I candidi fiocchi di neve si posavano sul marciapiede,
subito calpestati da gente frettolosa o da bambini che saltellavano su quel
manto bianco, sul viso un grande sorriso.
A me piaceva guardare tutta la scena dal finestrino
dell’autobus, protetta dalla porta chiusa che non faceva entrare il freddo.
Poi quella porta si aprì. Fu allora che entrò.
Non lo riconobbi subito. Aveva il cappuccio calato sugli
occhi, ma riuscivano ad uscire dei ciuffi ribelli.
Poi parlò.
–Ciao, Trica.
Sorrisi. Solo una persona mi avrebbe chiamata così.
-Ciao, Matty.- lo salutai.
Si tolse il cappuccio. I capelli scuri gli accarezzavano
dolcemente il volto. La bocca era curvata a formare un sorriso. Gli occhi
scintillavano come luci. Mi arrivava il suo inconfondibile profumo, che aveva
fatto impazzire moltissime ragazze, me compresa.
-Dove stai andando di bello?- mi chiese.
-Vado a lezione di pianoforte, anche se con questo tempo
sarei volentieri rimasta a casa a bermi una cioccolata calda.- Scherzai.
Sorrise. –Beh, ti capisco. Invece io sto tornando da un
allenamento di calcio. Non ti dico che freddo in pantaloncini corti!
Risi. –Poveretto! Ma comunque come stai? È da parecchio
che non ci vediamo.
-Tu forse non mi vedrai, ma io ti vedo tutti i giorni
quando scendi dal vaporetto con il tuo amichetto... come si chiama... Mirko,
giusto?
Arrossii sentendo quel nome. – E’ perché abitiamo vicini,
niente di che.
Mirko... Ripensai all’ultima volta che lo vidi, poche ore
prima. Era davanti al cancello di casa sua. Un cappello scuro gli copriva i
riccioli rossi. Continuava a sfregare le mani tra di loro per il freddo. La
giacca era ricoperta di fiocchi bianchi, residui della battaglia di neve appena
conclusa contro un nostro amico. Gli occhi... Beh gli occhi erano la parte di
lui più bella da guardare. Secondo me erano quasi dorati, ed esposti al sole
diventavano di un verde intenso. Molte volte mi prendeva in giro affermando che
gli stavo attribuendo degli occhi policromi. In quel momento mi disse che era
freddo e voleva tornare in camera sua. Annuii e, come facevamo ormai da tanto
tempo, lo abbracciai. Mi circondò con le braccia e per quell’attimo mi sentii
riscaldata. Mi piaceva stare con lui.
-Ehi, ma non devi scendere qui?
Mattia mi riportò alla realtà. Non mi ero neanche accorta
che l’autobus era partito che già dovevo scendere. Mi isolo troppo quando penso
a qualcosa.
-Ah, sì, scusa, non mi ero accorta che era la mia
fermata, grazie.
Presi la mia borsa, gli diedi un veloce bacio sulla
guancia e scesi, ripromettendomi di stare più attenta la prossima volta che
avessi avuto la testa tra le nuvole.