Shampoo dall’incantesimo? Ma no, che credesse pure di strusciarsi contro Ranma, tanto per ora non le serviva: poteva occuparsi da sola dell’ennesimo sfigato.
“Sempre che non sbuchino dal nulla altri personaggi secondari fuori luogo…”, mormorò soprappensiero avviandosi verso la strada. “Oh no! Perché l’ho detto?! Speriamo che l’autrice non mi abbia sentito…”


Piccolo, sporco e nero (no, non è Calimero), un Ryoga ridotto alle dimensioni di Pchan arrancava assolutamente a casaccio per le vie di Nerima, benché tanto per cambiare il radar tarato su Akane lo stesse conducendo a sua insaputa proprio dall’amata, che fuori dal cancello di casa Tendo lo aspettava a braccia aperte. Sicché quando la vide – dopo aver rischiato di essere sbranato dai gatti ninja di Mao Mao Ling ed essere incappato in quell’insopportabile vecchietta che pare abitare ovunque e ovunque la troviamo a spargere acqua dal suo mestolo – al piccolo insaccato sembrò di scorgere un’oasi nel deserto: Akane gridava il suo nome col sorriso radioso che riservava solo a quel deficiente di Ranma, circonfusa da un’aureola sfolgorante che manco i santi, da rose che galleggiavano nell’aria neanche fossero di carta e da uccellini che si sgolavano a furia di cantare le lodi dell’amata. Inutile quindi dire che quando gli spalancò le braccia, il piccolo prosciutto con le zampe non capì più niente: partì in quarta e si catapultò letteralmente contro il petto del suo unico, vero amore, beandosi del suo abbraccio e delle carezze dietro la nuca.
Finché non si ritrovò afferrato per la collottola a penzolare nel vuoto un nanosecondo dopo.
“Eccoti, finalmente, sei in ritardo, lo sai?”, gli chiese Bastet leccandosi un canino.
“Squiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!”, strillò disperato Pchan spargendo fontanelle di lacrime dagli occhioni tremolanti e agitando freneticamente le zampine. Inutilmente. Stavolta non sarebbe arrivato quel cretino del suo rivale a salvarlo, era davvero finita: avrebbe fatto un viaggio di sola andata nello stomaco della dolce e inconsapevole Akane, prospettiva che mandò in tilt il cervello già penalizzato di Ryoga. Conseguenza ne fu che il minuscolo maiale svenne.
“Ehi! Non ho intenzione di mangiarti (per ora), mi servi vivo e soprattutto in forma umana!”, sbraitò seccata la dea, che con uno schiocco delle dita fece apparire dal nulla una teiera fumante e la versò addosso a Pchan. Ryoga si ridestò di colpo ma non fece in tempo a meravigliarsi di essere ancora vivo e a vergognarsi di essere come mamma l’aveva fatto: appena sollevò gli occhi su Bastet, fu avvinto dal suo sguardo penetrante e si accasciò, rincretinito più che mai e con un filo di bavetta a un lato della bocca, in mezzo alla strada. Con un nuovo schiocco delle dita, Bastet provvide a fornirgli i consueti abiti, quindi gli ordinò di alzarsi in piedi.
“Bene…”, sussurrò carezzandogli una guancia, “ora che ci sei anche tu, non resta che aspettare il suo ritorno, ma per allora è bene che anche tu, come Mousse, abbia un piccolo vantaggio su di lui…”


*Musichetta della Pantera Rosa on*
Ranma Saotome, mascherina bianca sul viso, si avvicinava furtivo al dojo Tendo stringendo a sé il sonaglio gigante di Mao Mao Ling. In punta di piedi percorreva rasente il perimetro del muro di cinta nel tentativo di catturare qualche rumore, ma tutto era stranamente immoto: un silenzio irreale regnava dall’altra parte, considerando che aveva lasciato Akane a vedersela con Shampoo. Non udiva nemmeno Kasumi canticchiare, o il suo vecchio chiacchierare col signor Tendo mentre giocavano a shoji in veranda. In compenso, voltato l’angolo, si ritrovò davanti a una tale quantità di petali neri sparsi per la via, che avrebbe potuto riempirci dieci cuscini…
Oh no! Ci mancava solo quella svitata di…
Per puro istinto schivò l’affondo che sbriciolò l’intonaco là dove prima era la sua testa e saltò in cima al muretto per poi chiedersi l’affondo di chi aveva evitato, visto che la via era più deserta del Sahara: eppure c’era una presenza lì, anzi due, percepiva chiaramente la loro vicinanza…
Uno spostamento d’aria e Ranma saltò istintivamente all’indietro ritrovandosi in giardino. Qualcosa – anzi due – atterrò davanti a lui, poi più niente, tranne la sensazione di essere circondato. Si strappò dal viso la mascherina bianca per respirare meglio e arretrò di qualche passo per analizzare ciò che percepiva: queste due presenze gli sembravano familiari, avrebbe quasi azzardato che…
Un triplo arpione collegato a una corda sbucò dal nulla diretto verso di lui, ma con un salto rovesciato lo evitò per ritrovarsi a schivare una serie di affondi senza poter rispondere agli attacchi: stringeva tanto il sonaglio di Mao Mao Ling che era lì lì per deformarlo. Atterrò su un piede solo su un masso che delimitava il laghetto e con una spinta compì un balzo all’indietro oltrepassandolo completamente. Tutto taceva…
“Bentornato a casa, tesoro!”
Ranma si voltò di scatto, ma fece appena in tempo a sorprendersi della presenza di Bastet alle sue spalle che si ritrovò legato come un salame: la corda di prima col rampino all’estremità lo avvolse tutto e mentre il sonaglio gli cadeva dalle braccia rotolando fin sotto la casa, qualcosa all’altra estremità della corda lo strattonò facendolo cadere nel laghetto.
Riemerse con un salto cercando di difendersi a suon di calci dall’altro essere invisibile che lo attaccava frontalmente e di cui evitava i pugni solo perché li anticipava per via degli spostamenti d’aria che generavano, ma un nuovo strattone lo fece ripiombare a terra. Riuscì a rialzarsi nonostante il dolore al braccio su cui era atterrato e stava per compiere un nuovo salto, stavolta contro colui che teneva la corda, quando uno dei due avversari riuscì a colpirlo dietro il collo. In un attimo tutto divenne buio e Ranma piombò nell’oblio.

“Ehi, che succede, qui? Sto via solo una settimana e guarda che mi tocca vedere!”
Bastet alzò lo sguardo trionfante da Ranma-chan verso la vocina gracchiante che aveva osato levarsi, mentre davanti a lei Mousse e Ryoga tornavano visibili, il primo tirando forte la sua corda per stringere meglio il rivale finalmente battuto, l’altro – sguardo vacuo – con un piede sulla schiena di Ranma per prevenire un eventuale contrattacco.
La dea aguzzò la vista: un vecchietto in miniatura dagli occhi così grandi da occupare tutta la testa spellacchiata la fissava basito dalla cima del muro di recinzione, stringendo una specie di fagotto gigante legato al collo ma che ricadeva dietro la schiena. Scandagliò i ricordi di Akane e sorrise divertita.
Troppo facile…
“Mousse! Ma che stai facendo?! Dov’è la mia nipotina?”, gridò una mummia abbarbicata a un bastone sempre in cima al muro di cinta. Bastet allargò le braccia spazientita e sbuffò sonoramente.
“Ma è mai possibile che arrivino tutti insieme all’ultimo momento?! E va bene, speriamo siano gli ultimi…”, mormorò fra sé la dea massaggiandosi le tempie.
“Allora, incapace di un papero, che stai combinando? Dov’è Shampoo?”, insistette Obaba piombando in giardino.
“Tua nipote diventerà mia moglie, finalmente ho battuto Ranma!”, affermò orgoglioso Mousse agitando la corda che teneva legata Ran-chan. In quel mentre si udì un miagolio e una gattina rosa sbucò dal nulla per strusciarsi contro le gambe del cinese. Al che la vecchia restrinse le pupille.
“Mmmm… se mia nipote non è sotto un incantesimo, allora io sono una vecchia decrepita…”
Mousse si avvicinò aggiustandosi gli occhiali sul naso.
“Ma tu sei una vecchia decrepita!”
“A chi? Bada a come parli!”, sbraitò Obaba rifilandogli una bastonata sulla zucca.
“Ehi! Sbaglio o Ranma è svenuta? Allora posso palparla!”, s’intromise Happosai saltando dal muretto per lanciarsi a corpo morto sul codinato. “Eccomiiiiiii!”.
“Attacco alla lussuria imperterrita!”, gridò Bastet schioccando le dita.
Una pioggia di tanga e reggiseni di pizzo come Happosai non ne aveva mai visti planò dall’alto dei cieli come una nuvola di piume leggiadre e variopinte, lasciandolo a bocca aperta a pochi passi da Ranma a farsi pian piano seppellire da tanta grazia di Dio. Quando riemerse dal cumulo, pareva un drogato che si era appena iniettato un’overdose.
“Zuccherini… zuccherini di ogni foggia e colore…”, ripeteva preda di un tic nervoso a un occhio.
“Puoi averne quanti ne vuoi, vecchio, di tutti i tipi: culotte, perizomi, baby-doll, corsetti, guepiere, giarrettiere e persino…”, Bastet si arrestò col fiato corto onde aumentare la suspence, “…calze autoreggenti!”.
A quella parola Happosai divenne all’istante un concentrato di libidine allo stato puro: un’aura rossa sfolgorò dal suo corpo rattrappito, il viso trasfigurato da un desiderio dirompente.
“Doveeeee? Dove sonooooo?! A meeeeeeeee!”, ruggì espandendo la propria bramos... aura.
“Eh no, prima devi neutralizzare Obaba!”, protestò Bastet battendo un piede per terra.
Happosai si volse allora verso la vecchia e l’amazzone capì che forse era il caso di tagliare la corda: avrebbe sistemato quello spaventoso ammasso di concupiscenza alla vecchia maniera (con l’Hiryu Shoten Ha, che avete capito?), ma lontano da lì, dove non avrebbero causato danni. Fuggì allora saltando col suo bastone di tetto in tetto inseguita da un Happosai più sbavante di un cane idrofobo. Alé, adesso che anche quei due erano sistemati, poteva finalmen…
“Ranchan! Ma cosa ti è successo?!”.
“Eh no, non è possibile, checcavolo!”, strepitò Bastet voltandosi e battendo ripetutamente un piede per terra furibonda: Ukyo era apparsa dal nulla con l’inseparabile spatola gigante fra le mani e si stava dirigendo allarmata verso il suo futuro schiavo. “Ryoga! Fermala!”
Il giovine con la bandana si volse come un automa verso Ukyo, tese un braccio verso di lei e… premette la mano aperta sul seno della cuoca.
“Non così, idiota…”, si lagnò Bastet schermandosi gli occhi con una mano.
“Cosa fai, pervertito!”, urlò Ukyo che fumava imbarazzo per poi spiattellargli la spatola in piena faccia. Ryoga volò contro il muro di cinta e lì rimase con la testa incastrata fino al collo. Bastet lo liberò con uno schiocco delle dita e un sospiro spazientito, mentre Ukyo si precipitava su un Ranchan sempre svenuto e sempre tenuto legato a mo’ di cotechino. “Non si sveglia, ma che gli avete fatto?!”, strillò la cuoca alzandosi in piedi e brandendo la spatola contro Mousse. “Liberalo subito, avanti!”.
Prima che potesse ribattere, il cinese udì uno schiocco delle dita alle sue spalle e quasi immediatamente vide la spatolona di Ukyo venir strappata dalle mani della proprietaria da una forza invisibile; l’arnese si arrotolò quindi attorno al corpo della ragazza e la immobilizzò nella sua morsa: se tentava di dimenarsi, il manico della spatola si comportava come le spire di un boa.
“Bene, vediamo chi manca…”, disse Bastet mettendosi a contare sulle dita. “Anubi è sistemato, Tofu è sistemato, i fratelli Kuno sono sistemati, Shampoo e sua nonna sono sistemate e così Mousse, Ryoga, Ukyo, Nabiki e Happosai…” Una leggera brezza le scompigliò i capelli e accompagnò la consapevolezza di essere finalmente a un passo dall’ottenere ciò che voleva. Si guardò intorno, titubante, non del tutto sicura che i possibili piantagrane disseminati dall’autrice nel capitolo si fossero esauriti. “Sono finiti? Sono finiti davvero? Uhuh! Uhuhuhuhuh! Ora sarai mio, Ranma, mio per sempre… Muahahahahahahahaahahahahah!”
Bastet era così euforica all’idea di poter finalmente schiavizzare il codinato, che non si accorse che qualcuno era frattanto scivolato sotto la casa e aveva recuperato un certo sonaglio…


Quando riprese i sensi, Ranma si ritrovò a fissare il soffitto della palestra. Fino a lì non ci sarebbe stato niente di strano, peccato si rendesse conto quasi all’istante di essere immobilizzato contro un materasso. Tentò di muovere braccia e gambe, ma a ogni contrazione muscolare le corde si stringevano di rimando, rendendogli difficoltoso persino respirare.
Alzò allora la testa quel tanto da poter vedere il dojo e scoprì con orrore di essere circondato: tutt’attorno a lui c’erano un panda di forma sferoidale che ingurgitava a più non posso cibi di ogni sorta, Nabiki che lo fissava con occhi a forma di monete d’oro, il signor Tendo che sembrava uno zombie, Ryoga che gli faceva degna compagnia, Mousse che sogghignava e teneva Shampoo gatta in braccio grattandole le orecchie e per finire Ukyo, nastro adesivo in bocca e ginocchia a terra, avvinta dalla sua stessa spatola. E, cosa forse peggiore di tutte, un gigantesco fiocco fatto con la corda proprio sopra il suo addome.
E poi lei, dietro di lui: la sua aura era inconfondibile. Ranma inarcò il collo per vederla da sotto in su, benché più che altro vedeva la biancheria di Akane e la teiera fumante che teneva in mano.
“È inutile, tesoro mio: più ti dimeni, più le corde di Mousse si stringeranno attorno a te, stavolta non puoi sfuggirmi”, proferì Bastet inclinando la teiera.
“Dannatissima bestiaccia, ascoltami! Ho trovat… ouch! Scottaaaaaa!”
Un rivo d’acqua calda l’aveva investito in piena faccia facendogli assumere di nuovo le sue forme virili. Neanche il tempo di scuotere la testa, che si ritrovò con un peso sul basso ventre. Riaprì gli occhi e vide ciò che temeva: Bastet che lo cavalcava come la notte in cui cercò di violentarlo. All’idea di cosa potesse avere in mente quella divinità con le vibrisse gli si rizzò il codino.
“Niente di ciò che tu credi, Ranma”, sussurrò la dea sdraiandosi lentamente su di lui e incrociando le mani sotto il mento. Ignorare il seno di Akane che strusciava contro il suo torace gli costò mezzo litro di sudore. Le gambe della fidanzata che si stringevano contro i suoi fianchi lo portò vicino alla disidratazione. “Dal momento che ti ostini a respingermi, sarebbe inutile tentare una terza volta di possederti: non otterrei che un altro fiasco, visto che ti rifiuti di… collaborare. Quindi, ti piegherò alla mia volontà in un altro modo”.
“Ma che… che intenzioni hai?! Dannazione, papà, non stare lì impalato, aiutami!”, invocò ricordandosi di avere un genitore.
Senza smettere di ingozzarsi nemmeno per un decimillesimo di secondo, Genma-panda estrasse il cartello che aveva preparato per l’occasione:

SMETTILA DI FARE IL RITROSO!
DATTI DA FARE E SAREMO SATOLLI
PER IL RESTO DELLA VITA!


“Maledetto idiota! Me la pagherai!”
“Vuoi capire che è tutto inutile? Nessuno ti aiuterà, Ranma: sono tutti corrotti o ipnotizzati o fuori combattimento. Hai. Perso”, sorrise Bastet.
A sentire quella parola, il codinato fumò rabbia dalle orecchie in fiamme.
“Io non ho mai perso in vita mia e non perderò nemmeno stavolta!”, urlò fuori di sé convogliando il proprio qi nelle braccia e riuscendo ad allentare le corde. Stava per liberare una mano quando Bastet schioccò annoiata le dita e le funi si tesero tanto da ferirgli la pelle.
“Cosa credevi di fare, ragazzino?”, chiese sprezzante la dea rimettendosi a sedere sul ventre di Ranma e incrociando le braccia al petto.
“Liberami e te lo faccio vedere!”
“Ran… ma… puoi… farcela… Zitta tu!”, ruggì Bastet. “Come osi intrometterti?! Mi hai stancata e non mi servi nemmeno più, stavolta ti annienterò sul serio!”
“Ferma, non farlo!”, implorò Ranma.
“Vuoi dire che se la risparmierò… tu finalmente cederai? Ran… ma… no… non… E zitta una buona volta! Allora?”
“Io… io…”
Ranma chiuse gli occhi e reclinò la testa all’indietro, abbandonandola sul futon.
“Devo prenderlo per un sì? Beh, sappi che se anche fosse un ‘no’, non cambierebbe nulla…”
“Che?!”, chiese Ranma rialzando il capo.
“Tanto non collaboreresti ugualmente laggiù, per cui… Mousse, portami Shampoo!”
Altro che codino dritto dietro la nuca, ora Ranma aveva tutti i capelli elettrizzati per il terrore: guardò il cinese che si avvicinava col fffffffffffffffffff… in braccio, guardò Bastet, guardò il cinese, guardò Bastet, guardò il cinese e così via sempre più velocemente, sempre più allarmato, sempre più zuppo di sudore.
“Tu-tu-tu…”
“Che sei? Un telefono rotto?”, chiese la dea prendendo Shampoo.
“Tu non ti rendi conto! Se io mi gattizzo…”
“Diventerai perfetto!”, esclamò Bastet spiaccicando Shampoo sulla faccia di Ranma.
Ve lo ricordate il granchiaccio con la coda nel film Alien, vero? Quello che si appiccica al viso tipo ventosa? Ecco, Shampoo fece la stessa cosa con Ranma: arrotolò la coda attorno al suo collo e si aggrappò con le unghie alla sua nuca. Il codinato si dimenò e cercò di urlare. Inutilmente. Bastet tenne premuta la gattina contro la faccia di Ranma, mentre le corde gli stritolavano il corpo a ogni minimo movimento.
Tutt’a un tratto smise di dimenarsi e Bastet capì di dover agire in fretta: Ranma aveva stretto i pugni con tale veemenza e gonfiato tanto i muscoli da iniziare a strappare il cordame.
Finalmente ci siamo!
La dea tirò via Shampoo gettandola lontano e nel medesimo istante le funi che bloccavano Ranma dalla vita in su saltarono una dopo l’altra, il codinato balzò a sedere con occhi di brace emettendo un miagolio inferocito e sollevò una mano contratta ad artiglio. Bastet compì allora un poderoso balzo rovesciato all’indietro ritrovandosi acquattata sul pavimento, pronta a difendersi e a contrattaccare, mentre Ranma… si leccava la faccia da micetto pacioso usando le mani a mo’ di zampe.
“Prau…”
A Bastet cascarono letteralmente le braccia. Il miglior artista marziale del Sol Levante, l’invincibile Saotome Ranma, terrore di demoni e fantasmi… si stava facendo una toletta completa.
Preda di un tic nervoso al sopracciglio sinistro e con un gocciolone formato tanica dietro la testa, Bastet balzò in piedi indignata e con uno schiocco delle dita sciolse il fiocco che teneva bloccato il codinato dalla vita in giù. Immediatamente Ranma si liberò delle corde per grattarsi con foga dietro un orecchio con una delle gambe.
“Ma… no… non può essere… ma che succede?! Dov’è il terrificante guerriero felino dei ricordi di Akane?!”, si chiese al culmine delle sconcerto. “Non posso aver fallito, non è possibile… quiiiii, micio, micio, micio!”, lo chiamò accucciandosi e materializzando dal nulla una piuma di struzzo per poi agitargliela davanti al naso.
Il miglior artista marziale del Sol Levante eccetera eccetera la degnò appena di uno sguardo annoiato, quindi tornò a grattarsi con una goduria indescrivibile.
“Tu… Tu osi ignorarmi?!”, sbraitò la dea. Al che Ranma smise di leccarsi una zamp… una mano e le soffiò contro. Un umano che si credeva un gatto aveva appena soffiato contro la dea dei gatti. L’insulto finale. “Ti sottometterò, Ranma… fosse l’ultima cosa che faccio!”
Bastet gli si lanciò contro sfoderando gli artigli, ma Ranma la evitò con un balzo laterale, ingobbì la schiena e con un cupo e prolungato miagolio le intimò di stargli lontano. Resa sorda a qualsiasi minaccia dalla frustrazione, Bastet lo attaccò con assalti sempre più rapidi sfruttando la forza e l’agilità di Sekhmet e usando le pareti come trampolini, finché Ranma decise di passare al contrattacco. Anziché schivare l’ennesima offensiva, le si lanciò contro nel medesimo istante in cui lo fece lei, sicché le rispettive zucche si scontrarono a mezz’aria in un tripudio di stelline.
“Ahi, che male…”
“Mau?”, fece Ranma osservando la dea che mezza accasciata a terra si massaggiava la testa con una mano. Qualcosa nel suo tono di voce pareva familiare…
“Ra… Ranma?”, chiese Akane fissandolo sorpresa. “Che è successo? Ti sei gattizzato per me?”
“Mau?”, rispose lui avvicinandosi cautamente.
“Oh no! Vieni qui, devo farti tornare normale, su micino, vieni...”, lo invitò la fidanzata spalancando le braccia e sorridendo nonostante la sofferenza.
Ranma la raggiunse solerte e le salì in grembo, sicché lei prese ad accarezzargli la nuca e poi gli afferrò con delicatezza il viso fra le mani.
“…e guardami!”, gli ordinò Bastet incatenando gli occhi nei suoi.
Lo sventurato lo fece.
Ranma rimase congelato fra le mani della dea, che iniziò a ridere sommessamente e ad alzarsi in piedi, inducendo il burattino che teneva in pugno a fare altrettanto.
“Ce l’ho fatta… ce l’ho fatta!”, esultò Bastet allontanandosi di alcuni passi per ammirare la sua opera: Ranma si ergeva in tutta la sua fierezza, emanando un’aura spaventosamente potente e fissandola col penetrante sguardo felino acquisito con la gattizzazione: finalmente era diventato ciò che aveva sempre bramato, un connubio esplosivo di potenza e agilità che lei poteva portare a livelli sublimi.
“Ora vieni avanti, Ranma, e baciami, diventando per sempre il mio schiavo…”
Ranma eseguì, iniziando a ridurre la distanza fra loro.
“Bene, credo sia giunto il momento di intervenire…”
Bastet sgranò gli occhi e si volse irritata oltre ogni dire verso chi aveva osato levare la voce.
“Ma chi…? Nabiki?!”
“Cara Bastet, non sottovalutare l’importanza dei personaggi secondari…”, proferì la secondogenita dei Tendo sollevando il sonaglio che stringeva fra le braccia, sonaglio che non impressionò più di tanto la dea finché da esso non si sprigionò quello che sembrava fumo. Bastet restò basita a guardare il “fumo” aggregarsi per prendere le sembianze del più gigantesco e candido gatto che avesse mai visto… Rimase a bocca aperta a fissare l’esponente felino più puccioso su cui avesse mai posato gli occhi, chiaramente un suo pari, un’altra divinità! E possedeva anche un mega sonaglio! Il cuore le batteva all’impazzata, mentre tutt’intorno al micione svolazzavano i soliti putti che strimpellavano lire tra aiuole in fiore non meno svolazzanti, il tutto stagliato su uno sfondo di un disgustoso rosa confetto.
La celestiale visione s’incrinò tuttavia nel momento stesso in cui la dea si rese conto che il suo pari non la stava osservando con la stessa bramosa intensità, bensì con un’espressione perplessa, come se il suo amore a prima vista non vedesse oltre l’involucro umano che lei occupava…
“Io… ecco… io… sono Mao Mao Ling, lo Spirito del Sonaglio…”, balbettò la soave creatura. “Se davvero sei colei che dicono, vo… vorresti diventare mia moglie…?”
La dea boccheggiava, ormai incapace di respirare. Anche la sua voce era soavemente ultraterrena! Guardò Ranma in avvicinamento a ore 3, guardò il gattone che la fissava coi lucciconi a ore 9, poi di nuovo Ranma che avanzava inesorabile, poi di nuovo il gattone che attendeva trepidante una risposta e si chiese come aveva potuto pensare di abbassarsi a prendersi un umano quale compagno per la vita! Era forse uscita di senno? Il corpo che aveva preso in prestito aveva influenzato certamente le sue decisioni, peggio, era stata sul punto di commettere un errore irreparabile, era ora di abbandonarlo! Anche perché altrimenti in quell’irresistibile sonaglione non ci sarebbe mai entrata…
Nel momento in cui Ranma l’afferrò per la vita, Bastet lasciò il corpo di Akane per gettarsi fra le braccia di Mao Mao Ling, rivelando al cicciuto micione il suo vero aspetto di gatta delle sabbie e insediandosi nella tondeggiante alcova di lui con un sospirato “Sì!”.
Akane ritornò completamente padrona del proprio corpo nell’esatto momento in cui Ranma la stringeva a sé e chinando il viso su quello di lei posava le labbra sulle sue. Rimase allora pietrificata con le mani posate sulle spalle di Ranma, totalmente incapace di connettere le facoltà mentali, nonché di muovere un solo muscolo del corpo appena riacquistato.
Ranma la stava baciando. E del perché non gliene fregava un piffero. Sapeva solo che la stava stringendo fra le braccia con sempre maggior desiderio, avviluppandola in un abbraccio da cui non si sarebbe staccata nemmeno se un terremoto le avesse aperto il pavimento sotto i piedi. Cominciò anzi a rispondere al bacio che si faceva via via più impetuoso chiudendo gli occhi, circondando il collo di Ranma con tutt’e due le braccia, affondando le mani nella sua chioma come lui faceva con la sua.
Ranma, da parte sua, stava lentamente ritrovando il lume della ragione e quando finalmente tutte le luci del lampadario si accesero nella sua testa, si rese conto che non stava affatto sognando. Spalancò gli occhi pur sapendo di rischiare l’arresto cardiaco e iniziò a separarsi cautamente dalle labbra di quella che credeva fosse Bastet, la quale si lasciò sfuggire un gemito di disappunto e riaprì due occhi tanto sbrilluccicosi da accecarlo. Due occhioni che con quelli perfidi di Bastet non avevano nulla a che vedere: lo scrutavano attraverso il velo dell’amore incondizionato, sul punto di permettere a lacrimoni di gioia di rompere gli argini e scorrere giù per le gote in fiamme.
Kami, meno male, non ho baciato Bastet…, pensò felice Ranma tirando un sospiro di sollievo mentale e accennando un mezzo sorriso, …ho baciato AKANE!
L’arresto cerebrale fu immediato. Il codinato trasmutò in un blocco di granito che si spaccò in più punti.
“E bravo Ranma, ce l’hai fatta, finalmente…”, disse Nabiki rompendo un silenzio di tomba mentre riprendeva tutto con l’immancabile videocamera.
Il blocco di granito si sbriciolò in un mucchietto di detriti: diverse paia d’occhi li stavano fissando con le mascelle che toccavano terra. Ryoga, Ukyo, Mousse, Shampoo gatta, suo padre e il signor Tendo sembravano sul punto chi di ridere, chi di scoppiare in lacrime, mentre lui ritornava di carne e sangue per avvampare peggio di un falò ed emettere vapore bollente dalle orecchie come una fumarola.
“NOOOOOOOOO! NON È COME CREDETEEEEEEE!”, urlò sbracciandosi a più non posso. Fatica inutile.
Ryoga si liquefece alla velocità di un cubetto di ghiaccio esposto al sole cocente e sotto forma di laghetto di lacrime scivolò via (per sempre, nelle sue intenzioni).
Shampoo svenne fra le braccia di Mousse, che si mise a saltare per tutto il dojo dalla felicità.
Il signor Tendo esplose in un pianto dirotto correndo ad abbracciare il futuro genero.
Suo padre, senza più cibo davanti al naso, rotolò verso il figlio per congratularsi con lui (e sperando in un pranzo di nozze luculliano).
Ukyo, ripreso possesso della propria spatola, la raddrizzò per poterla ripetutamente calare sulla testaccia traditrice di Ranma fino a deformare l’amato strumento di lavoro, tanto che un codinato pieno di bernoccoli si ritrovò spiaccicato per terra a mo’ di tappetino di mucca mentre Ukyo infieriva su di lui, Soun piangeva a più non posso con un braccio davanti agli occhi (ma tanto le lacrime seguivano come al solito una traiettoria tutta loro, stranamente laterale), Genma si univa alla felicità dell’amico piangendo a calde lacrime e dandogli colpetti su una spalla, Nabiki iniziava a calcolare il costo dell’imminente matrimonio e Akane non osava muoversi dalla posizione che aveva assunto nel momento in cui era tornata in sé, per cui continuava a fissare il soffitto con sguardo trasognato, a cingere il nulla con le braccia e a tenere i piedi sollevati sulle punte.
“Smettetela, maledizione, c’è un equivoco!”, gridò esasperato Ranma riuscendo a rimettersi in piedi. “Bastet mi ha gattizzato e…”
“È inutile che ci provi, Ranma”, lo interruppe Nabiki sollevando gli occhi dalla calcolatrice. “Non stavi né miagolando, né facendo le fusa, né altre cose da gatto, mentre baciavi Akane. Eri te stesso, ti abbiamo visto tutti”.
Fregato.
“Ma sul serio pensate che avrei baciato Akane e oltretutto davanti a voi?!”
Ukyo, che non smetteva di colpirlo in testa gridando all’infedele, si bloccò di punto in bianco, dubbiosa. Soun smise di espellere liquidi corporei e Mousse di zompettare per la stanza, congelato nell’attimo in cui stava per compiere un nuovo salto. Al che Nabiki intervenne prontamente:
“L’hai appena fatto, visto che Bastet è lì dentro che si diverte con Mao Mao Ling”, disse indicando il sonaglio gigante che galleggiava nell’aria in modo scoordinato sbattendo contro le pareti del dojo: dal suo interno miagolii e sospiri fecero calare nella palestra un silenzio imbarazzante finché il campanello non uscì in giardino e non scomparve oltre il muro di cinta. “Quando la dea è uscita dal corpo di Akane, tutti coloro che aveva ipnotizzato sono rinsaviti, tutti gli incantesimi che aveva fatto sono svaniti, quindi non puoi che aver baciato Akane di tua volontà”.
Non faceva una dannata grinza.
Ukyo gli diede una spatolata tale da mandarlo a sfondare la parete di fronte, per poi fuggire via lasciando una scia di lacrime, Soun riprese a frignare più di prima, Genma a sognare il pranzo di nozze e Mousse a uscire da quella palestra prima che quell’idiota di Saotome avesse qualcosa da ribattere e mandasse tutto all’aria.
Era fregato su tutta la linea, non c’era scampo. Scastrandosi dalla parete del dojo, doveva ammettere che non poteva dimostrare di essere stato manovrato da Bastet, non davanti a tanti testimoni. Stavolta nemmeno la leggendaria ‘Tecnica Saotome della negazione dell’evidenza a tutti i costi’ avrebbe funzionato. E poi Akane era così carina, tutta rossa e trasognante…
“Sorellinaaa?”, la chiamò Nabiki schioccando più volte le dita. “Su, torna sulla Terra!”
“Uh? Oh?”, rispose Akane ripiombando effettivamente nel dojo e guardandosi intorno. Quando scorse Ranma e la sua corona di bernoccoli da Guinness dei primati, si fermò estasiata.
“Ho capito, togliamo il disturbo, tanto il meglio l’ho già ripreso…”, osservò Nabiki con un sorrisetto sornione. “Papà, signor Genma, c’è un matrimonio da organizzare, andiamo in sala da pranzo a definire i dettagli...”
“Buaaaaaa! La mia bambina si sposaaaaaa!”, continuò a piagnucolare Soun sostenuto dal suo miglior amico.
“Esatto, papà. E io dico che prima il matrimonio sarà celebrato meglio è, che ne dici di domani pomeriggio? Giusto il tempo di dare una ripulita e allestire il dojo…”
“Domani?! Ma non sarà un po’ prestino?”
“Affatto, non alla velocità con cui questi due cambiano idea e i loro nemici tramano per impedire il lieto fine, meglio battere il ferro finché sono ancora entrambi nella fase: ho appena ammesso/a con me stesso/a di amarlo/a alla follia, non posso vivere senza di lui/lei, dammi retta, cogliamo l’occasione al volo”.
Ranma e Akane non fecero obiezioni: erano troppo occupati a fissarsi come se non si fossero mai visti. Del resto quella gattaccia di Bastet aveva confessato a ognuno cosa provasse l’altro, per cui continuare a negare l’evidenza – dopo il bacio, poi – appariva leggermente ostico. Tentarono più di una volta di dire qualcosa, ma appena aprivano bocca arrossivano e abbassavano gli occhi.
“E-ehm… so… sono felice c-che… s-sei to-tornata in t-te…”, balbettò Ranma fissando le punte dei propri indici che si toccavano.
“Ah… ehm… grazie…”, rispose Akane fissandosi invece i piedi.
Silenzio da camposanto.
“MALEDETTA BASTET! DOVE SONO FINITI MASCHERA E SARCOFAGO?! E ORA COSA METTO AL MIO FUNERALE?!”
Akane e Ranma trasecolarono al ruggito di Nabiki, che diede alla terzogenita dei Tendo l’opportunità di ringraziare Ranma per tutto ciò che aveva fatto per lei.
“Hai visto che alla fine avevo ragione io? Tu non eri in grado di salvarmi…”, disse d’un fiato scrutandolo di sottecchi.
“Ehhh? Come?!”, chiese Ranma indignato.
“Insomma, Bastet non ha certo lasciato il mio corpo per merito tuo…”
“E con ciò? Sono stato io ad aver portato qui il sonaglio, sai quanto mi è costato? Sono entrato nientemeno che nel Tempio dei Gatti! E ho dovuto inseguire Mao Mao Ling! Io!”
“Sul serio? L’hai fatto per me…?”, chiese Akane tra il rapimento e la felicità.
“B-beh, ecco… s-sì, mi pare ovvio, cioè, non volevo diventare, ecco, lo schiav…”
Non diventò un pezzo di marmo quando Akane lo abbracciò di slancio e sussurrò un grazie che presagiva un imminente straripamento di lacrime, ma ci andò comunque vicino, perché si mise pure lui a fissare trasognato il soffitto e a deglutire a vuoto. Cercò anche di abbracciarla a sua volta, ma le braccia rimasero pesi morti.
“N-non c’è di che…”

EPILOGO



“Su, dì ahhhhh…”, incitò Akane cercando di infilare in bocca a Ranma il riso che lei aveva cucinato per colazione, visto che Kasumi canticchiava in cucina col cervello fra le nuvole senza combinare un accidenti.
“Sul serio, non ho fame!”, protestò Ranma cercando di evitare le bacchette di Akane.
“Avanti, sorellina, non vorrai avvelenarlo proprio il giorno delle vostre nozze!”, chiese Nabiki sbonconcellando le verdure in salamoia mentre leggeva un manga. “È quella gattaccia di Bastet, che dovresti imboccare, visto che si è ripresa il prezzo del mio silenzio!”
“Non l’avete nemmeno assaggiato, come fate a dire che è cattivo?”
“Forse perché è nero?”, osservò noncurante la sorella sfogliando una pagina.
“Va bene, mi è venuto un po’ croccante e con ciò?”
“Con ciò vorremmo evitare di morire!”, sbraitò Ranma.
“Cosa vorresti dire?!”, inveì Akane a muso duro.
“Fermati, Kodachi, devo impartirti la lezione che meriti!”
L’inconfondibile voce di Tatewaki indusse i due fidanzati a voltarsi basiti in direzione del Tuono Blu, che stava saltando di tetto in tetto, bokken in pugno, all’inseguimento della sorella, che manco a dirlo rideva a crepapelle facendo piroette, ruotando i suoi nastri e spargendo petali.
“Non mi prenderai mai! Toglierò di mezzo Tendo Akane e Ranma sarà mio, uahahahahaahahahahah!”
Mentre ancora fissavano a bocca aperta i fratelli Kuno che sparivano all’orizzonte, Akane ficcò le proprie bacchette col riso abbrustolito in bocca a Ranma, che deglutì e poi si portò la mani alla gola cadendo sul tatami in preda alle convulsioni.
“Ranma! Oh no, che gli prende?!”
“Che ti avevo detto? Corri a prendere un lassativo, altrimenti la prima notte di nozze la passi a contare le pecore…”
Mentre Akane correva in cucina con una foga che sorprese persino Nabiki, la suddetta si sporse dal tavolo in direzione di Ranma, che si teneva la pancia sudando peggio che in una sauna.
“Lo sai, vero, che sarà così per il resto della tua vita?”
“Non farmici… pensare! Potevamo restare fidanzati… per altri vent’anni… io avrei fortificato abbastanza lo stomaco… da sopportare… le sue schifezze! Invece… per colpa di quella bestiaccia… morirò giovane!”
“Non fare scherzi: ho scommesso che resisterai almeno un anno, il tempo di mettere in cantiere un erede…”
Ranma rigurgitò il riso per lo shock e riuscì a rimettersi a sedere.
“Bastet, tu sia maledetta… se ti ribecco…”
“Ecco il lassativo, Ranma, prendi!”, annunciò Akane entrando di corsa nella sala da pranzo.
“Ferma, non c’è più bisog… troppo tardi”, sospirò Nabiki tornando a leggere il suo fumetto, mentre la sorella ficcava in bocca al fidanzato un cucchiaio da cui colava una sostanza nauseabonda.
Ranma rantolò peggio di prima sul pavimento e poi fuggì a razzo verso il bagno, mentre Akane guardava perplessa la sorella chiedendole dove avesse sbagliato stavolta, per poi mettersi all’inseguimento del futuro marito al grido di: “Ranma aspettamiiii!”.
Nabiki sospirò di nuovo scuotendo la testa: sarebbe stata una giornata campale.
“Marito e moglie… io non ce li vedo proprio. E voi?”







Ragazzi, è finita, non ci voglio credere, sono così triste! ç____ç Per fortuna ho un’altra ff cui dedicarmi e prima che me lo chiediate, no, non ho intenzione di dedicarmi ad altro all’infuori di NRSU e delle storie originali (sì, sono cocciuta, prima o poi tirerò fuori qualcosa di decente), a meno di improvvisi e folgoranti ispirazioni, ma non contateci. ^_-
Bene, grazie per avermi stoicamente seguito sino alla fine, spero il cap vi sia piaciuto, mi raccomando fatemi sapere che ne pensate, non lasciatemi col dubbio di aver scritto una scemenza! ^^;; XDDDD
Buon Natale e felice anno nuovo a tutti coloro che leggeranno, hasta la vista! ^___^
   
 
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