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Autore: bravesoul    19/12/2010    1 recensioni
Fic classificatasi 3° al contest " i Quattro elementi" indetto da Silvar tales e LegendaAka.
I merli danzano in circolo, aspettando la Morte, aspettando che la Vita finisca. E tu, tu aspetti, impotente e disilluso che tutto finisca, preso nell' eterna pièce del Tutto e del Nulla.
il Corpo distrutto dal gelo, e dai merli, dall arealtà e dall' illusione, dalla febbre e dall' ipotermia.
Nonsense, ed ispirata alla canzonedei Linkin Prak " blackbirds" da cui prende il titolo.
Genere: Dark, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Autore/ autrice: bravesoul

Titolo fan fiction: Blackbirds
Sottotitolo: //
Tipo di fan fiction: one shot
Numero capitoli: //
Rating: giallo
Personaggi principali: Kakashi Hatake
Pairing: // cioè… sì e no… sì ma tanto non c’è il nome di lei ergo =D
Genere:  nonsense, dark, introspettivo
AU: no
Avvertimenti: //
Lista scelta: terra
Elementi: 4.nero 7.morte 8.corpo 12.tomba 24.polvere
Elemento lista jolly: 6.romanzo
Note dell'autore / autrice: Questa fic si è classificata terza al contest " i Quattro elementi" indetto da 
Silvar tales e LegendaAka, vincendo il premio ficco azzurro e il premio het . È un po’ tetra, ma è un periodo strano, quello che sto vivendo, quindi… è  dark al punto giusto XD. Comunque mi sono ispirata a una canzone dei linkin park “ Blackbirds” perché c’è quell’ atmosfere malinconica e un po’ malsana che mi piace molto. Le ultime frasi ( quelle in inglese) sono prese da Shakespeare, dal Macbeth.

Blackbirds

 

 

Non so che vi aspettiate da questa storia.

Non lo so davvero.

Probabilmente, anzi dovrei dire sicuramente, non ho la benché minima idea del perché vi stia dicendo che si tratta di una storia.

Dopotutto quello che state per ascoltare, leggere, intuire, inventare non è che –appunto- il frutto della vostra immaginazione se non dell’ immaginazione di qualcun altro, vedi un patetico scrittore che non ha niente di meglio da fare che curiosare tra i pensieri moribondi di un morente, un comatoso, un folle o qualunque cosa sia io in questo momento.

Qualunque cosa.

Perché- sinceramente- non so in che modo definirmi.

Non sono esattamente cosciente del mio status, tutto quello di cui sono certo è la voce che mi esce da… dalla testa, dalle labbra, non saprei, e che pare riecheggiare in questo spazio vuoto.

Vuoto e bianco.

Con l’eco.

Patetico inizio, niente da dire.

Che cosa c’è di meglio di un narratore sperduto per raccontare una storia?

Ah, non ve l’ ho detto?

Vi devo raccontare una storia.

O- meglio- più che una storia vi devo raccontare gli ultimi istanti del mio ultimo giorno di vita.

Gli ultimi sofferti pensieri.

E- subdolo cliché letterario- gli struggenti e dolorosi rimpianti del tipo” non ho mai detto alla mia donna che l’ amo”.

Sbagliato.

Assurdamente sbagliato.

In questa galleria dei miei più sofferti istanti non c’è stato un singolo rimpianto del genere.

Non uno.

Ma di rimpianti, rimpianti veri, quelli che ti perseguitano per l’intera esistenza… quelli ce ne sono stati fin troppi.

Ho pianto, prima di svanire, morire, dormire, andare in coma.

Sorpresi?

Beh, non dovreste, anche gli uomini- soprattutto gli uomini- piangono.

Io ho pianto non per una donna, non per qualche assurdo e scontato “ io voglio vivere, ho così tanto da fare”, io ho pianto perché non avevo nulla di tutto questo. Nulla che mi rendesse la vita accattivante, nessun amore inconfessato, nessuna donna ad attendermi, nessun figlio nascosto, nessun progetto latente. Il nulla. Ed è terrificante.

Terrificante arrivare al capolinea e realizzare che del tuo passaggio non resterà che un chicco di polvere nel vento, qualche lacrima e niente più. Terrificante realizzare di non avere nulla per cui tirare avanti, sia pure un cambiamento, sia pure la speranza.

Non che non lo sapessi, ma quando la morte- che nel mio specifico caso aveva assunto le sembianze di un’attraente e formosissima donna con un falcetto quasi dall’ aria sadomaso- mi è apparsa davanti ammiccandomi, devo dire che la cosa mi è piombata addosso in tutto il suo significato.

Mi ha lasciato basito, attonito, senza parole.

E- senza parole, attonito e basito- senza sapere come, mi sono ritrovato in questo bianco nulla a raccontarvi la mia esistenza nulla, aspettando qualcosa, sia pure il nulla più totale.

Ma forse- qualsiasi cosa voi siate- forse è meglio che io taccia e che questa… questo frammento di vita lo racconti quest’altra voce, più potente della mia, più vera della mia, più sicura della mia che pare prendere il mio posto.

Perché io mi fermo qui, ho solo questa parte in questo stupido spettacolino privato, solo questo pezzo di copione da imparare a memoria, per riscaldare l’ atmosfera per il grande attore che prenderà il mio posto.

I miei ricordi sono solo queste poche battute a caso, piene di dubbi.

Né prima né dopo.

Il bianco si spegne, the curtains si aprono rivelando lo scenario, e io cado nel mio sonno incantato, pronto a svegliarmi alla prossima programmazione dello spettacolo, in un limbo senza fine.

 

Benvenuti nell’ eterno teatro del nulla e del tutto.

 

 

 

Blackbirds

 

Cadono, leggeri.

Si attardano per un secondo al suolo praticamente si confondono dopo un attimo di assoluta chiarezza con il resto dello scenario bianco.

Soffici, ricoprono, soffocano.

Soffocano il respiro, soffocano la via di uscita da questa morte annunciata.

E- qualcuno- riesce a penetrare in questo antro teoricamente protetto, sfiorando l’ epidermide, incidendo col suo freddo tocco l’ ennesima microferita e l’ ennesimo fatale microtrauma.

Le ciglia si appesantiscono di questi insidiosi eppure tanto innocenti visitatori, gli occhi faticano a restare aperti.

Le mani tentano la via della fuga, si rifugiano come possedute, tremanti, rosse, gonfie, ancora doloranti, tra i vestiti orami fradici ed inutili, anzi dannosi.

Il corpo si  rattrappisce, si racchiude su sé stesso come a tentare di preservare un chissà quale calore nascosto.

Sorpresa.

Il calore non c’è.

Il freddo, il freddo l’ha sconfitto, destinando l’ uomo alla più clemente è al contempo terribile morte.

Il respiro rallenta, il fiato si ghiaccia al contatto con l’ aria.

E, un brivido, - l’ennesimo ma non l’ ultimo- percorre il corpo attonito e fin troppo sensibile, le terminazioni  nervose impazzite ed impazienti.

Le palpebre battono due colpi.

I fiocchi bianchi cadono incessanti.

Il freddo- quello fisco, solo quello per il momento- regna, padrone di un’ anima già condannata.

 

Gracchiano.

Oscurano la visuale,in quella cacofonia dei loro versi.

Il nero, l’ iniquo,il disturbatore.

Solo qualche bagliore arancionato rompe quell’egemonia disturbante.

Il loro grido rauco copre quasi gli sbuffi, soffoca le parole che la bocca vorrebbe pronunciare, quei suoni che corde vocali e lingua vorrebbero produrre.

O – forse- i merli, gli uccelli neri, danno solo una scusa per non parlare, per stare zitto e per scavare.

La vanga  infrange la terra marrone e secca, che si rompe e si apre sotto gli incessanti colpi di quello strumento impuro.

Un uccello si avvicina, conficca le zampe nelle spalle, lacera la carne, il sangue scorre in leggeri rivoli.

Non un grido.

Gli altri merli si avvicinano, aspettano appoggiati ai trespoli, fissano con occhi smaniosi e glaciali i gesti misurati del corpo.

Le zampe si conficcano nella già provata pietra delle lapidi, dando un tocco funesto ad un già funesto paesaggio.

Gli occhi incontrano quelli dei rapaci.

Instancabili, le braccia, continuano il loro lavoro di distruzione del terreno, inclementi.

Gli occhi si chiudono, soffocando il lampo di una qualsivoglia emozione.

La vanga affonda, le braccia bianche si sporcano di terra via via più scura.

Sempre più in profondità.

Sempre più lontano dal calore solare.

Sempre più nelle implacabili mani del freddo.

Ma non il gelo fisico, no, il pallido sole riscalda a sufficienza il corpo per evitare brividi di quel genere.

No, no.

Questo gelo, questo gelo è quello interiore.

Gelo come il ghiaccio negli occhi dei merli.

Gelo nell’ anima.

Gelo nei gesti.

Gelo.

Gelo, semplicemente gelo è quello che resta.

Gli occhi si chiudono per una frazione di secondo, gli uccelli si avvicinano.

L’anima è già dannata, tocca al corpo.

Gli uccelli si avvicinano pigolando famelici.

Un brivido passa per la schiena.

Il freddo ultimo si avvicina strisciando.

Non lotterà nessuno.

 

Gli occhi si riaprono.

La soffice e bastarda neve ha invaso le gambe, i piedi.

Le mani fanno male, le labbra sono congelate, ghiacciate.

Il naso- forse solo quello- è quasi al caldo sotto una maschera.

Trema, il corpo, è scosso dai brividi.

Le mani hanno rinunciato alla lotta, le gambe sono raccolte al busto, ma è inutile.

E il cervello ragiona lentamente.

Non succede mai.

Il cervello, il suo, ragiona sempre velocemente.

Un cervello veloce e pronto al rimorso, nel trovare connessioni impossibili e impossibili futuri alternativi.

Ma- ora- il cervello non vede alcuno possibile futuro.

Sa che questo è il capolinea, intrappolato come un topo in una grotta bloccata dalla neve, destinato a morire assiderato, se non di fame.

Ha provato a far sopravvivere il corpo: una bottiglia di alcool ormai vuota, una volta ricolma di whisky o qualcosa del genere.

Ha provato a non rimanere fermo, a continuare a muoversi per riscaldarsi in qualche modo. Ma è stato inutile, ben presto il corpo ha perso tutta la sua vitalità, e le forze si sono prosciugate come neve al sole.

Si avvicina le mani al volto, per constatarne le condizioni.

Tremende.

Non riesce quasi a muoverle, sono di un colore tra il rosato e il pallido, ancora più pallide del naturale.

Un sorriso amaro increspa la superficie ormai ghiacciata della maschera, le labbra si tirano, quasi si spaccano, sotto quel gesto forzato e improvviso.

Gli occhi, tutti e due, con aria cinica guardano un rivolo rosso macchiare il bianco candore della neve, un rivolo rosso carminio, una ennesima ondata di dolore.

Uno squarcio si apre nel ventre, sotto i vestiti, ormai aderiti alla pelle.

Almeno questo freddo maledetto bloccherà l’ emorragia.

Ma l’ uomo sorride, sorride ancora più amaro. La morte verrà semplicemente con più lentezza, con più dolore, dandogli più tempo per pensare davvero, per mettere in moto il cervello dai riflessi lenti e dare voce agli ultimi pensieri.

E’ un guerriero, lui, non dovrebbe temere la morte.

Oh, ma lui non la teme, non la teme affatto. Vorrebbe continuare a vivere, ma non si metterà di certo a frignare come un bimbo per evitare la nera signora.

Solo, solo non ha mai immaginato di morire così.

Ha immaginato di morire per le ferite, per una malattia atroce- succede, a volte- per un’infezione, per un’esplosione, magari in modo eroico, ma mai di morire come un topo in trappola, non per una ferita ma sconfitto, assalito, umiliato dalla neve, dal gelo.

Non importa come sia arrivato lì.

Quello che conta è che ora sia qui, carne, ossa, pensieri.

Le gambe hanno un fremito involontario, parte delle terminazioni nervose impazziscono furiosamente, un sospiro gli esce dalla bocca, ormai senza voce.

E’ arrivato al capolinea.

Lo sa.

Inutile, solo illusorio sperare che qualcuno verrà a salvarlo. Nessuno verrà, perché nessuno immagina che sia lì. Nessuno verrà perché… perché queste cose succedono solo nei film per tutta la famiglia, nei pessimi romanzi d’avventura, nelle fantasie di qualche troppo fragile ragazzina.

La verità è ben diversa, lui lo sa.

Morirà di ipotermia.

I tessuti andranno in necrosi, le mani si congeleranno, - prima quelle, fanno più male- poi i piedi, poi il naso.

La temperatura corporea scenderà fin sotto i ventotto gradi.

Parrà morto, ma per un po’ non lo sarà davvero.

Ma poi, poi se davvero nessuno verrà, allora lui inevitabilmente morirà.

Sorriso sardonico.

Forse sta avendo solo indietro quello che ha dato per tutta la vita.

Il prezzo da pagare per gli errori commessi.

Il prezzo col sangue.

E la vita.

Qualcuno lo troverà, forse, quando sarà troppo tardi, la salma verrà consegnata al villaggio, gli amici piangeranno, oppure rimarranno attoniti. I funerali saranno spartani, il villaggio riunito in una marea nera come l’ inchiostro, in un grave silenzio rotto da qualche singhiozzo solitario.

E poi, poi manciate di terra copriranno il legno della tomba, poi la luce sarà dimenticata, poi solo i vermi si ciberanno di quel corpo forse troppo congelato anche per loro.

E i merli veglieranno su quella tomba, con gli occhi lucenti e le penne arruffate, le zampe conficcate di una lapide troppo visitata in vita.

Ultimo sfregio a una vita di merda.

 I merli danzeranno, in circolo, assieme agli sparvieri.

Ma forse, forse, questa è solo una bizzarra fantasia.

Nessuno verrà.

Nessuno lo troverà.

Perché – nonostante qualche briciola alla Hansel e Gretel lui l’abbia lasciata-  questa landa bianca e desolata è tutta uguale e nessuno si saprebbe orientare.

Tra un paio di mesi.

Quando la neve si scioglierà un pochino, forse allora.

O forse mai.

Ma i merli, quando lui morirà, canteranno lo stesso.

Lui lo sa, ma non vuole ammetterlo.

Perché lui è una persona razionale e disillusa.

E- sotto la cupa disillusione- ancora spera.

Chiude gli occhi.

I merli non cantano.

Una voce rompe il silenzio.

I merli volano via, si alzano in cielo volando in circolo, aspettando l’ora fatale.

- Non sarebbe ora di lottare?-

Nessuno risponde, nessuno ascolta.

L’ uomo poggia la vanga al suolo, si asciuga la fronte imperlata di sudore e calda di un caldo malsano.

Guarda l’ opera compiuta.

È pronta, sussurra tra sé.

Le forze lo abbandonano, il corpo crolla al suolo.

I brividi lo avvolgono.

Fa male non avere nulla di vivo dentro.

Fa male essere freddi lì, lì vicino al cuore, senza poterci fare nulla, senza che nemmeno l’ alcool riscaldi.

La temperatura sale, sale vertiginosamente.

E il corpo richiede calore.

Tanto calore.

Ma nessuno verrà, nessuno lo salverà.

Non viene mai nessuno.

Ogni giorno scava un po’ di più.

Ma oggi ha finito.

Si contorce in spasmi involontari.

La temperatura salirà.

Come il freddo.

Un merlo si avvicina, nessuno lo ferma, nemmeno la voce di prima.

Affonda le zampe nella carne, il sangue rosso gocciola, affonda il becco nei tessuti molli.

L’ uomo geme.

Ma è tardi.

I merli si avvicinano.

E affondano i loro becchi gialli nella carne.

Si avvicinano e mangiano.

Il dolore viene in ondate.

Il freddo viene in ondate.

La febbre viene in ondate.

Troveranno solo un mucchio di ossa spolpate e sanguinolente.

Ma va bene così.

Almeno la febbre e il freddo cesseranno.

Per sempre?

No, solo per qualche istante.

Ma il canto dei merli, quello sì che cesserà per sempre.

I merli cantano.

 

Sta perdendo la percezione del corpo, la fine si avvicina.

Sta perdendo la percezione della stessa sua esistenza.

Con l’occhio vede tutto svanire, il battito rallentare, il cuore cessare quasi la sua frenetica attività. Tra poco tutto cesserà, un arresto cardiaco metterà la parola fine a questa agonia.

Ora, ora sarebbe il momento di quei pensieri ineluttabili  rivolti a cose non conquistate per mancanza di palle, a quelle occasioni  ancora da vivere e quelle situazioni lasciate a metà.

Ma la verità, per lui,è che non c’ è una singola situazione a metà, non c’è nessuna donna amata ad attenderlo a casa con una caraffa di the bollente e il buon brodo per tenerlo al caldo.

A casa ci sono gli amici, magari un’amica speciale.

Ma…

Semplicemente niente è abbastanza forte da vincere l’ apatia del freddo.

C’è quasi la voglia di lasciarsi andare alla morte, di riabbracciare gli amici perduti e dare un finale patetico ad una vita da lui ritenuta di fallimenti, uno più clamoroso dell’ altro.

Non c ‘è abbastanza forza per respirare, il corpo è divenuto quasi insensibile.

Razionalmente sa che questa transizione tra coscienza ed incoscienza sta durando non più di qualche manciata di secondi, ma sembrano… secoli di pura agonia.

Si potrebbe lottare.

Per cambiare.

No.

Non si può. Non c’è la forza.

Si vorrebbe urlare.

Ma non c’ nulla per cui farlo.

Tutto quello che si possiede non ha significato, ora.

Si è semplicemente troppo stanchi.

Stanchi di soffrire.

Stanchi di avere paura e di non dirlo mai a nessuno.

Stanchi di vivere nel passato, nei ricordi e nei rimorsi.

Stanchi di prendere calci nei denti dalla vita.

Stanchi persino di attaccarsi troppo a qualcuno.

Stanchi di perdere.

Eppure le lacrime salgono.

La vita vissuta, le sofferenze passate e superate in nome di uno stantio sperare che le cose si sistemassero non è servito a nulla. Un’intera esistenza di distruzione  sangue e morte non è stato che un nulla, un soffio nel vento, senza alcun significato.

Perché – tirando le somme- quello che rimane di ventotto anni di vita è questo.

Il nulla.

Non una conquista.

Tutto.

Ma nulla.

Una lacrima scivola dolcemente per quel volto ghiacciato, congelato, giù per il collo, tra la pelle ormai di una temperatura bassissima.

Quella lacrima è tutto ciò che resta.

Niente.

Tutto.

Gli occhi si chiudono per l’ ultima volta. Canteranno i merli, al funerale?

 

Il feretro viene calato.

Ondeggia, sulle punte, una bianca figura.

Si china, apre il coperchio, rivelando il volto intonso del corpo contenutovi.

Un mormorio attraversa la folla.

Una lacrima scivola dolcemente per il volto della figura, i capelli neri di questa sfiorano il volto del cadavere.

Una rosa nera viene poggiata sul cuore.

Le labbra della figura,una donna, un essere superiore, sfiorano quelle ghiacciate e spaccate del morto.

Due monete vengono poste sugli occhi.

Ma non per pagare un trapasso.

Le mani carezzano quel viso, si attardano per i capelli argentati e ancora rigidi dal freddo.

Una seconda lacrima scivola.

- Forse è ora di lottare.-

Non capisce?

E’ troppo tardi.

Non capisce?

Non c’è da lottare, è finita.

Un secondo bacio.

Le labbra si scaldano.

Ma forse siamo noi a non capire.

Forse…

Forse è tutto una realtà sfuocata.

Forse non esiste un vero.

Forse…

Siamo tutto e niente.

Ma cosa è il tutto?

Cosa il niente?

Un altro bacio.

Un’altra lacrima.

La bara si chiude.

I merli spariscono.

La folla svanisce.

La bara svanisce.

Resta solo lei, la Morte.

Resta la signora del freddo.

E il freddo.

Ma non il cadavere.

E la donna sorride.

 

Gli occhi si spalancano.

I merli non stanno cantando.

I merli… i merli non cantano.

E il freddo….

Il freddo…

Non c’è.

C’è un tepore soffice.

C’è il dolore.

Le mani paiono andare a fuoco.

Le palpebre sbattono.

Le corde vocali non emettono alcun suono.

Forse è per il tubo in gola.

Forse per l’ ossigeno caldo.

Forse è perché… forse perché qualcuno ha lottato al posto suo.

Forse perché l’ hanno salvato.

Alla fine.

Forse, allora, è davvero il protagonista di qualche sordido romanzo, qualche stupido racconto, qualche fantasia ingenua.

Ma è meglio così.

Gli occhi si chiudono.

Il caldo lo invade.

Non vuole sentire freddo mai più.

E mai più i merli.

Tutto e niente.

Chiude gli occhi, il sonno lo assale.

Deve trovare, deve trovare la forza.

E, le labbra si arcuano.

Una mano stringe la sua, bendata.

La sente a malapena.

Ma quella mano, una mano femminile, è riuscita a scacciare il freddo.

E quelle labbra la morte.

Era la vita, non l’ amore, che chiamava.

 

Morte e Vita.

Niente e tutto.

E la tragedia, la commedia, la pièce si chiude.

Le tende calano, nascondono il sipario, la folla applaude.

Ma questa recita deve avere fine.

Si cambieranno i personaggi, la sceneggiatura.

Ma rimarrà, sempre, la commedia del niente e del tutto.

Perché niente è chiaro e nulla è sicuro.

Tutto è dubbio sino all’ ultima parola del copione vergato col sangue della fantasia.

Tutto è niente e niente è tutto.

Morto, vivo, freddo, caldo, Morte e Vita fanno un inchino, sorridono e salutano.

Sono solo facce della stessa medaglia.

Ma- intanto-si fondono nelle emozioni del pubblico.

Quelle danno un senso a tutto.

Chiudono gli occhi.

Svaniscono come polvere portata via dal vento.

Prodotto della fantasia.

Del morto.

No.

Del vivo.

Vivo rimane, da solo sullo stage, prende quegli applausi che solo a lui sono riservati mentre gli

altri protagonisti si nascondono, divengono cenere e ricordi.

 

Cenere e ricordi.

Nulla di più.

Life is but a walking shadow,

A poor player that struts and frets

His hours upon the stage and then

He is heard no more,

 It is tale told by an idiot

 Full of sound and fury

Signifying nothing.

n             j  uu

Grazie mille alla giudicessa per tutto. soprattutto x i Banner =D
Il secondo è il più bello =P

  
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