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Autore: ItsAryel    27/12/2010    2 recensioni
Tutto cambia in un battito di ciglia. In una frazione di secondo tutto ciò in cui credevi viene spazzato via. Ma il cuore è più leggero,e più felice. Ora devi solo chiudere gli occhi e spiccare il volo verso un cielo infinito, come un angelo. Aspetto un vostro parere :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Quando t'incontrerò
bagnerò la mia fantasia negli occhi tuoi,
farò rotolare i sogni tra le tue carezze

e le tue labbra s'incontreranno con me nel piacere"
 

 Another Dawn

  
Adoro passeggiare nel parco dietro casa. 
E’ grande, pieno di cipressi e di cespugli.
In primavera è bello sentire il cinguettio degli uccelli, specialmente di prima mattina.
Gli alberi sono pieni di fiori e le loro foglie hanno un colore verde che spicca in confronto al grigio della ghiaia. I cespugli sono piene di rose rosse, bianche, rosa. Gli spazi aperti sono pieni di margherite. Bianche come le poche nuvole in cielo.
 Adoro sedermi con le gambe unite su una panchina ed ammirare, a seconda dell’ora, il sorgere del sole o il suo tramontare.
Ma di solito vado li per leggere, per distrarmi, per pensare a qualcosa di più grande della mia semplice vita.
La panchina dove di solito mi siedo è quasi al limitare del parco, di fronte si vede, oltre i bassi cespugli, il laghetto dove ad ogni ora si possono vedere barchette di legno con persone sorridenti a bordo. 
Come se non fossero mai saliti prima su una barca.
Ma fanno sorridere anche me.
 La nostra ingenuità, il nostro essere ancora bambini ci da lo stimolo per andare avanti. Meravigliarsi di ogni piccola cosa fa si che vengano apprezzate anche le piccole cose che ci troviamo ogni giorno davanti.
Per esempio, a me succede ogni volta che vedo la neve toccare il suolo e tingerlo di bianco. Mi fa tornare bambina.
Mi fa ricordare i giorni in cui uscivo con mio padre e i miei fratelli e, in questo parco, facevamo a gara di pupazzi di neve.
Papà doveva decidere il migliore.
Alla fine vincevamo tutti una tazza di cioccolata calda preparata dalla mamma.
Erano bei tempi quelli in cui ero inconsapevole di tutto.
Non avevo bisogno di amici, poichè avevo i miei fratelli. Facevamo tutto insieme e con loro non mi sentivo mai esclusa. Non mi facevano sentire in disparte solo perchè ero una ragazza.
E mentre prima venivo in questo parco accompagnata da loro, ora c’è solo il mio cane.
Un Husky Siberiano con dagli occhi bianchi come la neve che tanto amo.
E’ stata una benedizione. Senza di lui probabilmente sarei persa.
Me l’ha regalato mio padre, poco prima di andarsene via di casa, portando con se due dei miei tre fratelli.
 I miei si sono separati quando io avevo 9 anni: è stato terribile.
Vedevo tutti i miei compagni parlare dei loro genitori, di entrambi i genitori e io, per non essere da meno, facevo sempre finta di averlo ancora un padre in casa.
Inventavo che mi portava a pattinare tutti i pomeriggi, inventavo le barzellette che mi raccontava seduti tutti insieme davanti al fuoco. Come una vera famiglia.
Non dissi a nessuno che si erano separati, non dissi che mio padre viveva in California mentre io e mia madre abitavamo ancora a Roseland, uno sperduto paesino del New Jersey.
Rimasi in contatto solo con i miei fratelli: erano loro che all’inizio mi proposero di andare a vivere con loro. La California, mi dicevano, è uno degli stati più belli di tutti: c’era caos, spiagge affollate, tantissime persone in giro per negozi ogni giorno.
Rifiutai.
Come potevo andare in posti affollati quando amavo cosi tanto stare in solitudine?
Come potevo stare in spiagge affollate e non pensare più alla neve che ogni inverno ricopriva i tetti delle case?
Come potevano pensare che avrei lasciato mia madre da sola, visto che il mio ultimo fratello si era arruolato nell’esercito americano?
Non potevo. Non potevo e non volevo.
Peter è stato la mia benedizione. Ho chiamato cosi il mio amato cane in onore di Peter Pan, il mio libro preferito sin d bambina.
In ogni cosa che amiamo c’è una parte di noi, e io l’ho trovata in Peter Pan.
Quel libro insegna a non smettere mai di sognare.
Io ho sempre vissuto sognando un mondo migliore, un qualcosa che facesse stare meglio mia madre, e magari anche me.
 
Crescendo divenni quasi una ragazza modello: precisa, brava a scuola, che fa sempre tutte le faccende che le chiede la madre, sorridente, spensierata, altruista.
 Mi dipingevano tutti come un angelo, come una bambina sempre felice, che non aveva nessun pensiero cattivo in mente.
Ma non sapevano che il mio cuore era nero.
Nero come la pece.
Come un pozzo senza fondo.
Era rischiarato solo dall’amore di mia madre e dei miei fratelli.
Mio padre, mio padre lo dimenticai quando seppi che stava per sposare un’altra donna solo pochi mesi dopo aver divorziato ufficialmente da mia madre.
Lei era distrutta e io lo odiavo di riflesso.
Inoltre non mai più dimostrato per me l’affetto che un padre deve alla figlia.
Per lui, in poco tempo, ero solo dei soldi che bisognava versare ogni mese.
Non so cosa l’abbia cambiato cosi radicalmente.
Mi dispiace si, ma ormai non mi manca più.
Mi ripetevo in continuazione che era solo questione di abitudine.
Ed era la verità.
Gli uomini erano diventati per me come qualcosa di spaventoso, non volevo avere più niente a che fare con loro.
Gli uomini, come diceva mia madre, sanno solo usarti e buttarti via nel momento in cui non avranno più bisogno di te.
L’unica cosa che vogliono è sentirsi soddisfatti.
Una volta che lo sono o se ne vanno, come è successo con mio padre, o restano perchè vogliono qualcosa di sicuro a cui aggrapparsi quando stanno per cadere.
Tesi aggravata quando anche i miei fratelli, una volta fidanzati, si sono dimenticati di noi.
Non venivano neanche più a trovarci per le feste di Natale, o due settimane durante l’estate, come all’inizio.
Mia madre stava malissimo, ma, ogni volta che loro chiamavano, era allegra, felice anche solo di sentirli per due minuti in cui raccontavano le cose della loro vita e chiedevano a malapena come stesse.
Ma a lei andava bene cosi.
Nonostante queste delusioni, io continuavo a sognare.
Immaginavo un angelo che un giorno sarebbe venuto da me. 
Mi avrebbe donato delle ali, portato su una nuvola dove poi avremmo costruito la nostra casa in mezzo alle stelle. 
Sapevo che nulla era vero, ma continuavo cosi tanto che arrivai a credere che un ragazzo del genere esisteva veramente in qualche parte del mondo.
Ma era troppo perfetto, il mio angelo, per essere sostituito da un semplice essere umano.
I ragazzi: a 13 anni li detestavo, a 16 li snobbavo.
Si, per la prima volta in vita mia sapevo cos’era l’amore, ma l’ho provato con la persona sbagliata.
Un personaggio di mia invenzione, che rendevo protagonista di tutte le storie che scrivevo o sul pc o nella mia mente.
Il mio angelo era biondo, con i capelli corti, con gli occhi azzurri disegnati come quelli dei cartoni manga, naso alla francese, palestrato.
Insomma, uno dei belli che si vedono ultimamente alla TV ma era speciale perchè mi trattava come la sua principessa.
 
Avevo 18 anni quando qualcosa fece crollare i sogni che avevo da quando ero piccola.
Era una giornata di inizio settembre.
Una leggera brezza fresca, proveniente dalla montagna, si abbattè su Roseland.
Non faceva freddo, ma decisi di mettermi un foulard e una felpa leggera per protezione.
Ero abituata a scambi di temperatura cosi repentini.
Non ero andata al college: a mia madre era stata diagnosticata la leucemia e aveva perso il lavoro. Aspettavamo da due anni un trapianto di midollo osseo. L’avrei fatto io, ma ancora non ero maggiorenne e mia madre non mi diede il permesso.
Perciò iniziai a lavorare alla libreria-fioreria della signora Marple, una simpatica vecchietta di 80 anni che sprizzava ancora allegria e gioia di vivere. Era sulla sedia a rotelle, ma i suoi occhi dimostravano la tigre che era in lei.
Di solito aprivamo  per le 10, cosi, andai al parco di prima mattina con “I Miserabili” sotto il braccio. In quel momento stavo per iniziare la parte terza, quella in cui viene descritto Marius.
Non era la prima volta che leggevo quel libro, ma mi piaceva perchè immaginavo il mio angelo nelle vesti di Marius.
Tratta Cosette proprio come vorrei essere trattata io.
Forse un pò diversamente da come veniva trattata Cosette nel 1832, ma erano solo differenze di usi e costumi.
Vicino a me c’era sempre Peter. Saltellava inseguendo le farfalle che svolazzavano ancora tra i cespugli. Abbaiò e io gli sorrisi.
Nonostante quello che stava succedendo a mia madre in quel periodo non mi sentivo triste: sentivo che tutto sarebbe finito per il verso giusto.
Era una sensazione che provavo nel mio cuore, rischiarato adesso ai lati da un alone di luce bianca. Bianca come la neve, bianca come gli occhi di Peter.
Peter che improvvisamente cominciò a correre lontano da me.
Non servì a nulla chiamarlo a gran voce, era già dietro i cespugli.
Non avevo paura che potesse perdersi: chiunque in città l’avesse ritrovato l’avrebbe riportato a casa. Cominciai lo stesso a corrergli dietro e, quando lo trovai, mi buttai in ginocchio vicino a lui e lo abbracciai.
-Non farlo mai più. Promesso?- abbassò gli occhi, dispiaciuto per avermi fatto stare in pensiero. Mi toccò con il naso il mio viso e lo strinsi più forte con un sorriso. -Bravissimo Peter!-
Notai in quel momento che c’era qualcuno seduto e che Peter era davanti a lui.
Indossava dei jeans scuri sopra delle converse nere semplici.
Una mano era protesa verso Peter mentre con l’altra accarezzava un altro cane di stazza grande marroncino scuro.
-Ti serve un aiuto?-
Vidi davanti al mio viso una mano che mi veniva offerta e l’accettai.
La pelle era levigata e calda, cosi come la voce che mi aveva parlato.
Una volta in piedi incontrai degli occhi color cioccolato.
Rimasi a fissare quegli occhi più del necessario.
Mi scansai all’improvviso con la scusa di pulirmi i jeans sporchi di terra a causa della caduta.
Nessuno dei due parlava.
Ascoltavamo solo il rumore dei due cani che giocavano insieme con un freesbee, che sicuramente apparteneva a quel ragazzo.
Si, era un ragazzo ad avermi lasciata in quelle condizioni.
Avevo il cuore che mi batteva all’impazzata, ma ero a conoscenza che non era colpa della corsa di poco prima.
- Beh..ehm…- tentai di articolare una specie di ringraziamento ma non ci riuscii.
Ringraziamento per cosa poi? Avevo completamente dimenticato tutto ciò che era successo poco prima.
Lui venne in mio aiuto.
-Mi chiamo Nicholas Underwood. Sono nuovo in questa città.- poi, vedendo che io non parlavo, chiese.-E tu sei…?-
-Selene De La Croix.- La prima volta era uscito una specie di bisbiglio, cosi dovetti ripeterlo una seconda volta e questa volta incontrai di nuovo il suo viso.
Avevo un sorriso leggero sulle labbra carnose per cui dovetti ritrovare il mio centro, come quando facevo yoga, molto più che alla vista dei suoi occhi.
Che mi stava succedendo?
Non era la prima volta che vedevo un ragazzo, non era la prima volta che provavo qualcosa per qualcuno, anche se quel qualcuno era inventato.
Mi sentivo strana.
 
NO.
 
Era un ragazzo.
Non erano nulla per me, meno di zero.
Con lui sarebbe stata la stessa cosa.
Non sarebbe cambiato ciò che pensavo solo per aver incontrato due bei occhioni.
Ero ritornata in un attimo ad amare il mio angelo e a deridere gli uomini.
 A quel tempo non mi chiedevo se sarei rimasta solo a vita con il mio comportamento: speravo sempre nel mio angelo.
-Piacere di conoscerti. Senti scusa per Peter, ma adesso devo andare.-
Parlai talmente velocemente che ripresi fiato solo alla fine. 
Richiamai Peter e in poco tempo, dopo aver fatto solo un accenno di saluto a quel ragazzo di cui mi ero dimenticata anche il nome, mi trovai seduta sulla mia panchina, con Peter accanto a me che sonnecchiava e con il mio libro tra le mani.
Come se nulla fosse successo.
 
Passarono due ore e mi ritrovai dietro il bancone del mio negozio.
Avevo letto solo poche pagine del libro e ogni volta che compariva il nome di Marius, irrimediabilmente, per quanto lo volessi negare, pensavo sempre al ragazzo di poco prima.
Quando lessi che anche Marius aveva i capelli ricci scuri, chiusi di scatto il libro e mi avviai a passo rapido verso il mio giardino segreto, il giardino che era dietro il negozio della signora Marple.
Quel giorno ci furono pochi clienti, perciò rimasi tutto il tempo a finire delle confezioni che avremmo poi venduto nelle varie fiere di paese a Dicembre.
La signora Marple era seduta a sferruzzare una sciarpa per il suo nipotino canticchiando le vecchie canzoni che passavano alla radio.
Io canticchiavo con lei, ballavo, ridevamo insieme.
Era la nonna che non avevo mai avuto.
Solo mia madre e Peter la superavano per importanza.
Erano circa le sei quando sentii uno scampanellio.
Alzai la testa e il cuore mi si bloccò di nuovo.
Come successe quella mattina, con lo stesso ragazzo di quella mattina.
-Ciao. Selene, giusto?-
-Già.-Gli sorrisi, ma si vedeva lontano un miglio che era finto.
In quel momento mi venne in mente una canzone di uno di quei musical con cui era fissata mia madre: A Heart Full Of Love, dei Miserabili appunto.
Mi sembrava di volare nonostante non volessi.
- Le serve qualcosa?- La signora Marple mi fulminò con lo sguardo.
Sapevo cosa significava: non dovevo trattare male un cliente specialmente se mi conosceva.
-Vorrei una rosa bianca, la più bella che hai.- Sorrisi per la buffa affermazione.
-Sono tutte belle, signore.- Lui anche sorrise e, dopo aver abbassato lo sguardo per pochi secondi, lo rialzò e i suoi occhi mi sembravano pieni di timidezza e di gioia al tempo stesso.
-Tutte belle come te?- Non risposi.
Non seppi neanche se respirai in quei secondi.
L’unica cosa che ricordo fu la signora Marple che si alzò e se ne andò dalla stanza.
Possibile che mi ricordi solo le cose di poco conto in un momento cosi strano e bello allo stesso tempo?
Non so se la mia risposta lo soddisfò, ma sicuramente la sua mi lasciò a bocca aperta.
-Sono tutte più belle di me.-
-Allora voglio la rosa che ti assomigli di più.-
La sera, quando chiusi il negozio, lo trovai sotto un lampione con la rosa che aveva comprato poco prima.
Mi si avvicinò lentamente e mi porse la rosa con un sorriso più timido degli altri.
- Per la ragazza più bella, la rosa più bella.-
 
 
Ora sono seduta sulla panchina in cui ci siamo conosciuti circa 50 anni fa, leggendo quelle memorie della mia giovinezza che credevo aver sepolto in fondo alla mia memoria.
Peter non c’era più. E nemmeno Elvis.
C’era però Evelyn, mia nipote, avuta dal più grande dei miei quattro figli circa 3 anni fa.
Dormiva beatamente nella sua carrozzina, sognando chissà quali mondi, chissà quali avventure.
Poco lontano Nicholas, con il sorriso di sempre, giocava a calcio con Michael, l’altro mio nipote di cinque anni.
Ricordo tutti gli anni che abbiamo trascorso insieme, piene di gioie, dolori ma sempre insieme.
Senza lasciarci un solo minuto.
Tutto ciò che aveva detto mia madre non era sbagliato, solo che finii per non crederci più del necessario dopo che ebbi conosciuto Nicholas.
Ero felice, sono felice.
Ho tutto quello che desidero e non mi sono mai pentita di nessuna scelta che ho fatto in passato.
La scelta più giusta? Nicholas, ovvio!
Grazie a lui ho iniziato a credere di più in me stessa, nel mondo, nelle persone.
Grazie a lui ho imparato ad amare e ad essere amata.
Tutte le sere da quando siamo sposati guardiamo il cielo pieno di stelle fuori dalla finestra.
Ricordo che in quei momenti, ripensando a mia madre, morta due anni dopo il nostro matrimonio, mi usciva una lacrima, che lui asciugava con un bacio.
Poi mi circondava la vita con le sue braccia che per me sono sempre state un simbolo di sicurezza, come le sue labbra simbolo di amore.
Grazie a lui sono riuscita a dimenticare il mio passato, sono riuscita a ricucire il rapporto con mio padre e con i miei fratelli.
Grazie a lui sono diventata scrittrice e ambasciatrice dell’UNICEF, due sogni che da sempre mi portavo nel cuore.
E’ a lui, quindi che devo la mia vita.
Alla fine il mio angelo perfetto non l’ho trovato, ma un chitarrista a tempo perso con qualche difetto lo amo da una vita.
Penso che sia molto meglio di un sogno.
Lo amo, lo amo e lo amerò sempre.
Eravamo nati per stare insieme e il destino ci ha assistito.
Grazie.
Chiunque tu sia ovunque tu sia qualsiasi cosa tu stia facendo grazie per aver trovato un po’ di tempo per rendere felice una semplice sognatrice facendola vivere nel più bel sogno di tutti: la vita.
 
Smisi di scrivere e chiusi il diario. Ero arrivata all’ultima pagina.
Dal centro uscì un foglietto piegato in quattro, tutto sgualcito e ormai scolorito.
Lo aprì.
Era una lettera che mi scrisse Nicholas il giorno delle nostre nozze.
Me la portò mia madre, poiché non potevamo vederci prima, come usanza.
L’inchiostro non era sbiadito del tutto e ancora si poteva notare la sua calligrafia leggera e precisa.
 
 
 

Perche’ ti amo, di notte son venuto da te
cosi’ impetuoso e titubante
e tu non me potrai piu’ dimenticare
l’ anima tua son venuto a rubare.

Ora lei e’ mia - del tutto mi appartiene
nel male e nel bene,
dal mio impetuoso e ardito amare
nessun angelo ti potra’ salvare.


Herman Hesse
 
Ti Amo mia piccola principessa…. :) 
 
 

 

“Con te un ripetersi d’un sogno
nel sole di battiti impazziti
ove ogni goccia d’amore
sarà gustata dalle mie labbra:
lasciati carezzar ancor dalle mie mani,
io mi farò cercare dalla tua bocca per sempre…”

 

 



Writer's Corner

Ok, lo so che effettivamente è un pò lunga, ma non potevo postarla in due capitoli. Almeno per me non avrebbe avuto senso.
L'ho scritta tutta insieme e in giorni separati o in ore distanti come il giorno dalla notte.
Ci ho messo dentro tutto ciò che provo, tutto ciò in cui credo, tutti i miei sogni.
Se siete arrivati a leggere queste poche righe vuol dire che avete letto tutto il testo, o forse siete solo andati avanti con il mouse :)
Scrivetemi qualunque cosa pensate di questo mio scritto. Risponderò a tutti.
Grazie anche solo per averlo letto :)
La cosa importante è che abbia toccato il cuore e l'anima di qualcuno. E' questo il vero motivo per cui scrivo:)
Grazie ancora.
Bacioni ;)

  

   
 
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