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Autore: Morea    23/12/2010    10 recensioni
"Ero convinto che un amico dovesse profumare di naftalina, che dovesse avere un'imperfezione in alto a destra, che dovesse essere alto quanto me".
E' facile trarre le conclusioni sbagliate, quando si desidera qualcosa con ogni fibra del proprio essere. E Remus Lupin lo sa.
Lo sa fin troppo bene.
Storia vincitrice del contest "Old fashion and... seasons!" indetto da Emily Alexandre, con un punteggio di 100/100.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Remus Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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The Cold Mirror




Remus Lupin,
Inverno,
Specchio.













Mi avevano sempre detto che lo Specchio sarebbe stato il mio più grande amico.
Avevo consumato la mia infanzia, in piedi di fronte all'anta aperta dell'armadio: avevo imparato a voler bene a quel semplice, misero riflesso, l'unico che non mi avrebbe mai tradito.
Sapevo che non avrei mai trovato nessuno al di fuori di quel pezzo di vetro in grado di capirmi e rispettarmi: ero certo che nessuno mai mi avrebbe voluto bene, né quel padre che mi aveva abbandonato, né quella madre che provava ad amarmi ma in seno mi temeva, piangendo quando credeva che non la sentissi, nemmeno Remus, quello stesso Remus che si specchiava e veniva riflesso, quello stesso Remus che mi odiava – si odiava – da ormai troppo tempo.
Amavo quello Specchio ed avevo imparato a conoscerlo: profumava di naftalina, perché badava ai miei abiti, era screziato in un angolo – ero stato io, durante il plenilunio di aprile -, era alto come me, ogni anno di più, perché l'avevano stregato per seguirmi nella crescita, sempre.
Non impiegai troppo tempo a trarre conclusioni sbagliate dalla vicinanza con quell'oggetto: ero convinto che un amico dovesse profumare di naftalina, che dovesse avere un'imperfezione in alto a destra, che dovesse essere alto quando me.
Durante il mio primo anno a Hogwarts – tre pleniluni sotto il Platano e tre mesi di solitudine – cominciai a nutrire qualche dubbio.
Per prima cosa, seppi che un amico profumava di neve.

Era Inverno quando conobbi James Potter.
Hogwarts era completamente bianca, ricoperta da una coltre di soffice neve che - già lo sapevo - avrei deturpato con le mie orme sconnesse. Entro una settimana sarei stato di nuovo maledetto, entro una settimana avrei dimenticato di essere un uomo, entro una settimana mi sarei ricordato dell'importanza di restare solo.
Ma mancavano ancora sette giorni.
E quello era solamente il primo di una sequela di attimi inesorabili.
- Sei uno stupido!
Fu l'ultima cosa che sentii, prima di ritrovarmi con un sopracciglio spaccato ed una sfera di neve mista a ghiaccio caduta al mio fianco.
Inalai il sapore ferroso del mio sangue, mentre altro rosso si mischiava a quello che mi sgorgava dal viso: i capelli di una ragazzina del primo anno mi oscillavano di fronte agli occhi, frenetici ed arrabbiati quasi quanto lei.
- Potter, mi hai sentito o no? Sei un idiota!
Un altro bambino del mio anno mi si avvicinò caracollando, con le mani in tasca.
- E' colpa tua, Evans, sei tu che ti sei spostata!
- Dovevo forse prendermi questo blocco di ghiaccio in faccia?
- Visto? Neanche tu ti saresti sacrificata, quindi non fare la predica a me.
- Ehm, scusate... - chiesi alla fine, timidamente.
- Oh, giusto! - esclamò la bambina, alzandosi di scatto. - Andiamo in Infermeria!
- Lascialo a me, Evans – si intromise l'altro bambino, pavoneggiandosi e prendendomi per un braccio. - Sarò onorato di accompagnarlo al sicuro.
Era completamente fradicio: aveva spruzzate di neve sul berretto, sull'uniforme e sulla sciarpa, per non parlare delle scarpe leggere che indossava, chissà per quale motivo.
- Fai attenzione, Potter – cedette lei, lasciandomi ed allontanandosi. - Ciao...
- …Remus.
- Ciao Remus – ripeté lei, andandosene.
- Sei Lupin? - mi domandò l'altro, dopo qualche passo.
Annuii in silenzio, mentre qualche altra goccia di sangue seguiva il profilo del mio naso, prima di cadere a terra. Ma ormai non sentivo più il suo odore. Ero catturato da un'altra percezione: una fragranza fresca, quasi dolciastra ma comunque pungente, per il mio olfatto sviluppato.
Lo sentivo parlare, ma non lo ascoltavo: non ho mai avuto il coraggio di confessargli di non aver udito una sola parola di quelle che mi disse quel giorno.
Quando mi lasciò nelle mani di Madama Chips, mi congedai puntandogli la bacchetta addosso. Mi guardò stralunato, guardingo, sospettoso, dopodiché sorrise.
Con il fascio d'aria calda fuoriuscito dalla punta del mio bastoncino, sparirono le macchie umide sui suoi vestiti, i suoi capelli tornarono asciutti e si dissolse quell'odore pungente che avevo sentito solamente addosso a lui.
Non c'era più neve su James.
La neve era in me.

Punto secondo, scoprii che, in fondo, bisognava crescere da soli.
James mi presentò Sirius Black il giorno successivo all'incidente.
Mi stupì il fatto che fosse alto quanto me, fino all'ultimo centimetro: eravamo simili anche di corporatura, come se fossimo stati plasmati allo stesso modo.
Al contrario di me, però, emanava già un'aura particolare, misteriosa e colma di fascino.
Nei suoi occhi sembrava vivere un contrasto infinito con chissà quale sfumatura della propria anima: appena lo guardai seppi immediatamente che non avrei mai conosciuto il vero Sirius, ma solo qualcuna delle maschere che avrebbe indossato quotidianamente, abile manipolatore e succube servitore della finzione scenica della propria vita.
- Lupin – mormorò piano. - Bizzarro.
Pareva quasi che la Sorte che mi aveva battezzato si fosse divertita a fare ironia sul mio destino, e me ne accorsi solo quando le labbra di Sirius sillabarono il mio nome con quella calma ponderata e quello sguardo di sotto in su.
Non poteva aver intuito niente, di questo ne ero sicuro, ma ero più o meno convinto che fosse riuscito a scavare nella mia psiche più di chiunque altro, anche se in un misero battito di ciglia.
- Black – replicai. - Bizzarro.
Rise, emettendo un suono terribilmente simile al latrato di un cane.
Crescemmo insieme, anno dopo anno, di centimetro in centimetro: quasi per ironia della sorte, quando il mio segreto fu svelato e i Malandrini divennero Animagi, Sirius prese a trasformarsi nell'animale più simile a me, quel cane dal muso allungato e dalla stazza robusta, col pelo nero come il suo nome.
Al sesto anno, lo Specchio nel mio armadio si omologò di nuovo alla mia altezza, Sirius no.
Crebbe di qualche altro centimetro, e quando tornammo a scuola mi aveva già dato un distacco imbarazzante.
Nel rivederlo, vacillai per un attimo, ed ancora non conosco il motivo preciso di questo mio tentennamento, anche se lo sospetto.
Il primo settembre mi abbracciò come ormai faceva ogni anno.
Non era più alto quanto me, non era l'equivalente di quello Specchio custodito gelosamente nella mia camera.
Ma di certo, lo Specchio non mi aveva mai riscaldato in maniera simile.
Di sicuro, lo Specchio non aveva mai spazzato via il gelo di ogni plenilunio.
Sirius sì.

In ultima istanza, appurai che un amico doveva pur avere un'imperfezione, ma non sempre in alto a destra.
Peter Minus era come me: solo, silenzioso e senza amici.
Come me, trascorreva il suo tempo con la testa sui libri: riusciva lo stesso ad essere uno dei peggiori della classe, e forse era proprio la mia supponenza nei suoi confronti ad impedirmi di avvicinarmi a lui.
Non mi ero reso conto di quanto sarebbe stato perfetto come amico: timido, taciturno, non faceva mai domande, neanche quando chiunque altro mi avrebbe subissato di interrogativi.
Non mi aveva chiesto nulla quando ero rientrato in Dormitorio a notte fonda, accaldato e zoppicante: era l'unico sveglio tra i miei compagni, ma si era limitato a guardarmi perplesso, prima di girarsi sull'altro fianco.
Era ancora Dicembre quando James e Sirius tornarono a casa per le vacanze natalizie: io avevo deciso di rimanere a Hogwarts e già bramavo le giornate che avrei trascorso in Biblioteca, nella fame spasmodica di sapere che coltivavo più per orgoglio personale che per passione vera e propria. Mi ero illuso che avrei avuto una vita tranquilla e pari a quella di qualsiasi Mago, se solo avessi raggiunto una buona preparazione culturale ed intellettuale, e solo oggi posso dire di essermi sbagliato nella maniera più assoluta.
Ma all'epoca, il timido sorriso di Peter mi fece credere che questo fosse possibile.
- Posso chiederti un... favore? - mi chiese timidamente il giorno della Vigilia, sedendosi accanto a me sotto lo sguardo vigile di Madama Pince.
Annuii, trattenendo il fiato: avevo appena notato qualcosa di strano sulla fronte di Peter, una piccola macchia scura.
Un'imperfezione in alto a destra.
- Mi chiedevo se potevi darmi una mano con il tema di Trasfigurazione, visto che tu sei... il più bravo di tutti, ecco.
Arrossì, chinando la testa. Vidi ancora meglio quel pallino marrone sulla sua pelle già arrossata da diversi brufoli.
- Certo – risposi. - Ti sei bruciato? - chiesi poi, accennando alla sua fronte.
Sgranò gli occhi, senza capire cosa gli stavo chiedendo. - Bruciato? - Si sfregò la pelle con le dita, portando via coi polpastrelli anche ciò che mi aveva incuriosito. Era sporco.
- Adesso non c'è più. Allora, cosa volevi chiedermi?
- Sei sempre così gentile! - borbottò Minus, sorridendo e porgendomi una delle sue pergamene, con qualche frase scritta sopra. - Ti stimo tanto, lo sai?
Anche quella volta, non ascoltai le prime parole di un altro dei miei futuri migliori amici. Mi bloccai, chiudendo la mente e domandandomi quale potesse essere l'imperfezione che celava quel piccolo bambino grassoccio.
Poteva celare un sacco di imperfezioni fisiche, dato il suo essere non proprio avvenente, ma ero già sicuro che non si trattasse di una cosa simile: non giudicavo le persone dalla loro apparenza, reso savio dal destino che mi era toccato quando ero solamente un infante.
Poteva celare imperfezioni a livello caratteriale: era petulante, appiccicoso, ansioso di mettersi in mostra con noi e con gli altri, insicuro fino alla nausea e per niente autosufficiente.
Ma gli volevamo bene, forse proprio perché era - sembrava – tenero ed indifeso.
Mi chiesi per molti anni se quell'imperfezione non me la fossi semplicemente inventata, giusto per riuscire ad associare Peter all'immagine dello Specchio che consideravo l'emblema dell'amicizia.
Purtroppo, scoprii molti anni dopo quale fosse quell'imperfezione.

Nella notte di Halloween del 1981, ridussi lo Specchio in frantumi.
Con James se n'era andata la Neve.
Con Sirius se n'era andato il Calore.
Con Peter l'Inverno aveva trionfato.
Quella notte, stalattiti di ghiaccio si instillarono nel mio cuore, senza andarsene mai più.

***









Il Giudizio di Emily:
Morea- The Cold Mirror
Prima Classificata
Grammatica e Sintassi: 20/20
Stile e Lessico: 20/20
Originalità: 15/15
Caratterizzazione del Personaggio Principale: 15/15
Trama: 20/20
Giudizio Personale: 10/10
Totale: 100/100
Giudizio: Morea, devo davvero commentare? Questa storia è assolutamente perfetta, non un errore, non un'incertezza. Specchio e Inverno usati alla perfezione, un Remus divino... se posso citarti, ogni singola parola si è instillata nel mio cuore, come quelle stalattiti. I miei complimenti, perchè questo contest è stato pieno di bellissime storie, ma la tua ha qualcosa di più. Bravissima davvero! Ah... già che ci siamo, buon compleanno cara!




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