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Autore: Leyla    22/12/2010    1 recensioni
Sera, un molo solitario... e uno strano incontro. Che può portare ad insolite riflessioni. Perché bisogna proprio dirlo, certe volte le stelle decidono di guardare in basso, verso di noi.
È un breve racconto che ho scritto per un concorso, pensando ai problemi che la libertà, il sentimento e la ragione ci creano. Un parere fa sempre piacere :)
Genere: Introspettivo, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stars Look Down

Stars Look Down

 

Il mistero delle stelle… qualcosa che ha sempre affascinato l’uomo. Chi può dire cosa si cela veramente dietro quei minuscoli punti luminosi, che sembrano dipinti sulla volta del nulla? Sono le anime di chi non è più su questa terra? O “buchi nel cielo da cui filtra la luce dell’infinito”? O ancora semplici sfere di gas e fuoco, che ardono a milioni di chilometri di distanza, totalmente indifferenti ad un pianeta blu sperso tra le galassie? Forse la loro importanza non è in cosa effettivamente sono. Forse ci affascinano perché invidiamo la loro posizione, dove nulla le tocca, eppure in qualche modo privilegiata: chissà che spettacolo offriamo lassù, come tante formiche affaccendate a cogliere il più possibile della loro vita effimera prima che un soffio di vento le spazzi via.

O forse ciò che davvero importa è che, quando alziamo gli occhi al cielo e fissiamo cose tanto più grandi di noi, al momento di rivolgerli di nuovo in basso realizziamo che la nostra esistenza non è che un punto nell’infinito asse del tempo. Questo ridimensiona di parecchio le nostre pretese di grandezza. Forse è proprio in questo che le stelle ci aiutano davvero.

Riflettevo su simili argomenti mentre mi dedicavo a compiti molto più prosaici, come portare a spasso il mio cane in una torrida sera d’estate. I voli di fantasia sono d’obbligo, se il tuo compagno non ti può rispondere e preferisce applicarsi alla ricerca di alberi da marcare.

Dopo che fui stata trascinata in giro come un burattino, decisi d’imporre la mia volontà di padrona e mi fermai sul molo per riprendere fiato, con la scusa di ammirare il panorama. Legai il cane ad un palo e mi sedetti su una panchina, osservando la luna specchiarsi tremolante nelle acque del porto.

Il posto era deserto; il cielo e il mare si fondevano in un’unica, grande tenebra che spadroneggiava sul resto del mondo visibile. In certe condizioni è inevitabile che l’essere umano si senta smarrito e tenda a porsi interrogativi di fatto insolubili, ed io non facevo eccezione. Invidiai quello stordito del mio cane, che seguitava ad avvolgersi allegramente intorno al palo: l’immagine di chi è senza un pensiero al mondo.

Io invece ci affondavo come nelle sabbie mobili, nei miei pensieri, e uscirne era difficile.

«Scusa.» Una voce riecheggiò per la banchina solitaria, facendomi sussultare. «Mi potresti aiutare?»

Mi voltai di scatto, e vidi un ragazzo di circa la mia età a pochi metri da me. O era apparso dal nulla, o mi stavo avvicinando all’essere pericolosamente troppo distratta.

Era insolito vedere qualcuno in giro a quell’ora, tanto più che il ragazzo sembrava assolutamente fuori da ogni contesto. Era vestito con un’accozzaglia di abiti che sembravano raccattati in giro: jeans consumati, infradito, una maglietta di tre taglie più grande che doveva essere stata l’uniforme di un fast food, e sopra un giaccone pieno di tasche assurdamente caldo, di quelli che indossano i senzatetto agli angoli delle strade.

Eppure il ragazzo non sembrava affatto un vagabondo. Aveva i capelli corti e in ordine, la pelle tersa e in generale l’atteggiamento di chi si trova a suo agio ovunque, vuoi perché è capace di stupirsi di tutto, vuoi perché le ha già viste tutte e nulla lo sorprende. Era quella la caratteristica più bizzarra che saltava agli occhi, perfino più dell’eccentrico abbigliamento: uno sguardo totalmente fuori posto in un viso così giovane.

Registrai tutto ciò nell’attimo in cui lo avevo scrutato mio malgrado. Eppure, ero rimasta così spiazzata che, anziché fissarlo sbalordita o chiedergli chi diavolo fosse, mi ritrovai a rispondere: «Certo, dimmi pure.»

«Ho bisogno di una risposta.» Pur nella brevità della frase, colsi una certa cadenza nel suo modo di parlare, non proprio un accento, ma una cantilena meccanica: un’altra stranezza da aggiungere alla lista.

Forse era straniero e si era perso. Dopotutto la città in cui vivo ospita parecchi turisti, specialmente d’estate, attratti dal mare e dalla tranquillità della zona. Probabilmente intendeva dire che aveva bisogno di indicazioni.

«Sicuro» replicai. «Dove devi andare? Non sai come tornare al tuo albergo?»

«Non è quello» disse. «Vorrei comprendere delle cose, ma non so a chi chiedere.»

«Capisco» feci, perplessa, intendendo naturalmente il contrario. «Sei straniero?»

Esitò un millesimo di secondo, poi rispose: «Sì.» Si guardò intorno; poi indicò la panchina. «Posso sedermi?»

C’erano tutte le premesse per una gran brutta faccenda.

Dovette capire dalla mia espressione ciò che pensavo, perché mi guardò per un attimo e disse: «Diffidenza.» Lo disse come un’equazione particolarmente difficile da risolvere.

«Niente di personale» spiegai, «ma in genere non do confidenza agli sconosciuti.» Specialmente a quelli che sembravano appena fuggiti da un esperimento di laboratorio.

«Ecco». S’illuminò in viso, come se avesse intuito la strada per la soluzione. «È proprio per questo che vorrei sapere delle cose. Vorrei capire come funzionano i vostri pensieri, il vostro modo di fare. È tutto così strano.»

Era ancora più strano detto da uno come lui, ma mi sforzai di dare un senso alla conversazione. «Perciò, sei di un altro Paese e vorresti capire le abitudini di questo, è così?»

«Diciamo di sì. Mi puoi aiutare?» ripeté, e sorrise, come se non dubitasse del contrario.

Sospirai, un po’ seccata. «Sarà una cosa lunga?»

«In verità, sì.» Si sedette, compiaciuto, forse, di aver trovato qualcuno che gli desse retta.

Ero ancora parecchio diffidente, ma decisi di concedergli il beneficio del dubbio. In fondo m’incuriosiva; e il desiderio di sapere l’aveva vinta sul resto.

«Spara.» Di fronte al suo sguardo vacuo, mi corressi: «Chiedi pure.»

Dopo un attimo di esitazione, domandò: «Che cosa vi guida di più, i sentimenti o la ragione?»

Rimasi in silenzio. Poi dissi: «Stiamo parlando di filosofia o di semplice curiosità da turista?»

«Non possono coincidere?» replicò, creando uno strano contrasto tra il tono serio e il sorriso sul suo volto. L’oscurità m’impediva di distinguerne bene i tratti, ma i suoi occhi risaltavano chiari nella penombra, luminosi e… alieni. Ebbi un brivido, che nulla aveva a che fare con la temperatura calda dell’aria e tutto con il gelo improvviso che percepii.

«Se te lo dico» cominciai, lentamente, «poi tu risponderai ad una mia domanda?»

Esitò, ma anche per lui il desiderio di conoscenza fu più forte. «D’accordo.»

Lo fissai per un attimo, mentre riordinavo i pensieri. Non sapevo cosa dire; non sapevo nemmeno perché ero rimasta a prestargli attenzione anziché andarmene, come sarebbe stato saggio fare. Mi aveva rivolto la più razionale delle domande proprio in un momento in cui ero in balia dell’irrazionalità. Assecondando l’impulso del momento, mi sforzai docilmente di rispondere.

«Non c’è una risposta assoluta, credo» esordii pensosa. «È un comportamento piuttosto contraddittorio. In situazioni che riguardano la collettività, è d’obbligo seguire la ragione e le regole che essa impone alla società. Ma quando si tratta di paure o di desideri… Allora la ragione non sussiste più. Trova l’uomo più razionale del mondo e ti confesserà che anche lui è preda delle sue emozioni. Quando si tratta di noi come individui, è il sentimento che conta, nel bene e nel male.» Feci una pausa, un po’ confusa dal mio stesso discorso. «Almeno, è ciò che penso io.»

Annuì, riflettendo. «Grazie. Contraddittorio… ecco la parola che cercavo.»

Gli ricordai che mi doveva una risposta, e lui assentì, un po’ riluttante. Mi schiarii la voce, incredula da ciò che stavo per chiedere. «Tu… ehm… sei umano?»

Strinse le labbra, come per trattenere un sorriso, e sulle prime pensai che mi credesse matta. Non gli davo tutti i torti. Ma poi sospirò, e rispose: «Sì e no»

«Cristallino» ribattei, nascondendo l’inquietudine sotto la stizza.

«Vengo da un altro pianeta.» Mentre lo diceva, sembrava perfettamente naturale; mi sforzai di non guardarmi intorno alla ricerca di telecamere. «Sono una specie di… ricercatore, direste voi. La Terra è una scoperta recente, e servono esploratori per comprendere come funziona il vostro mondo. In questo momento, tu mi percepisci come uguale a te perché è l’immagine che voglio che tu veda. Diciamo che la nostra comunicazione è più mentale che sensoriale.»

«Ah, sicuro» commentai. «E dovrei crederci?»

Ci rimase male; mi guardò in silenzio, confuso, e di nuovo notai quel bagliore ultraterreno nei suoi occhi: un anello di fiamme argentee nell’iride.

Mi umettai le labbra. Non trovai niente di più intelligente da dire che: «Oh.»

Si strinse nelle spalle, come a dire: che ci vuoi fare, è la vita.

«Okay.» Scossi la testa, cercando di soffocare lo scetticismo. «D’accordo. E perché me l’hai detto? Perché proprio io?»

Ridacchiò. «È un classico della fantascienza, no? Non ti crederebbe nessuno. Almeno questo, l’ho imparato, sugli umani. Non fate altro che creare opere di fantasia, a patto che rimangano tali: se qualcuno prova a tradurle in realtà, perde ogni credibilità.» Poi tornò serio. «E poi, mi hai dato retta. Spesso voi umani vi fermate alle apparenze, e la razionalità in questo non c’entra niente. È… contraddittorio, come mi hai detto prima. Tu invece mi sei sembrata… gentile. Nella mia lingua, c’è una parola per dirlo, qualcosa che ha a che fare con il calore.» Alzò di nuovo le spalle, e questa volta poteva significare: tutto qui.

«Ah. Be’, grazie» replicai, incerta. «Perciò, da dove vieni?»

Indicò la luna. «Seconda stella a destra, e poi dritto fino al mattino.» E rise di gusto.

«Non dirmi che Peter Pan è arrivato fin da voi!»

«Se devo capire gli umani, devo fare le stesse cose che fanno, compreso andare al cinema.»

«Se proprio dovevi vedere un film, potevi sceglierne uno più adatto per la comprensione della razza umana.»

«Anzi» obiettò, «mette in luce molto bene le vostre contraddizioni. Il desiderio di rimanere sempre bambini… Ciò che desiderate non è mai ciò che dite ad alta voce.»

«Be’, grazie per la chiacchierata, ma io in questo momento desidero solo andare a dormire.»

«Falso» mi rimbeccò. «Vuoi rimanere qui seduta a parlare con me, perché sei divorata dalla curiosità.»

«Hai vinto un viaggio di sola andata per il tuo pianeta. Buon rientro.» Feci per alzarmi, infastidita dalla sua arroganza.

«Ecco, è esattamente quello che intendevo» considerò. «Vorrei capire perché.»

«Perché siamo contraddittori e irrazionali, perché ci facciamo sopraffare dai sentimenti? Non so dirtelo. Chiedilo al Creatore, se c’è. È la nostra natura. Forse non sappiamo controllare le nostre emozioni, ma è questo che ci differenzia dalle macchine. E la tua specie, si può sapere come fa?» Ero rimasta mio malgrado seduta durante la mia breve arringa, e forse, dico forse, aveva ragione sul mio conto. Questo non bastava a scalfire la mia irritazione, ovviamente; anzi.

Si stiracchiò, le braccia dietro la testa, in un gesto molto umano. «Be’, noi non proviamo emozioni così violente. La tua scenata di adesso sarebbe impensabile, a casa mia; là non avviene nulla che non sia gestito dal pensiero logico.»

«Che mondo… freddo» commentai, sconcertata.

«Non capisco cosa vuoi dire» affermò, e sospirò, con nostalgia. «Sono qui da neanche un mese e ho già visto abbastanza orrori da desiderare quasi di non essere venuto. Come fate a sopportarlo? Tutte le guerre, gli omicidi, la violenza…» Rabbrividì. «Sul mio pianeta, nessuno lo permetterebbe.»

«Credo sia la conseguenza del libero arbitrio.» Feci un mezzo sorriso. «Se non ci fosse il male, il bene non avrebbe significato, e viceversa. Ma questo non significa che sia sopportabile o logico: vuole dire solo che abbiamo la facoltà di decidere da che parte stare, con le conseguenze che implica. Non sono sicura che sia meglio un mondo come il tuo, dopotutto: penso che la libertà sia meglio di qualsiasi benessere imposto.»

«Ti piace proprio, il tuo mondo incoerente» giudicò, meravigliato. «Qual è la cosa più bella, secondo te?»

«Proprio i sentimenti. Il bene di cui sono capaci alcune persone. L’amore, la gioia: sono queste le cose per cui vale la pena vivere. So che il mio mondo è incoerente, a volte, ma i suoi aspetti migliori non sono da sottovalutare. Non c’è niente che ti piaccia, della Terra?»

«Oh, certo» rispose, un po’ sorpreso. «È tutto così intenso. È una piacevole novità: voi umani provate una gamma di emozioni molto più ampia della mia specie. Diciamo che non ci si annoia mai. E poi la varietà del vostro pianeta… da me è tutto molto più uniforme. Però lo trovo più… turistico. Non credo che vorrei mai viverci: prima dovrei convincermi che i pro superino i contro. E la cosa peggiore, qual è?»

«Credo… i sentimenti» dissi, e risi. «Sì, non è affatto logico, lo so. Ma guarda l’odio, o peggio ancora, l’indifferenza. I danni che possono provocare il cinismo e l’apatia sono più di quelli che potresti immaginare. Mi piacerebbe che fosse tutto rose e fiori, come in un dépliant turistico.»

«Pare che dovrò raccomandare cautela, quando tornerò» osservò lui. «Bisognerà organizzarlo con prudenza, il turismo verso la Terra.»

«Credi che ne varrà la pena?»

«È necessario che approfondisca le mie conoscenze, prima di stabilirlo. Ti andrebbe di aiutarmi?» Di nuovo sorrise, come se fosse sicuro della risposta.

Mi venne il dubbio che la “comunicazione mentale” non fosse a senso unico.

«Non ci posso fare niente» sghignazzò.

«Onesto, da parte tua» notai, sarcastica. «Va bene, ma solo perché è estate e non ho niente da fare.»

Mi aspettavo che mi contraddicesse, ma, saggiamente, evitò. Cominciava ad imparare. «Grazie per la conversazione» disse invece. «È stato bello vedere le cose da una prospettiva interna.»

«Anche un punto di vista dall’esterno è stato una piacevole novità. Non capitano molti alieni, da queste parti.»

«Oh, invece ti stupiresti di scoprire quanti ce ne sono in giro, e non solo della mia specie» ribatté.

Ci alzammo entrambi, e mi domandai come avrebbe fatto a trovarmi di nuovo. Prima che potessi chiederglielo, però, quell’inopportuno del mio cane si mise ad abbaiare, stanco della mia mancanza di attenzioni nei suoi confronti. Dovetti chinarmi a dargli qualche pacca sulla testa, sussurrando «Sssh, brutto bestione», perché finalmente si acquietasse.

Mi girai, dicendo: «Allora, quando…» ma mi bloccai immediatamente.

Il molo era deserto: solo una lieve brezza lambiva la superficie dell’acqua e faceva frusciare le chiome dei pini sulla collina al di là della baia. Mi guardai intorno, sbigottita, ma nulla si muoveva alla flebile luce dei lampioni sul lungomare. Mi ero forse immaginata tutto? Mi ero addormentata, su quella panchina, e quel dialogo ai confini della realtà non era che il risultato di un sogno?

No, bisbigliò una voce in fondo alla mia mente, ma si perse con il sussurro del vento.

   
 
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