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Autore: Leuviah_Utopia    20/12/2010    2 recensioni
Questa One-shot è ispirata dal quinto libro "Il Ritorno" della saga.
Damon va alla pensione della signora Flowers, in cui alloggiano Stefan ed Elena. Damon rivuole il suo "giubbotto di pelle". Sappiamo già cosa farà prima di riaverlo tra le mani.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Damon Salvatore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bene. Questa storia è stata ispirata da un momento di chiusura in me stessa all'incirca due giorni fa, ma l'ho scritta soltanto oggi. Ho riflettuto molto sul carattere di Damon, come penso abbiamo già fatto tutte. Credo ci sia moltissimo da dire sul nostro AMATO e odiato Damon. Ecco, io ho voluto far affiorare in modo più accurato quella parte di lui che ha bisogno di sentirsi umana. Damon vede nel mondo dei mortali una sorta di antico antagonismo da cui è sempre tenuto a difendersi. In passato suo padre lo ha sempre paragonato a suo fratello minore, dicendogli che Stefan era meglio di lui. E questo perchè? Per il semplice fatto che Damon amava la bella vita (che continua ad amare).
Per lui Elena rappresenta quella parte umana che da tempo lui ha conservato in qualche parte. Chiusa, priva di luce, in se stesso.
Damon vuole essere felice. E' tutto ciò che desidera. Riuscirà a raggiungere il suo scopo, finalmente?


Parcheggio la mia Ferrari accanto la Porsche di Stefan, di fronte alla pensione. Resto in macchina per pochi secondi. Sento qualcosa fremere dentro di me, qualcosa mai provata prima. Mi guardo allo specchietto retrovisore. I nuovi Ray-Ban che ho “acquistato”(o meglio, indotto a farmi regalare da quella giovane ragazza, molto graziosa, in quel negozio di occhiali) mi stanno benissimo. Bello come sempre, con gli occhiali che mi danno quel tocco giusto di maliziosità.
Scendo dalla macchina e mi appoggio accanto la Ferrari, mentre studio la fatiscente facciata della pensione.
Davvero orribile. Neanche un minimo di buon gusto. Da qualunque parte la si guardi, non fa molta differenza.
Stefan è appena sceso.Mi guarda con la sua solita aria da sono-meglio-di-te-perché-non-bevo-sangue-umano.
Mostro al mio “caro” fratellino i miei nuovi acquisti. Con una mano tocco la cintura di pelle, con l’altra la tasca con dentro la telecamera. Infine sollevo i miei nuovi Ray-Ban.
Discutiamo per il “banalissimo” fatto che non ho pagato. Stefan comincia a fare la sua solita ramanzina da moralista senza un briciolo di amor proprio.
Stressante.
Comincio ad irritarmi ma, prima di passare all’attacco, godo del momento in cui lui sa che io non do la ben che minima importanza alle sue stupide lamentele. «Allora, dove è finita la tua educazione? È da tanto tempo che non mi vedi e non mi saluti nemmeno con un “Ciao Damon” o “Come stai, Damon?”. No, preferisci subito assaltarmi con le tue infamanti accuse». Faccio un’espressione teatralmente offesa, che si interrompe subito dalla mia stessa risata isterica.
La faccia di mio fratello è così stupita e confusa che non riesco a far a meno di fermarmi.
Stupido del mio fratellino...
Ricominciamo a discutere. Gli racconto della scorpacciata di sangue fresco che mi sono appena fatto. Stefan ne sembra disgustato.
È ridicolo. Non riesce ancora a comprendere che questa è la nostra natura.
Mi insulta in modo sottinteso, ma lascio correre…almeno per il momento. «Cosa sei venuto a fare?», mi domanda Stefan.
«Sono venuto a riprendermi il mio giubbotto di pelle», gli rispondo in modo distaccato.
«Perché non rubarne semplicemente un al…?». Stefan si interrompe, ritrovandosi d’un tratto a volare a all’indietro e a sbattere contro le assi cigolanti della facciata della pensione, con me quasi addosso.
«Non ho rubato queste cose, ragazzo. Le ho pagate…con la mia moneta. Sogni, fantasie e piaceri che non sono di questo mondo». Il mio unico scopo è quello di far infuriare Stefan ancora di più…e ci riesco.
Cominciamo a batterci tra di noi. Sento l’aurea di Stefan. È così arrabbiato da perdere la ragione. Cerca di colpirmi, ma non ci riesce. «Io sono Damon. Prendo e basta. Prendo quello che voglio e non do nulla in cambio».
Sento Stefan che mi lancia un impulso di Potere, ma io controbatto infliggendogli un dolore terribile, capace di mandare il suo corpo in fiamme. Lo mordo nella carotide e lo dissanguo. Lo tengo per i capelli, per fargli ancora più male.
Farsi succhiare il sangue, contro la propria volontà, da un altro vampiro è una tortura.
Vedo i suoi occhi riempirsi di lacrime. Il dolore lo sta quasi sfinendo.
Voglio umiliarlo. Voglio farlo sentire come un insignificante essere umano. Voglio che si senta un pezzo di carne.
Lo lascio andare e lo spingo, quasi facendogli perdere l’equilibrio. Stefan cade, ma si gira sulla schiena guardandomi. Non riesco a trattenermi. Sento un Potere così forte crescere dentro di me e gli salto, nuovamente addosso. «Ed ora», gli dico freddamente, «andrai di sopra e mi porterai il mio giubbotto».
Mi godo fino all’ultimo istante questa scena. Vedo il mio fratellino con gli abiti sudici di erba e fango. Continuo a fissarlo compiaciuto. Mi lecco le gengive ed i denti. Sento il sangue di Stefan scorrere ancora dentro me.
Stefan sta per rientrare alla pensione, per prendere il mio giubbotto di pelle, quando sento uno sguardo penetrante posarsi su di me. Alzo lo sguardo e lo shock prende il posto del compiacimento.
Elena…
Lei è lì. Mi sta guardando con occhi colmi di delusione e amarezza. Dal suo volto riesco a cogliere ogni singola emozione che sta provando in questo momento. Lo sento. La sento.
Mi sento del tutto paralizzato. Quegli occhi che mi hanno fatto tanto sognare, così simili ad un cielo notturno colmo di stelle. Così identico all’unica cosa che mi permette di vedere ancora il sole: i lapislazzuli.
La guardo e lei mi guarda. I nostri occhi non riescono a separarsi. I miei occhi hanno bisogno di incontrare i suoi. Però i suoi no. I suoi occhi sono celati da un velo di tristezza e disincanto.
Le ho fatto del male. Non direttamente, perché non avrei mai potuto o voluto farlo, ma facendo del male a Stefan, ho anche fatto del male a lei…
Questo pensiero mi logora. Sento il mio corpo esplodere. La mia rabbia accresce feroce, come la prima scintilla di una fiamma in escandescenza.
Un gesto riesce a rompere quelle catene invisibili che legano i miei occhi ai suoi. Elena fa roteare il giubbotto in aria e lo lancia in modo che atterri direttamente ai miei piedi.
Mi sento impallidire. Raccolgo il giubbotto, ma i miei occhi ritornano fissi su quelli di lei. Risalgo in macchina.
«Addio, Damon. Non posso dire che sia stato un piacere…». Stefan mi guarda con aria di rassegnazione. Senza una parola, come un ragazzino cattivo che è stato appena frustato, metto in moto.
«Lasciatemi in pace», dico impassibile, a voce bassa.
Vado via, lasciando dietro di me una via di polvere e ghiaia.
Voglio lasciarmi tutto alle spalle. Devo lasciarmi tutto alle spalle.
Comincio a guidare senza una meta. Sorrido sadicamente. Non sono affatto pentito di quello che ho fatto al mio caro fratellino Santo Stefan.
Lui non la merita.
Per quanto non voglia pensarci, la mia mente è invasa dai continui ricordi dell’unica persona a cui tengo veramente, l’unica che mi fa ancora sopportare questo mondo così colmo di feccia umana.
Mi sento turbato da un inesplicabile disagio interiore. È lei l’unico motivo del continuo tormento della mia anima. Starle così vicino alla pensione e non aver avuto il coraggio di andare da lei, per paura di quello che avrei potuto fare.
Oh, che diavolo, quello che avrei già dovuto fare.
Mi sento frustrato fino a un punto che non avrei minimamente creduto possibile. Un desiderio mai provato prima riaccende quell’orgoglio che ho messo da parte dopo aver riacceso il motore della mia Ferrari.
Avrei dovuto schiacciare la faccia del mio fratellino nel fango, torcergli il collo, salire su per le scale e prendermi Elena, che lo volesse o meno.
Non l’ho mai fatto prima perché non avrei mai voluto vederla urlare o soffrire in qualche modo. Avrei dovuto sollevare quel suo candido viso, poggiando la mia mano sul suo mento e, portandolo all’in su, affondare le zanne nella sua graziosa e perfetta gola, capace di far sognare ogni vampiro “vivente” nel pianeta.
Vorrei ancora sognare ad occhi aperti, ma il pensiero dei singhiozzi di Elena mi affligge l’anima.
Disperato. Mi sento estremamente, completamente disperato.
Riesco, ancora, a vedere quegli occhi così colmi di terrore misto a preoccupazione per Stefan. Già, per Stefan, ma non per me…
Sono un illuso se credo ancora che Elena possa amarmi più di quanto ami Stefan.
Forse…è davvero lui a meritarla in realtà.
Ma che diavolo sto pensando?! Lui non la merita affatto. Non si nutre nemmeno di sangue umano e non potrebbe mai proteggerla da un vampiro assetato di sangue come me.
Elena non soffrirebbe più se solo scegliesse me. La trasformerei nella mia principessa delle tenebre, come avevo già provato a fare una volta. Mi apparterrebbe totalmente anche se…dovrei rinunciare al suo sangue. Ma, dopotutto, non è che ne stia ricevendo in abbondanza, anzi neanche una goccia, giusto?
Riesco ad immaginarla nella sua forma vampiresca. La sua perfezione supera il limite di un normale essere umano e il solo pensiero di averla al mio fianco, vampira, mi  renderebbe l’essere dannato più soddisfatto di questo sudicio mondo…forse…mi renderebbe anche felice.
La vedo. Un’aurea angelica capace di illuminare le ombre delle mie tenebre. Un morbido candore tra le mie forti braccia ammantate di nero.
Forse sto impazzendo.
Che ricordo, in tutta la mia intera esistenza, non sono mai impazzito e questo pensiero, a dire il vero, mi affascina.
Ho voglia di una bella rissa.
Voglio sfogare la mia frustrazione su qualcosa.
La vita è bella in fondo. E la non-vita…è ancora meglio.
Non voglio restare qui a deprimermi solo perché non posso avere Elena ora. Adesso devo divertirmi ed entro poco tempo tornerò da quel rammollito di mio fratello minore e me la prenderò.




   
 
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