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Autore: Trick    25/12/2010    11 recensioni
«Un centinaio» disse d'un tratto Sirius, sollevando il capo e guardandolo con sguardo torvo.
«Di cosa stai parlando?».
«Un centinaio di maledetti Babbani saltati in aria a Oxford Street».

Remus, Sirius e uno squarcio di conversazione strappata alla prima guerra del mondo magico - niente slash.
Seconda classificata al contest "Equinozio d'autunno" indetto da CoS.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Titolo: Un autunno di gente che schiatta
Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Generi: Malinconico, introspettivo
Conteggio parole: 998
Note personali:
1 Oxford Street è la più grande strade commerciale del mondo e si estende nel centro di Londra per oltre quattro chilometri.
2 Little Lever è una cittadina della contea di Greater Manchester, nella parte nordorientale dell'Inghilterra.
3 La Chiesa di St. Matthew è realmente la chiesa di Little Lever. La scelta non è stata casuale: San Matteo, infatti, è il santo del 21 settembre.
4 I “Magnificent Seven”, (Magnifici Sette), è il nome con cui vengono chiamati i sette storici cimiteri di Londra: il Kansal Green, il West Norwood, l'Highgate, l'Abney Park, il Nunhead, il Brompton e il Tower Hamlets.



Seconda classificata al contest Equinozio d'Autunno indetto da CoS.




«Eravamo schiacciati venti a uno dai Mangiamorte, ci venivano a cercare uno ad uno»".
da “Harry Potter e l'Ordine della Fenice”

L'autunno di quel 1981 era riuscito a cogliere di sorpresa la prodigiosa tempestività di cui i londinesi amavano tanto vantarsi. Reduci dalle belle e soleggiate giornate estive, non avevano avuto modo di accettare il ritorno della pioggia, del vento pungente e del traffico intasato dell'ora di punta. Così, fra pomeriggi trascorsi a rispolverare i calzettoni di lana e rapide corse per acquistare nuovi cappottini per i bambini, erano tutti nervosi e scocciati. Davanti alle lucenti vetrine di Oxford Street1, centinaia di irritati Babbani si spintonavano e si scalciavano l'uno con l'altro, s'incastravano fra le porte automatiche e si insultavano con gli accenti più disparati.
Agli occhi dei Mangiamorte che li osservavano con disgusto dalla sommità del Centre Point, quella folla scalpitante appariva come un patetico sciame di mosche. Inutili, fastidiosi e deboli – ecco, ciò che erano i Babbani.
Quando il tuono dell'esplosione si levò da Oxford Circus, i due Mangiamorte esibirono al cielo plumbeo un tetro sorriso di trionfo. Il più alto di loro scoppiò in una risata folle e applaudì un paio di volte nel vento.
L'autunno di quel 1981 era davvero arrivato all'improvviso.

Remus affondò il viso nella logora sciarpa grigia e si strinse nelle spalle per ripararsi dal freddo. Camminava a passo spedito lungo il leggero pendio che portava al centro del villaggio di Little Lever2, guardandosi sospettosamente attorno e prestando la massima attenzione ad ogni rumore sospetto. Sotto al mantello sciupato, le sue dita stringevano saldamente la bacchetta. Remus temeva – eccome, se lo temeva – che l'insopportabile tensione, prima o poi, avrebbe avuto la meglio sui suoi nervi e l'avrebbe fatto inesorabilmente crollare.
È solo questione di tempo”, si ripeté. “Ammazzerò per sbaglio un passante e trascorrerò il resto dei miei giorni ad Azkaban”.
Mentre formulava per l'ennesima volta quel tormentoso pensiero, si accorse di essere arrivato davanti al cimitero di St. Matthew3. Nel corso degli ultimi anni, Remus aveva sviluppato una macabra predilezione per i piccoli cimiteri di provincia. A onor del vero, i Magnifici Sette4 erano uno spettacolo di impareggiabile bellezza. Eppure, erano tutti sigillati da imponenti cancellate di ottone, come se i londinesi avessero paura che i propri morti potessero fuggire lungo Brompton Road – o di avvicinarglisi troppo, piuttosto.
Sentiva che il cimitero della chiesa di St. Matthew sarebbe stato una sepoltura perfetta. Nessun portone, nessun cancello e nessuna palizzata a dividere i morti dai vivi.
La vita e la morte sono la stessa cosa”, gli ripeteva spesso sua madre. “Non perdere tempo a cercare di dividere l'una dall'altra: sarebbe come separare la primavera dall'autunno e domandarsi per quale motivo non ci siano più fiori in giro».
«Non dovresti camminare con quella faccia, Moony» lo schernì una voce familiare. «O il becchino ti sotterrerà prima del tempo».
Remus trasalì appena e voltò la testa verso Sirius, seduto ai piedi di una delle colonne del porticato. Il suo aspetto fiero sembrava un poco più rigido del solito – e dire che non aveva mai avuto difficoltà a calzare gli scomodi panni di se stesso. Teneva il capo appoggiato alla pietra e fumava distrattamente una striminzita sigaretta.
«Non dovresti fumare nella casa di Dio».
«Sono solo nel suo giardino» sbottò divertito. «E tu nemmeno ci credi, in Dio».
Le labbra di Remus si piegarono in una lieve smorfia di colpevolezza. Fece qualche passo verso Sirius e appoggiò la schiena al muro, scrutando le chiome rosse degli alberi che circondavano il cimitero.
«Perché sei qui?» domandò a bruciapelo Sirius, soffiando distrattamente una nuvoletta di fumo e stiracchiandosi come un gatto annoiato.
«Cercavo un po' di serenità, ma Dio ne deve avere una concezione molto discutibile se ha messo te sulla mia strada».
Sirius emise uno sbuffo impercettibile.
«È proprio un fottuto bastardo».
C'era qualcosa di dannatamente rassegnato nella voce di Sirius. Qualcosa che a Remus non poté sfuggire. Lo conosceva da troppo tempo per non accorgersi dell'impeto con cui il mostro di quella guerra stava divorando l'esuberanza dell'amico. E conosceva altrettanto bene se stesso – o così credeva, almeno – per sapere che la stessa angoscia stava attanagliando anche il suo animo, demolendo ogni briciola di genuina vitalità. Per l'ennesima volta, si ritrovò a ricordare le belle giornate estive trascorse ad Hogwarts, quando ancora si rincorrevano all'ombra del vecchio faggio e progettavano le avventure del successivo plenilunio. Leggeri, imprudenti e spensierati. A volte, Remus si stupiva di essere stato così vivo, un tempo.
«Fa freddo, oggi» ruppe il silenzio Remus, infilando le mani gelide nelle tasche.
«È l'autunno che fa toc-toc alla porta delle nostre vite, Moony. Fagli “ciao” con la manina e spera che non sia qui per te».
«Quella è la Morte, Padfoot».
«Stesso senso, parole diverse».
Rimasero in silenzio qualche istante, fissando intensamente le foglie rossastre degli alberi scivolare a terra.
«Un centinaio» disse d'un tratto Sirius, sollevando il capo e guardandolo con sguardo torvo.
«Di cosa stai parlando?».
«Un centinaio di maledetti Babbani saltati in aria a Oxford Street».
Remus trattenne il respiro per un attimo, mentre un'ondata di raggelante panico gli intorpidiva la mente. Strinse convulsamente le dita e annuì appena.
«Lo so».
«Bell'autunno di merda» sputò con odio Sirius. «Foglie che cadono e gente che schiatta».
Distrattamente, Remus sollevò lo sguardo sul viso di pietra di un solenne crocefisso sulla sommità di una lapide. Mentre osservava i fini lineamenti del naso e delle labbra della statua, risentì la melodiosa voce della madre rimbombargli nella testa.
«E Gesù gridò a gran voce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”».
«Sopravviveremo a quest'autunno, Padfoot?» mormorò Remus, mentre guardava con fiacchezza l'amico.
Con una smorfia irriverente, Sirius lasciò cadere il mozzicone per terra e lo spense con un movimento nervoso del tacco.
«Amen, fratello».
   
 
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