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Autore: Kaho    27/12/2010    9 recensioni
Fu Ariadne a trovare lui, alla fine.
(Arthur & Ariadne)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Non sono così geniale da possedere Inception. Too bad.

Inception © Christopher Nolan

 

 

 

Almost there, but not quite

 

 

 

 

Fu Ariadne a trovare lui, alla fine.

 

*

 

Arthur si era fermato in un piccolo albergo nella zona di Montmartre a Parigi. Aveva pagato con una delle sei carte di credito che aveva nel portafoglio e l’indiano alla reception gli aveva dato la chiave di una delle stanze, masticando un ringraziamento in un francese accidentato e guardandolo di traverso, con sospetto.

Arthur, impassibile, annuì in segno di apprezzamento, salì i tre piani di scale e si rinchiuse dentro la stanza – 32, si annotò mentalmente con lo scrupolo di un cecchino.

L’ambiente era piccolo, quasi claustrofobico, ma era vicino ad una via di fuga, l’hotel sembrava poco affollato e c’era un bagno, per cui tutto sommato era stata una felice scelta.

Con passo militare, Arthur andò alla finestra. Con un colpo secco, chiuse le veneziane e spiò il vicolo sotto di lui. C’era un’anziana signora che sbatteva uno straccio sul terrazzo del condominio di fronte a lui, e qualche gruppo di ragazzi sulla strada, riparati sotto l’ombrello. Per ora, niente anomalie. Arthur si permise di sospirare, sollevato.

Ispezionò l’angusta stanza: telefono, letto rifatto, qualche briciola sul tappeto. Il bagno era essenziale e apparentemente pulito, sebbene non si sentisse odore di disinfettante. Ma questo, al momento, non gli importava.

Erano mesi che Arthur si trovava in quella città, e di Ariadne nessuna traccia – se non il profumo lieve dell’inchiostro indelebile e di menta nell’aria, che lo inseguiva come uno spettro.

Di tanto in tanto, Arthur sapeva di essere vicino all’uscita di quel labirinto, come ad esempio quando passava accanto alla Tour Eiffel e la vedeva accesa come un albero di Natale (ed era autunno), o quando vedeva in qualche poster per la strada schizzi di schemi e indovinelli, ma erano tracce labili, praticamente inutilizzabili.

Tirò fuori una Magnum dalla cintura, e la rigirò fra le mani, meditabondo. Doveva cambiare strategia: non fermarsi, restare all’università per un po’ ad aspettare, magari. Di tempo ce n’era, anche se stava mangiando voracemente la sua lucidità.

Si sedette sul letto. Un gatto miagolò irritato, cedendogli il posto e soffiandogli contro.

Arthur alzò un sopracciglio, sorpreso.

Non ebbe il tempo di domandarsi cosa stesse succedendo, che sentì qualcuno bussare alla porta. Cautamente, dopo aver aperto la sicura della pistola, si avvicino alla porta. Niente spioncino. L’indiano aveva forse capito che era–

«Arthur.»

Trattenne il respiro e, col fiato sospeso, aprì la porta.

 

*

 

Ariadne lo osservava, il volto disteso e sereno, nonostante avesse ancora la pistola in mano.

Gli sorrise, raggiante. «Ti ho trovato finalmente!»

Lo scostò e si lanciò sul letto. «C’è voluta una vita…» si lamentò, prendendo il gatto in braccio; quello, dopo una prima resistenza, si lasciò accarezzare acciambellandosi sui jeans di Ariadne.

La sua tranquillità lo innervosì.

«Ariadne…» cominciò, ma quando lei alzò gli occhi avvertì ogni parola bloccarsi insieme al suo respiro, come pietrificata.

Il sorriso di lei si fece più largo, tagliente, e in qualche modo anche malizioso. «Vieni qui.»

Preso dalla paura, Arthur non mosse che la testa, guardando nervosamente la porta, ripensando all’indiano che non pareva essersi accorto di nulla, all’anziana signora che l’aveva ospitato la notte prima, alla folla che si riversava a fiotti nelle vie di Parigi dai negozi e dalle case che gli era passata a fianco senza parere infastidita.

Serrò la mano, diventata umidiccia, attorno alla pistola. Ariadne, invece, imperturbabile, sospirò.

«Bene, allora vengo io.»

Si alzò con fluidità – dov’era finito il gatto? – e gli circondò il collo con le lunghe braccia bianche, del tutto scoperte. In un attimo, non era svanito solo il gatto.

Arthur deglutì, tentando di mantenere il controllo mentre lei gli allentava la cravatta e gli premeva addosso il suo corpo caldo.

«Ariadne…» Il suo tono aveva perso sicurezza.

Ariadne sospirò, falsamente afflitta, le labbra che gli sfioravano il petto.

«Il solito guastafeste…»

Arthur la spinse contro il muro e la baciò disperatamente, cercando il suo respiro.

 

*

 

Era stato tutto così veloce, che una piccola parte di Arthur – quella dell’orgoglio maschile – provava vergogna.

Ariadne era distesa sopra di lui, piccola e morbida, come un gattino, emettendo un suono gutturale e soddisfatto, come se facesse le fusa.

«Come hai fatto a trovarmi?»

La domanda gli martellava in testa dal momento in cui era riuscito a mettere in marcia il cervello, il che non era stato semplice, considerando che aveva il corpo di Ariadne che gli faceva da maglietta.

Lei fece spallucce. «Trentadue. La tua età, no?»

Gli venne da ridere, ma si trattenne.

«Ventinove, a dire il vero» la corresse con gentilezza.

«Oh…» Ariadne sembrava sorpresa. E stava arrossendo. «Pensavo ne avessi… insomma, ti facevo un po’ più vecchio…»

Arthur si trovò suo malgrado a ridacchiare, e Ariadne ad arrossire ancora di più.

«Oh, beh, questo mi ha portato da te, no? Il mondo è pieno di strane coincidenze…»

E Arthur si ricordò dove e perché si trovava lì.

Con gli occhi di nuovo distanti e malinconici, che ricordavano tanto la Senna ad Ariadne, la baciò lentamente, assaporando il suo respiro senza sapore, senza odore.

Appoggiò la fronte su quella dell’architetto, sfregando la pelle l’una sull’altra, immaginandola soffice e tiepida e inspirò.

«Non sono coincidenze, Ariadne

Lei alzò gli occhi su Arthur, con gli occhi lucidi, e si morse il labbro con aria colpevole.

«Lo so. Altrimenti Pagnotta non sarebbe stata in questa stanza.»

«Pagnotta?»

«La gatta di mia nonna. È morta sei anni fa.»

«Uh, beh, mi spiace.»

Ariadne scosse la testa, e i suoi capelli gli solleticarono lievemente il collo. «Non ce n’è bisogno.»

Ma Arthur gli accarezzò ugualmente la schiena, guardandola con calore. Ariadne gli regalò un piccolo sorriso, un po’ amaro.

«Quando te ne sei accorta?» domandò poi.

Lei inarcò le sopracciglia. «Di cosa? Che siamo in un sogno?»

Arthur annuì.

«Beh, è Parigi come la vorrei io. E il mio totem non ha il peso giusto. Anche se ho impiegato un po’ di tempo a ricordarmene, devo essere stata qui sotto parecchio tempo. E poi…» la voce di Ariadne si incrinò leggermente. Scosse la testa, e gli accarezzò con un dito la guancia perfettamente rasata. «E tu? Come intendevi trovarmi?»

«Non lo so» ammise Arthur. «Non mi sono mai trovato nel Limbo. Seguivo delle tracce, o meglio delle parvenze di tracce, sperando di arrivare al centro del labirinto, se mai ce ne fosse stato uno… sai, il Limbo è diverso, ma dato che sei un Architetto, speravo che la tua mente funzionasse così. E poi…» Si fermò, esitante. «Poi, alle volte mi illudevo.»

«Di cosa?»

«Che ricordando al tuo profumo, ti avrei ritrovata.»

«Oh.»

Rimasero per un po’ in silenzio.

 

*

 

Ciò di cui non riuscivano a parlare, era che Arthur non aveva mai odorato la pelle di Ariadne, perché lui era solo una proiezione. E Ariadne lo sapeva: lo aveva creato lei ed era stata abbastanza brava da immaginarlo lucido quanto il vero Arthur, tanto che, dopo settimane di ricerca, arrivato a toccarla, aveva capito che non conosceva la sensazione dell’aria nella trachea.

 

*

 

Era solo un frammento di Arthur, ma un principe azzurro nella mente di Ariadne.

Per cui alla fine sospirò, accarezzandole i capelli.

«Hai freddo?»

«No.»

Ariadne sembrava pensierosa e distante, improvvisamente taciturna e sbiadita. Arthur sapeva cosa le passava per la testa, facendone parte, esattamente come aveva avuto la realizzazione di cos’era quando lei l’aveva capito ed esattamente come si era accalorato percependo l’eccitazione di Ariadne.

Non era che un vaso di Pandora, che Ariadne teneva fra le mani, che tremavano. Quando sarebbe caduto, avrebbe liberato ogni vizio e la realtà le sarebbe piombata addosso – telefonate senza risposta, mesi di attesa vana, un bacio di cui non si parlava mai, un altro a casa di Cobb nell’unica riunione del vecchio gruppo ad alimentare speranze, poi bruciate da mesi di silenzio che si ammassavano come decine di materassi sopra la speranza in fondo al vaso.

All’inizio, Arthur cercava Ariadne perché era stato creato per seguirla: la credeva persa. E, forse, lo credeva pure lei, per questo era nato.

Ma Ariadne aveva il filo.

Le alzò il volto e la guardò negli occhi, senza spostare lo sguardo, nemmeno quando l’architetto prese la pistola dal comodino e se la premette sulla tempia.

«Scusami,» sussurrò.

Poi uno sparo. E Arthur, con un ultimo sorriso da poeta, svanì dai pensieri di Ariadne.

 

*

 

Quando si risvegliò, la prima cosa che sentì fu una voce concitata: «Ariadne!» e il dopobarba di Arthur addosso. Non ricordava più quanto fosse pungente.

Le venne da piangere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho finito di scrivere qualcosa. Spero di non svegliarmi da questo sogno! ;_;

 

Ringrazio Val per aver letto in anteprima, Sacker per avermi fatto vedere questo capolavoro, e tutti quelli che leggeranno e recensiranno.

Grazie.

 

Bye,

Kaho

 

 

  
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