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Autore: Niagara_R    25/12/2010    9 recensioni
Il giorno di Natale, è speciale per tutti, vero?
No?
Beh, Billie Joe Armstrong ne sa qualcosa. Questa storiella è una piccola sciocchezzuola, un regalo per me, per i Green Day, e per tutte le splendide persone che ci sono qui. Buon Natale e buona lettura.;)
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Un sipario si alza...

Un piccolo drago rosso fa la sua entrata in scena,

si guarda un po’ intorno e si schiarisce la gola.

- Buona Lettura - dice.

E parte la musica...

 

 

 

 

Present 4 U



Il rumore di uno schiaffo si alza nell’aria.
<< Ti ho detto tremila volte di non toccare le mie cose, troia! >>
<< Vaffanculo, ecco perché nessuno ti vuole, sei una manesca del cazzo! >>
Apro gli occhi sospirando. Svegliarsi con Holly e Marci che litigano come al solito non è affatto piacevole.
Infilo la testa sotto le coperte mugolando frustrato, cercando una posizione comoda per potermi rimettere a dormire, c’è un bel calduccio sul letto, sotto i cinque o sei panni che ci ho messo sopra per non morire assiderato.
Mi contorco un poco mentre le mie due sorelle litigano come delle iene, da quel che ho capito mi sembra che Marci abbia di nuovo preso in prestito senza chiedere una camicetta ad Holly, non avendo ancora capito che Holly è un’egoista fuori dal normale: chi tocca la sua roba anche per sbaglio si prende tutti i ceffoni che è in grado di sopportare.
Ho sempre pensato che Holly sia in realtà un uomo, dovrei controllare più approfonditamente.
Ma chi se ne frega, l’importante è che non venga a scocciare me.
Sento anche la voce di David, più bassa e tranquilla, e naturalmente gliene dicono di tutti i colori.
<< Billie, devo rifare il letto, esci alla svelta o mamma si incazza. >> David poi batte contro la mia porta, rigorosamente chiusa a chiave. Non sopporto quando piombano nella mia stanza, o dovrei chiamarla sgabuzzino, senza permesso, è l’unico barlume d’intimità che riesco ad avere in questa fottuta casa, detesto quando mi buttano fuori.
Mi trascino di malavoglia fuori dalle lenzuola, fa un freddo fottuto, ci saranno sì e no dieci gradi, mi infilo subito una giacca pesante e le ciabatte di due taglie più grandi della mia, eredità di Alan, e giro la chiave nella serratura, uscendo nel corridoio dove sento anche dei refoli di vento.
Che cazzo, chiudere le finestre no?!
Odio questa casa. E ci sono volte in cui odio anche quelli che ci abitano, tutti, indistintamente, uno dopo l’altro.
Vado in cucina, l’unico posto dove c’è sempre un po’ di tepore, mi appollaio sulla sedia a mo’ di gufo, raggomitolato nella giacca, dando un’occhiata a qualcosa di commestibile che potrei mettere sotto i denti.
Holly e Marci litigano ancora, credo che siano sulle soglie delle loro stanze, proprio un di fronte all’altra, è la cosa peggiore che ci sia tra queste mura, sono sorelle ma non si sopportano, Marci ogni tanto prende i vestiti o i trucchi di Holly per uscire e li rimette al loro posto senza che lei se ne accorga neanche.
Però quando se ne accorge comincia a polemizzare e fare la malora, apriti cielo. Credo che sia tutta invidia. Perché Marci ha tre anni in meno di Holly, però ha una quarta di seno, mentre Holly è piatta come una tavola piallata. La cosa mi sa che non le è mai andata giù, ogni volta che porta un ragazzo a casa questo finisce per guardare come un pesce lesso le tette di Marci, e inevitabilmente si prende uno schiaffo, e viene sbattuto fuori di casa da Holly.
E loro ancora a discutere alle ore più improponibili del giorno, o della notte.
<< Freddo? >> mi chiede Alan entrando in cucina. Annuisco senza parlare, con mezza faccia affondata nella giacca.
Alan è praticamente mio padre. O meglio, da quando papà è morto, lui è l’unica figura paterna su cui posso contare, è maturo e responsabile, non alza mai la voce e ha perennemente sulla faccia un’espressione sorridente, come se la vita fosse meravigliosa.
Io invece ho sempre una faccia che sembra voler dire che la vita è una merda. E sfido chiunque a darmi torto.
<< Stasera cosa fai? >> mi domanda posando di fronte a me una tazza di latte caldo con dentro sciolto un po’ di miele arraffato di nascosto al negozio, e una pasta sfoglia che non capisco dove possa aver preso tanto è buona.
<< Non lo so. Niente. >> Questo latte mi scioglie, lo mando giù lentamente aspettando che la dolcezza mi colpisca le mandibole, giuro che non so cosa farei se non ci fosse lui a farmi questi regali. Probabilmente creperei di freddo.
<< E’ la vigilia di Natale, dai, non vai da qualche amico? >>
<< Gli amici sono tutti occupati. Jim lavora, Allen è a Rodeo dalla sua famiglia, Phil e gli altri si sono presi una vacanza e sono andati a S. Francisco... >>
<< Anche a te sarebbe piaciuto andarci? >>
Alzo le spalle addentando la pasta, ha un ripieno di crema tiepida. Ok, potrei morire felice dopo questo.
<< Personalmente non mi frega se sono a S. Francisco o Roma o Madrid o che so io. Preferirei che la smettesse di nevicare! >>
<< Le previsioni invece hanno detto che nevicherà per un bel po’ di giorni, quindi quella giacca ti conviene tenertela stretta. >> sorride guardando l’orologio da polso << Ora devo andare. Fai il bravo, non far arrabbiare nessuno. >> Mi scompiglia i capelli ed esce dalla porta di servizio, sempre meglio che passare in quel porcile che è casa nostra.
Finisco di mangiare e sorseggio il latte, chiedendomi che cazzo farò per tutto il giorno.
E’ il 24 dicembre, il Rod's Hickory Pit è chiuso per vacanze, facendo sfumare sia il lavoro che mi avrebbe tenuto fuori di qui per un bel po’ di tempo, sia la possibilità di stare in un posto al caldo.
Detesto il Natale, non mi è mai piaciuto, c’è sempre un fottutissimo freddo e sembra che tutti si rincoglioniscano all’improvviso, tutti ti sorridono se hanno bisogno di qualcosa, ma se provi a fermarli mentre stanno facendo compere reagiscono alla stessa maniera di Holly.
Rodeo poi si svuota, metà della gente parte per andare dai parenti in altri stati, e quelli che rimangono sono quelli che i parenti li fanno arrivare, gente con un mucchio di soldi e ville oscenamente grandi, e la puzza sotto il naso.
Scuole chiuse, negozi aperti addobbati stupidamente a festa, neve che si infila nelle scarpe e un nervosismo generale che mi fa impazzire. Se fosse per me questi sarebbero giorni uguali a tutti gli altri, ma per la mamma... Mamma fa i doppi turni da metà novembre, e per cosa?
Per riuscire a comprare qualche regalo per le sue amiche, per addobbare uno striminzito albero sintetico in soggiorno, per permettersi per una volta una cena decente, e per le bollette che in questo periodo aumentano in maniera esponenziale.
E se la mamma è tesa, inevitabilmente anche tutti quelli che vivono sotto questo tetto lo sono, quindi diventano più nervosi, e se sono più nervosi diventano irritabili, e basta dire la parola sbagliata per far partire una discussione che può durare anche per giorni interi, fino all’inizio dell’anno nuovo.
Vaffanculo, odio il Natale.
<< ... ma sentila, ha parlato l’invidiosa, e cosa dovrei dire io? Non fai altro che provarti i miei reggiseni, però ti stanno larghi, sai?! >> Marci e Holly sono entrate a versarsi da bere. Litigando, ma toh, che coincidenza.
Non voglio assolutamente essere messo in mezzo, quindi mi ritiro nel silenzio più assoluto sperando di non essere notato, e filo in bagno, per una volta che lo trovo libero.
Poi torno in camera, rassegnato a togliermi la giacca e vestirmi, non ho voglia di stare in casa, o potrei scoppiare.
David mi ha rifatto il letto alla perfezione, è l’unico in casa che lo fa così bene, e mia madre ci tiene un sacco, ha sempre paura che qualche parente o amico possa venire a farci visita a sorpresa.
Ma chi cazzo vuole che venga da una famiglia come la nostra, se gli unici parenti che abbiamo sono i nonni, e siamo sempre noi che andiamo da loro?!
E soprattutto, chi vuole che venga nella mia camera da letto, un buco che visto dalla porta sembra uno sgabuzzino per le scope?!
Mi spoglio con la pelle d’oca che mi attanaglia, e mi infilo una maglietta, poi una maglia, poi un maglione, un paio di jeans pesanti e la giacca, poi una sciarpa intorno al collo, guanti, e mi tiro il cappuccio fin sulla testa, bardato come se dovessi andare in Antartide.
Cammino per il corridoio e torno in cucina uscendo dalla porta di servizio, mormorando un: << Io esco. >> tanto nessuno fa caso a me, a nessuno frega un bel niente.
Nevica, tanto per cambiare. Dal cielo scende questa specie di nevischio bagnatissimo che rende i marciapiedi scivolosi e inzuppa ogni cosa, scarpe e calze comprese, nel giro di neanche due minuti mi ritrovo a passeggiare sul bagnato come se fossi a piedi nudi.
Schifoso, schifosissimo inverno.
Faccio un giro a Rodeo, un buco imbiancato con qualche passante che si attarda per gli ultimi acquisti, pacchetti rossi e infiocchettati, roba che io non vedrò mai sotto quel coso cespuglioso che mia madre insiste a chiamare albero di Natale.
Tutti gli amici sono andati via, oppure hanno qualcosa da fare, pochissimi locali sono aperti e quindi stanno facendo il pienone, e chi non lavora può permettersi di starsene pigramente a letto a non fare niente, o almeno a non prendersi un fottuto accidente perché la loro madre vuol far fare bella figura al letto rifatto.
Passo praticamente tutta la mattinata a girovagare senza meta imbacuccato come un eschimese e coi vestiti fradici, non mi sento né le dita dei piedi né quelle delle mani, di entrare da qualche parte non se ne parla perché naturalmente occorre comprare qualcosa, e io non ho un soldo in tasca neanche a pregare in latino.
Sono intirizzito dal freddo, e ho come l’impressione che stia cominciando a nevicare più forte, tra poco sarò nei casini.
Ma non voglio tornare a casa. Non voglio tornare là, dove ogni cosa che faccio deve sempre essere giudicata da quelli più grandi di me, io devo sempre essere quello che fa quello che loro ordinano, io non posso fare niente perché non ho nessun diritto, dove non ho privacy, dove la mia intimità è un optional che non mi posso permettere, dove devo sempre stare zitto, devo ascoltare, devo fare questo, devo fare quello.
Ho diciassette anni, ed è come se ne avessi ancora cinque, i miei fratelli e le mie sorelle mi trattano come se fossi un cane randagio che non avrebbero voluto in giro per casa, l’unico che mi tratta normalmente è Alan, ma lui non abita più con noi, viene soltanto quando manca la mamma, e se ne va presto per andare al lavoro.
Mamma invece mi tratta con tutta l’indifferenza del mondo. Da quando sono stato espulso per la seconda volta dal liceo, credo che abbia smesso di credere in me, ha smesso di rimproverarmi se non mi vede studiare, ha smesso di chiedermi come va a scuola, ha anche smesso di accertarsi se io vada a scuola.
Una volta, mentre stavamo tornando a casa in macchina soli io e lei, mi ha detto: << Io ci ho rinunciato, adesso cavatela da solo, sono troppo vecchia per farti da madre. >>
Mi ha un po’ scioccato. Non ero pronto per sentirmi dire che non avevo più una madre. Ma d’altronde non avevo nemmeno un padre, cosa avrebbe dovuto cambiarmi?
Una vita di merda.
Mi fanno male le gambe, vorrei sedermi da qualche parte ma naturalmente è tutto coperto di neve, non so cosa fare, vorrei solo continuare a stare da solo, ma con questo freddo rischio di non arrivare a domani. E ho fame. Ho i crampi allo stomaco, ho mal di testa dal freddo, non mi sento più le mani o i piedi e sono stanco, vaffanculo!
C’è un solo amico che è rimasto in città. Ma io e lui abbiamo litigato l’altro giorno, e ancora non ci siamo rivolti la parola.
Non mi ricordo neanche perché abbiamo litigato, ricordo solo che si parlava di chitarre o uno spartito, e poi boh, nebbia. Mi manca Mike.
E’ da quel giorno che non lo vedo, da una settimana, non è venuto da me come fa di solito, vuol dire che è arrabbiato davvero, non mi aveva mai tenuto il muso per tanto tempo, neanche quando la tipa a cui andava dietro ci aveva spudoratamente provato con me.
Non mi piace litigare con Mike. Mi fa sentire perso.
In questo momento ho voglia della cioccolata calda con la panna che sa preparare lui, è bravissimo a cucinare, soprattutto il cioccolato, è qualcosa di magico, denso, cremoso, che mi fa perdere la testa solo a sentirne il profumo.
E mi piace anche Mike, mentre lo fa.
Mentre mi irrigidisco come uno stoccafisso perché una goccia mi è caduta lungo la schiena, prendo una decisione: vado da lui.
Senza accorgermene è quasi l’una passata quando arrivo alla sottospecie di magazzino dove lui abita non esattamente in regola, le strade di cemento sono tutte una lastra di neve e ghiaccio, mi avvicino cercando di non finire col culo per terra, e mi aggrappo alla grossa maniglia che è freddissima anche attraverso i guanti imbottiti. Tiro verso destra con tutta la forza che ho, la serratura è durissima, finalmente la sento cedere, e infatti finisco dritto a terra coperto di bianco, bagnato come un pulcino.
Fanculo, lo odio il Natale, lo odio tutto!
Impreco sottovoce ed entro, sperando di trovare Mike sui materassi a suonare, oppure sui tavoli mentre legge, lui a scuola non va affatto male, vuole prendere quel diploma a tutti i costi.
Però l’unica cosa che mi accoglie una volta entrato non è altro che un freddo polare, del mio amico neanche l’ombra, da nessuna parte.
Entro e richiudo il portone, le sue cose ci sono, sparse qua e là, e attaccata alla parete c’è una stufa di metallo, vecchia e un po’ divelta, l’abbiamo trovata io e lui in discarica mentre cercavamo l’arredamento. E’ vecchia, ma abbiamo già constato che funziona a meraviglia, rilascia un tepore meraviglioso, che mi manca da morire.
Vado immediatamente ad accenderla, ci infilo dentro due ciocchi di quel legno un po’ marcio e bruciacchiato e aspetto che l’atmosfera si scaldi, e intanto mi do un’occhiata intorno.
Non è cambiato molto dalla settimana scorsa, tranne che... Tranne che ha un alberello pieno di palle colorate e un filo di luci spente.
Rimango a guardarlo come in trance, giuro che questa non me l’aspettavo. E’ un albero vero, trapiantato in un vaso sbeccato e posato a terra, i balocchi non sono altro che carte arrotolate le une sulle altre e attaccate con un po’ di fil di ferro, noto dietro di lui la spina delle luci staccata. Il bello di questi capannoni è che l’allacciamento a elettricità, gas e acqua è ancora perfettamente funzionante, anche se nessuno mai viene a controllare chi ci sia dentro. Mi chino a raccogliere la spina e la infilo nella presa poco lontana, e le lucine si accendono, tutte di colori diversi, creando piccoli aloni luminosi in mezzo ai rami.
E’ bello.
Fa venire voglia di sorridere, dà una piacevole sensazione di calore, di familiarità, di intimità. Tutte cose che in casa mia non riesco a trovare. Qui, adesso, in mezzo al pavimento di cemento freddo coperto di polvere e cianfrusaglie, questo piccolo angolo curato, questo insignificante alberello fatto appositamente dalle mani di Mike mi fa sciogliere un poco, facendomi pensare che non odio poi così visceralmente il Natale.
Sta cominciando ad esserci calduccio, finalmente mi spoglio di tutto quanto rimanendo in felpa e jeans, mi tolgo le scarpe e le calze e le metto vicino al fuoco per farli asciugare, e mi siedo sui materassi pieni di panni, coperte e cuscini scoordinati raccattati un po’ ovunque.
Non so dove sia Mike, dove potrebbe essere andato? Una settimana senza di lui e non riesco più a trovarmi nella mia vita. Non mi ero accorto che fosse Mike a scandire le mie giornate.
Mi pento di aver litigato con lui, anche se ora non mi ricordo nemmeno perché l’ho fatto, vorrei chiedergli scusa, ma non ho idea di quanto tornerà, e se tornerà.
Mi sistemo sotto le coperte guardando le luci dell’albero accendersi e spegnersi, c’è silenzio, tantissimo silenzio, interrotto solo dal crepitio discontinuo del fuoco nella stufetta. Fuori nevica forte, si è fatta più intensa, non riesco nemmeno più a distinguerla dal colore perla del cielo, è come se tutto si fosse ovattato, niente più il rumore dei motori delle auto, niente più chiacchiericci, niente più Holly e Marci che litigano, niente più discorsi da adulti, niente più delusione nelle voci.
Mi piace stare qui, tra il caos e le cose mie e di Mike, sono nostre, e sono perfette così come sono, senza tanti problemi, senza aspettative o contaminazioni, siamo noi due, e mi piace un sacco.
Mi accoccolo sui cuscini, le coperte sanno di lui, hanno il suo profumo forte e secco, del suo sudore, della sua pelle chiara, mi sembra di sentire la sua voce calibrata, tranquilla, che mi fa sempre sentire a casa, dappertutto, sempre.
Faccio fatica a tenere gli occhi aperti, le lucine dell’albero si sfocano alla mia vista, finché non abbasso le palpebre, e scivolo lentamente sul materasso morbido.


C’è un buon profumo, buonissimo, che mi fa tornare in mente un sacco di ricordi piacevoli, anche se non riesco ad afferrarli, so che sono attimi di vita, forse i più belli che io abbia trascorso, ma non li vedo, non li sento sotto le dita, li provo, e basta.
Apro gli occhi lentamente, accorgendomi di non essere nella mia stanza minuscola, e non c’è neanche un freddo artico. Ci metto un po’ a capire dove sono, poi rammento di essere da Mike, sono entrato per parlargli ma senza trovarlo, devo essermi appisolato.
Dalle vetrate in alto vedo che fuori è buio, scurissimo, non capisco se abbia smesso di nevicare o sia talmente fitta da togliere la visuale. Che ore sono? Quanto ho dormito? Dio, a casa devono essere preoccupati...
Mi accorgo che una lampada è accesa. Mi isso sul gomito per vedere meglio, cercando magari di svegliarmi, sì, è una delle lampade appese alle travi che è accesa, esattamente sopra... Sopra Mike.
Mi sfrego gli occhi per accertarmi che non stia ancora sognando. No, lui è davvero lì!
Mi sta dando le spalle, sta trafficando coi fornelli, sento il rumore di metallo e stoviglie che tintinnano, un cucchiaio che viene girato in qualcosa, e il buonissimo profumo che credevo non fosse reale.
Le luci dell’albero sono ancora accese, e nella stufa ci sono altri due pezzi di legno che bruciano in un fuoco aranciato.
<< Oh, ben svegliato! >> esclama Mike. Mi metto seduto, coprendomi fino alle spalle.
<< Ciao. >> Ho paura che sia ancora arrabbiato con me, e per di più gli sono anche entrato in casa senza permesso e mi sono addormentato nel suo letto... Se non mi sbatte fuori adesso posso ritenermi fortunato.
<< Da quant’è che sei qui? >>
<< Era l’una passata quando sono arrivato... Volevo vedere se c’eri, ma non ti ho trovato. >> mormoro un po’ intimorito. Dannazione, proprio non riesco a ricordare perché avevamo litigato.
<< E hai deciso di aspettarmi facendo un pisolino. >> Sembra che sorrida, la cosa mi rassicura un po’. Mi volto verso l’orologio senza vetro appeso in un punto a caso nel muro, e cazzo, sono le dieci passate, è tardissimo, e io che credevo di aver dormito solo due orette al massimo.
La mamma starà sputando veleno per la mia assenza.
<< Ho chiamato a casa tua, gli ho detto che eri con me. >>
<< ... Davvero? >>
<< Sì. >> Gira un pomello del gas, prende due ciotole versandovi dentro qualcosa.
<< Ah. >> Perché mi sento così in imbarazzo? Che diamine, lui è Mike! << Da quanto sei tornato? >>
<< Io sono tornato alle tre, ma quando ti ho visto ho immaginato che non te ne saresti andato molto presto. Quindi sono uscito di nuovo. >>
<< Perché? >>
Mike mette le due tazze su un vassoio, poi si muove verso il letto, inginocchiandosi accanto a me.
Cioccolata calda con panna montata.
<< Per andare a comprare un po’ di cose. >> mi sorride.
Sono senza parole.
Poggia il vassoio sul letto e mi scavalca, sedendosi accanto a me e infilandosi sotto le coperte, mi mette una tazza tra le mani, tenendo l’altra per sé.
Non ci posso davvero credere, mi sembra di stare ancora dormendo, e che questo sia tutto un sogno. Quando vengo investito dall’aroma di cacao dolce spero di non svegliarmi.
Assaggio un po’ di panna col cucchiaino, e poi la cioccolata, che mi si scioglie in bocca, morbidissima, dolce quel tanto che basta per renderla semplicemente perfetta, vellutata e cremosa, con quel retrogusto di cannella e una qualche altra cosa che non so dire, ma che la rende buonissima, inconfondibile. Di Mike.
<< Non avresti dovuto. >> dico, mi sembra il minimo, dopo una settimana passata a non parlarci o vederci nemmeno.
<< Ho voluto. >> sorride lui, facendomi arrossire. Con lui non riuscirò mai a sembrare il più grande, nonostante lo sia.
Appoggio la schiena alla parete sfiorandogli il braccio, infilandomi in bocca cucchiaio dopo cucchiaio, lentamente, per assaporare questa sensazione gradevole e per stamparmela dentro e fuori, desiderando che non svanisca mai da me.
Rimaniamo in silenzio, gomito a gomito senza dirci niente per una decina di minuti, il tempo di finire di bere, e di abituarsi a quest’atmosfera che si fa sempre più calorosa e gradevole ogni secondo che passa.
Sto bene.
<< Scusami. >> mormoro.
<< Per cosa? >>
<< Perché mi sono fatto trovare in casa tua senza essere stato invitato... E scusa perché abbiamo litigato. >> Anche se non so per cosa, per chi, non m’importa. Voglio solo che non ci sia niente di stupido a rovinare la nostra amicizia.
Sorride appoggiando le tazze vuote sul vassoio, sul pavimento. Poi mi lancia un’occhiata trafiggendomi coi suoi occhi azzurri, dello stesso colore del cielo in procinto di nevicare, gelido e infinito. Mi fa avvampare.
<< Tu non ricordi nemmeno perché abbiamo litigato, vero? >>
Sei cretino Billie Joe, fattene una ragione.
Scuoto la testa con un’espressione colpevole, mi sento un po’ un idiota ad essere sempre così vulnerabile nei suoi confronti, sono un libro aperto con le lettere scritte in stampatello, non riesco a nascondergli niente.
Ride passandomi un braccio intorno alle spalle, trascinandomi a sé.
<< Certe volte mi viene voglia di tirarti i capelli tanto sei... >> Mi perdo nei suoi occhi chiarissimi, senza parole, senza pensieri, col cuore che batte forte. Si sporca le dita di cioccolato, e me le passa a tradimento sulle labbra.
<< Mike! >> esclamo scoppiando a ridere, sto per togliermela quando lui mi ferma, e in meno di un secondo me lo ritrovo vicinissimo, col suo respiro nel mio, e io perdo un battito.
<< Tanto sei stupidamente dolce... >> Mi bacia sulle labbra, soffici, accoglienti, bollenti, che immediatamente mi trasportano in un’altra dimensione, mi fanno sentire come se non avessi bisogno di nient’altro in tutta la mia vita. Chiudo gli occhi lasciandolo fare, inizia piano a suggermi la bocca, pianissimo, languidamente, con un delizioso retrogusto di cioccolato, le sue dita mi cingono delicatamente le braccia, avverto il suo profumo, il suo calore tutto intorno a me, protettivo, eccitante, pacifico. Socchiudo le labbra permettendogli di scivolarvi attraverso, andando a richiamare la mia lingua, fremo per un lungo attimo, attraversato da un brivido bollente, gli passo le braccia intorno al collo avvicinandomi al suo corpo, mi stringe forte, finiamo sul materasso abbracciati a scambiarci un focoso bacio passionale, mi sembra che non faccia più tanto freddo, anzi, sta cominciando a fare caldo, caldissimo, mi lascio prendere dalla sua bocca voluttuosa e dalle sue mani grandi, me le sento ovunque, sotto la maglietta, nei capelli, sui glutei, lungo il viso, sento i suoi muscoli incastrarsi alla perfezione nei miei, intrecciandoci senza mai staccarci.
Rimaniamo così per tantissimo tempo, uno sopra l’altro a cercarci, a sorriderci nella penombra, a parlare solo con gli sguardi, è bello, stupendo.
In tutta la mia vita non ho mai sentito il bisogno di stare lontano da lui, da Mike. Cerco la solitudine quando qualcosa va male a casa, quando sono di cattivo umore, quando è una giornata storta, quando niente va per il verso giusto, voglio stare lontano da tutti, ma mai da Mike.
Mike è il mio porto sicuro, la mia ancora, la mano che voglio mi sia tesa, la spalla su cui piangere, il bacio da ricevere.
Solo Mike, a completare il mio mondo imperfetto.
Mi sfiora le guance, accarezzandomi i capelli, specchiandosi nei miei occhi, ho la sensazione di caderci dentro, toglie il fiato, e mi fa sentire dannatamente bene.
<< Che stupido che sei. >> mi ripete a fiori di labbra, e ci mettiamo a ridere insieme.
<< Grazie. >>
<< Lo sai perché me la sono presa? >> Scuoto leggermente la testa accoccolandomi meglio su di lui, appoggiando la fronte contro la sua << Hai detto che odi il Natale. >>
Lo guardo perplesso. Adesso mi ritorna in mente, è stata quella volta da Pit prima che chiudesse, io e Mike ci eravamo messi a parlare, ed era nata una stupidissima discussione senza capo né coda.
<< E ti sei arrabbiato per quello? >> Sì, sto decisamente rivalutando la cosa << Allora tra i due lo stupido non sono io. >> annuisco con finta convinzione, lui ride e mi tira i capelli, e poi mi bacia.
<< Hai detto che lo odi perché è il momento in cui tutti danno il peggio di sé. >>
<< E’ vero... >> Mi tornano in mente Holly e Marci, mia madre, tutti gli altri. Tutti che fanno finta di essere buoni, gentili, caritatevoli, tutti che si immedesimano in una parte che non è la loro, e che li fa diventare nevrotici, sgarbati e ipocriti.
<< Tu non hai fiducia nelle persone. >> sorride Mike accarezzandomi a mo’ di gattino, mi abbandono sulla sua spalla accogliente.
<< Sei tu che sei sempre troppo ottimista. >>
Lui, che riesce sempre a vedere il lato buono di ogni cosa, dopo tutto quello che ha passato, dopo tutto quello che ha dovuto subire, affrontare, scavalcare, ha ancora voglia di sorridere alla vita.
<< No, sei tu che sei stupido. >> Mi alza il viso con la punta delle dita << L’albero ti piace? >>
Mi sfugge un sorriso.
<< Sì, tantissimo. >>
<< Vedi? >> Rido, so dove vuole andare a parare. E so che ha ragione. So che me la sto prendendo per niente, so che non tutto quello che mi circonda tira fuori il peggio di sé, so di non essere positivo, e so di esserlo ingiustamente. Per fortuna c’è sempre lui a ricordarmelo.
<< E tu invece hai addobbato quel coso per...? >>
<< Non chiamarlo così, non hai idea di quanto tempo ci ho messo per fare i balocchi! >> Mi da un pizzicotto su un fianco per dispetto << Ho lavorato da Jani’s per un’intera settimana e intanto me ne prendevo cura, dimostragli un po’ di rispetto! >>
Lo guardo interrogativo. Mike ha lavorato da Jani’s? Al negozio di dischi di Jani?
<< Ma non dicevi che avresti preferito vederlo morto piuttosto che lavorare per lui? >>
<< Se è per questo lo penso ancora. >> replica secco << Ma è l’unico che mi ha preso all’ultimo minuto, quindi non potevo lamentarmi! >>
Mike lavora con me al Rod's Hickory Pit, perché ha avuto bisogno di farsi assumere da uno che non possiamo neanche vedere da lontano?
<< Ho speso quel poco di risparmi che avevo per cambiare quel pezzo al basso, finalmente. >> mi spiega leggendomi nel pensiero << E poi... >>
Mi fa alzare da lui, va a prendere la giacca e fruga in una delle tasche sdrucite.
<< E poi avevo bisogno di soldi per questo. >>
Ricade sul materasso accanto a me, porgendomi una scatolina nera con un fiocco rosso intorno.
Non ci posso credere.
Lo guardo senza parole, non me l’aspettavo assolutamente. Ecco perché per tutta questa settimana non ci siamo visti, ecco perché ha dovuto cercare un lavoro da un tizio odioso dalla faccia poco raccomandabile, ecco perché lo amo.
<< Buon Natale. >> Mi abbraccia chiudendomi le labbra con le sue, lo stringo forte, emozionato, mi sento sciogliere, sento svanire tutto il ghiaccio che avevo intorno al cuore, l’amarezza, la solitudine, il livore, tutto, adesso siamo qui insieme, al caldo, l’uno accanto all’altro, non riesco a non essere felice, non riesco a non essergli grato per essere quello che è, il mio migliore amico, la mia anima gemella, il mio silenzio, la mia voce, lo specchio della mia anima, Mike, sempre e inconfondibilmente Mike.
Sto quasi per mettermi a piangere.
<< Ti voglio bene. >> gli sussurro all’orecchio, non ho altre parole da dirgli, non servirebbero. Quando siamo insieme non serve nient’altro.
<< Dai, aprilo. >> mi sorride teneramente, spettinandomi i capelli.
Gli do un ultimo bacio sulla guancia, e afferro la scatolina, è leggera e non fa rumore, disfo il fiocco scarlatto e mi blocco un momento prima di togliere il coperchio.
<< Che c’è? >> mi chiede. Lo guardo un po’ titubante, imbarazzato. Non ho mai pensato di poter dire di essere la persona più fortunata di questo mondo.
<< Perché l’hai fatto? >>
Mi fa un sorriso languido che mi trapassa da parte a parte, mi sento completamente svuotato di ogni cosa che non sia questa sensazione di completezza assoluta, è meravigliosa, è anche terribilmente destabilizzante, ma la sento mia, vibrante e passionale.
Si avvicina e mi posa delicatamente un bacio sulla fronte, dolcissimo, che mi fa dimenticare tutto il resto.
<< Farei qualunque cosa per te. >> bisbiglia vicinissimo al mio viso, carezzandomi con lo sguardo limpido, arrossisco come una ragazzina, ma non m’importa.
Posa la mano sulla mia, e insieme togliamo il coperchio alla piccola scatola nera.
Sbatto le palpebre un po’ sorpreso.
E’ un cuore argentato.
Mike ci infila le dita e lo estrae dal velluto in cui è incastonato, e mi accorgo che in realtà sono due collane, e il cuore e composto da due ciondoli infranti nel mezzo che combaciano perfettamente.
<< Lo so che è un regalo banale. >> dice dividendoli << Ma è il meglio che mi potevo permetter... >>
Lo bacio senza aspettare che finisca di parlare, lo abbraccio con foga, annego nel suo respiro, nel profumo caldo della sua pelle, sento il cuore battermi ovunque, e mi sento felice, incondizionatamente felice, leggero, vivo, ho voglia di fare qualunque cosa, di dire qualunque cosa, mi sento forte, senza dubbi, senza remore, senza pensieri, semplicemente felice.
Talmente felice da sentirmi in grado di fare qualsiasi follia per lui.
<< Beh... Sono contento che ti piaccia! >> ride Mike quando ci dividiamo, ha le guance rosse, è la prima volta che lo vedo imbarazzato, mi fa una tenerezza incredibile, mi viene voglia di non lasciarlo mai e strapazzarlo di coccole.
<< Mi piace un sacco. Mettimela. >> Apre il piccolo gancio argentato della catenella e me lo passa intorno al collo, chiudendolo << Credevo non sopportassi le collane. >> gli sorrido divertito.
<< Infatti non le sopporto. >> annuisce convinto << Ecco perché faccio così. >> Fa due giri alla catenella e se la infila al polso, incastrandola con gli altri bracciali di metallo e stoffa che indossa, in modo da confonderla, solo il ciondolo è in bellavista << Così non rischio neanche di perderla. >>
Rido. E’ la prima volta da non so quanto tempo che mi viene da ridere davvero, perché mi va, perché mi sento pronto per farlo, perché sono contento, allegro.
In un magazzino abbandonato e sequestrato da un bassista fuori di testa, seduto su un agglomerato di materassi stesi sul cemento freddo, con una stufa vecchia e un minuscolo alberello di Natale, con un mezzo cuore d’argento al collo, sono di buon’umore.
Sì, adesso mi sento bene.
<< Scusami se in questi giorni non sono venuto da te, ma davvero non ce la facevo, quello stronzo di Jani non mi ha lasciato un attimo di respiro! >> mi dice intrecciando le dita con le mie, scuoto la testa, non m’importa, l’unica cosa che conta adesso siamo noi due, l’uno accanto all’altro.
<< Mi sei mancato. >> mormoro guardandolo negli occhi, non mi stancherò mai di farlo, non mi stancherò mai di perdermici, di specchiarmici, di imprimerli nella mente e non dimenticarmeli mai << Però io... Non ho nessun regalo per te... >> Cazzo, che deficiente! Lo sapevo che avrei dovuto pensarci!
Mi solletica il mento sfiorandomi le guance, dandomi un bacio.
<< Trovarti qui è stato un bellissimo regalo. >>
Arrossisco l’ennesima volta, senza riuscire a resistergli. E’ perfetto. Lui è perfetto. Mi ritrovo a pensare che vorrei averlo sempre accanto, tornare a casa e trovarvi lui, svegliarmi la mattina col suo profumo addosso, poterlo abbracciare quando voglio, sentire la sua voce prima di addormentarmi, sentire la sua presenza ovunque io vada.
Sono un fottuto egoista, lo so. Ma non ci posso fare niente.
<< Hai fame? >> mi chiede, e scopro di starci morendo, dalla fame, non metto niente sotto i denti da stamattina dopo la colazione di Alan, fuorché la cioccolata con la panna che mi ha preparato Mike << Bene... Le pizze sono a scaldare nel forno! >> sorride compiaciuto << E ho preso anche le patatine fritte! >>
Cosa posso volere di più?
Mi bacia e mi fa sdraiare sul letto, stringendomi i fianchi, mi lascio andare tra le sue labbra, sotto i suoi movimenti dolci, accoglienti, cadenzati, a contatto con la sua lingua morbida, estasiante.
Lo amo.
Gli prendo il viso tra le mani, intreccia le dita con le mie, scambiandoci un sorriso candido, intimo, interminabile.
<< Ti amo. >>
<< Prima o poi ti sposerò, Billie Joe Armstrong. >>


*Fine*

 

*Livin Derevel spunta dal nulla*

Wiiiii, ma buonasera!:D Sorprese, vero? No? Ok, immagino che qualcuno ormai avesse intuito questa mia mossa, dai, ormai ne avevo parlato a iosa...

 

Beh, ci tengo a precisare che questo è il mio personalissimo regalo di Natale per voi, per me, e per i nostri due piccioncini protagonisti, siccome era da un bel po’ che non li si vedeva così sdolcinatamente insieme!U_U

In fondo il titolo era eloquente, no?;)

Ok, ammettiamolo, non è una FF bellissima (diciamo pure che fa un po’ schif), ma credetemi, mi sono impegnata un sacco per scriverla!>_____< Non vi rendete conto di quant’è stato difficile! Quindi spero che apprezzerete!U.U

P.S. Billie possiede davvero un ciondolo a forma di mezzo cuore. Voi traete le vostre conclusioni.

 

 

 

Obviously:

Questa FF, seppur non bellissima, è dedicata a Eli, Shareal e QueenSeptienna.

Loro sanno perché.;)

 

 

 

BuonNatale

Con tutto il cuore.

   
 
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