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Autore: unleashedliebe    27/12/2010    4 recensioni
Germania 2009: Iris spense il televisore, scocciata. Davano la solita intervista dei Tokio Hotel, ormai erano ovunque! Stavano raccontando della loro infanzia, del fatto che non avevano amici: cazzate! Lei per loro c'era sempre stata, sempre. La fame poi glieli aveva portati via, lasciandola senza amici e senza il suo ragazzo, Tom. Da quel momento, la sua vita era diventata monotona e invivibile.
Germania 2009: Iris è cambiata, la sua vita è cambiata, grazie a lui. Come? Leggete e scopritelo.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: I Tokio Hotel non mi appartengono (magari!), questa storia non è stata scritta con scopo di lucro. I fatti narrati non coincidono con la realtà, in quanto sono frutto
della mia mente malata. E' nata come one shot, poi sviluppandola, mi sono dilungata ma ho preferito pubblicarla solo in un capitolo.
Per questo, è abbastanza lunga. Detto questo, spero la storia vi piaccia. Vi lascio alla lettura :)

***

Immagine fatta da me (C)

Geht nie vorbei

"I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am"

(Iris, Goo Goo Dolls)

***

Era luglio e il tempo era abbastanza caldo lì a Magdeburgo.

Iris tentava inutilmente di studiare le ultime pagine di storia, il giorno dopo avrebbe avuto l’esame di maturità e, finalmente, avrebbe abbandonato quel buco di scuola per iniziare una nuova parte della sua vita. Non sapeva cosa avrebbe fatto, era indecisa se andare all’università o meno: il cervello c’era, non aveva mai avuto problemi a scuola, era portata per la matematica, ma anche per le materie umanistiche. Era una ragazza veramente intelligente, sveglia e furba. Per questa ai professori non piaceva, senza contare il suo look decisamente fuori dagli schemi. Era longilinea, snella e molto alta; capace di congelare le persone con una sola occhiata, merito dei suoi occhi quasi neri. Portava i capelli corti, erano lisci e di un bel castano. Fino a tre anni fa, le arrivavano alla vita ma, in un momento di rabbia, aveva afferrato un paio di forbici e aveva tranciato. E tranciato. E tranciato.

Era un gesto avventato e stupido, ma in quel momento si era sentita bene, sollevata.

Aveva detto addio alla sua folta chioma per lui, perché s’era incazzata e doveva trovare una valvola di sfogo. Ma ormai era passato tanto tempo da allora, lei era cresciuta e anche lui; non si erano neanche più visti, tutto ciò che portava a quel ragazzo era stato cancellato, foto, oggetti.. tutto.

La giovane sbuffò, sollevò la maglietta extra large per arieggiarsi un po’; ripose il libro di storia a terra, ormai non aveva più voglia di studiare, le conoscenze c’erano: per ottenere il massimo dei voti, l’unica cosa era cercare di vestirsi in maniera normale. Ma cos’è la normalità? Per lei era indossare camicie scozzesi o felpa di qualche taglia più grandi e jeans strappati, senza abbandonare le amate sneakers colorate. Per gli insegnanti no, per questo per affrontare l’esame orale era stata costretta dalla madre a optare per vestiti più ordinari: t-shirt nera, jeans senza strappi e un brutto paio di ballerine con un fiocchetto.

Per una volta però, poteva andare. Probabilmente finito tutto e ricevuto il voto, avrebbe mandato a quel paese professori e compagni di classe.

Fece un po’ di zapping ma, non trovando nulla di interessante, optò per il solito canale musicale “viva”. Se ne pentì subito, c’erano loro, doveva immaginarselo, erano ovunque! Storse il naso, non cambiò rete, voleva sentire cosa avrebbero detto stavolta. Osservò i quattro attentamente, alla ricerca di qualche cambiamento.

Il suo sguardo vagò sulle loro figure, squadrando e immagazzinando dati: il cantante aveva un nuovo tatuaggio al braccio, lampeggiavano una parola scritta in corsivo e un numero Freiheit 89. Gli altri non avevano subito particolari modificazioni, erano più curati, d’altronde ora erano star. Tese le orecchie e prestò attenzione all’intervista, cercando di non lasciarsi andare ai ricordi.

«Parlateci del nome “Tokio Hotel”. Perché vi chiamate così?» Chiese la conduttrice, la solita domanda di rito, quando si parla di originalità! A rispondere fu, ovviamente, il cantante. Diede le solite motivazioni, nominando anche il nome precedente, Devilish. Iris sorrise, si ricordava anche quando erano solo lui e il gemello, i Black Questionmark, avevano circa otto/nove anni e cominciarono a sfornare i primi accordi.

«Vi piaceva andare a scuola?» Che domanda idiota, come chiedere a un cavallo se sognava di diventare una bistecca! Ovviamente la risposta non si fece attendere, stavolta rispose il chitarrista.

«Per niente! Io e Bill eravamo anche in classe insieme, poi gli insegnanti ci hanno separato perché non riuscivano a tenerci a bada, un incubo! Inoltre, non andavamo d’accordo con i nostri compagni di classe, per loro eravamo i diversi e non mancavano di farcelo notare. Non è stato un bel periodo, non avevamo amici se non noi stessi» gli altri quattro annuirono, la mia rabbia salì. Si sentiva tradita: conosceva i Kaulitz da sempre, erano amici fin da piccoli, dall’asilo. Ne avevano passate tantissime insieme, non aveva mai negato loro il suo appoggio e sostegno, ad ogni esibizione lei era lì a fare il tifo per loro, partecipava alla formazione dei testi e non riusciva a immaginare una possibile vita senza la loro presenza. Erano i suoi migliori amici e, come se non bastasse, era innamorata di Tom da.. sempre! Tutti i suoi momenti più belli lo vedevano come protagonista, peccato fosse lo stesso per quelli più brutti. Ricordava come, a quattordici anni, aveva confabulato con Bill per riuscire a capire come conquistare il fratello e, di come il piano fallì. Tutto andò miseramente in fumo perché il chitarrista l’aveva baciata cogliendola all’improvviso, prima che la macchinazione per conquistarlo iniziasse. Aveva ammesso di essersi innamorato di lei e, lei di lui. Passò i dodici mesi più belli della sua vita, ma si sa che nulla dura per sempre, soprattutto a quell’età. I sogni di una storia d’amore durata furono spezzati dalla notizia più bella che i quattro potessero ricevere: il loro manager David Jost aveva procurato un contratto e una casa discografica, coronando il loro più grande desiderio: un disco. In Germania, Francia, Polonia, Austria, Repubblica Ceca, Giappone e Canada il giorno 19 settembre 2005 uscì Schrei, cd che avrebbe poi cambiato la vita di milioni di adolescenti, del gruppo e di Iris. Il singolo Durch den Monsun raggiunse in pochissimo tempo la vetta delle classifiche, catapultando i Tokio Hotel e in un nuovo mondo.

La sedicenne era felicissima per i suoi ragazzi, ne era orgogliosa. La situazione però cambiò radicalmente con una semplice frase pronunciata dal ragazzo che amava.

«Iris, abbiamo deciso di abbandonare la scuola» Pronunciò con calma, prendendo un respiro per sparare la notizia successiva. «Ci trasferiamo ad Amburgo, siamo più vicini allo studio» Si domandò se il giovane avesse sentito l’esplosione di un cuore che andava in mille pezzi, evitava di guardarla negli occhi. Avrebbe visto uno sguardo vacuo, occhi lucidi e poi un labbro tremante, troppo orgogliosa per piangere.

«Ti prego, non fare così!» La supplicò stringendola in un abbraccio caldo. «Non voglio vederti piangere, non devi stare piangere. Ci tengo a te, non voglio perderti!» Bastarono quelle parole a fare riacquistare la speranza, le promise che non l’avrebbe abbandonata, perché l’amava, l’avrebbe chiamata sempre.

Fu così, si sentì regolarmente con Bill, Gustav, Georg e Tom per tutto l’anno poi però, bastarono un paio di foto a farle cadere il mondo addosso.

Ad ottobre uscirono delle immagini di Tom ad una festa e, non era solo. Ballava con Ann Kathrin, una bella ragazza, e la toccava troppo. Infine, c’era quella che l’aveva fatta cadere in depressione: lui e l’altra si stavano baciando. Si sentì presa per il culo, ripensò a tutte le belle parole che s’erano scambiati, ai bei momenti che avevano vissuto. Si sentì tradita, tutto ciò che le era stato promesso era solo una grande cazzata, una balla.

Bill l’aveva chiamata e l’aveva trovata in lacrime, provò a consolarla, cercò di farla ragionare. Affermava che era solo ubriaco e non c’era stata nulla se non un bacio. Non disse nulla, ascoltò solo quello che il frontman le raccontava, non aveva la forza di ribattere, urlare o insultare. Tom la chiamò una volta, lei non rispose.

E lui si arrese, dopo una singola chiamata. Questo le faceva male, non lottava per il suo amore. Era diventato famoso, poteva fare benissimo a meno di lei. Di conseguenza, anche i contatti con gli altri tre cessarono, semplicemente non si cercarono più.

Ogni volta che, nelle interviste, raccontavano della loro infanzia e del bullismo a scuola, le saliva la rabbia. Era tutto vero, dagli insulti alle botte che ricevevano. Ma non dovevano dire di essere soli, di non avere amici. Lei c’era! C’era sempre stata e avrebbe continuato a esserci se non l’avessero esclusa così.

Passava poi dalla collera al pianto, odiava piangere. Veramente, non lo sopportava. Ma le mancavano troppo quei quattro tedeschi, soprattutto i gemelli! E si sentiva una stupida, perché se si fossero presentati lì da lei sicuramente non avrebbe avuto il coraggio di mandargli via, era troppo legata a loro.

Ricordava come fosse stata male il marzo del ’08, dopo aver seguito il servizio al telegiornale che annunciava la necessità di un’operazione alle corde vocali di Bill. Avrebbe tanto voluto andare da lui, consolarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene, non poteva però. Fu tentata d’andare da Simone – la madre – e chiedere di poter andare da lui. Il problema era che, anche lei, si era trasferita e non sapeva dove. Provò poi a chiamare il ragazzo ma, logicamente, aveva cambiato numero. Fece l’unica cosa che era possibile: scrisse un biglietto, un semplice foglietto di carta e lo inviò alla carta discografica. Era certa che non l’avrebbe mai letto, si sarebbe perso in mezzo alla montagna di lettere delle fans. Scrisse una semplice frase, sicura che, se per qualche miracolo l’avesse preso in mano, avrebbe capito.

“Tornerai a cantare come solo un Schöne Zweig come te sa fare”

Schöne Zweig, era il soprannome che gli aveva affibiato quando aveva dieci anni, significava bel ramoscello. Bello perchè era carino, ramoscello perchè era davvero magro.

Non immaginò che il cantante, incuriosito da quel foglietto nero che spiccava in mezzo a tante lettere colorate, l’avrebbe preso e letto mentre un sorriso affettuoso nasceva sul suo viso.

Finita l’intervista, sospirò e andò a letto. La notte non dormì molto, sia perchè era in ansia per gli esami, sia perchè le succedeva ogni volta che si lasciava andare ai ricordi.

«Iris, svegliati! Hai l’esame fra due ore!» Disse la madre mentre alzava tutte le veneziane e toglieva il lenzuolo dal letto della figlia. «Oddio, non hai dormito stanotte eh? Ho già preparato la colazione giù, quando hai finito ti do una sistemata» La ragazza mugugnò qualcosa in risposta e scese come un automa in cucina, beandosi di ciò che la donna le aveva preparato: waffel al cioccolato e una tazza fumante di the caldo. Sorrise, per quanto sua madre potesse essere insopportabile, le voleva bene. Mangiò tutto con estrema lentezza e, salita in camera, trovò la genitrice che l’accolse con il suo kit di trucco in mano. Iris non si truccava mai, si preferiva al naturale.

Mezz’oretta dopo, tutte le imperfezioni della sua pelle – neanche tante comunque – sparirono, insieme alle spaventose occhiaie dovute alla notte insonne.

In preda a un attacco di nervosismo, si recò a piedi verso il Kurfürst-Joachim-Friederich Gymnasium e notò che tutti gli altri studenti erano nelle sue stesse condizioni. Fu accolta dal sorriso dell’unica vera amica che aveva, Kläe. Era una ragazza carina, dai capelli ricci e scuri, occhi castani e fisico asciutto. Se, dopo la partenza dei Kaulitz non ci fosse stata lei, probabilmente sarebbe diventata terribilmente depressa.

«Iris buongiorno!» le disse stringendola in un mega abbraccio, sapeva che non era un tipo molto affettuoso, ma era l’unica a cui erano concesse dimostrazioni d’affetto oltre a..loro. «Fra 10 minuti tocca a te! Sei l’ultima diplomanda dell’anno dell’89! In ansia?» domandò. La sua risposta non si fece attendere. «Peggio! Guarda poi come mi ha fatto vestire mia madre, secondo lei era l’unico modo per ottenere il massimo dei voti, che cavoli! Quando escono i risultati poi?» Sorrise del suo nervosismo. «In teoria sono già pronti, manca solo il tuo di voto, quindi quando avrai finito la tortura, sapremo come si conclude la nostra avventura scolastica!»

Iris non fece in tempo a rispondere che fu richiamata dentro dai professori. Con passo deciso entrò nella stanza e trattenne le risate notando le facce degli insegnanti dopo aver appresso che aveva abbandonato i vestiti xxl per indossare cose più piccole. La tennero dentro una lunghissima ora, dapprima lasciandola esporre, poi tempestandola di domande per metterla in crisi, senza successo!

«Kläe finalmente anche questa è fatta!» disse correndo dalla ragazza e sorridendole allegra.

Tirò fuori una sigaretta, per sfogare il nervosismo accumulato e per ingannare l’attesa dei risultati.

Le due amiche si sedettero vicine in religioso silenzio. Dieci minuti dopo la terribile professoressa di tedesco Schiffer uscì dalla stanzetta con un foglio in mano. Tutti gli studenti si azzittirono e l’accompagnarono con lo sguardo mentre affiggeva i risultati al muro. Appena si girò per andarsene, tutti saltarono su per vedere com’era andata. Kläe urlò soddisfatta, ce l’aveva fatta per poco. Iris invece si trattenne dal mettersi a saltellare, promossa con il massimo, il voto più alto di quell’anno. Forse la madre aveva ragione per il fatto dei vestiti.

«Festeggiamo stasera?» Domandò l’amica. «Ho pensato che potremmo andare a Berlino, hai presente il Summer?» l’altra annuì, era un locale molto esclusivo, frequentato soprattutto da vip e celebrità, l’entrata comprendeva anche le consumazioni, infatti era parecchio caro, costava cento euro e bisognava essere in lista.

«Il ragazzo con cui sono uscita la settimana scorsa, Hans – ti ricordi chi è no? Stasera fa il buttafuori lì e può farci entrare gratis, senza essere in lista e senza fare troppa coda» Iris pensò a ciò che le aveva detto. Non era una ragazza a cui piaceva fare festa, per nulla! Però l’amica sembrava parecchio entusiasta e un po’ di svago le avrebbe fatto solamente bene, perciò annuì e alle otto di sera di ritrovava in treno diretta a Berlino.

L’amica per l’occasione indossava un bellissimo vestito corto, aderente e nero; ai piedi un paio di scarpe con tacco a spille. L’altre, nonostante l’insistenza, aveva optato per una maglietta a maniche corte nera, che le lasciava scoperta una spalla e con una stampa sopra. Niente minigonna, preferì un paio di short neri e ai piedi le solite sneakers colorate. Il viso era pulito, senza un accenno di trucco.

Arrivarono davanti al locale intorno alle dieci di sera, c’era già una fila lunghissima. Tutte ragazze molto svestite, c’era puzza di bruciato. «Amica mia, tu sai perché ci sono tutte queste donzelle? E soprattutto perché fra poco mi ritrovo sorda?» Domandò Iris, ricevendo in cambio un’occhiata colpevole che non riuscì però a decifrare.

Come promesso, Hans fece entrare le due ragazze senza fare coda e gratis, ricevettero per questo parecchie occhiate invidiose. «Tu mi nascondi qualcosa» esordì la castana. «No, ma cosa stai dic..» non finì la frase perché tutta la sua attenzione fu catturata da qualcosa dietro l’altra. Quest’ultima, curiosa e sospettosa, si girò anch’essa e notò con orrore il motivo dello strano comportamento: i Tokio Hotel erano saliti sul palco del locale.

Vederli li fu un colpo al cuore. Sperava in un’allucinazione, invece erano proprio loro.

«C-c-os’è questa s-s-toria? Lo sapevi?» domandò Iris confusa e con voce tremante. «Io.. scusami. So che ci stai male, quando ho saputo che suonavano qui ho fatto di tutto per poter entrare, l’ho fatto per te. Hai un conto in sospeso con loro, non riuscirai a essere sincera finchè non risolverai tutto, non avercela con me, ti prego» le rispose. «Non so.. non so che dirti. Non ce la faccio! Cosa dovrei fare? Andare da loro e salutargli? Figurati, mi hanno cancellata sicuramente. Hanno altro a cui pensare» rispose risoluta per poi spostare lo sguardo al palco.

Bill aveva preso in microfono e si accingeva a cantare, partirono i primi accordi di chitarra.

Il cervello della giovane riconobbe subito quella canzone, era una delle più belle che avevano fatto, secondo lei. Non riusciva ad ascoltarla però, le parole le sembravano troppo false: Ich bin da, ma non c’era, l’aveva lasciata.

“Ich bin da,
Ich bin da, wenn du willst.
Ich bin da, ganz egal wo du bist.
Ich bin da, schau in dich rein dann siehst du mich.
Ganz egal wo du bist.
Wenn du nach mir greifst dann halt ich dich.
Ich bin da wenn du willst, ganz egal wo du bist„

Una prima lacrima percorse il viso della ragazza, non riusciva a staccare lo sguardo dal frontman, gli era mancato così tanto, era il suo migliore amico! Fu una questione di un secondo, era sicura che lo sguardo di Bill si fosse puntato sul suo, l’aveva osservata per qualche istante e poi aveva girato la testa altrove.

«Ha guardato da questa parte. Secondo me ti ha riconosciuto» confermò i pensieri Kläe.

«No.. non può avermi riconosciuto. Io.. io esco un po’ okay? Se hai bisogno cercami sul cellulare» disse Iris mentre frettolosamente si alzò dal tavolino e si diresse verso la terrazza del locale; era sicura fosse vuota: con i Tokio Hotel che suonavano sotto, nessuno sarebbe salito! Infatti, era vuota. Si recò in un angolo e ammirò il paesaggio: Berlino era stupenda di notte. Ripensò a ciò che aveva detto la sua migliore amica, purtroppo aveva ragione. Tom era ancora un capitolo aperto.. doveva parlarci? Non ce l’avrebbe fatta, sarebbe crollata. E non voleva. Una vibrazione dalla tasca l’avvertì che aveva ricevuto un messaggio.

“Bill ha guardato ancora di qua; secondo me ti ha riconosciuta! È finito lo spettacolo, fumati la solita sigaretta, crogiolati nei tuoi pensieri per un po’ e torna qui. Kläe”

Sorrise, si domandò se leggesse nel pensiero e come facesse a conoscerla così bene. Tirò fuori l’amato pacchetto di sigarette e ne estrasse una. Prese il suo accendino preferito, aveva cinque anni, lo usava nelle occasioni speciali, v’era scritta una frase, Leb die Sekunde, incisa da Bill in uno dei tanti pomeriggi insieme. L’accese e lo rimise in tasca. Guardò la cicca bruciare e si soffermò a guardare il fumo che usciva dalla bocca: lo trovava rilassante: guardare il fumo che esce e che si dissolve. Talmente assorta, non s’accorse che qualcuno l’aveva raggiunta e s’era messo accanto a lei, fece un infarto appena sentì qualcuno che la chiamò toccandole la spalla.

«Hai un accendino?» La ragazza impallidì istantaneamente: avrebbe riconosciuto quella voce fra mille, era il cantante. Si sentì in trappola: se avesse detto di no, avrebbe fatto la figura della stronza maleducata – visto che fumava e non riuscivo a accendere il fuoco con la mente – oppure sarebbe stata costretta a passargli l’accendino e, probabilmente, avrebbe capito chi si trovava davanti. Decise di rischiare, magari col buoi non avrebbe notato nulla di particolare in quell’accendino.. senza guardarlo, glielo allungò.

«Grazie Iris» il primo pensiero della ragazza fu scheiße, non poteva più nascondersi! «Di nulla, Zweig»

Seguì uno strano silenzio, spezzato da lui. «Mi dispiace davvero Iris, insomma.. sono stato un pessimo amico, ti ho abbandonata quando probabilmente avevi più bisogno di me. Sono sparito, non mi sono fatto più sentire.. pensavo fosse meglio così! È per questo che non abbiamo mai parlato di te nelle interviste, non volevamo metterti in mezzo e trascinarti nella nostra vita, noi ci siamo abituati ormai ma tu saresti stata costantemente sotto i riflettori. Non ti ho mai dimenticata in questi anni, ma non avevo il coraggio di farmi vivo. Sono rimasto sorpreso quando ho trovato il tuo biglietto, non me lo aspettavo. E ti ringrazio, tu sei stata migliore di me, ti sei fatta viva quando stavo male, io non l’ho fatto» disse tutto questo d’un fiato. La ragazza di ritrovò a sorridere, era bello vedere che Bill era rimasto il solito logorroico di sempre. Cercò di analizzare ciò che sentiva, non c’era traccia da rabbia, aveva soltanto voglia di far tornare tutto come prima.

«Bill, vorrei avercela con te, con voi! Ma non ci riesco.. sono stata una merda, ho vissuto momenti terribili. Però proprio non mi ritrovo ad essere arrabbiata con voi. Mi sei mancato così tanto!» sussurrò lei e si girò verso l’altro, che la guardava felice. Era sempre così bello, lo guardò negli occhi e si abbracciarono di slancio, per trasmettere tutte le sensazioni del momento, per ritornare come prima.

«Lui.. non sa che sono qui vero?» fece incerta. «No. Sai, è uno stronzo orgoglioso Tom. Perché ti ama davvero e, sono convinto, che tu sia ancora nei suoi pensieri. Cerca di fare il playboy della situazione ma capita di trovarlo con lo sguardo vacuo, lo conosco e capisco a cosa possa pensare. Non sai quante parole gli ho detto quando ha smesso di chiamarti, era convinto che l’odiassi.. e non voleva soffrire. Perciò ha fatto finta di nulla, ha represso tutto. L’unica cosa positiva è che ne è uscita una bella canzone» disse col sorriso.

«Una canzone? Quale?» domandò curiosa. Era anche felice, felice di contare qualcosa per il chitarrista.

«Oh, non la conosci. È per il nuovo album, uscirà fra un anno: è l’unica traccia già pronta. Si chiama lass uns laufen. Comunque ora devo andare, altrimenti mi verranno a cercare. Ti lascio il mio numero okay? Chiamami appena torni a casa, abbiamo tante cose da dirci!»

Tornò leggera da Kläe, lui aveva scritto una canzone.. per lei! Le raccontò tutto e decisero di tornare a casa, non era troppo tardi ma, stando lì, avrebbe rischiato incontri spiacevoli con fantasmi del passato.

***

La mattina successiva Iris si svegliò molto tardi, era già mezzogiorno. Per lei erano ufficialmente iniziate le vacanze estive, scuola e libri archiviati in un angolo molto buio dell’armadio. Dopo tanto, si sentiva allegra. La breve chiacchierata con Bill le aveva fatto decisamente bene, si ricordò che doveva chiamarlo. La sera si era ritrovata col cellulare scarico e non aveva potuto farlo. Compose il numero che le aveva lasciato e attese una risposta. «Pronto, Bill?» domandò incerta appena sentì che qualcuno aveva accettato la chiamata.

«No, sono Tom. Tu chi sei?» il cuore della ragazza prima perse un battito, poi aumentò terribilmente. La sua voce.. come l’era mancata! Era diventata più profonda, più da uomo.

«Sono una sua amica. Posso parlare con lui, per favore?» chiese cercando di risultare sicura.

«Bill è in bagno adesso. Probabilmente ci resterà per molto. Quindi tu sei una sua amica..» tono allusivo.

«Allora richiamo pi..» non fece in tempo a finire la frase che sentì una voce fuori campo. «Tom, chi ti ha detto che puoi rispondere al mio telefono? Dammelo!» Bill era tornato dal bagno a quanto pareva. Sentì il gemello borbottare e poi una porta che si chiudeva a chiave: il cantante s’era liberato della presenza del chitarrista.

«Scusami, non credevo avrebbe risposto!» comunicò con tono dispiaciuto.

«Non ti preoccupare, fa niente.. tanto non mi ha riconosciuto» rispose abbattuta.

«Mmm.. comunque.. sei libera uno di questi giorni?»

«Si si, ho finito scuola ieri, non ho impegni. Perché?»

«Beh, potresti venire a Amburgo? Allo studio di registrazione intendo. Per me è un po’ difficile muovermi, sai com’è» espose Bill. «Per me va bene.. quando posso venire?» un momento di silenzio, probabilmente il cantante stava facendo lavorare il cervello. «Oggi pomeriggio è troppo presto?» No, non era presto, pensò la ragazza. Era prestissimo! . «No, per me va bene! Mandami l’indirizzo della casa discografica»

Mise giù il telefono e due minuti dopo le arrivò un messaggio con tutte le informazioni necessarie. Probabilmente non stava facendo la cosa giusta, lei si sarebbe riaffezionata in fretta e poi avrebbe sofferto ulteriormente, ma pensava ne valesse la pena, almeno avrebbe goduto di un periodo di breve felicità!

Si fiondò sull’armadio, avrebbe dovuto mettere qualcosa di particolare? Alla fine optò per i soliti jeans strappati, una t-shirt larga e le sneakers ricevute in regalo da Kläe. Raccattò la sua borsa e si recò diretta alla stazione di Magdeburgo. Era affollata, piena di ragazzi che partivano per le vacanze. Anche lei avrebbe voluto fare un bel viaggio, magari in Italia o in Grecia.. ma la madre non voleva pagarglielo e non voleva spendere i suoi risparmi, quelli le servivano per comprare un appartamento il più possibile lontano dalla genitrice. Salita scelse un posto vicino al finestrino e, con l’ipod alle orecchie, si lasciò andare ai ricordi. Chissà.. cosa avrebbe fatto se si fosse trovata faccia a faccia con Tom? Magari lui l’avrebbe oltrepassata con sufficienza o forse l’avrebbe salutata come si saluta qualcuno che incontri per strada, cancellando quei quasi due anni d’amore. In fondo ora avevano tutti e due diciannove anni, erano cresciuti, cambiati. Si riscosse da quei pensieri, rischiava un attacco di nervosismo e non voleva, aveva appena fatto le unghie e non poteva permettersi di rovinarle, tutta la fatica per farle crescere!

Arrivata ad Amburgo, scese dal treno e si diresse a piedi all’Universal, Bill le aveva fornito tutte le informazioni necessarie per arrivarci senza perdersi. Pensò che era ancora in tempo per girarsi e tornare a casa, ma sarebbe stato inutile, quei ragazzi non si potevano semplicemente cancellare, sia perché avevano lasciato una traccia indelebile sul suo cuore sia perché erano famosi in tutta Europa e, quindi, in un modo o nell’altro, sarebbe stata costretta a vederli ovunque. Arrivata nel punto prestabilito, fu lasciata entrare senza problemi, probabilmente il cantante aveva avvertito le guardie del suo arrivo. Gli inviò un messaggio, chiedendogli dove recarsi ora.

La risposta non tardò, era nello studio di registrazione, tanto per cambiare! Insicura, andò nella stanza e, non appena si chiuse la porta alle spalle, sentì una serratura scattare. Che scherzo era quello?

Il bello fu, quando s’accorse di non essere sola in quel luogo. Tom Kaulitz era lì, in tutta la sua straordinaria bellezza e stava suonando la chitarra, posata a terra non appena s’accorse di una presenza estranea.

«Ma che cazz..» disse Tom, si bloccò non appena capì chi fosse l’estranea. «Iris» soffiò piano, senza staccare gli occhi dai suoi. In quel momento in chitarrista si sentì un profondo idiota, credeva d’averla cancellata, dimenticata, ma si era solo illuso. Per quanto stronzo, egoista, egocentrico potesse essere, non poteva negare di essere stato veramente innamorato di lei, e forse.. forse lo era ancora? Aveva avuto tante ragazze, il bello è che non sapeva il nome di metà di loro, ed erano incontri di una notte. Non era più riuscito a istaurare una relazione seria, perché il lavoro che faceva non glielo permetteva e anche perché, il cuore non era totalmente libero e pronto. Continuava a fissarla, era diventata ancora più bella. Aveva tagliato moltissimo i capelli, nonostante i vestiti larghi – erano una cosa che avevano sempre in comune – riusciva a capire che anche il fisico si fosse evoluto. Una cosa che però s’era modificata, erano i suoi occhi: una volta risplendevano di luce propria, brillavano, ora erano.. spenti. Non sapeva cosa dire.. lei era lì, dopo tanto tempo, era lì. Realizzò che si trovavano soli in una stanza, chiusi a chiave per giunta! Sentiva lo zampino di.. «Bill!» esclamarono all’unisono.

«Ehm, si proprio io! Divertitevi la dentro, quando avete chiarito oppure quando avete finito di..» lasciò la frase in sospeso, in modo teatrale, tipico suo. «.. beh verrò ad aprirvi! Non provate a urlare o a calciare la porta perché tanto non uscirete da lì. Hallo!» detto ciò, sentirono solo il rumore dei suoi anfibi allontanarsi.

Seguì un silenzio oltremodo imbarazzante. Nessuno dei due sapeva da dove cominciare, il cuore di Iris batteva all’impazzata. Fissava il pavimento, non ce la faceva a guardarlo, sapeva che se l’avesse fissato negli occhi, il suo cervello avrebbe fatto le valigie lasciandola in balia del suo organo cardiaco, e ciò non era un bene.

«Iris.. come stai?» domandò il chitarrista incerto. Non l’aveva mai sentito così, capiva che per lui era difficile trovare le parole, come per lei d'altronde. «Bene si, insomma. Come al solito, tu?» l’altro rispose con un’alzata di spalle, la situazione aveva dell’assurdo. «A scuola?» s’informò. «L’ho finita ieri. Mi sono diplomata col massimo. Devo decidere se andare all’Università o meno. Mark e Jorg sono stati espulsi, non hanno finito l’anno» rispose con un sorriso. Mark e Jorg erano i bulli della loro scuola, quelli che infastidivano sempre i Kaulitz. «E.. i progetti per il vostro nuovo album? Bill mi ha accennato qualcosa..» accennò lei, sempre con lo sguardo basso.

«Esce l’anno prossimo. Abbiamo cominciato a arrangiare qualcosa, sarà.. diverso. Tu..» s’interruppe un istante. «Hai sentito le altre canzoni? Degli altri album, intendo» nel frattempo prese le chitarra.

«Si, non tutte. Ho comprato tutti i vostri cd e anche i dvd, ma beh.. non li ho mai scartati. Ho sentito quelle che mandavano in televisione» confessò lei. Non aveva mai trovato la forza di inserire i dischi e premere play, non ce l’aveva proprio fatta. Il giovane cominciò a suonare un pezzo che non aveva mai sentito.

«Che canzone è? Non l’ho mai sentita..» chiese alzando lo sguardo verso la chitarra. L’altro si grattò dietro l’orecchio, riconobbe quel gesto: lo faceva quando era in imbarazzo. «E’ di un pezzo che ho scritto io, ovviamente lascio la gloria a Bill, preferisco così» disse riacquistando un po’ di vita. «Me.. me la puoi cantare?» domandò incerta lei. Tom non disse nulla, continuò a suonare e aggiunse anche la sua voce, era diversa da quella del fratello, più calda e profonda, ma ugualmente bella.

“ Ich weiss nicht was kommt
Ich weiss nicht was war
Ich weiss nur
Du bist nicht mehr da
Der Wind weckt mich auf
Ich merk dass ich lauf„

«Questo è una piccola parte» disse dopo aver posato la chitarra sulla sedia di fianco a lui. Iris non aveva detto nulla, per quel poco che aveva sentito, la canzone doveva essere stupenda. Non sapeva cosa fare.. come comportarsi! «E’ molto bella Tom» ammise alzando lo sguardo e incontrando i suoi occhi. Quanto li amava? Erano castani, nocciola. Le trasmettevano così tanto, si perdeva dentro essi. Lo stesso era per lui, non aveva mai visto altri che avessero degli occhi così, erano neri, pozzi di petrolio liquido.

«Mi sei mancata» sussurrò piano. «Anche tu» disse con lo stesso tono. «Mi dispiace per come mi sono comportato» continuò deciso. «Insomma, sai perché.. e penso che te l’abbia detto anche Bill» La ragazza sorrise, sapeva quanto fosse orgoglioso e quanto fosse difficile per lui scusarsi. Ma voleva sentire tutto quello che aveva da dire, non se la sarebbe cavata facilmente! «Voglio sentirlo da te» comunicò. Vide il giovane prendere fiato, stava riordinando tutte le idee, non sapeva da dove cominciare, ne aveva combinate davvero tante..

«Iris..», sospirò «Mi sono comportato malissimo verso di te, sono stato un gran coglione. Quelle foto, io.. non ho scusanti, mi sono lasciato andare. Ero ubriaco e beh.. c’è stato un bacio, non sono riuscito ad andare oltre, perché nella mia testa c’eri tu. Non ti ho più richiamato perché pensavo fosse meglio così, non era il massimo stare con uno che non c’era mai e poi.. avevo anche paura, tu eri diventato troppo.. importante e indispensabile, e non sono riuscito a gestire nulla» confessò velocissimo; «e non sai quanto mi sono pentito per quello che ho fatto, l’ho capito troppo tardi, no? Non sono stato un santo comunque, sono bravo a recludere i sentimenti che mi stanno scomodi» si mordicchiò il labbro imbarazzato. Toccava a Iris parlare adesso.

«Tom, tu non puoi sapere.. non puoi sapere quanto di merda sono stata, quanto cazzo ho pianto, non puoi. Non immagini il male che sentivo ad ogni intervista, quanto dicevi di non essere mai stato innamorato, non puoi sapere. E sai qual è la cosa peggiore?» Non disse nulla, «la cosa peggiore è che, nonostante tutto, non riesco ad odiarti, vorrei ma proprio mi è impossibile. Non sono più la stessa ragazzina di quattro anni fa, tante cose sono cambiate, tranne.. tranne quello che provo per te. E mi sento stupida per questo, perché so che non è lo stesso per te» fece con voce tremante e abbassando lo sguardo. Non poteva permettere alle lacrime di uscire.

«Ti sbagli..» la informò il ragazzo. «Te l’ho detto, sono uscite con tante ragazze. Ma nessuna è come te. Tu.. sei speciale» si fermò e si avvicinò all’altra, raggomitolata nell’angolo della stanza con sguardo basso. La fissò, era proprio stupenda. «Vuoi guardarmi negli occhi?» Domandò lui, posandole la mano sotto il gomito e alzandole il viso, così i suoi occhi lo puntarono, facendolo rabbrividire. Stessa reazione ebbe Iris, si sentiva completamente inerme e in balia dei suoi sentimenti. Era alla deriva, succube di lui, plastilina nelle sua mani.

«Nonostante siano passati quattro anni, io ti amo ancora Iris» le sussurrò su un orecchio. Il cuore di lei cominciò a battere all’impazzata, le guance presero colore e fu invasa da una sensazione di calore, come stesse risorgendo dopo un lungo periodo di torpore. «Tom.. ich liebe dich» ricambiò lei. In un istante si trovarono abbracciati, si strinsero forti, come per ritrovare se stessi dopo lungo tempo. Una volta concluso l’abbraccio, bastò un istante, si fissarono negli occhi e le loro labbra entrarono in collisione. Quel bacio.. agognato da entrambi, aspettato per anni, sognato, e finalmente avvenuto. Lei gli accarezzò i capelli, era strano non sentire quei rasta che tanto amava. Lo stesso fu per lui, era strano non trovare i capelli quando le stringeva la schiena. Era un bacio diverso, più maturo, denso di sentimenti e parole represse e mai dette. Si staccarono dopo minuti che parevano ore.

«Quindi ora.. was sind wir?» domandò lei. «Non so, so solo che non voglio perderti più. Quindi.. se ti va bene.. possiamo essere una coppia?» le propose Kaulitz. Gli occhi della ragazza brillarono di gioia, e tutto ciò che disse fu un flebile sì. «Sarà difficile però, come facciamo? Tu sarai sempre in tour..» cominciò Iris.

«Ce la faremo. Insomma.. adesso il tour è finito, dobbiamo registrare il nuovo album. Per quello che riguarda il dopo.. vuoi venire in tour con me, con noi?» chiese incerto. «Non ti lascio scappare più, voglio stare con te Tom»

***

«Tom, forse dovremmo chiamare Bill, è ora di uscire da qui, non trovi?» disse Iris. Erano dentro lì da due ore, avevano chiarito, avevano parlato, si erano ritrovati in tutti i sensi.

«Sono certo che fra due minuti verrà ad aprire, è troppo curioso, è già tanto se non si è fatto vivo prima!» Infatti, due minuti dopo la testa del cantante fece capolino dalla porta, cercando di capire com’era la situazione.

«Non vi siete presi a botte vero? No non vedo lividi strani» disse squadrando la coppietta.

«Non ti dispiace se Iris viene in tour con noi vero?» domandò il gemello con voce allegra. Bill rielaborò le parole e, quando capì cosa significavano, sorprese i due con uno dei suoi soliti abbracci stritolatori.

«Ma ovvio che non ci sono problemi! Anche per David credo, sarà felice di sapere che hai messo la testa a posto! E anche Gustav e Georg sono ansiosi di vederti! Su, ci aspettano di là!» Trascinò la ragazza fuori dalla stanza, portandola dove le due G la stavano aspettando.

Ci furono altri abbracci e lunghe chiacchierate per recuperare il tempo perduto. Iris era al settimo cielo, finalmente si sentiva a casa! Non chiedeva di meglio.

 

***

 

Il 2 ottobre 2009 una giovane ragazza uscì dall’appartamento che divideva con i quattro componenti della band più famosa dell’Europa, tra cui il suo ragazzo per andare a fare shopping. Era allegra, era riuscita a lasciare casa sua, nonostante la madre era totalmente in disaccordo e si era trasferita con i Tokio Hotel ad Amburgo. Il loro manager l’aveva assunta come sua assistente, non voleva vivere sulle spalle di Tom e comunque aveva i requisiti necessari. La sua amica Kläe lavorava per loro come truccatrice, era entrata anche lei a far parte della famiglia del gruppo, con sommo piacere del bassista, visto che fra loro sembrava esserci del tenero.

Iris camminò tranquilla fino al negozio di dischi e ne uscì con un pacchetto, contente Humanoid, terzo album dei ragazzi. Si era rifiutata di sentire le canzoni in anteprima, voleva essere come tutte le altre fan.

Tornò a casa e si fiondò in camera, per sua fortuna gli altri erano impegnati a realizzare un photoshoot. Infilò il cd nella radio e lasciò partire le musica. Una volta terminato, le se era stampato in faccia un sorriso ebete, sul volto ancora le lacrime dovute alla canzone Lass uns laufen, diventata subito la sua preferita. Tom l’aveva scritta per lei, gliela aveva dedicata. Non poteva trovare ragazzo migliore del mondo.

E lo sapeva. Erano entrambi consapevoli di ciò che provavano, sapevano che nonostante le difficoltà il loro amore non sarebbe morto, sarebbe sopravvissuto a tutto, per sempre.

 

“Restiamo sempre, ci urliamo nell'infinito
io grido quasi sempre quando da qualche parte resta qualcosa
noi sentiamo, non siamo pronti per la fine
non moriremo mai, ci portiamo fino a tutti tempi
so che qualche cosa resterà un pò di me
ne sono del tutto sicuro: resterà qualcosa di te!
per sempre...per sempre!
Restiamo sempre,
qualcosa come noi.
non va via„

 

{ The end }

   
 
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