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Autore: Clahp    23/12/2010    5 recensioni
Tlung.
Tlang.

«Merda, no, no!» imprecò lei, scostandosi subito dai tasti, per poi alzare la testa e guardare la sommità dell’abitacolo. «Questo coso s’è fermato!»
Shikamaru alzò un sopracciglio, perplesso, ma non disse niente; Temari ancora guardò in alto, poi in basso, e infine pestò un piede per terra.
«Siamo chiusi qui dentro! Io e te, che diamine!» berciò, iraconda.
Il ragazzo, in tutto ciò, rabbrividì: sentiva ancora freddo.
[ShikaTema]
[Sesta classificata al "Cold contest" indetto da Shark Attack, vincintrice del Premio Het]
["All I want for Christmas is black!" Giorno diciannove & ventitrè, prompt: freddo.]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Era tutto inutile: il cellulare lì dentro non prendeva, le porte erano irrimediabilmente bloccate e a quanto pareva nessuno nel palazzo poteva sentirli, dal momento che era passata la mezzanotte e tutti in quel condominio –composto solo da famiglie con b

Window
in
the

s k i e s

I know I hurt you and I made you cry
Did everything but murder you and I
But love left a window in the skies
And to love I rhapsodize…

Oh can’t you see what love has done
To every broken heart?
Oh can’t you see what love has done
For every heart cries?
Love left a window in the skies
And to love I rhapsodize…

Oooh oooh
Oh can’t you see…?

[U2- Window in the skies]

[ Seconda parte ]








Era tutto inutile: il cellulare lì dentro non prendeva, le porte erano irrimediabilmente bloccate e a quanto pareva nessuno nel palazzo poteva sentirli, dal momento che era passata la mezzanotte e tutti in quel condominio –composto solo da famiglie con bambini piccoli o anziani– dormivano. E lei era chiusa lì dentro con un peso morto sdraiato sul pavimento dell’ascensore, evitando di guardarlo; vagava con lo sguardo per la cabina, cercando qualcosa che la distraesse, ma non trovando davvero niente.

«E’ inutile che cerchi in giro, Temari» borbottò l’altro, con una voce profonda «non c’è proprio niente in questo buco. Siamo solo io e te.»

«Oh, che cosa fighissima da dire, davvero. “Siamo solo io e te”. Chi te le scrive le battute, eh, Nara?» commentò l’altra, laconica, guardandolo male.

Lui starnutì per l’ennesima volta e non rispose; era troppo preoccupato a tremare. Con lo scherzetto che quella meravigliosa ragazza aveva organizzato, egli aveva passato qualcosa come cinque ore sotto la pioggia senza ombrelli o protezioni di sorta; era bagnato dalla testa ai piedi e continuava ancora a soffrire il freddo che in quel maledetto giorno s’era abbattuto su quella maledetta città. Come risultato, adesso aveva un incredibile mal di testa, tremava, starnutiva ogni quarto di minuto e aveva il naso completamente tappato, che gli causava una voce cavernosa e decisamente ridicola. Stancatosi di stare ancora in piedi, si era disteso sul fondo dell’ascensore, coprendosi alla bell’e meglio con gli abiti zuppi che aveva, ma non aveva che peggiorato le cose: non si sentiva minimamente bene. E tutto per colpa di quella…

«Mbe’? Non rispondi più? Andiamo, dove sono finiti i soliti battibecchi tanto tipici di questa coppia di deficienti?»

«Sai come si chiama questo, sì?» chiese di rimando lui, ironico.

Lei s’innervosì un po’, ma riuscì nonostante tutto a rimanere fredda e distaccata.

«No, spiegamelo tu, signor Duecento QI, io sono cretina…»

Lui inspirò profondamente e chiuse gli occhi. Quanta pazienza…

«Si chiama sviare i problemi. Non serve parlare d’altro quando entrambi sappiamo di che cosa dobbiamo parlare.»

Con tutta evidenza, il ragazzo aveva appena afferrato il nodo vitale della questione; e Temari fu colpita in pieno. Serrò la mascella e lo guardò di sbieco; si mise seduta, facendo in modo di essere il più lontano possibile da lui, e incrociò le braccia al petto, iraconda.

«Allora illuminami, genio!» esclamò, con voce fin troppo acuta: s’era evidentemente offesa. Lei, Sabaku No Temari, che sviava i problemi anziché risolverli? Ma quello lì doveva essere proprio –

«Be’, anzitutto» espose l’altro, issandosi a sedere, così da avere i propri occhi all’altezza di quelli di lei, sebbene i due fossero ancora molto distanti e distaccati «basterebbe un “ehi, non ci vediamo da sei anni, mi sei venuto a trovare, magari ti saluto”…»

«Stai scherzando!» replicò lei, attonita. «Tu stai veramente scherzando! Non sono stata io a lasciarti, sei anni fa, dopo quasi un anno

Il ragazzo inspirò… be’, a questo non poteva certo darle torto. Era stato lui a lasciarla, sei anni prima, quando stavano insieme da un bel po’… e con motivazioni, per dirla con un eufemismo, non molto plausibili.

«Temari, è diverso, e tu lo sai. Ero un ragazzino, quanti anni avrò avuto, quindici, sedici…?» borbottò l’altro, dando poi un sonoro colpo di tosse e uno starnuto.

«Mio caro, ne avevi diciotto!» disse lei, punta sul vivo. Aveva lasciato da parte il distacco che di solito usava con sconosciuti o con indesiderati: adesso era molto più accalorata. Sembrava, questo, un discorso che la coinvolgeva del tutto, ed evidentemente era la prima volta che ne parlava con qualcuno. «Un’età in cui si vota, si decide il proprio futuro, si va all’università… Non eri un ragazzino, Shikamaru!»

«Oh, andiamo!» accondiscese il primo, alzando gli occhi al cielo. «Gli uomini a quell’età sono ragazzini! Avevo la testa piena d’altro, e, beh, non mi sto discolpando per quel che ho fatto… solo che… non me ne resi davvero conto, insomma…»

«Ah, no?» ribatté l’altra, oramai arrabbiata «Non te ne sei reso conto, quando mi hai scritto per messaggio –non mi hai neanche chiamato, diamine!- che mi lasciavi perché non avevi più voglia di continuare una cosa così?!»

Lui tamburellò le dita su un ginocchio, nervoso; se solo avesse potuto fumare una bella sigaretta liberatoria… Lei aveva perfettamente ragione: non c’erano dubbi.

«Temari» iniziò «non sto dicendo che ho fatto bene… o che ho ragione. Ti sto chiedendo di… ricominciare. O perlomeno di provarci. Se vuoi.»

La ragazza riprese il cipiglio scuro e distaccato; lo squadrò e alzò un sopracciglio.

«No. Non voglio proprio più vederti.»

Le parole di lei risuonarono secche e dure; seguì un gelo imbarazzante.

Shikamaru la guardò: nonostante tutta la tenacia e la testardaggine, la ragazza non riusciva a fissarlo negli occhi; era come se non riuscisse ad ammettere a se stessa ciò che aveva appena detto. Il ragazzo sbuffò; era vero, era la seccatura più incredibile della sua vita (e lui non ne aveva affatto poche: sua madre, Ino, Kurenai…), ma a quanto pareva di quella lì non sapeva proprio farne a meno: sebbene avesse provato a liberarsene, ogni volta puntualmente il pensiero andava a lei o alla sua città.

I due s’erano conosciuti per pure caso circa una decina di anni prima alla Gara Nazionale di Giochi Olimpionici delle Scienze, indetta da tutti i licei giapponesi, cui potevano parteciparvi gli alunni più meritevoli nelle discipline scientifiche; e, se Nara Shikamaru era un asso nella matematica, Sabaku No Temari non era affatto di meno in chimica e biologia. Una volta concluso il torneo (con la vittoria della squadra di lui, cosa che aveva causato non poche imprecazioni da parte dell’orgoglio di lei) s’erano scambiati fortuitamente i recapiti; così avevano continuato a tenersi in contatto e, sebbene fossero tanto distanti, a vedersi qualche volta all’anno, finché sei anni prima non avevano capito entrambi che c’era qualcosa in più che semplice rivalità o battibecchi. Era stata dunque lei –lei, la causa di tutti i suoi mali, dei suoi ripensamenti, dei suoi sbuffi e delle sue maledizioni verso la matematica- a proporre quella maledettissima idea, che era parsa come un innocente “be’, a questo punto potremmo pure provare a stare insieme e vedere come va…”. Non l’avesse mai fatto. In poco tempo Shikamaru s’era trovato costretto (con tuttavia un enorme sorriso stampato in faccia) a farsi ogni benedetto mese qualcosa come dodici ore e mezzo di treno fra andata e ritorno per poter stare uno o due giorni con lei.

Tuttavia, Shikamaru Nara era una persona apatica e sommamente indolente (né con gli anni sarebbe cambiato, anzi): si era ben presto stufato di quella situazione, di quel trambusto, di quel continuo muoversi e di dover sottostare agli sguardi severi e scettici dei fratelli di lei; così, quando le cose avevano iniziato a prendere una brutta piega, quando i litigi con lei stavano iniziando ad aumentare, aveva semplicemente lasciato perdere il tutto ed era tornato con tutta tranquillità alla sua banale e scialba vita di tutti i giorni, senza dover rendere conto a nessuno. Così gli era andato benissimo fino a qualche mese prima: si era improvvisamente ed inesorabilmente conto di aver trattato fin troppo male quella seccatura, cui davvero non aveva mai smesso di pensare. E da quel giorno in poi quell’idea aveva iniziato a martellargli la testa: era stato meschino, infido, schifosamente pigro, rozzo… l’aveva tratta malissimo; si sentiva profondamente in colpa… lei non aveva fatto niente per meritarsi tutto quello: ma lui, a causa della sua immaturità e della sua accidia, l’aveva proprio lasciata andare. Tuttavia… ricordava ancora quel suo sguardo, quegli occhi da gatta, quel sorriso che raramente concedeva al mondo intorno a lei, o quelle confidenze che quasi mai si prendeva con qualcuno, se non con lui… egli aveva ripensato moltissimo a tutti quei dettagli, così impressi nella sua memoria; e d’un tratto, improvvisamente, un giorno s’era recato all’agenzia viaggi più vicina a casa sua e aveva prenotato il primo treno disponibile per Kyoto, portando come scusa ai suoi genitori una qualche faccenda universitaria; e così eccolo lì, senza una solida argomentazione da proporre a quella ragazza, senza nemmeno un qualche regalo o un pensiero, ma solamente con tutto –davvero tutto- se stesso.

Aveva rovinato tutto, aveva perso per sempre la fiducia della ragazza…? Lo sguardo di lei era così freddo… Shikamaru rabbrividì ancora, fino a battere i denti; stupida stagione, stupido clima, stupida città…

«Be’, adesso smettiamola con questa farsa. Appena ci libereranno da qui…»

Ma il ragazzo prese a tossire convulsamente, tanto da bloccarla; si rannicchiò su se stesso e continuò, finché non si stese nuovamente sul pavimento. Stava boccheggiando e tremava; lei impallidì.

«T-Temari…» bisbigliò poi, con gli occhi chiusi «credo di avere la febbre.»

*

«Bel medico che sei» si lamentò «davvero complimenti…»

«Si lamenta pure, il signorino» replicò l’altra, asciutta, mentre cercava un qualsiasi medicinale nella sua borsa da dare a quel disgraziato. Gli uomini…

Gli aveva consigliato immediatamente di distendersi e di respirare profondamente, ma sinceramente non sapeva cos’altro poteva suggerirgli: il ragazzo sembrava penare parecchio freddo, ma lei non sapeva dove aveva riposto la solita aspirina che portava sempre con sé. Alzando per l’ennesima volta in quella maledetta serata gli occhi al cielo, si tolse il suo impermeabile asciutto e lo sostituì a quello del ragazzo, che egli usava come coperta, e che era completamente zuppo.

«Ehi!» inveì lui.

«Che vuoi?» domandò l’altra, mentre ricopriva il corpo di lui con il proprio indumento.

«Così tu avrai freddo! Non senti che si gela in questo posto?»

Temari finì l’opera in maniera certosina e guardò il risultato, soddisfatta: ogni centimetro del corpo del ragazzo dalle ginocchia in su era coperto con un indumento asciutto.

«Nah, si sta benissimo» replicò lei, alquanto incurante della conversazione, mentre distendeva a parte il cappotto bagnato del ragazzo per cercare di asciugarlo.

Passò qualche minuto in silenzio; Shikamaru la guardava mentre era intenta nel proprio compito.

«Oh, già» borbottò dopo un po’ «a te piace il freddo.»

Non era una domanda: era proprio un’affermazione. Temari stranamente sorrise un poco, per poi replicare con lo stesso tono di lui:

«Già, e tu l’hai sempre odiato.»

Era come se entrambi asserissero qualcosa di estremamente noto, e d’altra parte era quasi scontato che l’uno sapesse dell’altra quel particolare (ad un occhio esterno probabilmente insignificante) lasciato da parte in qualche posto della memoria, e solamente ora tornato a galla.

«Oh, sì» continuò lui. «E’ qualcosa di estremamente seccante. Ti costringe a coprirti, a vestirti a strati, a mettere robe ingombranti e pesanti, e a limitarti nei movimenti, a sentire caldo non appena ti muovi… e poi sono stagioni così tristi, quelle invernali. Non posso guardare le mie adorate nuvole su un prato, fa buio presto, devi tornare al lavoro, non puoi più oziare… Si ritorna alla vita di tutti i giorni, in un certo senso.»

«Non capisci proprio niente» lo ammonì lei, boriosa «il caldo è soffocante. Come ti muovi, sudi; interi pomeriggi ti spinge a rimanere a letto a non far niente… e io odio l’immobilità, ma appena esci inizi a sudare, e sudare, e non ne puoi più. Il freddo ti prende, ti avvolge, ti conforta… e basta solo coprirsi un po’ di più, qui la temperatura non arriva mai a livelli troppo bassi; invece contro il caldo, dopo un po’, non puoi più spogliarti, sai com’è…»

«Ti fai un tuffo a mare o in piscina» osservò l’altro, per poi starnutire sonoramente. «E sicuramente d’estate non ci si becca la febbre!»

«No, la febbre no, ma insolazioni o bruciature alla pelle sì. E quelle, mio caro, sono molto più gravi.» replicò l’altra, con un sopracciglio alzato e l’aria superba di chi sapeva perfettamente di avere ragione.

Shikamaru rimuginò, mordicchiandosi il labbro inferiore; ma che diamine, quella dannata doveva avere sempre l’ultima parola… che seccatura. Tutto ciò gli ricordava estremamente bene le scene tipiche che si erano ripetute sei anni prima: ore e ore a litigare, a tenersi il muso, a cercare di lottare per guadagnarsi l’ultima parola in un conflitto verbale, e poi era tutto come prima, come se non fosse successo niente… Egli definiva tutto ciò un’enorme e rognosa seccatura: ma era anche vero che aveva deciso liberamente e volontariamente di ritornare a quelle vecchie ma meravigliose abitudini.

La verità, ragionò il ragazzo infine, guardando l’altra di sottecchi mentre quest’ultima lo fissava con lo sguardo glorioso di colei che ha vinto, era che probabilmente non era riuscito proprio a farne a meno… di lei, del suo atteggiamento, della sua iperattività (che a volte Nara definiva patologica)… del suo sguardo, del suo corpo un po’ rotondo in alcune parti, ma per lui semplicemente bello… del suo sorriso… della sua freddezza… e del –

«Mbè? Nessuna ultima parola, Ingegner Nara?»

Il ragazzo sobbalzò: s’era perso nei suoi pensieri. Distolse lo sguardo da lei e improvvisò.

«Mi fa male la testa e vaneggio, medico da strapazzo» mugugnò, sistemandosi sullo scomodo pavimento. «E qui dentro si gela, ripeto.» E completò tutto con un esorbitante starnuto.

Lei esalò un potente e pesante respiro; prese nuovamente la borsa in mano per controllare in modo definitivo un qualsiasi medicinale che tenesse quello là buono e muto.

«Ed ecco a voi il “sesso forte”» disse, scontrosa, mentre riponeva tutti i suoi affetti fuori dalla sacca «…Incapaci di distinguere fra un raffreddore e una malattia terminale. Ah! Noi donne invece, con o senza influenza, dobbiamo continuare tranquillamente la nostra vita! Hai chiamato il notaio per il testamento, sì?»

Shikamaru neanche la stava a sentire; la ragazza aveva appena colpito (per un purissimo caso) la testa di lui con il portafoglio appena estratto, che rimbalzò e si fermò vicino al suo orecchio. Bofonchiando contro di lei per il dolore (era la terza volta in nemmeno dodici ore che gli faceva seriamente male), provò tuttavia un’insolita curiosità, deformazione che lo affliggeva assai poco raramente: lo prese in mano e lo aprì, non visto. Nel frattempo, Temari aveva svuotato totalmente la borsa e ancora rifletteva su dove –

«Ma quanta roba hai in quella cosa?!» esclamò lui, notando la quantità di taccuini e penne che ella aveva con sé, e stimando l’inutilità dell’ombrello, del deodorante o di quel tomo di medicina. «Le donne… a noi uomini basta una tasca per il portafoglio…» rimbeccò, come risposta alla provocazione di prima.

«Certo, perché avete sempre con voi qualcuna che ha con sé tutto ciò che vi serve…» puntualizzò lei allora, quasi automaticamente e senza pensarci, mentre ancora perlustrava la sacca. «Infatti, sto cercando una dannata aspirina per la tua testa di cavolo, altrimenti non te la smetti di frignare, crybaby, e mi muori qui davanti.»

Ma lui ancora stava guardando tutto il contenuto della borsa rovesciato a terra; schioccò fintamente la lingua sul palato, sbadigliò, starnutì ancora e si stiracchiò; e così, non visto, diede un’occhiata più approfondita al portafoglio di Temari, mentre lei ancora cercava… e notò qualcosa di interessante, che tuttavia confermava platealmente ciò che aveva pensato finora. Sorrise.

«Eccola!» esclamò poi lei. «Stupide tasche laterali…»

Prese una boccetta trasparente, ricolma di piccole pastiglie bianche, la stappò e la diede al ragazzo con un’espressione di vittoria.

«Prendi questa, non c’è bisogno che usi acqua o niente, devi solo scioglierla in bocca.» sciorinò con aria esperta. «Ma sbrigati! Prima che muori!» E qui sorrise, orgogliosa, con un sopracciglio alzato.

Shikamaru fece un mezzo sorriso –a metà fra il consenso per ciò che ella diceva e il fastidio per ciò che la sua virilità doveva ancora subire– e avvicinò la mano a quella di lei; il contatto fra le loro dita fu velocissimo ed effimero, ma bastò ad innervosirli entrambi; per sviare la tensione, lei sbadigliò.

«Senti, secondo me dovremmo dormire un po’… sono le quattro del mattino, non usciremo da qui per molto.» propose, guardandolo di sfuggita con occhi pieni di sonno. «Prenditi questa roba e dormiamo, così vediamo se ti passa la tua incurabile malattia o se fai testamento» concluse poi, con un leggero sorriso sarcastico.

Shikamaru annuì, e sbadigliò a sua volta. S’accomodò meglio e offrì la sua sottospecie di coperta alla ragazza, che rifiutò, orgogliosa; sbuffò, seccato, e alzò gli occhi al cielo. Si portò infine la pasticca vicino alle labbra, aprì la bocca e…

«…Non è avvelenata, vero?» borbottò.

Lei di tutta risposta gli lanciò un’occhiataccia che gli fece sentire ancor più freddo di quanto già non ne stesse patendo.

*

Si svegliarono qualche ora più tardi; Shikamaru stava ancora rabbrividendo. Lei lo guardò, un po’ tesa; aveva ancora gli occhi pieni di sonno, e le faceva evidentemente male la schiena per la scomoda posizione in cui aveva sonnecchiato; ma come diavolo riuscisse a non patire minimamente quel freddo, per il ragazzo era un mistero.

«Mbè? Va meglio?» chiese Temari.

Lui aprì gli occhi: la luce al neon dell’ascensore gli dava molto fastidio.

«Mmh… più o meno, eh.» borbottò.

La guardò: era seduta leggermente più vicino a lui, e il suo sguardo nei confronti delle sue condizioni non era preoccupato, ma neanche indifferente o freddo; forse, forse, Shikamaru aveva scorto l’ombra di una certa remora che esprimeva in qualche modo un senso di colpa… evidentemente, farlo girare per tutta Kyoto senza né ombrelli né qualcosa di più pesante di una sciarpa non era stata proprio una buona idea, per un medico poi… Il ragazzo si soffermò ancora una volta a pensare sullo strano carattere di Temari. Con estranei, ella era distaccata, impassibile, a volte perfino spietata: insomma, era proprio fredda. Tuttavia, bastava entrarci in confidenza perché lei smorzasse quel caratterino spigoloso e perché si scoprisse come era davvero fatta: si prendeva veramente a cuore delle persone a lei care, partendo dai suoi fratelli (gli unici componenti rimasti della sua famiglia, e ai quali lei era legatissima) e finendo ai suoi amici. Inoltre, aveva una lingua affilata, doveva avere sempre l’ultima parola, era orgogliosa, testarda, cocciuta, impertinente, sfacciata, tosta… ma aveva uno strano modo di comportarsi: a parole era menefreghista e indifferente, ma nei fatti era tutt’altro. Bastava quello sciocco esempio per capirlo: sebbene ce l’avesse (giustamente) con lui per ciò che egli aveva compiuto anni prima, non s’era data problemi a cercare di metterlo in qualche modo a suo agio e di fargli passare quella straziante emicrania.

Adesso erano entrambi zitti: lei guardava ovunque, soffermandosi tuttavia di tanto in tanto sul volto di lui, per poi distogliere subito lo sguardo… Shikamaru sorrise. Tutto ciò faceva perfettamente parte di ciò che aveva pensato: Temari si stava a poco a poco letteralmente scaldando… E lui avrebbe colto al balzo questo piccolo spiraglio in quella maestosa finestra, che dava su un cielo così ampio…

«…Ehm, grazie.» borbottò, burbero.

Lei fu come offesa da questa parola: alzò ancora il tanto famoso sopracciglio.

«Ehi, io sono un medico. Ho pronunciato un Giuramento, e ci tengo a metterlo in atto. Nessun “grazie”, quindi. E non certo da te

Shikamaru sbuffò… tutto ciò era decisamente prevedibile.

«Quindi, cosa dovrei dirti?» borbottò.

«Dovresti stare zitto e farti passare questo banalissimo raffreddore, per poi aspettare o che qualche anima pia ci tolga da questo posto infernale andando giù alla cabina dei comandi o che qualcuno decida di spingere il bottone e far partire questo benedetto coso.» disse lei.

«…E porre fine a questo divertimento? No grazie» replicò Nara, sbadigliando ancora, e ancora starnutendo.

«Sì, un divertimento proprio, eh…» disse infine lei, avvicinando le ginocchia al volto e abbracciandosele con le mani.

Sembrava come se stesse aspettando qualcosa… Shikamaru sospirò, per poi grattarsi l’ampia fronte. Sebbene controvoglia, avrebbe dovuto fare ciò che doveva fare da tempo: comportarsi da uomo. Non era più un ragazzino: aveva ventiquattro anni, lavorava, e s’era sorbito sei ore di treno quella mattina (che adesso sembrava tanto lontana) solo per poter parlare con quella ragazza… non poteva demordere ora. Inoltre, obiettivamente e inequivocabilmente era in torto lui: l’aveva fatta soffrire, e parecchio, e adesso doveva rimediare al danno, sebbene fosse un compito veramente intricato e complesso… tutto ciò era accaduto solamente per la sua immaturità di tanto tempo prima: aveva fatto del male a se stesso a lei. Ma come diavolo aveva potut–?

«Shikamaru, che cosa sei venuto a fare qui?»

Egli sorrise. Temari, la sua Temari, impossibile, cocciuta, tosta… aveva appena trovato il modo di sorprenderlo. Una domanda così a bruciapelo non era davvero stata presa in considerazione dal suo perfetto cervello; e questo non fece che aumentare la stima che aveva per lei.

«Io non lo so. Ma tu, eh, credo di sì.»

E ancora una volta…

«Che cazzo di risposte dai! Dammi una risposta sincera, anche brutale, e fallo ora… perché non sto capendo più niente!» esclamò.

Sembrava estremamente onesta: s’era girata di scatto e adesso i suoi occhi chiari dardeggiavano, mentre lo osservava. Era impaziente. Lui sospirò.

«Te l’ho già detto prima. Sono venuto a chiederti scusa… e a chiederti di ricominciare, in qualche modo.»

Lei aveva già sentito queste parole, qualche ora prima; ma era come se volesse risentirle. Passò qualche minuto nel più completo silenzio.

«Perché hai mollato tutto, sei anni fa? Perché? E perché in quel modo, dopo tanto tempo?»

Lui sbuffò. E si fece coraggio.

«Temari… ora, ti dirò queste cose una sola volta. Non usciranno mai da questo trabiccolo e soprattutto non te le dirò mai più, anzi, probabilmente me le rimangerò e negherò fino alla morte di aver detto una roba del genere. Ok?» iniziò lui, mettendosi a sedere, così da avere la ragazza davanti, diminuendo la distanza fra loro. «…Gli uomini sono stupidi. E’ assolutamente vero. E sono paurosi. Appena vedono un qualcosa, qualsiasi cosa, di attraente, di bello, ma impegnativo e –per dirla con parole mie- seccante, ci provano, ci prendono gusto, ma poi lasciano proprio perdere. Siamo infantili fino ai trent’anni, praticamente, e insensibili per la maggior parte della nostra vita. Così è la grande maggioranza di noi, e io non faccio minimamente eccezione…»

«Tu lo sai» lo interruppe bruscamente lei «che a me questi discorsi sessisti stanno veramente tanto sulle palle e…»

La bloccò con un gesto secco delle mani, e lei, per quella che con tutta probabilità era la prima volta in vita sua, s’azzittì.

«Fammi finire. Quando eravamo insieme io avevo diciotto anni, e tu ventuno. Ora, già normalmente una ragazza a quell’età è molto più matura di un ragazzo… io stavo bene con te, e tu lo sai. Però… la distanza, il fatto che non potessimo uscire sempre, e i tuoi fratelli che –be’- ce l’avevano a morte con me… dopo un po’ hanno iniziato a pesare. Ero un ragazzino all’epoca, lo dico senza problemi… io ti volevo bene, sì, però… beh, fatto sta che in questi anni sono cambiate molte cose. Cose che mi hanno fatto ragionare, insomma… non mi sono comportato bene, e sono qui a chiederti scusa.» Sbuffò e distese il collo, fino a guardare in alto, con la sua solita flemma e il suo modo di fare molto riflessivo. Una volta iniziato, era tutto più semplice; e, sebbene lui fosse maledettamente orgoglioso, tutto ciò andava fatto. «E’ arrivato il tempo che io mi comporti da uomo, Temari. E così, eccomi qui.»

Lei sembrava a metà fra l’incredulo e l’arrabbiato: non voleva dargliela vinta tanto facilmente, ma bisognava ammettere che da un tipo come Shikamaru Nara tutto questo discorso non se lo sarebbe mai aspettato. Ma era passato tanto tempo… chissà, magari

Tergiversò ancora; sebbene ciò non fosse nella sua indole –lei era solita, come si dice, “prendere il toro per le corna”- era sinceramente interessata a tutto ciò che era accaduto in quel tempo.

«E… che cosa è accaduto, che ti ha fatto maturare così tanto?» chiese.

Il ragazzo mantenne quella posizione così rozza e svogliata tanto tipica di lui, con la testa reclinata all’indietro, appoggiata alla parete, gli occhi chiusi e le gambe aperte; stringeva ancora il cappotto di lei.

«E’ morto Asuma.» disse lui dopo un po’.

Lei rimase profondamente impressionata; sapeva bene quanto il suo professore liceale (che egli considerava quasi un maestro di vita) fosse stato importante per lui.

«E… com’è successo?» chiese ancora, con una strana cautela. Shikamaru la guardò da quella strana posizione per un attimo; e poi raccontò. Parlò per moltissimo tempo: le ricordò il rapporto che aveva sempre avuto con lui, e di come Asuma fosse stato praticamente un padre (cose che lei già sapeva, ma che si sentì nuovamente raccontare); le parlò di come era morto, ucciso da alcuni ricattatori perché non s’era piegato ad un affare di droga, e di come avesse assistito alla sua scomparsa; spiegò le reazioni di Ino, di Choji, di lui, della sua famiglia e di tutti gli altri amici; e le raccontò di Kurenai e del fatto che oramai tre anni prima fosse nato suo figlio, cui avrebbe fatto da padrino. Temari lo guardava, in qualche modo ammirandolo, mentre parlava; s’era fatta più vicina, ogni tanto capitava che lo guardasse con quegli occhi da gatta… e, Shikamaru sbagliava ancora, o sentiva davvero più caldo…? L’atmosfera si stava via via facendo più rilassante, più tranquilla… più calda, più bella… ma no, era la sua medicina che faceva effetto, sì, che sciocco…

Appena ebbe finito, si scrutarono; Shikamaru sospirò.

«E’ stato il mio maestro… e tu lo sai bene. Tutto questo mi ha aiutato a crescere… in qualche modo. Non siamo più ragazzini, prima o poi dovrò essere io la guida di quel bambino come Asuma lo è stato per me. Così è.» sentenziò.

Lei lo guardò.

«Mi hai fatto molto male, sai.» ammise, cambiando discorso, e rivolgendo la vista altrove.

Lui s’alzò completamente e le andò vicino… faceva caldo, oramai.

«Ho fatto del male anche a me. Ma sono qui, ti ripeto, per rimediare. Nessuno sa che sono qui… ho preso il primo treno che partisse da Sendai e sono arrivato. Avevo visto i tuoi orari di uscita dall’università sul sito internet della tua facoltà, mi sono appostato lì davanti a mezzogiorno…»

Lei strabuzzò gli occhi.

«Tu sei stato lì davanti da mezzogiorno alle cinque di pomeriggio?!» domandò. Sembrava esterrefatta: Shikamaru sorrise… aveva ottenuto ciò che sperava.

«Eh.» disse solo.

Era così tipico di Shikamaru fare ciò che aveva fatto –ovvero, minimizzare gli enormi sacrifici e sforzi che gli era costata quella folle idea- che lei non se ne stupì; tuttavia, come al solito, ne rimase impressionata. Aveva dato un calcio alla sua patologica pigrizia, aveva fatto quella bizzarra messinscena, s’era umiliato tanto da chiederle scusa più e più volte (per carità, era totalmente e inequivocabilmente colpa sua, ma tanta devozione era comunque ammirevole), l’aveva seguita ovunque, si era fatto malmenare, si era ammalato… e tutto questo, solo per lei. E ancora sminuiva tutto, parlandone come se fosse una cosa normale. D’altra parte, lui era davvero il tipo, un po’ come lei, che dava più importanza ai fatti che alle parole… lo conosceva bene oramai.

«Tu sei pazzo. Tu sei veramente pezzo. Altro che “genio informatico di Sendai”, eh.»

«Può darsi» ammise. «Ma lo sarò ancora di più se tu non accetterai le mie profonde scuse.»

S’erano ancora più avvicinati: i loro visi si toccavano quasi. Si guardarono negli occhi: lei sorrise, furba.

«Ma devono essere davvero molto profonde…» bisbigliò, a un soffio dalle labbra di lui.

«Be’, posso sempre dimostrartelo…»

«Mpf. Non avevi freddo, tu…? E se mi passi qualche batterio…?» borbottò poi, ridacchiando. Ma Shikamaru si stava sempre più avvicinando: si stavano proprio per…

Tlung.

Tlang

Si sentirono trasportare verso il basso: evidentemente, qualcuno aveva azionato l’ascensore. Temari s’alzò e sbadigliò sonoramente: si guardò poi allo specchio.

«Ma che diavolo di ore sono?!» borbottò poi, quasi arrabbiata, come se nulla di strano fosse successo negli ultimi trenta secondi.

«Le otto.» disse l’altro, alzatosi a sua volta, con un umore tuttavia molto meno vivace di quello della ragazza.

«Merda, devo andare a lezione…» disse lei; prese la borsa e si stiracchiò leggermente.

Arrivarono al piano di destinazione: un signore distinto, in giacca e cravatta, aprì la porta, e fu abbastanza incuriosito dal vedere due ragazzi sbadiglianti e sonnolenti che ne uscivano.

«Buongiorno» bofonchiò la ragazza, per poi prendere Shikamaru –che era intento per qualche strana ragione a fissare male l’uomo - per una manica e farlo uscire. L’altro li guardò, per poi mugugnare qualcosa circa le stravaganze dei giovani odierni ed entrare nell’abitacolo. I due presero le scale e scesero fino al piano terra; si fermarono nuovamente di fronte alla cabina dell’ascensore. Erano di nuovo soli; Temari mise il proprio cappotto nella borsa, e diede l’altro quasi asciutto al ragazzo.

«Senti, io devo assolutamente andare a lezione, e tu dovrai prendere il treno, immagino…» borbottò lei. «Ti accompagno e vad– »

Ma, in barba a tutta questa formalità espressa da lei –formalità probabilmente dovuta all’imbarazzo, che ogni tanto perfino Sabaku No Temari provava–, lui sorrise, s’avvicinò del tutto e le passò un braccio intorno alle spalle: era molto più alto di lei, e questo le permise di appoggiare la sua testa al petto di lui. In questo modo, la zittì; aprirono insieme il portone ed uscirono all’aria aperta, camminando in silenzio. Faceva molto più caldo rispetto al giorno prima: sebbene non fossero che le otto e mezza di mattina, il sole già splendeva in cielo.

«Be’, Tem… potevi anche non escogitare tutta quella messinscena, eh.» disse Shikamaru, dopo un po’ che camminavano.

La diretta interessata non negò né fece minimamente finta di non aver capito: era come se sapesse benissimo che lui avesse dedotto tutto. D’altra parte, non era certo un ragazzo dall’intelligenza qualunque…

«Oh, è stato divertente…» si giustificò, ridendo.

«Fino a un certo punto. Mi sono veramente gelato lì dentro…» disse il ragazzo, per poi starnutire ancora.

Lei alzò la testa dal suo petto e lo guardò negli occhi.

«…Ma come hai fatto a capirlo?» chiese, sospettosa. Lui sbuffò e si sgranchì le ossa.

«Oh, andiamo. Tu eri vicino alla tastiera mentre l’ascensore s’è bloccato… e poi ho visto che armeggiavi col cellulare prima che entrassimo. Avrai mandato un messaggio ai tuoi fratelli dicendo che dormivi da qualche tua amica per festeggiare l’esame… altrimenti i cari Kankuro e Gaara ti avrebbero come minimo cercato in tutto il Giappone, se non eri ancora rientrata a casa. Sei così prevedibile, seccatura…»

Temari era a metà fra il soddisfatto (per avere un ragazzo, o -insomma- una conoscenza a lei così tanto vicina, tanto intelligente) e l’offeso (per essere stata amabilmente scoperta in maniera così plateale). Evidentemente però poi prevalse il primo stato d’animo, tant’è che commentò:

«O forse oramai mi conosci benissimo…»

Lui la guardò: rideva ancora.

«Probabilmente…»

Continuarono la mattinata così, a rimbeccarsi, a provocarsi, a stringersi l’un l’altra. Il vento spirava: in un elegante e curioso modo, modellava il tragitto delle foglie e la forma delle chiome degli alberi; creava un insolito rumore, rilassante e forte al tempo stesso; modificava le nuvole, allungandole, comprimendole, cambiandogli forma; e soffiava sulle gote dei ragazzi. Era un vento freddo, solitario, ma in qualche modo confortante… Shikamaru arrise.

«Be’, ci vediamo, seccatura.» disse infine, davanti all’entrata principale della stazione; frugò nella tasca. «E… questo è per te.»

Le diede un fiore… lo stesso meraviglioso fiore che lei teneva appassito nel suo portafoglio, da quasi sei anni.

Una rosa del deserto.

«Così potrai cambiarlo con quell’altro, sai» disse, burbero, grattandosi il capo. «L’ho preso ieri mattina, ma, ehm, non ho trovato il momento più adatto per…»

Ma lei non volle sentire altro: si buttò (letteralmente, si buttò) sopra di lui e lo baciò in piena bocca, passionale, estrema, irruente, focosa, entusiasta, calda… Lui per qualche secondo non riuscì a ragionare: era intontito dal mal di testa, dal sonno, da lei, dal suo profumo, dal suo corpo, dalle sue braccia avvinghiate contro di lui… ma poi evidentemente riuscì a realizzare quel che stava accadendo, tant’è che la sollevò da terra, raggiante, e i due rimasero così per qualche minuto, finché non ebbero letteralmente più fiato.

«E vedi di ritornare, il mese prossimo» disse infine lei, quasi boccheggiando, qualche minuto dopo, soddisfatta del proprio lavoro. Lui sembrava su un altro pianeta: aveva un’aria sinistra e quasi folle, con lo sguardo fisso davanti a sé, i capelli arruffati e il fiato pesante. Solo qualche minuto dopo parve svegliarsi da quella specie di coma; riprese le minime attività vitali, sbadigliò, sorrise, alzò un braccio per salutarla e semplicemente si voltò, con l’andatura lenta e strascicata.

La ragazza lo osservò andare via, con uno strano nodo all’altezza della gola; e, quando era evidente che il ragazzo non c’era più, si girò, fece qualche passo, si voltò e sorrise ancora.

Alla fin fine, Shikamaru Nara da quel giorno in poi non riuscì più ad odiare così tanto l’autunno; scoprì che la malinconia che sopraggiungeva la sera ben contrastava con il suo carattere abulico e pigro, portandolo ad una vaga riflessione sulla natura mentre le foglie cadute dagli alberi danzavano; capì che quel freddo pungente che colorava le guancie di lei, ogni volta che l’andava a trovare, le rendeva più vivide e belle; e, soprattutto, imparò che il freddo poteva essere un ottimo rimedio a una giornata terribilmente noiosa e seccante, specie se poi ci si scaldava in un ascensore o in una piccola stanza piena di strani fiori dalla forma astrusa.















Fine











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All I want for Christmas is Black

All I want for Christmas is Black

Secondo capitolo postato alla velocità della luce u.u Sono stata bravissima, dai!

Ringrazio TANTISSIMO tutti coloro che hanno commentato: mi avete proprio tirato su il morale. Grazie, grazie, grazie *_________* Ho risposto, lo farò anche per eventuali –e GRADITISSIME!- altre recensioni!

Oh, questo capitolo è per il giorno ventitrè del All I want for Christmas is black” (sempre del forum The black parade!)… dal momento che oggi dovevo postare un’altra fanfic, ma non ho avuto veramente tempo, ho postato sto secondo capitolo xD In verità mi dispiace abbastanza, avrei veramente voluto fare qualcosa di natalizio, ma non mi è venuto veramente niente in mente. T__T Così ora devo postare entro mezzanotte e sono le ventitrè e cinquantasette XD Uao! Correggo la fanfic dopo aver postato, tanto ci saranno una miriade di errori =_=

Cooomunque! Tanti volevano sapere cosa aveva fatto quello *sciagurato* di Shikamaru. Sì, è un idiota ^_^ un totale idiota. Volevo appuntare una cosa: lo Shikamaru diciassettenne (che lascia Temari dopo un bel po’ di tempo che stanno insieme) è molto diverso dallo Shikamaru coetaneo del manga… quest’ultimo è molto più maturo perché, be’, è un ninja. E i ninja per forza di cose sono più maturi rispetto a un coetaneo “normale” xD Chi mai a dodici anni ha rischiato la vita tante volte? ^^” Insomma, ho cercato di adattare lo Shikamaru del manga ai tempi moderni: è plausibilissimo che un ragazzo di diciassette/diciotto anni non abbia voglia di stare tanto tempo con una ragazza con cui sta magari pure tanto bene, ma che è distante e blabla, no? Non è cattivo o bastardo, è semplicemente un ragazzo. Perciò, l’ho reso un po’ più “umano”, ecco. Ovviamente la versione “ventiquattrenne” corrisponde alla versione “post-Asuma” del manga, insomma^^.

Spero davvero la fanfic vi sia piaciuta! Commentate, magari, se vi va. *si inchina*

Un buon Natale a tutti *____________* Alla prossima –presto, molto presto. Su Harry Potter, la prima dopo, uhm, tre anni? Già scritta e fatta, devo solo aspettare che me la valutino per un concorso xD

Clahp

  
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