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Autore: micho    18/12/2010    5 recensioni
Questa storia si colloca alla fine di Assassin's Creed Brotherhood e immagina cosa possa essere accaduto al ritorno di Ezio da Viana.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ezio Auditore, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LIBERI
 
 
E’ una notte senza luna questa che mi riconduce qui dopo un lungo viaggio e la pioggia debole e insistente che mi ha accolto alle porte di Roma mi ha già inzuppato fino alle ossa. Un caldo benvenuto, non c’è che dire.
Il cavallo sbuffa e accelera il passo non appena imbocchiamo il ponte che porta all’Isola Tiberina; anche se questa non è casa sua, e neppure la mia d'altronde, sembra percepire che ormai siamo arrivati.
Le strade sono deserte, e il suono degli zoccoli che risuona sul selciato mi sembra fin troppo forte nel silenzio impregnato di umidità.
Quando smonto al riparo della tettoia delle scuderie e abbasso il cappuccio fradicio, mi accorgo di un paio di occhi vigili che mi scrutano dalla feritoia della porta. Poi il battente si spalanca e Fedele si precipita fuori affrettandosi a prendermi di mano le redini.
-Maestro!-
La sua voce resta un sussurro, ma è come se fosse un grido di ansioso sollievo.
Dentro le scuderie, mi attardo a osservare Fedele che toglie la sella e i finimenti al cavallo, godendomi il chiarore delle lampade e l’odore pungente e familiare del fieno e del letame. Guardo uno dei miei adepti di rango più elevato che svolge in totale silenzio quel lavoro umile, lanciando ogni tanto delle occhiate furtive al mio viso nel tentativo di soddisfare la curiosità che lo sta divorando.
-Maestro.- dice poi.
-Siamo stati così tanto tempo senza vostre notizie… Siete vivo. E… Cesare?-
-No.-
 
L’intero covo è avvolto nel silenzio. Ad eccezione di Fedele e di quelli incaricati di montare la guardia sul tetto, tutti stanno dormendo. Le poche lampade lasciate accese per la notte gettano ombre d’inchiostro negli angoli più lontani.
Nella mia stanza l’unica fonte di luce sono le braci languenti nel camino. Le ravvivo con due pezzi di legna e assaporo il calore del fuoco mentre mi libero della cappa bagnata. Il rumore di armi e armature che cadono a terra una dopo l’altra è qualcosa che conosco bene, ma suscita nel mio animo un sentire diverso, un che di indefinito, a metà tra esaltazione e sgomento. Anche i vestiti finiscono sul pavimento in un mucchio scomposto e mentre mi allontano dal calore per dirigermi verso il letto osservo la mia ombra mobile e nuda proiettata sul muro.
 
Il risveglio porta con sé intorpidimento e confusione. Ricordo di essermi buttato sul letto e poi più nulla. Sono crollato.
Il calore in cui sono avvolto mi sorprende. Qualcuno deve aver avuto il coraggio di entrare nella stanza mentre dormivo e la pietà di prendersi cura di questo corpo distrutto con una coperta. Mi domando con un vago sorriso chi fra i miei adepti possa aver avuto l’ardire, ma nessuno di loro lo ammetterà mai.
Mi alzo ignorando le proteste dei muscoli contratti e mi vesto coi miei abiti più semplici. Le armi restano ammucchiate sul pavimento.
Quando esco dalla stanza trovo Desideria che finge di passare di lì per caso.
-Stai bene Maestro?- chiede con un inchino appena accennato mentre si lega i capelli biondi in una coda stretta.
-Sto bene. Ti ringrazio.-
Lei mi sorride e non aggiunge parola, ma nei suoi occhi grigi passa un lampo di trionfo e orgoglio sostituito subito dal freddo acciaio che ho sempre visto nel suo sguardo. Aspetta ordini.
-Dove sono gli altri?-
Lei assume una posa marziale e fa il suo rapporto da perfetto soldato.
-Laura, Fedele e Stefano sono smontati dal turno di guardia e dormono. Ugo e Alessandro sono sul tetto, Rinaldo alle scuderie. Alighiero ed Ermanno sono alla Rosa in Fiore da tua sorella e tua madre, Giacomo e Ciro controllano i ponti  e Tullio è alla Volpe Addormentata. Io sono disponibile.-
-Bene. Che ore sono?-
-E’ passata da poco la Nona.-
La Nona… erano anni che non dormivo così tanto.
-Bene. Prendi un cavallo e vai. Vorrei tutti qui, nella Sala delle Cerimonie al tramonto.-
-Consideralo già fatto.-
Desideria scatta verso la porta controllando il meccanismo della lama celata, poi si ferma e si volta.
-Maestro.-
Esita, un ombra di rossore sulle guance.
-Sono così felice di rivederti tutto intero.-
Le rivolgo un sorriso e un cenno del capo. Lei sembra crescere di una spanna e il rossore aumenta. Fa un altro passo e si ferma di nuovo.
-Ti ho lasciato qualcosa da mangiare nella Sala dei Dipinti.-
-Grazie. Ora vai.-
Un inchino ed è sparita.
 
 
 
Ho voluto passare queste ore da solo, nel tentativo di rimettere ordine nel guazzabuglio del mio cervello.
Ho pulito le armi con la solita cura ossessiva. Da sempre una necessità pratica e un necessario confronto con le mie azioni.
Sono uscito per la prima volta dopo anni senza indossare un’armatura e senza un cappuccio a oscurare il mio viso. Ho portato con me solo la lama di mio padre, giusto per non sentirmi completamente nudo. Ho camminato e camminato a lungo, senza una meta precisa, con il sole del pomeriggio che mi feriva gli occhi e mi bruciava la testa. Una domanda fissa nella mia mente: e ora?
Manca poco al tramonto. Intuisco  la luce che cala velocemente mentre sto in piedi nella Sala delle Cerimonie già illuminata dalle torce. Presto saranno qui. Do le spalle all’entrata cercando di immaginare di chi saranno i passi del primo che l’attraverserà e domandandomi se sarò in grado di riconoscerli. Non voglio voltarmi finché non saranno tutti dentro. Fisso il braciere finché gli occhi non mi bruciano, finché un fruscio di stoffe non mi distoglie e un profumo di violetta colpisce le mie narici. Una mano delicata si posa sulla mia spalla e subito dopo due braccia esili avvolgono le mie.
-Madre.- sussurro.
Poiché non mi muovo lei non esita a girarmi intorno e a porsi tra me e il braciere. Le sue dita fresche mi sfiorano la guancia. Non ho bisogno di alzare gli occhi per incontrare i suoi e un attimo dopo ogni mia difesa è crollata. Mi abbandono nel suo abbraccio caldo e solido mentre sento i passi degli altri che entrano nella Sala, i loro respiri.
Quando mi volto sciogliendomi dall’abbraccio di mia madre e li guardo, tutte le loro emozioni mi investono senza alcun filtro, lasciandomi incapace di distinguerle.
Prendo un respiro e poi un altro senza riuscire a trovare il fiato per parlare e quando esce dalle mie labbra, la voce è roca e incerta.
-Sono felice di vedervi, che siamo di nuovo qui tutti insieme. Non ero per niente sicuro che sarebbe potuto accadere.-
Bartolomeo sbuffa. A quanto pare lui invece ne era sicuro.
-Ognuno di noi è stato come un rivolo d’acqua, all’apparenza insignificante, ma che unito agli altri ha dato vita a una corrente impetuosa che tutto ha travolto e portato con sé. L’acqua è l’elemento che meglio rispecchia il nostro essere e il nostro agire: si adatta all’ambiente che la circonda, consuma le rocce e non si può fermare. E’ la forza più potente della natura, la materia di cui siamo fatti, è la calma apparente, la pazienza, il lavoro continuo e instancabile, la furia che abbatte le mura.
Mi piace pensare che perseguendo i nostri intenti abbiamo risposto a delle domande, ma allo stesso tempo ne abbiamo creato delle altre. Questo è il fondamento del nostro Credo, proteggere il diritto a non seguire una sola verità imposta dall’alto che di per se stessa non è reale, e a continuare a cercare, a chiedere, ad avere dubbi, a pensare con la nostra mente. Il pensiero, così come il potere di scegliere è soltanto nostro, non può esserci portato via e non può essere venduto né comprato, ma ci sarà sempre qualcuno che vorrà provare a farlo. Quelli sono e saranno sempre i nostri nemici e potremo in ogni momento decidere come combatterli, con le lame o con le parole, con lo scontro aperto o consumando lentamente il terreno sotto i loro piedi.-
Niccolò annuisce appena, Claudia si massaggia il marchio sull’anulare sinistro.
-Quattro anni fa credevo di aver già vinto tutte le mie battaglie e che un atto di clemenza avrebbe concluso onorevolmente il mio percorso. Mi sbagliavo: il percorso in realtà non era ancora giunto alla fine. Sono arrivato a Roma con la stessa furia vendicativa di quando ero un ragazzo, ma con l’esperienza di un uomo che sa indirizzare i suoi istinti. Ora…-
La voce si spegne lasciando nella sala lo stesso vuoto che c’è nella mia mente.
-…ora credo di aver finito qui.-
Nel silenzio che segue sento il rumore degli stivali che piedi nervosi trascinano sul pavimento, il braciere che crepita alle mie spalle, tintinnio di armi e scricchiolare di corazze.
-Maestro.-
E’ la voce di Laura a dar fiato alla domanda muta nel cuore dei miei Adepti.
-Vuol dire che te ne andrai?-
I suoi occhi scuri mi scrutano nel profondo, alla ricerca della conferma a un quesito di cui conosce la risposta da sempre.
-Sì, me ne andrò. Ho una casa da ricostruire.-
 
Il vento primaverile è ancora freddo e mi ghiaccia addosso il sudore della scalata. Il cielo si sta schiarendo a oriente, ma ai piedi del Colosseo i carri di chi ha già iniziato la giornata di lavoro hanno ancora le lampade accese.
Ho lasciato il covo a cavallo che era buio pesto e ho galoppato fin qui pancia a terra, quasi fossi inseguito dai demoni. Le voci si sono ormai spente nella sala delle Cerimonie, ma non nella mia mente.
Cosa farò adesso? Non ho più nessuno. Abbiamo bisogno di te. La mia famiglia è questa, ormai. Sono un falegname, potrei esserti utile. Così ci abbandoni? Non ho più una casa. Sei tu la mia casa.
Amici, scegliete la vostra strada da soli. Io non posso più dirvi cosa fare. Il tempo degli ordini è finito, siete liberi.
Le poche nuvole che si arricciano all’orizzonte si fanno rosa e violette, il cielo a ovest è di un azzurro profondo. La luce cresce lentamente e poco a poco la tensione si allenta nei miei muscoli stanchi. Aspetto, rabbrividendo nella frizzante aria mattutina, che il sole faccia la sua comparsa.
L’alba erompe rossa e arancio stracciando le nubi nel cielo e un sorriso piega le mie labbra mentre corro verso il vuoto e salto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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