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Autore: Macchia argentata    18/12/2010    16 recensioni
Piccola one-shot romantica per augurarvi un dolce Natale! I personaggi sicuramente li indovinerete, la situazione probabilmente la intuirete...Ad ogni modo, palazzo Jarjayes, vigilia di Natale, e un regalo inaspettato^^
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il braccialetto
Natale 1788

La confusione delle carrozze nel cortile coperto di neve si accompagnava al carezzevole suono del clavicembalo proveniente dal piano inferiore. Il fioco tremolio delle lanterne portate dai lacchè che si accostavano agli sportelli delle carrozze, aiutando le gran dame a portare sé stesse e i loro ingombranti abiti fuori dall’abitacolo, si riflettevano sul bianco immacolato delle aiuole, creando interessanti giochi di luce ambrati, fievoli, nel buio della notte.
Appoggiai la fronte al vetro della mia stanza e sospirai.
Non avevo nessuna voglia di partecipare ad un ballo.
Ma non avrei potuto esentarmi, in qualità di padrona di casa.
Gettai un ultima occhiata in tralice ai visi delle donne che si apprestavano a fare il loro ingresso a palazzo Jarjayes, coperte di belletto e sovrastate da enormi acconciature cosparse da generose nuvole di borotalco.
Detestavo quell’odore. L’avevo capito veramente solo una volta lasciata Versailles. Quel nauseante puzzo di talco che impregnava praticamente ogni angolo della corte, i suoi corridoi asfittici, i suoi saloni tanto ricchi e sfarzosi quanto sporchi, mescolandosi con altri vergognosi miasmi.
Certo, non potevo dire che la caserma dei soldati della guardia fosse un ambiente migliore, ma se non altro nessuno si impomatava volto e capelli, lì dentro. E ognuno era semplicemente ciò che era, senza troppe pretese.
Sospirai e mi scostai dalla finestra da cui nell’ultimo quarto d’ora avevo osservato l’ininterrotto viavai degli ospiti, accostandomi alla specchiera, cui sedetti sconfortata.
L’idea di quel ballo di Natale era stata di mio padre, il quale, incurante dell’attuale situazione in cui verteva la Francia, aveva particolarmente insistito affinché tutto fosse sfarzoso ed elegante.
Bisognava dare mostra di essere fervidi sostenitori della corona, e se il mio allontanamento dalle guardie reali aveva sollevato più di un sospetto, questo ballo, a cui avrebbe partecipato solo l’elite dell’aristocrazia francese, avrebbe riportato le cose al giusto ordine.
La famiglia Jarjayes era schierata in prima fila tra i sostenitori della monarchia.
Scrutai i miei occhi nello specchio, e per un attimo mi chiesi cosa avrebbero pensato i miei soldati.
Cosa avrebbe pensato lui.
Sapevo che era tornato per fare visita a Nanny, gli avevo firmato io stessa la licenza, perciò probabilmente aveva assistito ai preparativi che quella vigilia avevano fatto correre tutta la servitù avanti e indietro fin dalle prime ore del mattino.
Non potei fare a meno di pensare che se non si fosse arruolato, avrebbe inevitabilmente svolto lui stesso quelle mansioni.
Un servo.
Per qualche strano motivo mi vergognavo al pensiero che Andrè stesse assistendo a tutto ciò.
Ma forse…Forse, dopo la visita a Nanny, era tornato in caserma.
Qualunque soldato della guardia o membro del popolo si sarebbe sentito offeso da quell’imponente sfoggio di sfarzo.
Per loro, non eravamo che ‘pidocchiosi nobili’.
Lo ero anch’io.
Per questo se da un lato mi si stringeva il cuore al pensiero che quello sarebbe stato il mio primo compleanno senza Andrè, dall’altro mi sarei sentita sollevata sapendolo lontano.
Gettai un’occhiata al piano della mia toletta. Niente trucchi e gingilli, nessun gioiello. Era un piano di marmo lucido, sopra cui era posata una spazzola d’argento dalle setole morbide. Non ero mai stata un’amante del superfluo.
La afferrai e presi a spazzolarmi i capelli, nervosamente, dopodiché avrei provveduto ad indossare l’uniforme e, con essa, la maschera di imperturbabile freddezza con cui avevo intenzione di trattare chiunque avesse provato ad intrattenere conversazione.
Avrei tanto voluto trovare una scusa plausibile per non lasciare la caserma, quella vigilia di Natale.
In quel momento, un lieve bussare alla porta mi distolse dai miei pensieri.
Chiusi gli occhi e sospirai.
“Avanti” esclamai fiaccamente, convinta si trattasse della cameriera che veniva a sollecitarmi da parte di mio padre.
Ma il riflesso che vidi comparire nello specchio che avevo davanti, non assomigliava affatto a ciò che mi ero aspettata di vedere.
“Andrè…” mi lasciai sfuggire, mentre i miei occhi si incatenavano al suo sguardo, attraverso la specchiera.
Indossava pantaloni di velluto marrone e una camicia candida, dal che dedussi che non stava tornando in caserma.
“Ciao, Oscar”
Deglutii. Ero rimasta con la spazzola a mezz’aria.
Lo vidi avanzare nel riflesso dello specchio, e fermarsi alle mie spalle.
L’aria che ci circondava divenne improvvisamente satura di tensione, e persino il suono del clavicembalo al piano di sotto appariva ora  lontano e sfumato.
Ricordavo benissimo l’ultima volta che eravamo stati in quella stanza assieme.
Erano passati dei mesi, ed erano stati strazianti, pieni di decisioni che avevano irrimediabilmente  cambiato le nostre vite.
E adesso non sapevo più chi eravamo.
Vidi la mano di Andrè muoversi nello specchio, fino a raggiungere la spazzola che ancora tenevo fra le mani. Mi resi conto che me l’aveva lentamente sottratta dalle dita solo quando non sentii più il suo  lieve peso.
“Mi permetti?” Chiese semplicemente, mentre, sconcertata, mi osservavo annuire piano, guardando il mio stesso riflesso come se stessi assistendo a qualcosa che mi era estraneo, paralizzata.
Sentii le sue dita sfiorare i miei capelli, sollevarne una ciocca e passarci delicatamente la spazzola.
Mi mossi a disagio sullo sgabello. Portai le mani sulle gambe e le strinsi a pugno. Erano completamente sudate.
Andrè passò più volte la spazzola tra i miei capelli, sollevando le ciocche con le dita prima di lasciarci scivolare sopra le setole, con estrema delicatezza. Poi, lentamente, lasciò cadere la mano con la quale teneva la spazzola, mentre l’altra si insinuava sotto ai miei riccioli, in una carezza che si spostò dalla base del mento alla nuca.
Chiusi gli occhi e trattenni il respiro.
Quando li riaprii Andrè si era spostato al mio fianco, e lo vidi poggiare un ginocchio al pavimento mentre si piegava per raggiungere la mia altezza.
“Ti ho portato un regalo, Oscar. E’ un regalo di compleanno…” dichiarò, franco.
Poi qualcosa velò il suo sguardo, e lo vidi abbassare leggermente il capo.
Non osavo fiatare, presa in contropiede dal vortice di emozioni che mi stavano travolgendo.
“Oscar…So di non poter avere pretese. Di nessun tipo. Quello che ti dissi, mesi fa…”
Sollevò lo sguardo e incrociò il mio.
“Beh…è ancora valido. Ma…volevo dirti che adesso so qual è il mio posto. So di aver sbagliato, e me ne pento ogni giorno, credimi. Io…”
Gli tremò leggermente la voce.
“Vorrei riparare. Vorrei ricostruire quello che eravamo un tempo, ma non posso. Non ci riesco.”
Mi sentivo come congelata. Sarebbe bastato un niente per mandarmi in frantumi.
“Non posso tornare a fingere di non amarti, perché sarebbe ipocrita. Io ti amo…e tu questo lo sai.”
La mano di Andrè si fece strada verso la mia, e sentii le sue dita chiudersi sulle mie.
“Ma so anche di non poter avere pretese, e lo accetto. Ecco, questo volevo dirti…”
Quando le nostre mani si sciolsero, percepii qualcosa di morbido tra le dita e mi resi conto che Andrè aveva lasciato scivolare un piccolo sacchetto di velluto blu nel mio palmo.
Lo osservai, smarrita.
“Aprilo” Mi esortò lui.
Quando lo feci, qualcosa di luminoso cadde tra le mie mani.
Era un braccialetto di perle. Lo sollevai e lo osservai da vicino.
Non ero mai stata un’esperta di gioielli, anche se ne avevo visti molti nei miei anni a Versailles.
Quel braccialetto non sembrava possedere nulla dello sfarzo di quei gioielli. Le perle erano piccole e  irregolari, e il gancio per chiuderlo semplice e in oro, leggermente annerito.
Ad ogni modo, doveva essergli costato una fortuna, considerando il misero salario percepito dai soldati della guardia.
Osservai Andrè, confusa da quel regalo inaspettato.
“Andrè, ti sarà costato una fortuna, io non posso ac…”
 Ma lui bloccò sul nascere ogni mia protesta.
“Non preoccuparti, Oscar. Questo braccialetto appartiene alla mia famiglia… Era di mia madre. Mi fa piacere che lo abbia tu.”
Rimasi di sasso a quelle parole.
“Ma Andrè… io non posso proprio accettarlo…A maggior ragione visto che è un tesoro di famiglia…” Allungai una mano per restituirglielo, ma la mano di Andrè, gentilmente, riportò la mia dov’era, indugiandovi sopra alcuni istanti.
“Oscar, so che non sei tipo da gioielli, se è questo che ti preoccupa!” Esclamò, con un piccolo sorriso. “Ma questo braccialetto significa molto per me, lo regalò mio padre a mia madre, e fu il suo unico gioiello. Ora lo sto dando a te, e credimi, non ci sarebbe nessun altra persona a cui vorrei regalarlo…”
“Ma, Andrè…”
“Fammi un favore, Oscar, per una volta, non protestare. Accettalo e basta. Significa davvero molto per me.”
Vinta, lasciai cadere la mano che reggeva il braccialetto sulle ginocchia.
Andrè mi sorrise e il buio che avevo dentro venne leggermente rischiarato.
C’è sempre un momento, un momento esatto, in cui tutto acquista senso. E’ quel momento che arriva quando abbassi le difese, quando sei nudo, davanti alla vita. Ti entra dentro e non ti lascia più.
I nostri respiri erano tutto ciò che agitava l’aria che avevamo intorno.
Vicini. Troppo vicini.
Mi schiarii la voce.
“Vuoi…Vuoi aiutarmi?” Gli chiesi, porgendogli il braccialetto. Andrè mi osservò per un istante, un istante che mi sembrò lungo una vita.
Non mi ero mai resa conto di quanto profondo potesse essere quello sguardo.
Prese una delle mie mani tra le sue e sollevò leggermente la manica della mia camicia, fino a scoprire la pelle candida del polso, in cui spiccava il tenue azzurrino delle vene. Le sue dita indugiarono in una leggera carezza e mi sentii rabbrividire.
C’erano molte cose che avrei potuto dire, ma rimasero congelate tra le mie labbra.
Forse era così che la felicità ti passava vicino. Ti sfiorava appena, e scivolava via, lasciandoti alla deriva prima che tu avessi tempo di fare o dire alcun che.
Lo scatto della chiusura mi destò da quelle considerazioni, e ritrassi il braccio, sentendo la leggera consistenza delle perle intorno al polso.
“Ti ringrazio, Andrè…” sussurrai, con quella che non mi sembrava nemmeno più la mia voce. “Io non ho un regalo per te, purtroppo…” aggiunsi, stupidamente, vinta dall’imbarazzo di quel momento.
“Non importa…” Mormorò Andrè “Anche se una cosa che potresti fare per me ci sarebbe, e ne sarei felice…”
Lo osservai, e lo vidi sollevarsi, tendendomi la mano.
“Concedimi un ballo.”
Mi sentivo instupidita, e solo in quel momento realizzai che le note del clavicembalo al piano inferiore raggiungevano la mia stanza, concedendoci un perfetto sottofondo musicale.
“Andrè…”
“So che sei il mio comandante, e io un semplice soldato. Ma per stasera, soltanto per stasera, balla con me. Poi me ne andrò, e ti giuro che non cambierà nulla…non più di quanto tutto sia già cambiato.”
Mi morsi le labbra, ma infine, con quello che mi parve un incredibile sforzo, mi sollevai dallo sgabello della toletta, lasciando scivolare la mia mano in quella di Andrè.
Un ballo.
E niente sarebbe cambiato.
I miei ospiti mi attendevano, al piano di sotto.
Ma il comandante Oscar François de Jarjayes non sarebbe sceso. Non ancora.
Cosa avrebbero pensato se avessero saputo che stava concedendo un ballo al soldato semplice Andrè Grandier?
Per un istante, un sorriso mi comparve sulle labbra.
Quello era proprio il genere di cose che avrebbe fatto venire una sincope a mio padre.
Ad Andrè non sfuggì la mia espressione.
“A cosa stai pensando?” mi chiese, avvicinandosi al mio corpo, leggermente teso.
“Pensavo che questo non è il nostro primo ballo, ricordi Andrè? Le lezioni di ballo del maestro di danza…”
Un sorriso si dipinse anche sulle labbra di Andrè. Mi cinse la vita con il braccio e incatenò i suoi occhi ai miei: “Come potrei dimenticarle? Madamigella doveva imparare a danzare come un uomo, e la parte della fanciulla toccava sempre a me!”
Sorridemmo entrambi al ricordo delle disastrose lezioni in cui ci eravamo pestati i piedi tante di quelle volte da non tenerne il conto, mentre il maestro Gautier contava i passi ad alta voce. E, per un secondo, apparimmo come quelli che eravamo, prima che tutto andasse perso.
Poi lo sguardo di Andrè tornò serio. La musica in sottofondo riempiva le mie orecchie con la sua dolce melodia, mentre le dita di Andrè strette attorno alla mia mano mi trasmettevano un’incredibile senso di calore.
Mi era mancato più di quel che avevo creduto.
“Adesso però lascia portare me, d’accordo? In fondo, l’uomo sono io, lo sono sempre stato.”
Sapevo che non voleva essere una frecciatina impertinente.
Era la realtà dei fatti. Quei fatti che mi ero tanto ostinata a voler negare.
Ma adesso ero stanca. Stanza di mentire, stanca di vivere oltre le mie possibilità, stanca di sostenere quella parte.
Posai una mano sulla sua spalla, e vidi splendere le perle del braccialetto che mi aveva donato.
Per tutto quel tempo avevo cercato una ragione, una ragione qualsiasi, per tenerlo lontano.
Ero stanca anche di quello.
Potevo lasciar portare Andrè, ed essere la sua dama.
Non doveva essere versata nemmeno goccia di quel bicchiere colmo fino all’orlo del dolore che ci eravamo provocati l’un l’altro.
Ci muovemmo con grazia nel ridotto spazio della mia camera, sulle note lontane provenienti dal pieno di sotto, e c’era qualcosa di incomprensibilmente perfetto in quell’attimo. Perché la vita non è perfetta, ma ci sono istanti che lo sono, e sono quelli per cui vale la pena vivere una vita intera.
Sprofondai il viso nel collo della sua camicia. Profumava di sapone, mi ricordava l’estate, le corse nei prati, i pomeriggi di sole ad Arras.
Lui era parte di me.
Lui era mio.
“Buon Natale, Andrè.”
“Buon Natale, Oscar. E buon compleanno.”


Nota dell’autore
Questo è il mio piccolo contributo per augurarvi un dolcissimo Natale! Passate delle buone vacanze, io le trascorrerò a Parigi, un piccolo sogno che si realizza dopo anni che non ci mettevo piede. Siano ringraziati i voli low cost!XD Non so ancora se riuscirò a terminare e pubblicare il nuovo capitolo de 'La villeggiatura', se non avrete mie notizie, significa che sarò stata fagocitata dalla frenesia del Natale (e probabilmente starò facendo la coda in qualche negozio per recuperare gli ultimi regali, aimè, se tra le lettrici c'è qualche bilancia, saprà bene di cosa parlo... *indecisione e pessima tempistica*)
Ad ogni modo, vi abbraccio tutte!! Buone feste!

  
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